Corte di giustizia dell'Unione Europea
Quarta Sezione
Sentenza 18 dicembre 2025

Presidente: Jarukaitis - Relatrice: Frendo

«Rinvio pregiudiziale - Tutela dei consumatori - Clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori - Direttiva 93/13/CEE - Articolo 6, paragrafo 1, e articolo 7, paragrafo 1 - Potere di controllo e obblighi del giudice nazionale - Clausola penale - Assenza di controllo d'ufficio del carattere abusivo di tale clausola - Autorità di cosa giudicata - Principio di effettività - Articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea - Allegazione del carattere abusivo di una clausola contrattuale nell'ambito di un procedimento di rinvio a seguito di cassazione».

Nella causa C‑320/24, avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell'articolo 267 TFUE, dalla Corte suprema di cassazione (Italia), con ordinanza del 26 aprile 2024, pervenuta in cancelleria il 30 aprile 2024, nel procedimento CR, TP contro Soledil Srl, in concordato preventivo.

[...]

1. La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull'interpretazione dell'articolo 6, paragrafo 1, e dell'articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori (GU 1993, L 95, pag. 29), nonché dell'articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (in prosieguo: la «Carta»).

2. Tale domanda è stata presentata nell'ambito di una controversia tra, da un lato, CR e TP, due promissari acquirenti di un immobile, in qualità di consumatori, e, dall'altro, la Soledil Srl, in concordato preventivo, promittente alienante, relativamente a una domanda di risoluzione del contratto preliminare di compravendita relativo a tale immobile e alla validità della clausola penale contenuta in detto contratto preliminare di compravendita.

Contesto normativo

Diritto dell'Unione

3. Il ventiquattresimo considerando della direttiva 93/13 enuncia quanto segue:

«(...) le autorità giudiziarie e gli organi amministrativi degli Stati membri devono disporre dei mezzi adeguati ed efficaci per far cessare l'inserzione delle clausole abusive contenute nei contratti stipulati con i consumatori».

4. L'articolo 6, paragrafo 1, di tale direttiva così dispone:

«Gli Stati membri prevedono che le clausole abusive contenute in un contratto stipulato fra un consumatore ed un professionista non vincolano il consumatore, alle condizioni stabilite dalle loro legislazioni nazionali, e che il contratto resti vincolante per le parti secondo i medesimi termini, sempre che esso possa sussistere senza le clausole abusive».

5. L'articolo 7, paragrafo 1, di detta direttiva prevede quanto segue:

«Gli Stati membri, nell'interesse dei consumatori e dei concorrenti professionali, provvedono a fornire mezzi adeguati ed efficaci per far cessare l'inserzione di clausole abusive nei contratti stipulati tra un professionista e dei consumatori».

Diritto italiano

Codice del consumo

6. L'articolo 33 del decreto legislativo del 6 settembre 2005, n. 206 - Codice del consumo, a norma dell'articolo 7 della legge 29 luglio 2003, n. 229 (Supplemento ordinario alla GURI n. 235 dell'8 ottobre 2005), che ha recepito la direttiva 93/13 nell'ordinamento giuridico italiano, dispone, ai commi 1 e 2, quanto segue:

«1. Nel contratto concluso tra il consumatore ed il professionista si considerano vessatorie le clausole che, malgrado la buona fede, determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto.

2. Si presumono vessatorie fino a prova contraria le clausole che hanno per oggetto, o per effetto, di:

(...)

f) imporre al consumatore, in caso di inadempimento o di ritardo nell'adempimento, il pagamento di una somma di denaro a titolo di risarcimento, clausola penale o altro titolo equivalente d'importo manifestamente eccessivo;

(...)».

7. L'articolo 36, commi 1 e 3, di tale codice stabilisce quanto segue:

«1. Le clausole considerate vessatorie ai sensi degli articoli 33 e 34 sono nulle mentre il contratto rimane valido per il resto.

(...)

3. La nullità opera soltanto a vantaggio del consumatore e può essere rilevata d'ufficio dal giudice».

Codice civile

8. Ai sensi dell'articolo 1384 del codice civile, la penale può essere diminuita equamente dal giudice, se l'obbligazione principale è stata eseguita in parte ovvero se l'ammontare della penale è manifestamente eccessivo, avuto sempre riguardo all'interesse che il creditore aveva all'adempimento.

