Corte di cassazione
Sezione II penale
Sentenza 11 giugno 2025, n. 31233
Presidente: Verga - Estensore: Colella
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza n. 1173 emessa in data 14 novembre 2024 la Corte di appello di Cagliari ha confermato la sentenza n. 3702 emessa in data 10 dicembre 2023 dal Tribunale di Cagliari con la quale era stata affermata la penale responsabilità di Francesco C. in relazione al reato di truffa aggravata (artt. 61, n. 7, e 640, ult. comma, c.p.) con condanna dello stesso, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche ritenute equivalenti all'aggravante e alla recidiva contestate, alla pena ritenuta di giustizia.
Il reato risulta consumato in Cagliari dal 13 aprile 2015 all'11 dicembre 2015.
2. Ricorre per Cassazione avverso la predetta sentenza il difensore dell'imputato, articolando tre motivi: viene in premessa ripercorsa la ricostruzione dei fatti come recepita nelle sentenze di merito (e non contestata) che si riporta ai fini strettamente necessari; l'imputato C., impresario edile, e la parte civile, Aldo Co., in data 13 aprile 2025 sottoscrivevano un contratto preliminare di vendita avente per oggetto un appartamento ancora in corso di esecuzione al prezzo complessivo fissato in euro 262.000,00 oltre Iva con impegno alla stipula del definitivo entro il 31 dicembre 2015; il contratto preliminare, non registrato né trascritto sui pubblici registri (per essere, a detta del venditore, una spesa inutile, attesa la stipula del rogito entro dicembre), prevedeva il versamento di acconti (un primo assegno di euro 10.000,00 veniva consegnato al momento della stipula del preliminare; seguiva la consegna di ulteriore assegno di euro 40.000,00 il 28 aprile 2015; di euro 30.000,00 il 28 maggio 2015 e di euro 30.000,00 il 29 giugno 2015 per un totale di euro 110.000, oltre ad un assegno di euro 4.400,00 a per l'Iva sugli importi versati); tali assegni venivano posti all'incasso dall'imputato C., il quale aveva riscosso gli assegni corrispondenti alle ultime due rate, del 28 maggio 2015 e del 29 giugno 2015, quando era già conclamata una situazione di difficoltà finanziaria che aveva condotto il 19 maggio 2015 al sequestro conservativo del fabbricato in cui si trovava l'appartamento oggetto del predetto contratto preliminare; al sequestro faceva seguito pure l'iscri[z]ione di due ipoteche giudiziali il 24 luglio 2015 e il 27 novembre 2015 per una complessiva somma di euro 235.000,00; infine, in data 20 gennaio 2016, a causa del grave ritardo nell'ultimazione dei lavori, era stato risolto l'originario contratto di permuta tra la società Cos.edil del C. e la Sasit (proprietaria dell'area sulla quale C. si era impegnato a edificare un nuovo fabbricato con riserva di proprietà a favore della Sasit di alcune unità immobiliari) e firmato in pari data un atto transattivo in forza del quale la Cos.Edil di C. aveva consegnato alla Sasit l'intero fabbricato fino ad allora realizzato, così cedendo anche la proprietà dell'immobile oggetto di contratto preliminare con Co.; in quella sede, a differenza di quanto previsto per i contratti preliminari di vendita stipulati con gli altri promissari acquirenti (signori S., F. e P.), non veniva indicato nell'atto transattivo l'analogo contratto preliminare stipulato con Co., con la conseguenza che, soltanto per tale rapporto, non opponibile alla Sasit, non era stato possibile procedere alla stipula del contratto definitivo di vendita, e che, anche a seguito del fallimento del C. intervenuto in breve tempo, il Co. non solo non aveva ottenuto l'appartamento, ma aveva anche perso gli acconti già versati per il complessivo importo di euro 114.400,00. Va aggiunto che, su richiesta di Co., il C. aveva rilasciato una fideiussione bancaria, rivelatasi invalida. Anche dopo la stipula della transazione con la Sasit, tra aprile e maggio 2016, C. ha continuato a garantire a Co. per mesi la stipula del definitivo - nel frattempo slittato da dicembre 2015 all'estate 2016 - indicandogli i fornitori di sua fiducia per i preventivi di porte e pavimenti (che furono trasmessi nei mesi di aprile e giugno); il 19 luglio 2026, Co. si recò in cantiere per verificare lo stato dei lavori e, in tale circostanza, apprese che l'intero fabbricato era stato acquisito dalla Sasit, che a sua volta aveva alienato a terzi l'appartamento del quale egli avrebbe dovuto acquistare la proprietà in ragione della stipula del contratto preliminare.
