Corte di giustizia dell'Unione Europea
Grande Sezione
Sentenza 18 dicembre 2025
Presidente: Lenaerts - Relatrice: Arastey Sahún
«Rinvio pregiudiziale - Parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica - Direttiva 2000/43/CE - Nozioni di "origine etnica", di "discriminazione diretta" e di "discriminazione indiretta" - Normativa nazionale che richiede l'adozione di piani di sviluppo destinati a ridurre la percentuale di alloggi pubblici familiari in talune aree residenziali - Individuazione di tali aree in funzione della percentuale di "immigrati provenienti da paesi non occidentali e dei loro discendenti" - Giustificazione - Coesione sociale e integrazione - Politica abitativa - Articolo 7 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea - Diritto al rispetto del domicilio - Proporzionalità».
Nella causa C‑417/23, avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell'articolo 267 TFUE, dall'Østre Landsret (Corte regionale dell'Est, Danimarca), con decisione del 30 giugno 2023, pervenuta in cancelleria il 6 luglio 2023, nei procedimenti Slagelse Almennyttige Boligselskab, Afdeling Schackenborgvænge, contro MV, EH, LI, AQ, LO, con l'intervento di: BL - Danmarks Almene Boliger, Institut for Menneskerettigheder, e XM, ZQ, FZ, DL, WS, JI, PB, VT, YB, TJ, RK contro Social-, Bolig- og Ældreministeriet, con l'intervento di: Institut for Menneskerettigheder, FN's særlige rapportør E. Tendayi Achiume, FN's særlige rapportør Balakrishnan Rajagopal.
[...]
1. La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull'interpretazione dell'articolo 2, paragrafo 2, lettere a) e b), della direttiva 2000/43/CE del Consiglio, del 29 giugno 2000, che attua il principio della parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica (GU 2000, L 180, pag. 22 e rettifica in GU 2014, L 283, pag. 65).
2. Tale domanda è stata presentata nell'ambito di cinque controversie che vedono contrapposti, per quanto riguarda le prime quattro, il locatore pubblico Slagelse Almennyttige Boligselskab, Afdeling Schackenborgvænge (in prosieguo: il «SAB») a cinque locatari di alloggi pubblici familiari e, per quanto riguarda la quinta controversia, undici locatari di alloggi pubblici familiari al Social-, Bolig- og Ældreministeriet (Ministero degli Affari sociali, dell'Alloggio e della Terza Età, Danimarca) in relazione a una normativa nazionale che prevede l'obbligo di adottare piani di sviluppo volti a ridurre la percentuale di alloggi pubblici familiari nelle aree residenziali caratterizzate, tra l'altro, dal fatto che, negli ultimi cinque anni, la percentuale di «immigrati provenienti da paesi non occidentali e dei loro discendenti» ha superato il 50%.
Contesto normativo
Diritto dell'Unione
Direttiva 2000/43
3. Ai sensi dei considerando da 2 a 4, 9, 12, 13, 15, 16 e 28 della direttiva 2000/43:
«(2) Conformemente all'articolo 6 [TUE], l'Unione europea si fonda sui principi di libertà, democrazia, rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali e dello Stato di diritto, principi che sono comuni a tutti gli Stati membri e dovrebbe rispettare i diritti fondamentali quali sono garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali[, firmata a Roma il 4 novembre 1950 (in prosieguo: la «CEDU»),] e quali risultano dalle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri, in quanto principi generali del diritto comunitario.
(3) Il diritto all'uguaglianza dinanzi alla legge e alla protezione di tutte le persone contro le discriminazioni costituisce un diritto universale riconosciuto dalla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, dalla Convenzione delle Nazioni Unite sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna, dalla Convenzione internazionale sull'eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale, dai Patti delle Nazioni Unite relativi rispettivamente ai diritti civili e politici e ai diritti economici, sociali e culturali e dalla [CEDU], di cui tutti gli Stati membri sono firmatari.