Codice di procedura civile

9. L'articolo 384 del codice di procedura civile, intitolato «Enunciazione del principio di diritto e decisione della causa nel merito», dispone, al secondo comma, quanto segue:

«La Corte [suprema di cassazione (Italia)], quando accoglie il ricorso, cassa la sentenza rinviando la causa ad altro giudice, il quale deve uniformarsi al principio di diritto e comunque a quanto statuito dalla Corte, ovvero decide la causa nel merito qualora non siano necessari ulteriori accertamenti di fatto».

10. Ai sensi dell'articolo 394 di detto codice, intitolato «Procedimento in sede di rinvio»:

«(...)

Nel giudizio di rinvio può deferirsi il giuramento decisorio, ma le parti non possono prendere conclusioni diverse da quelle prese nel giudizio nel quale fu pronunciata la sentenza cassata, salvo che la necessità delle nuove conclusioni sorga dalla sentenza di cassazione».

Procedimento principale e questione pregiudiziale

11. Nel corso del 1998 CR e TP, in qualità di promissari acquirenti, e la Soledil, in qualità di promittente alienante, hanno stipulato un contratto preliminare di compravendita immobiliare, in virtù del quale i primi hanno versato alla seconda un acconto pari a circa EUR 72 870. L'articolo 7 di tale contratto preliminare di compravendita disponeva, a titolo di clausola penale, che, in caso di inadempimento dell'obbligo dei promissari acquirenti di concludere il contratto definitivo, il promittente alienante avrebbe potuto trattenere, a titolo di penale, le somme versate a titolo di acconto.

12. Il contratto definitivo relativo a tale compravendita non è mai stato stipulato e la controversia concernente il contratto preliminare di compravendita è stata portata dinanzi a un collegio arbitrale, che, con lodo arbitrale emesso il 29 luglio 2002, ha pronunciato la risoluzione di tale contratto preliminare per inadempimento dei promissari acquirenti. Questi ultimi sono stati condannati a restituire l'immobile di cui trattasi e, parallelamente, il promittente alienante è stato condannato alla ripetizione integrale delle somme ricevute in acconto.

13. Con sentenza pronunciata nel 2009, la Corte d'appello di Ancona (Italia) ha dichiarato nullo il lodo arbitrale per motivi procedurali e ha statuito sul merito della controversia. In particolare, tale organo giurisdizionale ha condannato i promissari acquirenti alla restituzione dell'immobile di cui trattasi e ha condannato il promittente alienante alla restituzione delle somme ricevute in acconto. Inoltre, in applicazione dell'articolo 1384 del codice civile, il medesimo organo giurisdizionale ha ridotto la penale prevista all'articolo 7 del contratto preliminare di compravendita, quale menzionata al punto 11 della presente sentenza, nei limiti dei soli interessi dovuti sulle somme versate a titolo di acconto.

14. Con sentenza pronunciata su ricorso nel 2015, la Corte suprema di cassazione ha cassato la sentenza della Corte d'appello di Ancona per difetto di motivazione della decisione di ridurre detta penale.

15. La causa è stata quindi rinviata alla Corte d'appello di Bologna (Italia).

16. Con sentenza pronunciata nel 2018, tale organo giurisdizionale ha dichiarato che l'oggetto del giudizio di rinvio era circoscritto all'applicazione della clausola penale prevista all'articolo 7 del contratto preliminare di compravendita, alla prospettata riduzione della penale applicabile e all'individuazione di un eventuale maggior danno, subito dal promittente alienante, derivante dall'occupazione sine titulo dell'immobile di cui trattasi. Detto organo giurisdizionale ha dichiarato, segnatamente, che una penale di circa EUR 72 870 era eccessiva e ha quindi ridotto a EUR 61 600 l'importo dovuto dai promissari acquirenti al riguardo.

17. I promissari acquirenti hanno adito la Corte suprema di cassazione, giudice del rinvio, facendo valere, in particolare, l'invalidità di tale clausola penale per il motivo che essa imponeva loro una penale manifestamente eccessiva e costituiva, pertanto, una clausola vessatoria ai sensi della normativa nazionale sulla tutela dei consumatori. In tali circostanze, a loro avviso, la Corte d'appello di Bologna avrebbe dovuto, d'ufficio, dichiarare invalido l'articolo 7 del contratto preliminare di compravendita.