2.1. Con il primo motivo di ricorso la difesa deduce, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. b) ed e), c.p.p. violazione di legge in relazione all'art. 640 c.p. in ordine alla configurabilità del reato di truffa contrattuale mediante l'omessa comunicazione di una parte nei confronti dell'altra delle proprie difficoltà finanziarie nella fase esecutiva di un contratto preliminare, e/o mediante rassicurazioni circa l'ultimazione dei lavori e il buon esito del contratto, nella fase intercorrente tra la conclusione del contratto preliminare il 13 aprile 2015 e il pagamento degli ultimi due acconti (28 maggio [e] 29 giugno 2015); osserva la difesa che la truffa per omissione non sarebbe configurabile perché l'art. 640 c.p., nel richiedere artifici e raggiri impone una condotta necessariamente commissiva, e dovendo escludersi in capo alle parti la sussistenza di una reciproca posizione di garanzia in forma di un obbligo di buona fede del quale si potrà essere chiamati a rispondere per il relativo illecito civile, ma non anche in sede penale; per di più, il contenuto delle informazioni la cui omissione si addebita all'imputato consiste nelle difficoltà economiche dell'obbligato e quindi non in una circostanza che incida sul contenuto dell'obbligazione; la motivazione della sentenza, secondo la difesa, appare illogica nel ritenere integrato un raggiro nei confronti del Co., pur a fronte di parità di condizioni con gli altri contraenti; in particolare, la sentenza escluderebbe una condotta ingannatoria dell'imputato nella fase di conclusione del contratto alla luce della parità di condizioni (contenuto, clausole e modalità negoziali) del contratto del Co. rispetto agli altri contratti preliminari stipulati con altri promissari acquirenti e poi andati a buon fine, mentre, nella fase esecutiva, analoga parità di condizioni (posto che il sequestro conservativo e le difficoltà finanziarie del costruttore non venivano comunicate a nessuno dei contraenti) rileverebbero solo per il Co., quali indici di intento fraudolento.
2.2. Con il secondo motivo si censura ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. b) ed e), c.p.p., la violazione di legge relativamente alle disposizioni di cui agli artt. 640 e 43 c.p. con riferimento agli elementi oggettivi e soggettivi del reato di truffa e in particolare in ordine alla affermata possibilità di realizzare la truffa contrattuale mediante la conclusione di ulteriori accordi negoziali intervenuti con persone diverse dal soggetto danneggiato in epoca successiva sia alla conclusione del contratto preliminare inadempiuto, sia all'integrale esecuzione da parte della controparte contrattuale dei pagamenti dedotti in contratto; si censura anche la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine a tale profilo. La sentenza impugnata sarebbe errata laddove ritiene di ravvisare la truffa nella stipula dell'atto di transazione tra C. e la Sasit (20 gennaio 2016) poiché il reato di truffa necessita che l'evento dannoso discenda da un atto di disposizione patrimoniale viziato da errore da parte del soggetto danneggiato, mentre nella specie le conseguenze dannose per il Co. deriverebbero da un contratto di cui egli non è stato parte, avvenuto tra C. e la Sasit; si tratterebbe di condotta inidonea ad integrare il delitto di truffa in quanto non rivolta ad ottenere una disposizione patrimoniale del soggetto passivo, ma a celare il proprio inadempimento, realizzatosi a seguito della restituzione alla Sasit, in via transattiva, dell'intero compendio immobiliare.