(4) È importante rispettare tali diritti e libertà fondamentali, tra cui il diritto alla libertà di associazione. È altresì importante riguardo all'accesso ai beni e ai servizi e alla fornitura degli stessi, rispettare la protezione della vita privata e familiare e delle transazioni operate in tale contesto.
(...)
(9) Le discriminazioni basate sulla razza o sull'origine etnica possono pregiudicare il conseguimento degli obiettivi del trattato [FUE], in particolare il raggiungimento di un elevato livello di occupazione e di protezione sociale, il miglioramento del tenore e della qualità della vita, la coesione economica e sociale e la solidarietà. Esse possono anche compromettere l'obiettivo di sviluppare l'Unione europea in direzione di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia.
(...)
(12) Per assicurare lo sviluppo di società democratiche e tolleranti che consentono la partecipazione di tutte le persone a prescindere dalla razza o dall'origine etnica, le azioni specifiche nel campo della lotta contro le discriminazioni basate sulla razza o l'origine etnica dovrebbero andare al di là dell'accesso alle attività di lavoro dipendente e autonomo e coprire ambiti quali l'istruzione, la protezione sociale, compresa la sicurezza sociale e l'assistenza sanitaria, le prestazioni sociali, l'accesso a beni e servizi e la loro fornitura.
(13) Qualsiasi discriminazione diretta o indiretta basata sulla razza o l'origine etnica nei settori di cui alla presente direttiva dovrebbe pertanto essere proibita in tutta la Comunità. Tale divieto di discriminazione dovrebbe applicarsi anche nei confronti dei cittadini dei paesi terzi, ma non comprende le differenze di trattamento basate sulla nazionalità e lascia impregiudicate le disposizioni che disciplinano l'ingresso e il soggiorno di cittadini dei paesi terzi e il loro accesso all'occupazione e all'impiego.
(...)
(15) La valutazione dei fatti sulla base dei quali si può argomentare che sussiste discriminazione diretta o indiretta è una questione che spetta alle autorità giudiziarie nazionali o ad altre autorità competenti conformemente alle norme e alle prassi nazionali. Tali norme possono prevedere in particolare che la discriminazione indiretta sia stabilita con qualsiasi mezzo, compresa l'evidenza statistica.
(16) È importante proteggere tutte le persone fisiche contro la discriminazione per motivi di razza o di origine etnica. (...)
(...)
(28) (...) lo scopo della presente direttiva, volta a garantire un elevato livello di protezione contro la discriminazione in tutti gli Stati membri, non può essere realizzato in misura sufficiente dagli Stati membri (...)».
4. L'articolo 1 della direttiva di cui trattasi, intitolato «Obiettivo», enuncia quanto segue:
«La presente direttiva mira a stabilire un quadro per la lotta alle discriminazioni fondate sulla razza o l'origine etnica, al fine di rendere effettivo negli Stati membri il principio della parità di trattamento».
5. L'articolo 2 della stessa direttiva, intitolato «Nozione di discriminazione», così dispone:
«1. Ai fini della presente direttiva, il principio della parità di trattamento comporta che non sia praticata alcuna discriminazione diretta o indiretta a causa della razza o dell'origine etnica.
2. Ai fini del paragrafo 1:
a) sussiste discriminazione diretta quando, a causa della sua razza od origine etnica, una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un'altra in una situazione analoga;
b) sussiste discriminazione indiretta quando una disposizione, un criterio o una prassi apparentemente neutri possono mettere persone di una determinata razza od origine etnica in una posizione di particolare svantaggio rispetto ad altre persone, a meno che tale disposizione, criterio o prassi siano oggettivamente giustificati da una finalità legittima e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari.
(...)».
6. L'articolo 3 della medesima direttiva, intitolato «Campo di applicazione», prevede quanto segue:
«1. Nei limiti dei poteri conferiti alla Comunità, la presente direttiva si applica a tutte le persone sia del settore pubblico che del settore privato, compresi gli organismi di diritto pubblico, per quanto attiene:
(...)
h) all'accesso a beni e servizi che sono a disposizione del pubblico e alla loro fornitura, incluso l'alloggio.