18. Il giudice del rinvio osserva, da un lato, che, in virtù della normativa nazionale, il principio del giudicato osta a che una questione relativa alla nullità di una clausola asseritamente vessatoria, che non sia stata dedotta o rilevata nell'ambito del primo controllo di legittimità e risulti necessariamente incompatibile con la natura della sentenza che cassa la decisione pronunciata nel merito, sia esaminata in occasione di un secondo controllo di legittimità.

19. Dall'altro lato, tale giudice indica di aver già dichiarato, conformemente alla giurisprudenza della Corte relativa al principio di effettività per quanto riguarda i diritti riconosciuti ai consumatori dalla direttiva 93/13, che l'autorità di cosa giudicata non si applica nell'ambito di un procedimento monitorio per decreto ingiuntivo, quando il titolo azionato non sia stato oggetto di opposizione e non contenga alcuna motivazione in ordine al carattere non abusivo delle clausole contrattuali di cui trattasi.

20. In tale contesto, la Corte suprema di cassazione ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:

«[s]e l'articolo 6, paragrafo 1, e l'articolo 7, paragrafo 1, della direttiva [93/13] e l'articolo 47 della [Carta] debbano essere interpretati:

a) nel senso che ostino all'applicazione dei principi del procedimento giurisdizionale nazionale, in forza dei quali le questioni pregiudiziali, anche in ordine alla nullità [di una clausola contrattuale asseritamente abusiva], che non siano state dedotte o rilevate in sede di legittimità, e che siano logicamente incompatibili con la natura del dispositivo cassatorio, non possono essere esaminate nel procedimento di rinvio, né nel corso del controllo di legittimità a cui le parti sottopongono la sentenza del giudice di rinvio;

b) anche alla luce della considerazione circa la completa passività imputabile ai consumatori, qualora non abbiano mai contestato la nullità/inefficacia delle clausole abusive, se non con il ricorso per cassazione all'esito del giudizio di rinvio;

c) e ciò con particolare riferimento alla rilevazione della natura abusiva di una clausola penale manifestamente eccessiva, di cui sia stata disposta, in sede di legittimità, la rimodulazione della riduzione secondo criteri adeguati (quantum), anche in ragione del mancato rilievo della natura abusiva della clausola a cura dei consumatori (an), se non all'esito della pronuncia adottata in sede di rinvio».

Sulla questione pregiudiziale

21. Con la sua questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l'articolo 6, paragrafo 1, e l'articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13, letti alla luce dell'articolo 47 della Carta, debbano essere interpretati nel senso che essi ostano a una normativa nazionale in virtù della quale l'applicazione del principio dell'autorità di cosa giudicata non consente al giudice nazionale, adito in un giudizio di rinvio a seguito di cassazione, di esaminare d'ufficio la nullità di una clausola contrattuale asseritamente abusiva qualora, da un lato, il motivo vertente sul carattere abusivo di tale clausola non sia stato invocato dal consumatore nel corso delle fasi precedenti del procedimento giurisdizionale e, dall'altro, la nullità di una siffatta clausola non sia stata rilevata d'ufficio dagli organi giurisdizionali nazionali nell'ambito del procedimento che ha dato luogo alla sentenza di cassazione.

22. Secondo una giurisprudenza costante, il sistema di tutela istituito con la direttiva 93/13 si fonda sull'idea che il consumatore si trova in una posizione di inferiorità nei confronti del professionista per quanto riguarda sia il potere negoziale sia il livello di informazione (sentenza del 17 maggio 2022, SPV Project 1503 e a., C-693/19 e C‑831/19, EU:C:2022:395, punto 51 e giurisprudenza citata).

23. Alla luce di una tale situazione di inferiorità, l'articolo 6, paragrafo 1, di detta direttiva prevede che le clausole abusive non vincolino i consumatori. Si tratta di una disposizione imperativa tesa a sostituire all'equilibrio formale fra i diritti e gli obblighi delle parti contraenti, determinato dal contratto, un equilibrio reale, finalizzato a ristabilire l'uguaglianza tra tali parti (sentenza del 17 maggio 2022, SPV Project 1503 e a., C‑693/19 e C‑831/19, EU:C:2022:395, punto 52 e giurisprudenza citata).