2.3. Con il terzo motivo, si deducono ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. b) ed e), c.p.p., violazione di legge e vizio di motivazione relativamente alle disposizioni di cui agli artt. 69, 99, 106, comma 2, 157, 158, 161 e 640 c.p., nonché agli artt. 125, 445, comma 2, 665, 666, 676 c.p.p. in ordine al momento consumativo ed alla prescrizione del reato e in ordine al tempo necessario per prescrivere anche in rapporto al riconoscimento della recidiva qualificata equivalente rispetto alle attenuanti generiche; osserva la difesa del ricorrente che il reato sarebbe prescritto per essere decorsi oltre nove anni dalla data di consumazione indicata in imputazione (11 dicembre 2015) ed anche dalla data della successiva transazione con Sasit s.r.l. (20 gennaio 2016), che ha prodotto l'inadempimento; in particolare, la Corte di appello avrebbe errato nell'escludere l'intervenuta prescrizione, maturata già anteriormente alla sentenza di primo grado, e nel non considerare l'ordinanza irrevocabile datata 22 marzo 2023, con la quale il Tribunale di Cagliari, in funzione di giudice dell'esecuzione, aveva dichiarato l'estinzione ai sensi dell'art. 445 c.p.p. dell'unico precedente anteriore ai fatti oggetto del presente ricorso, relativo a sentenza di applicazione della pena per il reato tributario di cui all'art. 10-quater d.lgs. 74/2000, n. 746/2013, pronunciata dal Tribunale di Cagliari il 22 marzo 2013, definitiva il 25 maggio 2013; di tale precedente, osserva la difesa, non avrebbe dovuto pertanto tenersi conto ai fini della recidiva, come disposto dall'art. 106, comma 2, c.p., chiedendo la pronuncia di sentenza di non doversi procedere con annullamento delle statuizioni civili, essendo il reato contestato estinto per prescrizione in data anteriore alla pronuncia della sentenza di primo grado; la declaratoria di estinzione del reato e di cessazione degli effetti penali dell'unica condanna anteriore ai fatti per i quali si procede avrebbe dovuto comportare l'esclusione della recidiva con tutti gli effetti di legge conseguenti ed in particolare quello della prescrizione maturata prima della sentenza di primo grado. La sentenza della Corte d'appello di Cagliari, secondo la difesa, avrebbe errato nel respingere l'eccezione, ritenendo che, a prescindere dall'ordinanza del Tribunale di Cagliari in funzione di giudice dell'esecuzione, il reato di cui alla sentenza n. 746/2013 non fosse comunque estinto e dovesse essere preso in considerazione ai fini della recidiva, non ricorrendo l'ipotesi estintiva prevista dall'art. 445, comma 2, c.p.p., avendo l'imputato riportato altre condanne definitive per reati commessi nei cinque anni dal passaggio in giudicato della citata sentenza ed essendo l'effetto estintivo previsto dall'art. 445 c.p.p. subordinato alla mancata commissione nel termine quinquennale di qualunque delitto.
La Corte di appello avrebbe anche omesso di motivare, come la sentenza di primo grado, in merito al riconoscimento della recidiva, quale manifestazione di una più accentuata pericolosità sociale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il terzo motivo di ricorso, avente carattere decisivo e assorbente delle altre due doglianze sollevate, è fondato e viene pertanto anticipato l'ordine di trattazione.
Dalla lettura della sentenza impugnata (pagg. 8 e 9) risulta che la contestata recidiva ai sensi dell'art. 99, comma 2, c.p., è stata ritenuta facendosi riferimento alla sentenza di applicazione della pena concordata n. 746/13 del Tribunale di Cagliari, emessa il 22 marzo 2014 e passata in giudicato il 25 maggio 2013. Ebbene, al riguardo, deve essere anzitutto precisato che, contrariamente a quanto indicato dalla Corte territoriale (e prima dal Tribunale di Cagliari, pp. 12-16 della sentenza n. 3702/23), il reato tributario oggetto di tale sentenza di applicazione della pena concordata non risulta valutabile ai fini della recidiva, in quanto si tratta di delitto che è stato dichiarato estinto, ai sensi dell'art. 445, comma 2, c.p.p., con ordinanza emessa dal Tribunale di Cagliari in funzione di giudice dell'esecuzione in data 22 marzo 2023, riportata anche nel certificato del casellario giudiziale in atti (iscrizione sub 1).
Pertanto, alla data della sentenza di condanna di primo grado (1° dicembre 2023), l'imputato era immune da precedenti penali rilevanti agli effetti della contestazione della recidiva di cui all'art. 99, comma 2, c.p., poiché quel precedente, dal quale dipendeva l'applicazione della relativa aggravante, era venuto meno.