2. La presente direttiva non riguarda le differenze di trattamento basate sulla nazionalità e non pregiudica le disposizioni e le condizioni relative all'ingresso e alla residenza di cittadini di paesi terzi e di apolidi nel territorio degli Stati membri, né qualsiasi trattamento derivante dalla condizione giuridica dei cittadini dei paesi terzi o degli apolidi interessati».
7. L'articolo 8, della direttiva 2000/43, intitolato «Onere della prova», al paragrafo 1, stabilisce quanto segue:
«Gli Stati membri prendono le misure necessarie, conformemente ai loro sistemi giudiziari nazionali, per assicurare che, allorché persone che si ritengono lese dalla mancata applicazione nei loro riguardi del principio della parità di trattamento espongono, dinanzi a un tribunale o a un'altra autorità competente, fatti dai quali si può presumere che vi sia stata una discriminazione diretta o indiretta, incomba alla parte convenuta provare che non vi è stata violazione del principio della parità di trattamento».
Direttiva 2006/123/CE
8. Il considerando 27 della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno (GU 2006, L 376, pag. 36), così recita:
«La presente direttiva non dovrebbe applicarsi ai servizi sociali nel settore degli alloggi, dell'assistenza all'infanzia e del sostegno alle famiglie e alle persone bisognose, forniti dallo Stato a livello nazionale, regionale o locale da prestatori incaricati dallo Stato o da associazioni caritative riconosciute come tali dallo Stato per sostenere persone che si trovano in condizione di particolare bisogno a titolo permanente o temporaneo, perché hanno un reddito familiare insufficiente, o sono totalmente o parzialmente dipendenti e rischiano di essere emarginate. È opportuno che la presente direttiva non incida su tali servizi in quanto essi sono essenziali per garantire i diritti fondamentali alla dignità e all'integrità umana e costituiscono una manifestazione dei principi di coesione e solidarietà sociale».
9. Ai sensi dell'articolo 2, paragrafi 1 e 2 della direttiva in parola:
«La presente direttiva si applica ai servizi forniti da prestatori stabiliti in uno Stato membro».
2. La presente direttiva non si applica alle attività seguenti:
(...)
j) i servizi sociali riguardanti gli alloggi popolari, (...)
(...)».
10. L'articolo 4, punto 1, di tale direttiva prevede quanto segue:
«Ai fini della presente direttiva si intende per:
1) "servizio": qualsiasi attività economica non salariata di cui all'articolo [57 TFUE] fornita normalmente dietro retribuzione».
Diritto danese
11. L'articolo 27, paragrafo 4, del lovbekendtgørelse nr. 1877 om almene boliger m.v. (almenboligloven) [decreto di codificazione n. 1877 relativo in particolare agli alloggi pubblici (legge sugli alloggi pubblici)], del 27 settembre 2021 (in prosieguo: la «legge sugli alloggi pubblici»), così recita:
«Per gli alloggi situati in un'area in trasformazione ai sensi dell'articolo 61 a, paragrafo 4, il Ministro approva la cessione a condizione che siano risolti (...) i contratti di locazione stipulati con i locatari che non soddisfano i criteri stabiliti dal consiglio comunale ai sensi dell'articolo 27 c, paragrafo 1».
12. L'articolo 27 c di detta legge così recita:
«1) Il consiglio comunale stabilisce criteri per la concessione in locazione di fondi situati in un'area residenziale vulnerabile ai sensi dell'articolo 61 a, paragrafo 1, ceduti ad acquirenti privati. I criteri di cui alla prima frase sono stabiliti dal consiglio comunale al più tardi al momento dell'approvazione della cessione e sono validi per 10 anni a decorrere dalla data di acquisizione del fondo di cui trattasi. I criteri stabiliti conformemente alla prima frase si applicano anche ai nuovi alloggi in locazione costruiti sul fondo.
(...)
3. Se un bene locativo viene dato in locazione in violazione di tali criteri, il consiglio comunale impone al locatore l'obbligo di risolvere il contratto di locazione».