24. A tale riguardo, il giudice nazionale è tenuto a esaminare d'ufficio il carattere abusivo di una clausola contrattuale che ricade nell'ambito di applicazione della direttiva 93/13 e, in tal modo, a ovviare allo squilibrio che esiste tra il consumatore e il professionista, laddove disponga degli elementi di diritto e di fatto necessari a tal fine (sentenze del 14 marzo 2013, Aziz, C‑415/11, EU:C:2013:164, punto 46, e del 17 maggio 2022, SPV Project 1503 e a., C‑693/19 e C‑831/19, EU:C:2022:395, punto 53).

25. Inoltre, la direttiva 93/13 impone agli Stati membri, come risulta dal suo articolo 7, paragrafo 1, letto alla luce del suo ventiquattresimo considerando, di fornire mezzi adeguati ed efficaci per far cessare l'inserzione di clausole abusive nei contratti stipulati tra un professionista e i consumatori (sentenze del 26 giugno 2019, Addiko Bank, C‑407/18, EU:C:2019:537, punto 44, e del 17 maggio 2022, SPV Project 1503 e a., C‑693/19 e C‑831/19, EU:C:2022:395, punto 54).

26. In mancanza di una disciplina da parte del diritto dell'Unione, le modalità procedurali dirette ad assicurare la salvaguardia dei diritti che i singoli traggono dal diritto dell'Unione rientrano nell'ordinamento giuridico interno degli Stati membri, in forza del principio di autonomia processuale di questi ultimi. Tuttavia, tali modalità non devono essere meno favorevoli di quelle che disciplinano situazioni analoghe di tipo interno (principio di equivalenza), né essere strutturate in modo da rendere in pratica impossibile o eccessivamente difficile l'esercizio dei diritti attribuiti dall'ordinamento giuridico dell'Unione (principio di effettività) (sentenza del 17 maggio 2022, Unicaja Banco, C‑869/19, EU:C:2022:397, punto 22 e giurisprudenza citata).

27. Per quanto concerne il principio di equivalenza, la Corte non dispone di nessun elemento che possa suscitare dubbi quanto alla conformità a tale principio della normativa di cui trattasi nel procedimento principale.

28. Per quanto riguarda il principio di effettività, dalla giurisprudenza della Corte risulta che ogni caso in cui sorge la questione se una norma di procedura nazionale renda impossibile o eccessivamente difficile l'applicazione del diritto dell'Unione deve essere esaminato tenendo conto del ruolo di detta norma nell'insieme del procedimento, del suo svolgimento e delle sue peculiarità nel loro complesso, nonché, se del caso, dei principi che sono alla base del sistema giurisdizionale nazionale, quali la tutela dei diritti della difesa, il principio della certezza del diritto e il regolare svolgimento del procedimento (sentenza del 17 maggio 2022, Unicaja Banco, C‑869/19, EU:C:2022:397, punto 28 e giurisprudenza citata).

29. Inoltre, la Corte ha precisato che l'obbligo per gli Stati membri di garantire l'effettività dei diritti spettanti ai singoli in forza del diritto dell'Unione implica, segnatamente per i diritti derivanti dalla direttiva 93/13, un'esigenza di tutela giurisdizionale effettiva, riaffermata all'articolo 7, paragrafo 1, di tale direttiva e sancita altresì all'articolo 47 della Carta, che si applica, tra l'altro, alla definizione delle modalità procedurali relative alle azioni giudiziarie fondate su tali diritti (sentenza del 17 maggio 2022, Unicaja Banco, C‑869/19, EU:C:2022:397, punto 29 e giurisprudenza citata).

30. A tal proposito la Corte ha dichiarato che, in assenza di un controllo efficace del carattere potenzialmente abusivo delle clausole del contratto di cui trattasi, il rispetto dei diritti conferiti dalla direttiva 93/13 non può essere garantito (sentenza del 17 maggio 2022, Unicaja Banco, C‑869/19, EU:C:2022:397, punto 30 e giurisprudenza citata).

31. Ne consegue che le condizioni stabilite dalle legislazioni nazionali, alle quali si riferisce l'articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13, non possono pregiudicare la sostanza del diritto, spettante ai consumatori in forza di tale disposizione, di non essere vincolati da una clausola reputata abusiva (sentenza del 17 maggio 2022, Unicaja Banco, C‑869/19, EU:C:2022:397, punto 31 e giurisprudenza citata).

