Corte di cassazione
Sezione VI penale
Sentenza 11 novembre 2021, n. 1606

Presidente: Fidelbo - Estensore: Capozzi

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Milano, a seguito di gravame interposto dall'imputato Sabatino I. avverso la sentenza emessa in data 23 maggio 2019 dal locale Tribunale, ha confermato la decisione nella parte in cui è stata affermata la responsabilità del predetto imputato in ordine ai reati di cui al capo A) e B) (artt. 110, 323 c.p.) e condannato a pena di giustizia.

2. Allo I. è ascritta sub A) la condotta tenuta quale r.u.p. nominato con deliberazione del d.g. n. 165/2015 in data 13 marzo 2015 con la quale è stata data attuazione della prima e seconda fase della sperimentazione del Presidio Ospedaliero Territoriale di Bollate, in quanto in violazione dell'obbligo di vigilanza e controllo previsto dall'art. 10 d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 e relativo regolamento d.P.R. 5 ottobre 2010, n. 207, in quanto autorizzava via e-mail in data 15 gennaio 2016 il subappalto dei lavori alla SGE s.r.l. per la realizzazione dei lavori elettrici nel padiglione 70CUP e uffici da parte della ditta appaltatrice dei lavori il cui direttore dei lavori Severino M. era in conflitto di interessi - che ometteva di segnalare e violando l'obbligo di astensione - in ragione della compartecipazione societaria propria e del fratello Antonio M. alla ditta subappaltatrice SGE s.r.l. Con ingiusto vantaggio patrimoniale consistito nell'essere la predetta SGE incaricata del subappalto del valore di 8.328 euro senza averne i requisiti.

È ascritta sub B) la condotta tenuta quale responsabile unico del procedimento (r.u.p.) nominato con deliberazione del d.g. n. 165/2015 in data 13 marzo 2015 con la quale è stata data attuazione della prima e seconda fase della sperimentazione del Presidio Ospedaliero Territoriale di Bollate, in quanto in violazione dell'obbligo di vigilanza e controllo previsto dall'art. 10 d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 e relativo regolamento d.P.R. 5 ottobre 2010, n. 207, non impediva che alla società SGE s.r.l. fosse assegnato il subappalto per la realizzazione di lavori elettrici nel padiglione 63, piano 4, versando il direttore dei lavori Renato D.M. in una incompatibilità ai sensi dell'art. 42 d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, comparendo nella compagine sociale della società subappaltante, che ometteva di segnalare e violando l'obbligo di astensione in presenza di un interesse proprio emettendo certificazione di regolare esecuzione dei lavori, con ingiusto vantaggio patrimoniale per la SGE s.r.l. consistito nell'essere incaricata del subappalto del valore di 18mila euro.

3. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione l'imputato Sabatino I. che con atto dei difensori deduce:

3.1. Con il primo motivo, erronea applicazione dell'art. 323 c.p. ed illogicità della motivazione in ordine alla nuova formulazione della norma in relazione alla necessità della violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità, violazione nella specie insussistente.

Invero, l'art. 10 del d.lgs. n. 136/2006 - al contrario di quanto assume la sentenza impugnata - non detta specifiche regole di condotta da cui non residuino margini di discrezionalità, non potendosi più considerare le norme di cui al d.P.R. n. 207/2010, che solo declinano il c.d. obbligo di vigilanza e controllo, in quanto di natura regolamentare. Inoltre errato è il riferimento alla vigilanza sulla corretta esecuzione dei contratti, riguardando questi solo la prestazione principale ed essendo peraltro regolamentata da disposizioni regolamentari (art. 302 d.P.R. n. 207/2010), come pure allo svolgimento delle procedure, anch'esse relative a quelle di appalto (e del subappalto regolato dall'art. 118 con l'ausilio dell'art. 170 d.P.R. n. 207/2010).

3.2. Con il secondo motivo, erronea applicazione dell'art. 323 c.p. in relazione alla contestata violazione dell'art. 10 d.lgs. 163/2006, risultando una clausola di stile quella che richiama la facoltatività della autorizzazione al subappalto in relazione alla verifica dei suoi presupposti, dovendosi tenere conto della mancanza di specifiche regole e delle facoltà dell'aggiudicatario dell'appalto al subappalto previste dall'art. 118 del codice, rispetto alle quali il controllo del r.u.p. è solo formale. Inoltre, non si è considerato che il conflitto di interesse - peraltro previsto solo successivamente ai fatti per cui è processo - riguardava solo il rapporto tra la P.A. ed i direttori dei lavori che vi versavano e non già il rapporto privatistico tra società appaltatrice e ditta subappaltatrice.

