Corte di cassazione
Sezioni unite penali
Sentenza 22 giugno 2023, n. 40797
Presidente: Sarno - Estensore: Scarcella
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 21 luglio 2022, il Tribunale del riesame di Pescara ha rigettato l'appello cautelare proposto dalla curatela del fallimento Lavanderia Giglio s.n.c. avverso il provvedimento con cui il Tribunale di Pescara aveva rigettato la richiesta di dissequestro di beni rappresentati dalle quote del capitale sociale della Diesse Immobiliare s.r.l. e dell'intera proprietà della porzione di un immobile sito in Montesilvano in Via Garigliano n. 2, meglio identificato in atti, intestato a D.S. Giuseppe, oggetto di sequestro da parte del G.i.p. in data 22 gennaio 2020 nell'ambito del procedimento penale promosso nei confronti di D.S. Antonio, D.S. Giuseppe ed O. Emma per il delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte di cui all'art. 11 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74.
1.1. Nell'occasione il Tribunale ha premesso che l'impugnazione del provvedimento di rigetto della istanza di dissequestro è stata argomentata da parte della ricorrente curatela in funzione della sua ritenuta erroneità per non essere state considerate le vicende connesse all'avvenuta dichiarazione del fallimento della Lavanderia Giglio s.n.c., intervenuta già con sentenza del 10 gennaio 2019, per effetto della quale il D.S. sarebbe stato privato della amministrazione e della disponibilità dei beni sociali.
1.2. Dando poi atto che la questione involge la tematica dei rapporti fra il sequestro preventivo in materia di reati tributari ed il fallimento della impresa da essi coinvolta, richiamato il contenuto della ordinanza con la quale era stata rigettata la istanza di dissequestro, ha concluso affermando che, «in una fattispecie quale è quella ora in esame, il sequestro preventivo [...] prevale sui diritti di credito vantati sul medesimo bene per effetto di qualsiasi procedura concorsuale [...] attesa l'obbligatorietà della misura ablatoria alla cui salvaguardia è finalizzato il sequestro, per cui il rapporto fra il vincolo imposto dall'apertura della procedura concorsuale e quello discendente dal sequestro deve essere risolto a favore della seconda misura».
1.3. In motivazione il Tribunale di Pescara, che pure dà atto della esistenza sul punto di diversi indirizzi interpretativi, ha ricordato come l'orientamento da esso fatto proprio è stato di recente confermato anche dalla giurisprudenza della Corte di cassazione, la quale ha affermato la prevalenza del sequestro preventivo sui diritti di credito vantati sul medesimo bene per effetto di qualsiasi procedura concorsuale anche qualora la dichiarazione di fallimento sia intervenuta prima del sequestro (la sentenza espressamente richiamata dal Tribunale è quella di Sez. 3, n. 3575 del 1° febbraio 2022, Commisso, Rv. 283761-01).
1.4. Ha precisato, inoltre, che l'orientamento sopraindicato trova conforto anche nella disciplina fissata dagli artt. 317 ss. del d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, nei quali è sancita la prevalenza delle misure cautelari reali rispetto alle procedure concorsuali, limitatamente alle sole ipotesi di sequestro preventivo strumentale alla confisca ai sensi dell'art. 321, comma 2, c.p.p., rimanendo, invece, la stessa esclusa quanto al sequestro conservativo e ridotta solo a talune ipotesi nel caso di sequestro preventivo con finalità impeditive.
1.5. Ha escluso, infine, qualsiasi rilevanza, ai fini della prevalenza del sequestro sulla procedura concorsuale, del dato relativo alla disponibilità dei beni presso il fallito, posto che la natura e la funzione del sequestro a fini di confisca prescindono da tale dato, né in tale modo si determina alcuna violazione del principio della par condicio creditorum.
2. Nel ricorso per cassazione la curatela del fallimento Lavanderia Giglio s.n.c., rappresentata da difensore munito di procura speciale, dopo avere premesso:
a) che, con sentenza resa in data 10 gennaio 2019, il Tribunale di Pescara, revocato il precedente decreto di ammissione al concordato ex art. 173 l.f., ha dichiarato il fallimento della Lavanderia Giglio s.n.c. e dei suoi soci illimitatamente responsabili;
b) che, con atto di citazione del 19 aprile 2019, la curatela del fallimento Lavanderia Giglio s.n.c. ha chiesto, per quanto ora interessa, la revocatoria degli atti con i quali è stato costituito e dotato il trust Diesse, onde fare dichiarare la inefficacia rispetto alla massa fallimentare della attribuzione ad esso della partecipazione societaria nella Diesse Immobiliare s.r.l. dei soci della Lavanderia Giglio s.n.c. (dichiarati falliti unitamente alla società) nonché di una unità abitativa ubicata in Comune di Montesilvano, appartenente a D.S. Giuseppe (socio illimitatamente responsabile della società fallita);
c) che, con sentenza n. 543 del 7 marzo 2021, il Tribunale di Pescara, in accoglimento dell'azione revocatoria intentata dalla curatela fallimentare, dichiarava l'inefficacia rispetto alla massa fallimentare dell'atto pubblico del 18 settembre 2015 con il quale era stato costituito il trust Diesse e ne era stata disposta, nei termini dianzi indicati, la dotazione patrimoniale;
d) che, medio tempore, con provvedimento del 22 gennaio 2020, il G.i.p. del Tribunale di Pescara aveva disposto il sequestro di tutti i beni conferiti dai soci illimitatamente responsabili della Lavanderia Giglio s.n.c. nel trust Diesse, avendo costoro «privato il loro patrimonio personale di risorse utili a garantire gli ingenti debiti tributari già accumulati dalla società Lavanderia Giglio s.n.c., di poi fallita, sottraendoli alla garanzia patrimoniale su di essi ricadente in quanto soci solidalmente ed illimitatamente responsabili per le obbligazioni di quest'ultima», articola un unico motivo di impugnazione, con il quale, in sintesi, lamenta il vizio di violazione di legge, in relazione agli artt. 321 c.p.p. e 42 l.f.
2.1. In particolare, osserva che il Tribunale di Pescara avrebbe errato nell'interpretare, con riferimento al tenore testuale dell'art. 12-bis del d.lgs. n. 74 del 2000, l'espressione, in esso contenuta, limitativa del potere di confisca «salvo che appartengano a persona estranea al reato». Aggiunge la parte ricorrente che essa è consapevole della esistenza di un contrasto giurisprudenziale al riguardo, il quale dovrebbe, a suo avviso, essere risolto proprio in base al concetto di "appartenenza del bene da confiscare a soggetto estraneo". Rileva che, una volta dichiarato il fallimento, il soggetto attinto dalla procedura è spossessato dei propri beni, con perdita della disponibilità degli stessi, tanto che la sentenza dichiarativa del fallimento è soggetta a trascrizione e la vendita dei beni fallimentari è realizzata attraverso un atto sottoscritto dal curatore, cui passa anche il possesso materiale e giuridico dei beni attratti alla massa fallimentare. Aggiunge, infine, la ricorrente che tanto più sarebbe dimostrata, quanto al caso in esame, la erroneità della apprensione dei beni già nella disponibilità dei soggetti falliti a seguito dell'avvenuto sequestro preventivo di essi, laddove si rifletta sul fatto che il fallimento, cui aveva fatto seguito l'avvenuto spossessamento dei soggetti sottoposti alla procedura rispetto ai loro beni, era stato dichiarato anteriormente alla adozione della misura cautelare penale.