32. Ciò detto, va ricordata l'importanza che il principio dell'autorità di cosa giudicata riveste sia nell'ordinamento giuridico dell'Unione sia negli ordinamenti giuridici nazionali. Infatti, la Corte ha già avuto occasione di precisare che, al fine di garantire tanto la stabilità del diritto e dei rapporti giuridici quanto una buona amministrazione della giustizia, è importante che le decisioni giurisdizionali divenute definitive dopo l'esaurimento dei mezzi di ricorso disponibili o dopo la scadenza dei termini previsti per l'esercizio di tali ricorsi non possano più essere rimesse in discussione [sentenza del 9 aprile 2024, Profi Credit Polska (Riapertura di un procedimento terminato con una decisione definitiva), C‑582/21, EU:C:2024:282, punto 37 e giurisprudenza citata].

33. La Corte ha altresì dichiarato che, nell'ipotesi in cui, nell'ambito di un precedente esame di un contratto controverso che abbia portato all'adozione di una decisione munita di autorità di cosa giudicata, il giudice nazionale si sia limitato ad esaminare d'ufficio, alla luce della direttiva 93/13, una sola o talune delle clausole di tale contratto, detta direttiva impone a un giudice nazionale di valutare, su istanza delle parti o d'ufficio qualora disponga degli elementi di diritto e di fatto necessari a tal fine, l'eventuale carattere abusivo delle altre clausole di detto contratto. Infatti, in assenza di un siffatto controllo, la tutela del consumatore si rivelerebbe incompleta ed insufficiente e costituirebbe un mezzo inadeguato ed inefficace per far cessare l'utilizzo di questo tipo di clausole, contrariamente a quanto disposto all'articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13 (sentenza del 26 gennaio 2017, Banco Primus, C‑421/14, EU:C:2017:60, punto 52 e giurisprudenza citata).

34. Per contro, tale tutela sarebbe garantita se, nel corso di un primo procedimento giurisdizionale, il giudice competente abbia effettuato il controllo del carattere eventualmente abusivo delle clausole del contratto di cui trattasi, tale esame, motivato per lo meno sommariamente, non abbia rivelato l'esistenza di alcuna clausola abusiva e il consumatore sia stato debitamente informato del fatto che, in assenza di appello entro il termine fissato dal diritto nazionale, gli resterebbe preclusa la possibilità di far valere l'eventuale carattere abusivo di siffatte clausole (sentenza del 7 novembre 2024, ERB New Europe Funding II, C‑178/23, EU:C:2024:943, punto 39 e giurisprudenza citata).

35. Risulta da quanto precede che il controllo da parte di un giudice dell'eventuale carattere abusivo delle clausole contrattuali contenute in un contratto stipulato tra un consumatore e un professionista è conforme al principio di effettività alla luce della direttiva 93/13 se, da un lato, il consumatore è informato dell'esistenza di tale controllo e delle conseguenze che la sua passività comporta in materia di decadenza dal diritto di far valere l'eventuale carattere abusivo delle clausole contrattuali, e, dall'altro, la decisione adottata a seguito di detto controllo è motivata in modo sufficiente per consentire di individuare le clausole esaminate in tale occasione e le ragioni, anche sommarie, per le quali il giudice ha ritenuto che dette clausole non avessero carattere abusivo. Una decisione giudiziaria che risponda ai requisiti in parola può avere l'effetto di impedire di procedere ad un nuovo controllo dell'eventuale carattere abusivo delle clausole contrattuali nell'ambito di un procedimento successivo (sentenza del 29 febbraio 2024, Investcapital, C‑724/22, EU:C:2024:182, punto 45).

36. Nel caso di specie, dal fascicolo a disposizione della Corte emerge che, conformemente alla normativa nazionale applicabile, il principio dell'autorità di cosa giudicata osta a che un motivo rilevabile d'ufficio, come il carattere asseritamente abusivo di una clausola contrattuale, sia esaminato nell'ambito di un giudizio di rinvio, in circostanze in cui detto motivo non è stato dedotto o rilevato nell'ambito del procedimento che ha dato luogo alla sentenza di cassazione e la deduzione di un siffatto motivo risulta, pertanto, necessariamente incompatibile con la natura del dispositivo della medesima.