13. L'articolo 61 a della stessa legge dispone quanto segue:
«1. Un'area residenziale vulnerabile è un'area che soddisfa almeno due dei seguenti criteri:
1) La percentuale di residenti di età compresa tra i 18 e i 64 anni senza alcun legame con il mercato del lavoro o l'istruzione è superiore al 40%, calcolata come media dei due anni precedenti.
2) La percentuale di residenti condannati per reati ai sensi del codice penale, della legge sulle armi o della legge sugli stupefacenti è almeno tre volte superiore alla media nazionale, calcolata come media dei due anni precedenti.
3) La percentuale di residenti di età compresa tra i 30 e i 59 anni in possesso soltanto di un livello di istruzione primaria supera il 60%.
4) Il reddito medio lordo dei contribuenti di età compresa tra i 15 e i 64 anni nell'area, esclusi quelli impegnati in un percorso di formazione, è inferiore al 55% del reddito medio lordo dello stesso gruppo nella regione.
2. Una società parallela è definita come un'area residenziale in cui la percentuale di immigrati provenienti da paesi non occidentali e dei loro discendenti supera il 50% e in cui sono soddisfatti almeno due dei criteri di cui al paragrafo 1.
(...)
4. Per area in trasformazione si intende un'area residenziale che negli ultimi cinque anni ha soddisfatto le condizioni di cui al paragrafo 2.
5. L'[Indenrigs- og boligministeren (Ministro dell'Interno e dell'Alloggio, Danimarca)] pubblica il 1° dicembre di ogni anno [l'elenco delle] aree che soddisfano le condizioni di cui ai paragrafi 1, 2 e 4 nonché all'articolo 61 b)».
14. L'articolo 168 a, paragrafi 1 e 2, della medesima legge prevede quanto segue:
«1. Il locatore pubblico e il consiglio comunale elaborano congiuntamente un piano di sviluppo per un'area in trasformazione ai sensi dell'articolo 61 a, paragrafo 4. Il piano di sviluppo congiunto deve mirare a ridurre, entro il 1° gennaio 2030, la quota degli alloggi pubblici familiari a un massimo del 40% di tutti gli alloggi nell'area in trasformazione interessata, ai sensi dell'articolo 61 a, paragrafo 4. Gli alloggi demoliti dopo il 2010 e non sostituiti da altri alloggi pubblici familiari possono essere inclusi nel calcolo del numero totale di alloggi nell'area residenziale interessata. Gli spazi commerciali rientrano nel calcolo del numero di alloggi, cosicché ogni superficie di 75 metri quadrati [(m2)] di spazio commerciale è conteggiata come alloggio.
2. Il Ministro dell'Interno e dell'Alloggio approva i piani di sviluppo di cui al paragrafo 1».
15. L'articolo 168 b, paragrafi da 1 a 2, della legge sugli alloggi pubblici così stabilisce:
«1. In mancanza di accordo su un piano di sviluppo congiunto ai sensi dell'articolo 168 a, paragrafo 1, il consiglio comunale può chiedere al Ministro dell'Interno e dell'Alloggio di approvare un piano di sviluppo comunale. Tale piano deve mirare a ridurre, entro il 1° gennaio 2030, la quota degli alloggi pubblici familiari a un massimo del 40% di tutti gli alloggi nell'area in trasformazione interessata, ai sensi dell'articolo 61 a, paragrafo 4. Gli alloggi demoliti dopo il 2010 e non sostituiti da altri alloggi pubblici familiari possono essere inclusi nel calcolo del numero totale di alloggi nell'area residenziale interessata. Gli spazi commerciali rientrano nel calcolo del numero di alloggi, cosicché ogni superficie di 75 metri quadrati di spazio commerciale è conteggiata come alloggio. Il ministro trasmette il piano di sviluppo comunale al locatore pubblico per consultazione prima di adottare una decisione ai sensi della prima frase.
2. Il consiglio comunale può ordinare ai locatori pubblici di attuare un piano comunale approvato conformemente al paragrafo 1, ivi compresa l'esecuzione di misure di rilievo per la realizzazione del piano di sviluppo comunale e per la salvaguardia dell'interesse pubblico generale, entro un termine fissato dal consiglio comunale».