2.2. Cita al riguardo recente giurisprudenza di questa Corte (viene ricordata, fra le altre, la sentenza Sez. 3, n. 26275 dell'8 luglio 2002, non mass., a sua volta evocatrice di altri precedenti conformi), la quale, osserva la ricorrente, si sarebbe sviluppata prendendo le mosse dalla sentenza delle Sezioni unite penali con la quale è stata riconosciuta la legittimazione della curatela fallimentare ad impugnare i provvedimenti cautelari reali incidenti sulla dotazione della massa (cfr.: Sez. un., n. 45936 del 13 novembre 2019, fallimento Mantova Petroli, Rv. 277257-01).
2.3. Eccepisce che sarebbe viziata l'ordinanza impugnata nella parte di essa in cui si afferma che «non può costituire dato significativo il fatto che i beni del fallimento per soccombere rispetto alle esigenze della cautela debbano essere nella disponibilità del fallito» (volendosi con ciò intendere che il sequestro sarebbe applicabile anche su beni non più nella disponibilità del fallito), atteso che una tale affermazione si porrebbe in aperto contrasto con la stessa lettera dell'art. 12-bis del d.lgs. n. 74 del 2000.
Ritiene parimenti viziata, nell'ordinanza, la ritenuta assenza di violazione della par condicio creditorum; sostiene, infatti, la ricorrente curatela che la posizione del Fisco - insinuatosi nel fallimento per un importo di poco inferiore a 600.000,00 euro - sarebbe comparabile con quella degli altri creditori; anzi, essa sarebbe recessiva rispetto a quella di molte categorie di creditori privilegiati, con la conseguenza che il mantenimento del sequestro farebbe sì che l'Erario troverebbe un soddisfacimento preferenziale anche a discapito di quei creditori che, nell'ambito di un ordinario piano di riparto dell'attivo fallimentare, sarebbero stati ad esso certamente preferiti. Né l'argomento evocato potrebbe essere superato attraverso la valorizzazione della natura sanzionatoria della confisca, posto che l'ordinamento sanzionerebbe il reo con il sacrificio dei creditori fallimentari, quali soggetti del tutto estranei al reato.
3. Con ordinanza del 29 novembre 2022 la Terza Sezione penale della Corte di cassazione ha rimesso il ricorso alle Sezioni unite ai sensi dell'art. 618 c.p.p., avendo la questione sottoposta al suo esame dato luogo, nella giurisprudenza di legittimità, ad un contrasto interpretativo.
4. Con decreto del 2 marzo 2023 il Presidente aggiunto ha assegnato il ricorso alle Sezioni unite penali, fissandone la trattazione in camera di consiglio nelle forme e con le modalità di cui all'art. 127 c.p.p.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
2. La questione di diritto per cui il ricorso è stato rimesso alle Sezioni unite è la seguente:
«Se, in caso di dichiarazione di fallimento intervenuta anteriormente alla adozione di provvedimento di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per reati tributari e riguardante beni attratti alla massa fallimentare, l'avvenuto spossessamento del debitore erariale per effetto dell'apertura della procedura concorsuale osti al sequestro stesso, ovvero se, invece, il sequestro debba comunque prevalere attesa la obbligatorietà della confisca cui la misura cautelare è diretta».
3. Il tema dei rapporti tra sequestro preventivo e procedura fallimentare (rectius, liquidazione giudiziale, a seguito della nuova denominazione assunta nel codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza del 2019), non è nuovo nella giurisprudenza, chiamata già in precedenza reiteratamente ad occuparsene. A tal proposito occorre, sia pure sinteticamente, ripercorrere cronologicamente l'evoluzione giurisprudenziale in materia di rapporti tra sequestro penale e procedura fallimentare quale delineata dalla giurisprudenza delle Sezioni unite penali di questa Corte, evoluzione segnata da alcune tappe fondamentali.
3.1. La prima decisione di rilievo è rappresentata dalla sentenza Sez. un., n. 29951 del 24 maggio 2004, Focarelli, Rv. 228165, con cui le Sezioni unite affermarono il principio di diritto per cui è legittimo il sequestro preventivo, funzionale alla confisca facoltativa, di beni provento di attività illecita e appartenenti ad un'impresa dichiarata fallita, nei cui confronti sia instaurata la relativa procedura concorsuale, a condizione che il giudice, nell'esercizio del suo potere discrezionale, dia motivatamente conto della prevalenza delle ragioni sottese alla confisca rispetto a quelle attinenti alla tutela dei legittimi interessi dei creditori nella procedura fallimentare.
Nell'occasione le Sezioni unite ebbero tra l'altro a precisare che, nel caso di sequestro preventivo funzionale alla confisca di beni appartenenti alla società fallita, la curatela fallimentare non è "terzo estraneo al reato", in quanto il concetto di appartenenza di cui all'art. 240, terzo comma, c.p. ha una portata più ampia del diritto di proprietà, sì che deve intendersi per terzo estraneo al reato soltanto colui che non partecipi in alcun modo alla commissione dello stesso o all'utilizzazione dei profitti derivati. La Corte, in tale occasione, ebbe altresì a specificare in motivazione che la sentenza che dichiara il fallimento priva la società fallita dell'amministrazione e della disponibilità dei suoi beni esistenti a quella data, assoggettandoli alla procedura esecutiva concorsuale finalizzata al soddisfacimento dei creditori, ma che tale effetto di spossessamento non si traduce in una perdita della proprietà, in quanto la società resta titolare dei beni fino al momento della vendita fallimentare.
3.2. A distanza di circa un decennio, il tema - sebbene con riferimento alla disciplina peculiare dettata dal d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231 con riguardo alla responsabilità amministrativa da reato degli enti - venne incidentalmente affrontato anche dalla sentenza Sez. un., n. 11170 del 25 settembre 2014, Uniland, Rv. 263685, la quale, nell'affermare il principio secondo cui, in tema di responsabilità da reato degli enti, il curatore fallimentare non è legittimato a proporre impugnazione avverso il provvedimento di sequestro preventivo funzionale alla confisca dei beni della società fallita, ebbe a precisare in motivazione che lo stesso curatore, in quanto soggetto terzo rispetto al procedimento cautelare, non è titolare di diritti sui beni in sequestro né può agire in rappresentanza dei creditori, non essendo anche questi ultimi, prima dell'assegnazione dei beni e della conclusione della procedura concorsuale, titolari di alcun diritto sugli stessi.