3.3. Con il terzo motivo, erronea applicazione dell'art. 323 c.p. con riferimento al necessario dolo intenzionale in quanto i tre indici posti alla affermazione della sua sussistenza (conoscenza della legge presupposta e competenza professionale, tenore del provvedimento illegittimo, rapporti tra il ricorrente ed il soggetto beneficato dallo stesso provvedimento) sono internamente deboli, contraddittori ed in violazione di legge. Segnatamente, manca qualsiasi prova per supporre che il ricorrente sapesse della partecipazione dei direttori dei lavori alla società subappaltante, mancando anche qualsiasi obbligo da parte di questa di fornire la sua composizione. Inoltre errata è l'affermazione della volontà del ricorrente di arrecare un ingiusto vantaggio patrimoniale ai due direttori dei lavori, posto che l'imputazione ascrive il vantaggio alla SGE s.r.l., come pure è improprio far leva sulla emissione da parte del ricorrente del mandato di pagamento dopo la sospensione dalla funzione in via cautelare, risultando che i mandati erano destinati alla ditta appaltatrice e non alla subappaltatrice e comunque quello cartaceo risultava emesso in data 16 maggio 2016.

3.4. Con il quarto motivo, contraddittorietà della motivazione e violazione dell'art. 125 d.lgs. 163/2006 in relazione alla ritenuta illegittima nomina del direttore dei lavori e all'estensione di fatti estranei al comportamento del ricorrente (capo B), essendo il r.u.p. autorizzato dall'art. 125 d.lgs. n. 163/2006 a nominare direttamente il professionista incaricato della direzione dei lavori, a seguito della indicazione da parte della ditta aggiudicataria ed in ogni caso risultando estranea tale vicenda alla formulata imputazione sub B).

3.5. Con il quinto motivo, erronea applicazione dell'art. 323 c.p. in relazione al requisito della c.d. "doppia ingiustizia" non risultando pertinente l'argomento utilizzato dalla Corte secondo il quale altri soggetti avrebbero potuto accedere al subappalto, trattandosi di una facoltà attribuita alla sola ditta aggiudicataria delle opere e avendo la SGE i requisiti richiesti ex art. 118 del codice per accedere al subappalto, in assenza di qualsiasi gara a riguardo e di qualsiasi elemento che indizi un accordo fraudolento tra r.u.p. e ditta aggiudicataria circa l'individuazione della subappaltatrice. Infine, l'esistenza di un conflitto di interesse del subappaltatore rispetto alla direzione dei lavori non era e non è prevista come vizio proprio del subappalto e causa del divieto della sua autorizzazione.

3.6. Con il sesto motivo, inosservanza dell'art. 163, nn. 4 e 5, c.p.c. con riferimento alla nullità della azione di parte civile, essendosi omessa la deduzione degli elementi giustificativi del diritto leso e del danno ovvero richiesto la condanna generica sul punto ed erronea applicazione dell'art. 278 c.p.p. con riferimento alla condanna generica al risarcimento del danno in favore della costituita parte civile ASST Rhodiense, non avendo detta parte avuto alcun danno economico diretto.

3.7. Con il settimo motivo, vizio cumulativo della motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio, non essendo congruo il riferimento alla mancata resipiscenza, non avendo il ricorrente mai ritenuto di aver commesso i reati e non essendo stata considerata l'esiguità del valore economico di entrambi i subappalti né risultando pertinente al ricorrente la ragione del discostamento dal minimo edittale della pena come pure essendo stata omessa la considerazione della parziale liceità della condotta del ricorrente a seguito della novella legislativa che ha interessato l'art. 323 c.p. Infine, incongrua è la motivazione solo ipotetica posta a base del diniego delle attenuanti generiche.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato e deve essere accolto.

2. Il primo e secondo motivo sono fondati.

2.1. Deve essere rilevata l'erronea prospettiva della sentenza, dei ricorrenti e dello stesso P.G. secondo la quale in senso assoluto, a seguito della novella dell'art. 323 c.p., non rileva più la violazione della norma regolamentare.