16. Dalla domanda di pronuncia pregiudiziale emerge che, nella sua versione iniziale, l'articolo 61 a della legge sugli alloggi pubblici, che è stato inserito in tale legge dal lov nr. 1610 om ændring af lov om almene boliger m.v. (legge n. 1610 che modifica in particolare la legge sugli alloggi pubblici), del 22 dicembre 2010, utilizzava, al suo paragrafo 2, il termine «ghetto» e, al paragrafo 4, l'espressione «area ghettizzata difficile», al posto delle espressioni attualmente utilizzate, ossia, rispettivamente, quelle di «società parallela» e di «area in trasformazione».
17. Nei lavori preparatori di tale legge n. 1610, del 22 dicembre 2010, per definire la nozione di «ghetto» o di «area ghettizzata», era «proposto di porre l'accento su tre criteri (...): la percentuale di immigrati provenienti da paesi non occidentali e dei loro discendenti, la percentuale di persone senza alcun legame con il mercato del lavoro e la percentuale di persone condannate per violazioni del codice penale, della legge sulle armi o della legge sugli stupefacenti; ciascuno di questi fattori indica che esiste un problema sociale e della società che si discosta talmente dalla situazione generale esistente in Danimarca che è necessario uno sforzo particolare».
18. La definizione di «area ghettizzata» è stata modificata dal lov nr. 1609 om ændring af lov om almene boliger m.v. (legge n. 1609 che modifica in particolare la legge sugli alloggi pubblici), del 26 dicembre 2013, che ha aggiunto due nuovi criteri relativi all'istruzione e al reddito. I lavori preparatori della legge n. 1609, del 26 dicembre 2013, indicano, in particolare, quanto segue:
«L'integrazione degli immigrati provenienti da paesi non occidentali e dei loro discendenti nei quartieri svantaggiati è un punto cruciale. È importante che gli abitanti delle aree residenziali si incontrino al di là delle loro origini etniche. In caso contrario, può diventare più difficile comprendersi culturalmente e linguisticamente, e possono più facilmente sorgere pregiudizi, atteggiamenti negativi e una pericolosa divisione tra «loro» e «noi». Ciò minaccia la coesione sociale. Una forte concentrazione di cittadini di un'altra origine etnica è pertanto un'indicazione del fatto che occorre prestare attenzione all'area interessata».
19. L'obbligo di adottare piani di sviluppo come quelli di cui trattasi nel procedimento principale è stato istituito dal lov nr. 1322 om ændring af lov om almene boliger m.v., lov om leje af almene boliger og lov om leje (legge n. 1322 che modifica in particolare la legge sugli alloggi pubblici, la legge sulla locazione di alloggi pubblici e la legge sulle locazioni), del 27 novembre 2018. In forza della legge n. 1322, del 27 novembre 2018, il criterio relativo al fatto che la percentuale degli «immigrati provenienti da paesi non occidentali e dei loro discendenti» superi il 50% nell'area residenziale interessata è divenuto una condizione necessaria affinché una siffatta area residenziale possa essere classificata come «area ghettizzata». I lavori preparatori di tale legge indicano inoltre che il criterio in parola «sottolinea il fatto che nelle aree ghettizzate, la sfida principale risiede nella mancata integrazione degli immigrati provenienti da paesi non occidentali e dei loro discendenti».
20. Il progetto di legge che ha portato all'adozione della legge di cui al punto precedente era fondato su una proposta preparata dal governo danese nel marzo 2018, intitolata «Una Danimarca senza società parallele - nessun ghetto nel 2030». Tale proposta indicava, in particolare, quanto segue:
«Il governo auspica una Danimarca coesa. (...)
Negli ultimi quasi 40 anni la composizione etnica della Danimarca è cambiata in modo significativo. Nel 1980 la Danimarca contava 5,1 milioni di abitanti. Oggi siamo quasi 5,8 milioni. La crescita della popolazione proviene dall'esterno. Sia dagli immigrati che dai loro discendenti. La maggior parte dei nuovi danesi è di origine non occidentale.