3.3. Ultima pronuncia in ordine cronologico è la sentenza Sez. un., n. 45936 del 26 settembre 2019, fallimento Mantova Petroli s.r.l. in liquidazione, Rv. 277257, che, discostandosi dal principio espresso dalla precedente sentenza "Uniland", ebbe a riconoscere, nel caso di sequestro preventivo disposto prima del fallimento ai fini della confisca prevista dall'art. 12-bis d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, la legittimazione del curatore fallimentare a chiedere la revoca del sequestro preventivo a fini di confisca e ad impugnare i provvedimenti in materia cautelare reale, precisando che la legittimazione del curatore, discendente dalla titolarità del diritto alla restituzione dei beni sequestrati, dev'essere riconosciuta anche in relazione ai beni caduti in sequestro prima della dichiarazione di fallimento, giacché anch'essi facenti parte della massa attiva che entra nella disponibilità della curatela, con contestuale spossessamento del fallito ai sensi dell'art. 42 r.d. 16 marzo 1942, n. 267.
4. Gli interventi delle Sezioni unite si innestano in un quadro di perdurante ed ancora attuale contrasto che vede confrontarsi due opposti orientamenti: a) il primo, espressione della tesi della prevalenza funzionale della misura ablatoria penale; b) il secondo, che risolve la coesistenza dei vincoli in ragione del criterio della priorità temporale sul presupposto logico della recessività della misura rispetto alla procedura concorsuale.
5. Gli argomenti addotti a sostegno del primo orientamento si fondano, anzitutto, sul rilievo per il quale i beni attratti alla massa fallimentare non possono considerarsi beni "appartenenti a persona estranea al reato", con la conseguenza che la dichiarazione di fallimento dell'imputato non osta al provvedimento di confisca diretta o per equivalente, ai sensi dell'art. 12-bis d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 (Sez. 4, n. 864 del 3 dicembre 2021, dep. 2022, Donato, Rv. 282567-01; v. anche Sez. 3, n. 23907 del 1° marzo 2016, Taurino, Rv. 266940-01, con riferimento ad un caso di sequestro preventivo disposto in relazione al reato di cui all'art. 4 del d.lgs. n. 74 del 2000), nonché sul carattere obbligatorio della confisca e sulla sua finalità sanzionatoria (Sez. 3, n. 15779 dell'8 gennaio 2020, fallimento Barter s.r.l., non mass.; Sez. 3, n. 15776 dell'8 gennaio 2020, fallimento Barter s.r.l., non mass.; Sez. 3, n. 28077 del 9 febbraio 2017, Marcantonini ed altro, Rv. 270333-01, che ha ritenuto applicabile il principio anche in materia di concordato preventivo, aggiungendo che i diritti di credito dei terzi non appaiono ricompresi nell'ambito ristretto indicato dall'art. 12-bis, comma 1, cit.).
Il che giustificherebbe la prevalenza su eventuali diritti di credito gravanti sul medesimo bene, a prescindere dal momento in cui intervenga la dichiarazione di fallimento, non potendo essere attribuiti alla procedura concorsuale, anche se intervenuta prima del sequestro, effetti preclusivi rispetto all'operatività della cautela reale disposta nel rispetto dei requisiti di legge.
Si sostiene, in particolare, che la deprivazione che il fallito subisce dell'amministrazione e della disponibilità dei suoi beni, vincolati dalla procedura concorsuale a garanzia dell'equa soddisfazione di tutti i creditori mediante l'esecuzione forzata, non esclude che egli conservi, sino al momento della vendita fallimentare, la titolarità dei beni stessi (Sez. 5, n. 52060 del 30 ottobre 2019, Angeli, Rv. 277753-01). Nello stesso senso Sez. 4, n. 7550 del 5 dicembre 2018, dep. 2019, Sansone, Rv. 275129-01, in relazione ad una fattispecie di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente di somme di denaro appartenenti alla società fallita e assegnate ai creditori con piano di riparto dichiarato esecutivo ma non ancora eseguito, ha precisato che il provvedimento del giudice delegato si limita ad accertare giudizialmente la misura dei crediti aventi diritto al riparto e ad ordinarne al curatore il pagamento, ma l'effetto traslativo del denaro appartenente alla società fallita si produce solo con la materiale traditio delle somme, aggiungendo che le posizioni soggettive dei creditori insinuati al passivo e ammessi al riparto delle somme conservano la connotazione di meri diritti di credito, non mutando la loro originaria natura giuridica per effetto della ammissione alla procedura concorsuale. Da ultimo, anche Sez. 3, n. 31921 del 4 maggio 2022, fallimento Tradeco s.r.l., non mass., ha ribadito che fino alla materiale distribuzione da parte del curatore le somme di denaro costituenti l'attivo del fallimento non possono essere considerate come appartenenti ad un terzo estraneo alla commissione del reato ma restano beni della società fallita, come tali suscettibili di sequestro nei confronti di quest'ultima.
Con specifico riguardo ai reati tributari Sez. 3, n. 5255 del 3 novembre 2022, dep. 2023, Di Fant, Rv. 284068-01, ha infine affermato la possibilità di esecuzione del sequestro preventivo finalizzato alla confisca del profitto di un reato tributario di cui all'art. 12-bis d.lgs. n. 74 del 2000, ove il reato sia stato commesso nell'interesse di una società dichiarata fallita, avente ad oggetto beni societari compresi nell'attivo fallimentare, posto che la deprivazione dell'amministrazione e della disponibilità dei beni, vincolati dalla procedura concorsuale a garanzia dell'equa soddisfazione dei creditori mediante l'esecuzione forzata, non esclude che il fallito ne conservi la titolarità sino al momento della vendita, non assumendo rilevanza, ai fini della confisca diretta, il criterio della disponibilità dei beni, ma quello, più ampio, della non estraneità rispetto al reato.
5.1. Alcune più recenti pronunce hanno valorizzato, a sostegno dell'orientamento in esame, anche le nuove disposizioni del codice della crisi di impresa e di insolvenza (cosiddetto c.c.i.) di cui al d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, attribuendo rilevanza al nuovo assetto normativo, ancor prima della sua entrata in vigore, quantomeno sul piano dell'interpretazione logico-sistematica (Sez. 3, n. 3575 del 26 novembre 2021, dep. 2022, Commisso, Rv. 283761-01; Sez. 3, n. 5255 del 3 novembre 2022, dep. 2023, Di Fant, Rv. 284068-01).
In particolare, Sez. 3, n. 3575 del 26 novembre 2021, dep. 2022, Commisso, Rv. 283761-01, ha affermato che il principio di prevalenza del sequestro preventivo trova conforto e giustificazione, oltre che nell'argomento principale della obbligatorietà della confisca cui è finalizzata la misura, nelle nuove disposizioni di cui agli artt. 317 ss. del c.c.i., non escludendo la sua differita entrata in vigore (al 15 luglio 2022) che le norme definitorie in esso contenute, venute ad esistenza e a conoscenza con la promulgazione e la pubblicazione, siano utilizzabili nell'ambito di una interpretazione logico-sistematica di norme vigenti, contenute in altre leggi.