Invero, va condiviso l'orientamento secondo il quale in tema di abuso di ufficio, anche a seguito della riformulazione dell'art. 323 c.p. ad opera dell'art. 23 d.l. 16 luglio 2020, n. 76, convertito, con modificazioni, nella l. 11 settembre 2020, n. 120, la violazione di norme contenute in regolamenti può rilevare ai fini della integrazione del reato nel caso in cui esse, operando quali norme interposte, si risolvano nella specificazione tecnica di un precetto comportamentale già compiutamente definito nella norma primaria e purché questa sia conforme ai canoni della tipicità e tassatività propri del precetto penale (Sez. 6, n. 33240 del 16 febbraio 2021, Del Principe, Rv. 281843). Inoltre, deve essere richiamato l'orientamento espresso dal Consiglio di Stato secondo il quale l'autorizzazione alla stipula del subappalto (disciplinata dall'art. 18, comma 3, l. 19 marzo 1990, n. 55) va qualificata come provvedimento amministrativo adottato, nella fase di esecuzione del contratto di appalto, non quale espressione di autonomia di un soggetto contraente, bensì quale espressione di un pubblico potere (Sez. 2, parere n. 142 del 12 febbraio 1992).

2.2. Purtuttavia, non può essere condiviso l'assunto posto a base della affermazione di responsabilità secondo il quale l'art. 10 d.lgs. 163/2006 e le correlate norme del d.P.R. n. 207/2010 - che riguardano i rapporti tra l'affidatario delle opere ed il subappaltatore - individuano un obbligo di controllo da parte del responsabile della stazione appaltante in ordine ad eventuali conflitti di interesse tra il direttore dei lavori e la ditta subappaltatrice.

La Corte di appello - a fronte dello specifico tema devolutole con il primo motivo di appello - si è limitata a riproporre l'apodittica motivazione secondo la quale l'attività di vigilanza demandata al ricorrente ricomprendeva anche quella di rilevare il preteso conflitto di interessi in questione in quanto "già il solo fatto che il subappalto andasse autorizzato implica che lo stesso avrebbe potuto non esserlo", essendo "l'autorizzazione... subordinata alla verifica dell'insussistenza dei motivi ostativi, operazione rimessa al potere del solo appellante" (v. pg. 13 della sentenza impugnata).

Ritiene questa Corte che deve essere censurata la riportata conclusione della sentenza impugnata in quanto priva di fondamento normativo.

Invero, l'art. 10, comma 2, d.lgs. n. 163/2006 - secondo il quale "Il responsabile del procedimento svolge tutti i compiti relativi alle procedure di affidamento previste dal presente codice, ivi compresi gli affidamenti in economia, e alla vigilanza sulla corretta esecuzione dei contratti, che non siano specificamente attribuiti ad altri organi o soggetti" non prevede alcun obbligo di verifica da parte del responsabile del procedimento dell'assetto societario della ditta subappaltatrice non essendo - peraltro - previsti correlati oneri di comunicazione a riguardo da parte della ditta appaltatrice alla stazione appaltante; né, d'altra parte, tale specifico obbligo di controllo si desume dalle condizioni previste per il rilascio dell'autorizzazione al subappalto.

Né, ancora, un tale specifico obbligo di verifica può essere desunto dall'art. 10, comma 1, lett. r), del d.P.R. 5 ottobre 2010, n. 207 secondo il quale "il responsabile del procedimento svolge la funzione di vigilanza sulla realizzazione dei lavori nella concessione di lavori pubblici, verificando il rispetto delle prescrizioni contrattuali", prescrizioni contrattuali che - all'evidenza - non coinvolgono l'assetto societario della ditta subappaltante.

Non può valere l'assunto esplicitato dal P.G. nella sua requisitoria secondo il quale - anche secondo le norme previgenti al d.lgs. n. 50/2016 che ha introdotto la specifica previsione dell'art. 42 sul conflitto di interessi - potenziali situazioni di conflitto di interessi risulterebbero rilevabili nell'ambito dei controlli demandati al r.u.p. sul subappalto, mancando nella specie la condizione dell'esperimento di procedure di gara nella individuazione della ditta subappaltatrice.

2.3. Ne consegue a quanto detto l'insussistenza dell'elemento costitutivo della violazione di legge - nei termini sopra indicati - da parte del ricorrente sia nell'autorizzare il subappalto sub A) che nel non aver impedito il subappalto sub B) ed emettendo la relativa certificazione di regolare esecuzione dei lavori.

3. L'accoglimento dei predetti motivi assorbe gli altri motivi proposti.

4. La sentenza impugnata deve, pertanto, essere annullata senza rinvio perché il fatto non sussiste.

5. L'annullamento, ai sensi dell'art. 574, comma 4, c.p.p., coinvolge anche le statuizioni civili della sentenza impugnata.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.

Depositata il 17 gennaio 2022.