È pacifico che "in tema di patteggiamento, la declaratoria di estinzione del reato, conseguente al decorso dei termini e al verificarsi delle condizioni previste dall'art. 445 c.p.p., comporta l'estinzione degli effetti penali anche ai fini della recidiva": così Cass. n. 994 del 2022, Rv. 282515-01; n. 6673 del 2016, Rv. 266119-01; n. 7067 del 2013, Rv. 254742-01.
Questo Collegio condivide e intende dare continuità all'indirizzo giurisprudenziale secondo il quale la dichiarazione di estinzione del reato oggetto di sentenza di applicazione della pena, ai sensi dell'art. 445, comma 2, c.p.p., rimane caratterizzata nel tempo da una definitività che la rende irretrattabile, anche quando risulti poi accertato che il soggetto abbia commesso nel quinquennio della irrevocabilità della sentenza un ulteriore delitto, poiché in tal caso non è ammessa alcuna possibilità non solo di una decisione condizionata, ma anche della revoca degli effetti favorevoli prodottisi (Sez. 1, n. 5501 del 29 settembre 2016, dep. 2017, Rv. 268994; Sez. 1, sent. n. 26685/2019).
A tale effetto estintivo, dunque, non può attribuirsi, come ritenuto dalla Corte d'appello di Cagliari (e dal Tribunale), natura "precaria", stante la definitività e l'irreversibilità degli effetti che vanno riconosciuti all'istituto dell'estinzione del reato per il quale l'imputato abbia ottenuto l'accesso al patteggiamento, rito speciale che non ammette un successivo intervento giudiziale di revoca, non previsto né dall'art. 445 c.p.p., né da altra disposizione di legge (Sez. 1, n. 5501 del 29 settembre 2016, dep. 2017, Cazzaniga, Rv. 268994, in motivazione). Ne deriva che, in assenza di una esplicita e testuale previsione normativa che lo contempli, soltanto in via interpretativa si potrebbe procedere in tal senso, in applicazione analogica della disciplina di cui all'art. 168 c.p., dettata per la sospensione condizionale della pena; il che, peraltro, si risolverebbe nell'applicazione, al di là del caso previsto, di una norma sfavorevole al condannato, con operazione cognitiva non espressamente prevista per legge e quindi non consentita.
Da quanto premesso, deriva la necessaria esclusione della recidiva, con la conseguenza che: il termine di prescrizione del reato qui giudicato, ai sensi degli artt. 157 e 161 c.p., è pari ad anni sette e mesi sei, con la conseguenza che, con riguardo alla data di consumazione, indicata dal 13 aprile 2015 al giorno 11 dicembre 2015, in assenza di sospensioni, il reato si è estinto per prescrizione in data 11 giugno 2023, prima della sentenza di primo grado, deliberata in data 1° dicembre 2023; vanno pertanto revocate le statuizioni civili che sono state disposte dal primo giudice in favore della parte civile Co. e la provvisionale immediatamente esecutiva, considerato che, a norma dell'art. 538, comma 1, c.p.p., la condanna per la responsabilità civile presuppone la pronuncia di una sentenza di condanna prima del maturarsi della prescrizione.
2. Va escluso, poi, che in ragione dei motivi di ricorso ricorra, con evidenza, un'ipotesi di proscioglimento nel merito ai sensi dell'art. 129 c.p.p. I motivi dedotti in punto di affermazione della responsabilità del C. appaiono del tutto ripetitivi rispetto alle deduzioni svolte in sede di appello e diffusamente confutate dalla Corte territoriale (pp. 6-8).
3. Per le considerazioni esposte, debbono annullarsi senza rinvio sia la sentenza impugnata che quella di primo grado (Tribunale di Cagliari, 1° dicembre 2023) perché il reato è estinto per prescrizione e vanno revocate, per l'effetto, le statuizioni civili disposte in favore del Co.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata e quella di primo grado (Tribunale di Milano, 1° dicembre 2023) perché il reato è estinto per prescrizione. Revoca le statuizioni civili.
Depositata il 17 settembre 2025.