6. L'opposto orientamento secondo cui non può essere disposto il sequestro preventivo finalizzato alla confisca dei beni, ai sensi dell'art. 12-bis del d.lgs. n. 74 del 2000, anche per equivalente, in presenza di una dichiarazione di fallimento, si fonda, invece, anzitutto, sull'assunto che la dichiarazione di fallimento comporta il venir meno in capo al fallito del potere di disporre del proprio patrimonio e l'attribuzione al curatore, terzo estraneo al reato, del compito di gestire tale patrimonio al fine di evitarne il depauperamento (Sez. 3, n. 47299 del 16 novembre 2021, fallimento Bellelli Engineering s.r.l., Rv. 282618-01; Sez. 3, n. 45574 del 29 maggio 2018, E., Rv. 273951-01).
Non avrebbero rilevanza, per tale orientamento, gli argomenti sostenuti dalla tesi contrapposta. Anzitutto, quello che fa leva sull'obbligatorietà della confisca in materia tributaria ex art. 12-bis del d.lgs. n. 74 del 2000, troverebbe confutazione nello stesso dato normativo, laddove è prevista una deroga espressa, anche in caso di confisca per equivalente, in caso di beni appartenenti ad un soggetto estraneo al reato ovvero di beni non nella disponibilità del reo (Sez. 3, n. 11068 del 28 settembre 2021, dep. 2022, Rellecke Nasi, Rv. 283763-01).
Viene parimenti ritenuto superabile l'argomento che fa leva sulla finalità sanzionatoria della confisca, correlato alla sua obbligatorietà, che giustificherebbe la natura recessiva degli interessi della massa fallimentare, ove si valuti che affermare la assoluta prevalenza della misura ablatoria dei beni rispetto al vincolo derivante dalla loro attrazione alla massa fallimentare produrrebbe l'effetto perverso di far ricadere la sanzione sui creditori del fallito, soggetti diversi rispetto all'autore dell'illecito. In secondo luogo, con riferimento agli effetti della dichiarazione di fallimento sul patrimonio della persona fisica o giuridica che ne è destinataria, l'orientamento in esame evidenzia che, come previsto dall'art. 42, comma 1, l.f., la dichiarazione importa lo spossessamento e il venir meno del potere del fallito di disporre dei propri beni, automaticamente trasferiti agli organi della procedura fallimentare, conseguendone che, a partire da tale momento, il curatore subentra ope legis nell'amministrazione della massa attiva nella prospettiva della sua conservazione ai fini della tutela dell'interesse dei creditori (Sez. 3, n. 12125 del 5 febbraio 2021, fallimento Alfa Telematica s.r.l., non mass.; Sez. 3, n. 36746 del 15 ottobre 2020, Semprucci, non mass.; Sez. 3, n. 14766 del 26 febbraio 2020, Sangermano, Rv. 279382-01; Sez. 3, n. 45574 del 29 maggio 2018, E., Rv. 273951-01).
Sarebbe dunque proprio la legittimazione del curatore all'impugnativa dei provvedimenti in materia di cautelare reale a costituire la premessa sul piano logico, ancor prima che giuridico, dell'esclusione di una posizione di subordinazione della procedura fallimentare rispetto al sequestro ex art. 321, comma 2, c.p.p., e ciò in quanto se la disponibilità dei beni è quella che conferisce alla curatela fallimentare la legittimazione «non si vede come possa esserle negata, in relazione alla tutela invocata, la posizione di terzietà rispetto al soggetto indagato», con la conseguenza che il diritto alla restituzione dei beni sequestrati resterebbe, dunque, inscindibilmente connesso alla disponibilità dei beni attinti dalla misura cautelare, non potendo dunque non essere riconosciute alla curatela, nelle sue funzioni di rappresentanza del fallimento e di amministrazione del relativo patrimonio, una posizione giuridica autonoma rispetto al bene e la titolarità di un correlativo potere di fatto sulla res, tutelato dall'ordinamento, da cui deriva l'impossibilità di dare esecuzione al sequestro in caso di sentenza dichiarativa di fallimento sui beni della curatela cronologicamente antecedente al vincolo cautelare penale (Sez. 3, n. 17750 del 17 dicembre 2019, fallimento Tombolini Industrie s.r.l., non mass.); ciò anche sulla scorta della giurisprudenza civilistica che qualifica esplicitamente il curatore come "detentore dei beni del fallimento", configurando in capo all'organo fallimentare una detenzione qualificata dal carattere pubblicistico della funzione svolta (Sez. 3, n. 23645 dell'8 luglio 2020, fallimento Bini Jeans s.a.s., non mass.).
6.1. Per i reati tributari l'orientamento in questione focalizza, inoltre, il rischio di una possibile compromissione del principio della par condicio creditorum (Sez. 3, n. 47299 del 16 novembre 2021, fallimento Bellelli Engineering s.r.l., Rv. 282618-01) sull'assunto che la pretesa erariale tutelata dal sequestro finalizzato alla confisca, data la particolare natura del profitto conseguito dal mancato adempimento della obbligazione tributaria, non è ontologicamente dissimile da quella dei creditori che si siano insinuati nel fallimento, ovvero lo abbiano promosso, i quali vantano una posizione creditoria insoddisfatta nei confronti del fallito, giungendo a configurare una sorta di privilegium Fisci, con indebita attribuzione all'Erario di una posizione dominante rispetto a quella degli altri operatori economici.
6.2. Sottolinea infine la funzione pubblicistica del fallimento anche nella nuova disciplina, rilevando che il nuovo assetto disegnato dal codice della crisi d'impresa contemplando la canalizzazione nella procedura fallimentare della composizione della crisi di impresa, così come la espulsione dell'impresa dal mercato quando ne sia accertato lo stato di decozione, rendono evidente come l'interesse originario facente capo al singolo creditore resti, in ultima analisi, relegato in posizione di subalternità rispetto a quello pubblicistico che interviene al fine di tutela e regolamentazione del mercato (Sez. 3, n. 26275 del 26 maggio 2022, curatela del fallimento Metallica meridionale s.r.l., non mass.).
7. Interessa a questo punto evidenziare che di recente il legislatore, come ricordato in alcune decisioni in precedenza citate, è intervenuto sulla questione giungendo ad introdurre, in attuazione dell'art. 13 l. 19 ottobre 2017, n. 157, l'art. 317 del già menzionato d.lgs. n. 14 del 2019 (Principio di prevalenza delle misure cautelari reali e tutela dei terzi) che recita: «1. Le condizioni e i criteri di prevalenza rispetto alla gestione concorsuale delle misure cautelari reali sulle cose indicate dall'articolo 142 sono regolate dalle disposizioni del Libro I, titolo IV del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, salvo quanto previsto dagli articoli 318, 319 e 320. // 2. Per misure cautelari reali di cui al comma 1 si intendono i sequestri delle cose di cui è consentita la confisca disposti ai sensi dell'articolo 321, comma 2, del codice di procedura penale, la cui attuazione è disciplinata dall'articolo 104-bis delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale».