(...)
[V]i sono troppi immigrati che non partecipano attivamente [alla società danese]. Tra le persone di origine non occidentale è emersa una società parallela. Troppi immigrati e discendenti di immigrati hanno finito per essere scollegati dalla società circostante. Senza formazione, senza lavoro e senza conoscenze sufficienti del danese.
(...)
Da decenni troppi rifugiati e familiari ricongiunti sono stati ammessi in Danimarca senza essere integrati nella società danese. È stato consentito loro di raggrupparsi in ghetti senza alcun contatto con la società circostante, anche dopo molti anni trascorsi in Danimarca, e ciò perché non abbiamo chiaramente richiesto loro di far parte della società danese.
(...)
Si sono create isole nel territorio danese. Molte persone vivono in enclavi più o meno isolate. Troppi cittadini non si assumono a sufficienza le proprie responsabilità. Essi non partecipano attivamente alla società danese e al mercato del lavoro. Abbiamo [accolto] un gruppo di cittadini che non aderiscono pienamente alle norme e ai valori danesi. [Un gruppo] in cui le donne sono considerate inferiori agli uomini, dove il controllo sociale e la mancanza di uguaglianza fissano limiti ristretti alla libertà di espressione dell'individuo.
(...)».
Controversie di cui al procedimento principale e questioni pregiudiziali
21. Come indicato al punto 2 della presente sentenza, la domanda di pronuncia pregiudiziale è stata presentata nell'ambito di cinque controversie, quattro delle quali riguardano Schackenborgvænge, un complesso edilizio situato nell'area residenziale di Ringparken a Slagelse (Danimarca), e una riguarda Mjølnerparken, un complesso edilizio situato a Copenaghen (Danimarca).
Controversie relative al complesso edilizio Schackenborgvænge
22. L'area residenziale di Ringparken è costituita da cinque complessi edilizi, quattro dei quali sono gestiti dal locatore pubblico Fællesorganisationens Boligforening e il quinto, vale a dire Schackenborgvænge, è gestito dal SAB.
23. Dal 1° dicembre 2018, l'area residenziale di Ringparken è stata designata come un'«area ghettizzata difficile», ai sensi della versione iniziale dell'articolo 61 a, paragrafo 4, della legge sugli alloggi pubblici, area ormai classificata come «area in trasformazione», ai sensi della versione della menzionata disposizione applicabile alle controversie di cui al procedimento principale. Tale designazione è avvenuta per il motivo che, da un lato, l'area residenziale in parola soddisfaceva i quattro criteri previsti da detto articolo 61 a, paragrafo 1, ossia il legame dei residenti con il mercato del lavoro o con l'istruzione, il livello di criminalità, il livello di istruzione primaria e il reddito medio (in prosieguo: i «criteri socioeconomici»), e, dall'altro, il 55,6% dei residenti nella medesima area residenziale apparteneva alla categoria degli «immigrati provenienti da paesi non occidentali e dei loro discendenti», ai sensi di detto articolo 61 a, paragrafo 2.
24. La Fællesorganisationens Boligforening, il SAB e lo Slagelse Kommune (comune di Slagelse, Danimarca) hanno elaborato un piano di sviluppo per l'area residenziale di Ringparken, che è stato approvato dal consiglio comunale il 27 maggio 2019, al fine di ridurre la percentuale di alloggi pubblici familiari al 40% di tutti gli alloggi in tale area residenziale, conformemente all'articolo 168 a, paragrafo 1, della legge sugli alloggi pubblici.
25. Nel mese di giugno 2019 il SAB ha deciso di cedere 136 alloggi pubblici familiari situati a Schackenborgvænge a un acquirente privato. Poiché tale cessione non era prevista dal piano di sviluppo di cui al punto precedente, detto piano è stato aggiornato e approvato dal comune di Slagelse il 26 agosto 2019 (in prosieguo: il «piano di sviluppo di Ringparken»).