37. Appare altresì che le decisioni giudiziarie relative alla controversia principale, quali menzionate ai punti 13, 14 e 16 della presente sentenza, non contengono alcuna analisi, tanto da parte dei giudici di merito quanto da parte della Corte suprema di cassazione, del carattere eventualmente abusivo della clausola penale di cui trattasi nel procedimento principale.

38. Tuttavia, secondo il giudice del rinvio, una decisione giudiziaria che riconosce implicitamente la validità di tale clausola penale è stata effettivamente adottata, dato che la decisione, presa dagli organi giurisdizionali nazionali, di ridurre l'ammontare della penale presuppone, logicamente, che detta clausola sia valida e produca effetti giuridici. Pertanto, in virtù della normativa nazionale applicabile, un esame d'ufficio del carattere potenzialmente abusivo della clausola penale di cui trattasi si considera implicitamente avvenuto e coperto dall'autorità di cosa giudicata, e ciò anche in assenza di qualsiasi motivazione in tal senso. Orbene, ciò rende impossibile il controllo richiesto dalla giurisprudenza citata ai punti 30 e da 33 a 35 della presente sentenza, nonostante il fatto che un procedimento giudiziario vertente su tale clausola penale sia ancora in corso.

39. Ne consegue che tale normativa nazionale, che priva il consumatore degli strumenti procedurali che gli consentono di far valere i suoi diritti ai sensi della direttiva 93/13, è tale da rendere impossibile o eccessivamente difficile la tutela di detti diritti, pregiudicando così il principio di effettività.

40. Inoltre, il giudice del rinvio osserva che i promissari acquirenti hanno dato prova di completa passività e hanno invocato il carattere abusivo della clausola penale di cui trattasi solo nell'ambito del secondo ricorso in cassazione.

41. A tale riguardo, è vero che il rispetto del principio di effettività non può supplire integralmente alla completa passività del consumatore interessato (sentenza del 24 giugno 2025, GR REAL, C‑351/23, EU:C:2025:474, punto 58 e giurisprudenza citata). Tuttavia, nel caso di specie, dall'ordinanza di rinvio risulta che i promissari acquirenti hanno partecipato all'insieme delle diverse fasi del procedimento giurisdizionale e hanno invocato, anche solo nell'ambito del secondo ricorso in cassazione, il carattere abusivo della clausola penale di cui trattasi. Pertanto, il loro comportamento non può essere qualificato come completamente passivo.

42. Da tutto quanto precede risulta che occorre rispondere alla questione sollevata dichiarando che l'articolo 6, paragrafo 1, e l'articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13, letti alla luce del principio di effettività e dell'articolo 47 della Carta, devono essere interpretati nel senso che essi ostano a una normativa nazionale in virtù della quale l'applicazione del principio dell'autorità di cosa giudicata non consente al giudice nazionale, adito in un giudizio di rinvio a seguito di cassazione, di esaminare d'ufficio la nullità di una clausola contrattuale asseritamente abusiva qualora, da un lato, il motivo vertente sul carattere abusivo di tale clausola non sia stato invocato dal consumatore nel corso delle fasi precedenti del procedimento giurisdizionale e, dall'altro, la nullità di una siffatta clausola non sia stata rilevata d'ufficio dagli organi giurisdizionali nazionali nell'ambito del procedimento che ha dato luogo alla sentenza di cassazione.

Sulle spese

43. Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

P.Q.M.
la Corte (Quarta Sezione) dichiara:

L'articolo 6, paragrafo 1, e l'articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, letti alla luce del principio di effettività e dell'articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, devono essere interpretati nel senso che essi ostano a una normativa nazionale in virtù della quale l'applicazione del principio dell'autorità di cosa giudicata non consente al giudice nazionale, adito in un giudizio di rinvio a seguito di cassazione, di esaminare d'ufficio la nullità di una clausola contrattuale asseritamente abusiva qualora, da un lato, il motivo vertente sul carattere abusivo di tale clausola non sia stato invocato dal consumatore nel corso delle fasi precedenti del procedimento giurisdizionale e, dall'altro, la nullità di una siffatta clausola non sia stata rilevata d'ufficio dagli organi giurisdizionali nazionali nell'ambito del procedimento che ha dato luogo alla sentenza di cassazione.