Deve ritenersi, pertanto, ora espressamente affermata, attraverso il richiamo alle disposizioni del codice antimafia, la prevalenza della misura cautelare sul vincolo derivante dalla procedura fallimentare.
7.1. Il d.lgs. n. 14 del 2019 si inserisce nel solco di altri interventi normativi recenti: la l. 17 ottobre 2017, n. 161 e il d.lgs. 1° marzo 2018, n. 21 avevano infatti allargato l'ambito applicativo delle disposizioni in punto di amministrazione e destinazione dei beni sequestrati e confiscati e di tutela dei terzi ed esecuzione del sequestro previste nel "codice antimafia" tant'è che la dottrina ha rilevato come «l'art. 317 assume portata precettiva globale, erigendo le regole di quest'ultimo a paradigma totalizzante».
L'art. 317 cit. "completa" in realtà l'intervento di riforma operato con la l. n. 161 del 2017, immediatamente successiva alla l. n. 157 del 2017, che, in attuazione dei medesimi intenti, aveva già sostituito il comma 4-bis dell'art. 12-sexies d.l. n. 306 del 1992, stabilendo che «le disposizioni in materia di amministrazione e destinazione dei beni sequestrati e confiscati nonché quelle in materia di tutela dei terzi e di esecuzione del sequestro previste dal codice di cui al decreto legislativo 6 settembre 2022, n. 159, si applicano anche ai casi di sequestro e confisca previsti dai commi 1 e 2-ter del presente articolo, nonché agli altri casi di sequestro e confisca di beni adottati nei procedimenti relativi ai delitti di cui all'art. 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale».
Per quanto concerne "la tutela dei terzi", il regime introdotto dal nuovo c.c.i. deve essere letto alla luce dell'art. 104-bis, comma 1-quater, disp. att. c.p.p., che, nella sua attuale riformulazione, prevede l'applicazione ai sequestri e alle confische delle disposizioni del "codice antimafia" riguardanti anche i rapporti con le procedure concorsuali.
Dunque, è possibile affermare che dalla data del 15 luglio 2022 (data di entrata in vigore della peculiare disciplina dettata dagli artt. 317 ss. del c.c.i.), vige una unitaria disciplina di carattere generale che regola i rapporti tra sequestro preventivo a fini di confisca e dichiarazione di liquidazione giudiziale, ovvero quella contenuta negli artt. 63 ss. d.lgs. n. 159 del 2011, anch'essi opportunamente rimodulati, con inequivocabile prevalenza dello strumento penale.
La tutela dei crediti può assumere rilevanza, rispetto al sequestro penale, nei ristretti limiti indicati dall'art. 52 d.lgs. n. 159 del 2011, anch'essi rivisitati, in base al richiamo contenuto nell'art. 68.
L'art. 52, nella sua nuova declinazione, recepisce la valenza primaria dell'interesse pubblico ad assicurare l'effettività della misura ablatoria anche nel caso del fallimento escludendo che il sequestro penale o di prevenzione possa essere recessivo rispetto all'interesse degli altri creditori nel caso di prestazioni connesse all'attività illecita o a quella di reimpiego dei suoi proventi, di elusione degli effetti della confisca attraverso la precostituzione di posizioni creditorie di comodo, di simulazione della loro esistenza a posteriori e, in ogni caso, esclude che la persona attinta dal sequestro possa giovarsi dei proventi delle attività illecite per liberare dai debiti il restante patrimonio personale, come già evidenziato anche dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 94 del 2015.
Sotto il profilo procedimentale, senza che rilevi la data di apertura della liquidazione giudiziale, chi intenderà trovare soddisfazione su beni investiti da una confisca quale che sia (o da un sequestro preordinato) dovrà farlo secondo i dettami di sede e di tempo che il "codice antimafia" enuclea.
I rapporti tra procedura concorsuale e confisca sono scanditi da una serie di regole precise e chiare: a) qualora il sequestro funzionale alla confisca preceda la liquidazione giudiziale, i beni attinti dal vincolo penale saranno esclusi dalla massa attiva concorsuale (art. 63, comma 4); b) qualora sia l'apertura della liquidazione a precorrere il sequestro, i beni che ne sono oggetto saranno separati dalla massa attiva liquidabile e consegnati all'amministratore giudiziario (art. 64, comma 1); c) ove il patrimonio della liquidazione racchiuda esclusivamente beni già in precedenza sequestrati ai fini della successiva confisca, il tribunale dell'insolvenza, sentiti curatore e comitato dei creditori, chiuderà la procedura concorsuale (art. 63, comma 6); d) del pari, ove sequestro o confisca intercettino, aperta la liquidazione, l'intera massa di questa, il tribunale dichiarerà chiusa la procedura concorsuale (art. 64, comma 7); e) qualora la misura penale antecedente alla liquidazione venga revocata, il curatore apprenderà i beni che ne sono stati oggetto, subentrando all'amministratore giudiziario nei rapporti processuali, sicché il tribunale riaprirà la procedura concorsuale, ancorché siano trascorsi cinque anni dalla chiusura (art. 63, comma 7); f) allo stesso modo, se la misura penale posteriore alla liquidazione dovesse essere revocata prima della chiusura di quest'ultima, i beni vincolati saranno ex novo inglobati nella massa attiva del concorso e l'amministratore giudiziario li consegnerà al curatore (art. 64, comma 10).
Il primato dello strumento penalistico vale anche nelle ipotesi in cui il tribunale "fallimentare" dovesse emettere provvedimenti cautelari idonei ad assicurare provvisoriamente gli effetti della sentenza che segna l'avvio della liquidazione giudiziale (art. 54 c.c.i.); non è accidentale il riferimento alla "gestione concorsuale" contenuto nell'art. 317 c.c.i., più dilatato rispetto a quello dell'apertura della liquidazione.
8. È chiara, dunque, a questo punto, la linea scelta del legislatore di allinearsi alla tesi della prevalenza della confisca sulle procedure concorsuali inaugurata con la sentenza Focarelli, anche se appare opinabile ricorrere alla nuova disciplina per inferirne criteri interpretativi con riferimento alle vicende insorte in precedenza.
Le decisioni che valorizzano l'assetto normativo attuale, attribuendo rilevanza allo stesso sul piano dell'interpretazione logico-sistematica (in particolare, la citata sentenza "Commisso"), muovono dalla possibilità di distinguere, all'interno del concetto di operatività di una norma, tra valenza "interpretativa" di altre norme (che secondo la richiamata decisione prescinderebbe dalla sua entrata in vigore e, dunque, anche dai limiti della disposizione transitoria) e valenza "applicativa" delle stesse.