26. Il 26 agosto e il 17 settembre 2019 il comune in parola ha altresì approvato, conformemente all'articolo 27 c della legge sugli alloggi pubblici, i criteri per la concessione in locazione di alloggi ceduti ad acquirenti privati nelle aree residenziali vulnerabili situate nel territorio del comune di Slagelse. I criteri di cui trattasi determinano le condizioni necessarie affinché i locatari di alloggi situati a Schackenborgvænge possano restare nei loro alloggi dopo detta cessione, vale a dire il fatto di disporre di un certo livello di reddito e il fatto che né tali locatari né i loro partner abbiano commesso un reato negli ultimi sei mesi.
27. Il 14 gennaio 2020 il piano di sviluppo di Ringparken e la cessione del complesso edilizio Schackenborgvænge sono stati approvati dal Trafik‑, Bygge‑ og Boligstyrelsen (autorità per i trasporti, l'edilizia e l'alloggio, Danimarca).
28. Il 17 febbraio 2020 il SAB ha risolto 17 contratti di locazione a Schackenborgvænge. Dalla decisione di rinvio emerge che la risoluzione di tali contratti di locazione era fondata sui criteri di cui al punto 26 della presente sentenza.
29. Poiché cinque dei locatari interessati (in prosieguo: i «cinque locatari di Schackenborgvænge») si sono opposti alla risoluzione del loro contratto di locazione, nonostante fosse stato loro offerto un alloggio alternativo, il 7 maggio 2020 il SAB ha proposto un ricorso contro ciascuno di essi al fine di far dichiarare che la risoluzione di detti contratti di locazione era legittima e che soddisfaceva le condizioni previste, in particolare, all'articolo 61 a, paragrafo 1, della legge sugli alloggi pubblici. Questi cinque locatari hanno chiesto il rigetto di tali ricorsi e hanno inoltre chiesto che il SAB riconoscesse la nullità dell'articolo 61 a della legge in parola.
30. Dalla decisione di rinvio emerge che tre dei cinque locatari di Schackenborgvænge sono danesi, ma sono nati in «paesi non occidentali», ai sensi dell'articolo 61 a, paragrafo 2, di detta legge, che un altro di tali locatari è cittadino di un tale paese, nel quale è nato, e che non vi sono informazioni relative al luogo di nascita o alla nazionalità del quinto di detti locatari. Uno di essi risiede a Schackenborgvænge dal 2012, un altro dal 2013 e gli altri tre dal 2017.
31. La BL - Danmarks Almene boliger (Associazione danese per gli alloggi pubblici) è intervenuta a sostegno delle conclusioni del SAB, mentre l'Institut for Menneskerettigheder (Istituto per i diritti umani, Danimarca) è intervenuto a sostegno delle conclusioni dei cinque locatari di Schackenborgvænge.
32. Dal 1° dicembre 2021 l'area residenziale di Ringparken non è più un'area in trasformazione, giacché non soddisfa più tre dei criteri socioeconomici. Tuttavia, il SAB resta tenuto ad attuare il piano di sviluppo di Ringparken.
Controversia relativa al complesso edilizio Mjølnerparken
33. La quinta controversia nel procedimento principale riguarda il complesso edilizio Mjølnerparken, gestito dal locatore pubblico Bo‑Vita e composto da 528 alloggi pubblici familiari e da 32 alloggi per giovani, suddivisi in quattro blocchi.
34. Dal 1° dicembre 2018, l'area residenziale di Mjølnerparken è stata designata come un'«area ghettizzata difficile», ai sensi della versione iniziale dell'articolo 61 a, paragrafo 4, della legge sugli alloggi pubblici, area ormai classificata come «area in trasformazione», ai sensi della versione della menzionata disposizione applicabile alle controversie di cui al procedimento principale. Tale designazione è avvenuta per il motivo che, da un lato, l'area residenziale in parola soddisfaceva tre dei criteri socioeconomici e, dall'altro, circa l'80% dei residenti della medesima area residenziale apparteneva alla categoria degli «immigrati provenienti da paesi non occidentali e dei loro discendenti», ai sensi di tale articolo 61 a, paragrafo 2. Al momento dell'introduzione del presente rinvio pregiudiziale, Mjølnerparken rimaneva un'area in trasformazione.