Ritengono, tuttavia, le Sezioni unite che una distinzione di tale tipo non sia, in linea generale, concepibile: sino a quando una norma non entri in vigore ne è precluso ogni effetto, anche solo di ordine interpretativo, dell'assetto precedente. In materia opera, invero, il principio posto dall'art. 11 preleggi secondo cui (Sez. un. civ., n. 2061 del 28 gennaio 2021, Rv. 660307-01) «ove non sia il legislatore stesso a disporre in via retroattiva - e ciò può avvenire espressamente (anche tramite norma di interpretazione autentica) ovvero implicitamente (la retroattività essendo anche desumibile, se inequivocabile, in via interpretativa dalla disposizione interessata) -, un tale potere non è esercitabile dal giudice, neppure per il tramite del procedimento analogico, essendo l'efficacia temporale della fonte disponibile solo per il legislatore e pure per esso in termini tali da non poterne fare uso arbitrario».
Nella specie, attraverso la disposizione transitoria dell'art. 390 del d.lgs. n. 14 del 2019 vengono volutamente introdotte dal legislatore scansioni temporali diverse per le nuove norme non aggirabili sul piano interpretativo.
9. Va piuttosto rilevato che le obiezioni dell'orientamento che milita a favore della prevalenza del fallimento sulla confisca non sviluppano, in realtà, argomentazioni ulteriori rispetto a quelle già esaminate e decise nella sentenza "Focarelli" e che il sequestro preventivo funzionale alla confisca, diretta o per equivalente, del profitto dei reati tributari, prevista dall'art. 12-bis, comma 1, del d.lgs. n. 74 del 2000, prevale sui diritti di credito vantati sul medesimo bene, sia nel caso di liquidazione giudiziale che per effetto della ammissione al concordato preventivo, in ragione della natura obbligatoria della misura ablatoria alla cui salvaguardia è finalizzato il sequestro.
9.1. Al riguardo va anzitutto ribadito in questa sede che, a seguito della dichiarazione di fallimento, la titolarità dei beni resta in capo al fallito sino al momento della vendita fallimentare per i beni o del riparto dell'attivo per il denaro. E, dunque, non si realizza quella condizione di "appartenenza a terzi" che inibisce, secondo la disposizione citata, l'adozione del provvedimento ablatorio della confisca.
La dichiarazione di fallimento di una società priva la stessa di ogni potere in relazione al suo patrimonio (eccezion fatta per i beni sottratti all'esecuzione concorsuale per disposizione di legge e per i beni sopravvenuti che non siano acquisiti dalla massa), ma non comporta di per sé alcuna alterazione della compagine sociale, i cui organi restano in funzione, come evidenziato anche dalla giurisprudenza civile, sia pur con le limitazioni derivanti dall'intervenuta dichiarazione di fallimento (si richiama sul punto Sez. 1 civ., n. 24326 del 3 novembre 2020, Rv. 659654-01).
Se il fallimento comporta lo spossessamento dei beni ma lascia inalterata la struttura dell'ente fallito, logico corollario di tale affermazione è che la società continui ad esistere come soggetto giuridico, suscettibile di essere sanzionato - nei casi in cui sia prevista una responsabilità dell'ente ai sensi del d.lgs. n. 231 del 2001 - o di essere privato, ope legis, dei beni costituenti il profitto o il prezzo di un reato tributario.
La deprivazione dell'amministrazione e della disponibilità dei beni, vincolati dalla procedura concorsuale a garanzia dell'equa soddisfazione dei creditori mediante l'esecuzione forzata, non esclude, infatti, che il fallito ne conservi la titolarità sino al momento della vendita o dell'assegnazione ai creditori.
9.2. I beni del fallito, dunque, sebbene acquisiti alla procedura concorsuale, non possono qualificarsi, per quanto appena precisato, come «beni appartenenti a persona estranea al reato» sicché il curatore fallimentare diviene mero gestore-detentore dei beni dell'imprenditore. Analogamente, nemmeno le pretese vantate dai singoli creditori sul patrimonio del soggetto insolvente possono sempre considerarsi d'ostacolo all'apposizione del vincolo penale: i diritti acquisiti dal terzo in buona fede in grado di prevalere sulla confisca (e quindi anche sul sequestro preventivo) si identificano, infatti, solo nel diritto di proprietà e negli altri diritti reali che gravano sui beni e non anche nel semplice diritto di credito (Sez. un., n. 11170 del 25 settembre 2014, dep. 2015, Uniland s.p.a., Rv. 263681-01), sempre che manchi qualsiasi rapporto di strumentalità con il reato.
9.3. Del resto, nell'ambito degli «effetti del fallimento per il fallito» (artt. 42-50 r.d. 16 marzo 1942, n. 267) si è soliti distinguere gli effetti di carattere "patrimoniale", che trovano disciplina negli artt. 42-47, dagli effetti di carattere "personale", regolati dagli artt. 48-50. Per designare l'insieme degli effetti che il fallimento produce nei riguardi del fallito, e che perciò ne costituiscono la condizione giuridica, può parlarsi, secondo la dottrina (sia pure in una lata e impropria accezione), di status del fallito. Circa la condizione giuridica del fallito nei riguardi dei «beni» (art. 42 l.f.) o «rapporti di diritto patrimoniale compresi nel fallimento» (art. 43, primo comma, l.f.), e costituenti dunque il «patrimonio fallimentare» (art. 31, primo comma, l.f.), la Corte costituzionale ha chiarito che non si rinviene nell'ordinamento «una norma di carattere generale che privi il fallito della capacità di agire» (Corte cost., sent. n. 549 del 2000, richiamata dall'ord. n. 267 del 2002), con ciò superando talune precedenti affermazioni, nel senso dell'esistenza, a carico del fallito, di «limitazioni alla capacità di agire in ordine alla amministrazione ed alla disponibilità dei beni» (Corte cost., sent. n. 141 del 1970) ovvero di «limitazioni alla capacità di agire rivenienti all'imprenditore dalla dichiarazione di fallimento» (Corte cost., sent. n. 145 del 1982).
Sul piano patrimoniale, alla sentenza dichiarativa del fallimento consegue che il fallito è privato dalla data di essa «dell'amministrazione e della disponibilità dei suoi beni esistenti alla data di dichiarazione di fallimento» (art. 42, primo comma, l.f.: cosiddetto "spossessamento del fallito"). La natura giuridica di tale "spossessamento" è stata spiegata in dottrina richiamando gli effetti del pignoramento nella espropriazione singolare, poiché degli stessi effetti, sebbene quantitativamente più imponenti, si tratterebbe. Per effetto della dichiarazione di fallimento (e a partire da essa), in virtù delle richiamate norme degli artt. 42-45 l.f., dunque, il fallito non viene immediatamente "espropriato" (ossia privato della proprietà dei suoi beni e della titolarità dei suoi diritti), ma - con riguardo (e limitatamente) ai rapporti compresi nel fallimento - gli è inibito di compiere efficacemente atti giuridici (negoziali e non) di disposizione e di amministrazione dei suoi beni (ivi compreso il godimento e l'utilizzo materiale di essi), di esercizio dei suoi diritti, di adempimento delle sue obbligazioni, e di assunzione di nuove obbligazioni (anche mediante atti illeciti o per altre "fonti" ex art. 1173 c.c.), la cui responsabilità (ex art. 2740 c.c.) può essere fatta valere sui beni compresi nel fallimento; correlativamente, pertanto, i poteri di disposizione e amministrazione dei beni, l'esercizio dei diritti e facoltà, ecc. (ivi compreso il potere di impegnare il patrimonio del fallito con l'assunzione di nuove obbligazioni: c.d. "obbligazioni di massa": art. 111, primo comma, n. 1, l.f.) passano agli organi fallimentari, verificandosi così una "sostituzione" di questi al fallito nel compimento di attività giuridiche incidenti sul «patrimonio fallimentare» (ossia il complesso dei rapporti giuridici sostanziali facenti capo al fallito assoggettati al particolare regime del fallimento in funzione della realizzazione dello scopo ultimo di esso, ovvero il soddisfacimento tendenzialmente paritario dei creditori), pienamente efficaci nei confronti del medesimo fallito e dei terzi, anche dopo la cessazione della procedura.
In tal senso, quindi, la giurisprudenza di questa Corte, anche in tempi meno recenti (Sez. 5, n. 1926 del 30 marzo 2000, Vasaturo, Rv. 216540-01; Sez. 1, n. 5099 del 9 novembre 1987, dep. 1988, Nicoletti, Rv. 178105-01), si è sempre espressa nel senso che la sentenza dichiarativa di fallimento priva il fallito della amministrazione e della disponibilità dei beni esistenti alla data di dichiarazione del fallimento, ma non ne implica il trasferimento alla massa dei creditori, ma, semmai, alla curatela, nel senso, tuttavia, della gestione del patrimonio ai fini di soddisfacimento dei creditori. Detta privazione (il cosiddetto "spossessamento" appunto) non si traduce allora in una perdita della proprietà in capo al fallito e si risolve, invece, nella destinazione della totalità dei beni a soddisfare i creditori, oltre che nell'assoluta insensibilità del patrimonio all'attività svolta dall'imprenditore successivamente alla dichiarazione di fallimento (v. Sez. 2 civ., n. 16853 dell'11 agosto 2005, Rv. 585055-01, secondo cui la privazione dell'amministrazione e della disponibilità dei beni prevista dall'art. 42 r.d. n. 267 del 1942, anche se comunemente definita "spossessamento", comporta soltanto la presa in consegna dei beni medesimi da parte del curatore; v. inoltre, Sez. 2 civ., n. 17605 del 4 settembre 2015, Rv. 636403-01, secondo cui la redazione dell'inventario da parte del curatore fallimentare, attraverso il quale vengono individuati, elencati, descritti e valutati i beni della massa, non comporta la materiale apprensione delle cose da parte del curatore, il quale ne diviene mero detentore, senza alcuna sottrazione ope legis delle stesse al fallito).
9.4. Il riconoscimento, in capo al curatore, della legittimazione all'impugnazione dei provvedimenti impositivi di cautele reali (di cui alla pronuncia delle Sezioni unite "Mantova Petroli") non implica, peraltro, la prevalenza dei crediti concorsuali rispetto al sequestro, essendo detta legittimazione finalizzata, fondamentalmente, a consentire l'esercizio processuale delle richieste attinenti alla misura.
La predetta legittimazione non vale cioè ad alterare l'assetto dei rapporti tra procedura fallimentare e sequestro penale, dovendosi ribadire che la misura ablatoria reale, in virtù del suo carattere obbligatorio, da riconoscere sia alla confisca diretta che a quella per equivalente, è destinata a prevalere su eventuali diritti di credito gravanti sul medesimo bene, a prescindere dal momento in cui intervenga la dichiarazione di fallimento, non potendosi attribuire alla procedura concorsuale che intervenga prima del sequestro effetti preclusivi rispetto all'operatività della cautela reale disposta nel rispetto dei requisiti di legge, e ciò a maggior ragione nell'ottica della finalità evidentemente sanzionatoria perseguita dalla confisca espressamente prevista in tema di reati tributari, quale strumento volto a ristabilire l'equilibrio economico alterato dal reato (in tal senso, la già citata sentenza "fallimento Barter s.r.l.").
Se è così, dunque, è lo stesso dettato letterale dell'art. 12-bis del d.lgs. n. 74 del 2000 a dettare il criterio risolutivo: nel caso di confisca diretta o per equivalente il sequestro opera "sempre" (e dunque anche in caso di apertura delle procedure concorsuali, anteriore o successiva che sia al sequestro), sicché, in particolare, le criticità segnalate dall'orientamento opposto relativamente alla invocata irragionevolezza del sacrificio delle posizioni dei creditori non erariali restano recessive dinanzi al chiaro dettato normativo, non per questo, peraltro, suscettibile di attriti con principi costituzionali. Proprio la natura del profitto in generale dei reati tributari - e, quindi, l'interesse dell'Erario al recupero di quanto evaso - dà luogo ad un interesse sanzionato penalmente con riflessi obbligatori sulla confisca, che giustifica dunque anche il sacrificio dei creditori "privati". E questa perenne applicabilità della confisca, fatta salva la deroga del "terzo estraneo" di cui al richiamato art. 12-bis, trova corrispondenza nell'argomento della necessità di evitare, sempre fatta salva tale deroga, la circolazione di beni provenienti da evasione.
9.5. Il curatore fallimentare, conclusivamente, non può disporre dei beni costituenti l'attivo della massa fallimentare per la semplice ragione che detti beni (rectius, il loro valore), costituendo il profitto del reato, vanno sottratti alla liquidazione giudiziale ed all'amministratore pro tempore del patrimonio della società dichiarata fallita, ossia al curatore, per evitare anche la paradossale conseguenza di rendere disponibile (e commerciabile mediante la vendita fallimentare) un bene costituente profitto di un illecito penale, sottraendolo alla conseguenza sanzionatoria obbligatoriamente prevista dalla legge, ossia la definitiva confisca, purché ovviamente ne sussistessero ab origine le condizioni legittimanti; e alla sola verifica di tali condizioni è preordinata la legittimazione ad impugnare del curatore, non precludendo quindi la stessa la sequestrabilità, non importa se antecedente o successiva alla procedura di apertura della liquidazione giudiziale, dei beni. Ai fini della confisca, non assume, dunque, rilevanza il criterio dell'effettiva disponibilità dei beni, ma quello, più ampio, della non estraneità al reato tributario del fallito, che conserva la titolarità dei beni attratti alla massa fallimentare sino alla conclusione della procedura.
9.6. A conferma di quanto sopra, del resto, milita anche la stessa disciplina normativa di cui al combinato disposto degli artt. 42, ultimo comma, e 104-ter, ottavo comma, l.f. (rispettivamente trasfusi nell'art. 142 e nell'art. 213, comma 2, c.c.i.) a proposito dell'istituto della c.d. derelictio. Ed invero, proprio il fatto che, nel caso di abbandono del bene per antieconomicità della sua conservazione al fallimento, lo stesso torni automaticamente nella piena disponibilità del fallito - tant'è che l'art. 104 impone al curatore l'onere di avvisare di ciò i creditori evidentemente affinché gli stessi intraprendano, se lo ritengano, in deroga all'art. 51 (oggi, art. 150 c.c.i.), azioni individuali verso il fallito con riguardo a detto bene - dimostra che, con l'apertura del fallimento, non muta la titolarità del bene, che resta sempre "del fallito", laddove il curatore ne è il mero "detentore", come del resto anche la stessa giurisprudenza amministrativa, in sede di Adunanza plenaria, ha riconosciuto (C.d.S., n. 3 del 26 gennaio 2021, che, con riferimento all'obbligo di rimozione dei rifiuti, incombente al curatore, ha evidenziato che ciò che rileva è la «la sussistenza di un rapporto gestorio, inteso come "amministrazione del patrimonio altrui", ciò che certamente caratterizza l'attività del curatore fallimentare con riferimento ai beni oggetto della procedura»).
9.7. Ne consegue, per quanto particolarmente rilevante con riguardo alla questione oggetto di esame, che alla curatela fallimentare, che ha un compito esclusivamente gestionale e mirato al soddisfacimento dei creditori, non si attaglia il concetto di appartenenza, preclusiva della confiscabilità ex art. 12-bis d.lgs. n. 74 del 2000 (v. Sez. 3, n. 30605 del 24 maggio 2022, fallimento M.G. Group s.r.l., non mass. sul punto; Sez. 5, n. 1926 del 30 marzo 2000, Vasaturo, Rv. 216540-01), anche nella più ampia accezione, riconosciuta dalla giurisprudenza di legittimità (Sez. un., n. 9 del 18 maggio 1994, Comit Leasing s.p.a. in proc. Longarini, Rv. 199174-01; Sez. 1, n. 3117 dell'8 luglio 1991, Mendella, Rv. 187903-01) come non circoscritta al diritto di proprietà e, invece, estesa ai diritti reali di godimento e di garanzia.
9.8. Conclusivamente, l'obbligatorietà della confisca del profitto dei reati tributari comporta la prevalenza del vincolo penalistico rispetto ai diritti incidenti, per effetto della pendenza di una procedura concorsuale, sul patrimonio del soggetto sottoposto alla cautela reale, proprio perché i beni restano nella titolarità del fallito e non "passano" al curatore, essendo quindi necessario sottrarli al primo, non potendosi applicare la deroga del "terzo estraneo" di cui all'art. 12-bis d.lgs. n. 74 del 2000. La finalità del legislatore di ristabilire l'equilibrio economico alterato dal reato non è, pertanto, vanificabile in alcun modo; va aggiunto che, ove si ragionasse diversamente, si verrebbe ad annettere alla procedura concorsuale un effetto di "improcedibilità" e, nel caso di confisca per equivalente, di "estinzione" della sanzione del tutto extravagante rispetto agli specifici casi contemplati dal sistema codicistico.
10. La soluzione indicata è del resto comune a quella cui perviene anche la giurisprudenza tributaria di legittimità, secondo cui «il carattere obbligatorio e sanzionatorio della confisca diretta o per equivalente del profitto dei reati tributari, prevista dall'art. 12-bis, comma 1, del d.lgs. n. 74 del 2000, comporta che il sequestro preventivo ad essa funzionale, benché sopravvenuto rispetto alla proposizione di una domanda di concordato preventivo, sia opponibile ai creditori, non potendo in contrario invocarsi l'art. 168 l.f., il quale vieta l'inizio delle azioni cautelari in costanza di procedura, posto che una siffatta inibizione non sussiste per la potestà cautelare che lo Stato esercita, non a tutela del suo credito, bensì nell'interesse alla repressione dei reati» (Sez. 1 civ., n. 24326 del 3 novembre 2020, Rv. 659654-01). Anche in tal sede, infatti, si è evidenziato come i diritti di credito dei terzi non appaiono ricompresi nell'ambito ristretto indicato dall'art. 12-bis cit., posto che l'unico limite alla confiscabilità è rappresentato dalla "appartenenza" del bene a persona estranea al reato.
Si è poi condivisibilmente aggiunto che se, in materia di reati tributari, il profitto è costituito dal risparmio economico derivante dalla sottrazione degli importi evasi alla loro destinazione fiscale ed il legislatore ha attribuito solo al pagamento del tributo un effetto ostativo rispetto alla confisca ed al sequestro preventivo, valorizzando un'idea di confisca quale misura sussidiaria e post-riparatoria (cfr. art. 12-bis, comma 2, d.lgs. n. 74 del 2000), la conseguenza che si deve trarre - anche per tal via - è quella della prevalenza assoluta delle esigenze recuperatorie del profitto stesso: non è, infatti, in questione il mero pagamento di un debito tributario (che segue le regole previste dalla legge fallimentare e dal codice della crisi d'impresa), ma l'assicurazione alla mano pubblica del profitto del reato (rispetto al quale detto debito costituisce solo il parametro di quantificazione), ciò che ne preclude l'assimilabilità ai beni suscettibili di distribuzione tra i creditori.
11. Alla luce delle argomentazioni fin qui esposte, la questione oggetto di rimessione, perimetrata negli ambiti temporali già indicati, va quindi risolta enunciando il seguente principio di diritto:
«L'avvio della procedura fallimentare non osta all'adozione o alla permanenza, se già disposto, del provvedimento di sequestro preventivo finalizzato alla confisca relativa ai reati tributari».
12. In applicazione della regula iuris innanzi delineata, è possibile pertanto esaminare l'oggetto del ricorso portato all'attenzione delle Sezioni unite.
13. La curatela del fallimento in oggetto non ha dedotto la sussistenza di condizioni ostative alla confiscabilità dei beni (ulteriori rispetto a quella oggetto della questione giuridica controversa e che, per le ragioni esposte, va disattesa) relative all'assenza del fumus del reato ipotizzato nell'imputazione cautelare, né ha sollevato censure in ordine alla configurabilità del periculum in mora secondo quanto chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte, così da giustificare l'annullamento della impugnata ordinanza con rinvio al Tribunale di Pescara perché proceda alle necessarie verifiche.
Deve dunque ritenersi corretta la decisione del Tribunale di Pescara che, in sede di appello cautelare, ha rigettato l'impugnazione proposta dalla curatela fallimentare avverso il provvedimento di rigetto dell'istanza di dissequestro delle quote del capitale sociale di altra società e della porzione di un immobile sito in Comune di Montesilvano, intestati al socio illimitatamente responsabile D.S. Giuseppe, restando irrilevante che il sequestro sia intervenuto successivamente alla dichiarazione di fallimento, ed indifferente il vincolo cautelare alla dichiarazione di inefficacia, in conseguenza dell'accoglimento dell'azione revocatoria, dell'atto pubblico di costituzione del trust sulle quote societarie possedute.
14. Ne consegue l'infondatezza del ricorso proposto dalla curatela, con condanna di quest'ultima, a norma dell'art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Depositata il 6 ottobre 2023.