35. Conformemente all'articolo 168 a, paragrafo 1, della legge sugli alloggi pubblici, il Bo‑Vita ha preparato un piano di sviluppo per Mjølnerparken, che è stato approvato, il 20 giugno 2019, dal Københavns Kommune (comune di Copenaghen, Danimarca) e, il 10 settembre 2019, dal Transport‑ og Boligministeriet (Ministero dei Trasporti e dell'Alloggio, Danimarca), divenuto Indenrigs‑ og Boligministeriet (Ministero dell'Interno e dell'Alloggio, Danimarca), e successivamente Ministero degli Affari sociali, dell'Alloggio e della Terza Età. Tale piano di sviluppo prevede, in particolare, che la riduzione della percentuale degli alloggi pubblici familiari al 40%, conformemente a detto articolo 168 a, paragrafo 1, debba essere realizzata mediante la vendita dei blocchi 2 e 3.
36. Il Bo‑Vita ha concluso un accordo sulla vendita di tali blocchi, vendita che è stata approvata dal comune di Copenaghen il 2 giugno 2022, e successivamente dal Social‑ og Boligstyrelsen (autorità per il Sociale e per l'Alloggio, Danimarca), il 4 gennaio 2023.
37. Il giudice del rinvio precisa che, in forza della legge, spetta al Bo‑Vita risolvere i contratti di locazione dei locatari dei suddetti blocchi.
38. Il 27 maggio 2020 undici locatari che sono o erano residenti nei blocchi 2 e 3 di Mjølnerparken (in prosieguo: gli «undici locatari di Mjølnerparken») hanno proposto un ricorso contro il Ministero degli Affari sociali, dell'Alloggio e della Terza Età, diretto a far dichiarare l'invalidità dell'approvazione da parte di tale Ministero, del piano di sviluppo di cui al punto 35 della presente sentenza, in particolare nella parte in cui era fondato sull'articolo 61 a, paragrafo 4, della legge sugli alloggi pubblici. Il Ministero in parola ha chiesto il rigetto del ricorso.
39. Dalla decisione di rinvio emerge che questi undici locatari sono tutti danesi, ma che otto di essi sono nati in «paesi non occidentali», ai sensi dell'articolo 61 a, paragrafo 2, di detta legge, e che i genitori di un altro di detti locatari sono nati in Libano. Nove degli stessi locatari vivono a Mjølnerparken da oltre vent'anni, mentre gli altri due vi vivono rispettivamente dal 2012 e dal 2014.
40. L'Istituto per i diritti umani è intervenuto a sostegno delle conclusioni degli undici locatari di Mjølnerparken, così come la relatrice speciale delle Nazioni Unite sulle forme attuali di razzismo, discriminazione razziale, xenofobia e intolleranza, nonché il relatore speciale delle Nazioni Unite sull'alloggio adeguato come componente del diritto a un tenore di vita adeguato e sul diritto alla non discriminazione in questo contesto.
Considerazioni del giudice del rinvio sulle controversie di cui al procedimento principale
41. L'Østre Landsret (Corte regionale dell'Est, Danimarca), giudice del rinvio, afferma che, nelle cinque controversie di cui al procedimento principale, la questione centrale è se le disposizioni nazionali relative ai piani di sviluppo destinati a ridurre la quota di alloggi pubblici familiari nelle aree in trasformazione, previste all'articolo 168 a, paragrafo 1, della legge sugli alloggi pubblici, comportino una discriminazione fondata sull'origine etnica contraria al lov nr. 374 om etnisk ligebehandling (legge n. 374 sulla parità di trattamento in base all'origine etnica), del 28 maggio 2003, nella versione applicabile al procedimento principale, e alla direttiva 2000/43, che quest'ultima legge mira a recepire nel diritto danese.
42. Detto giudice indica che i cinque locatari di Schackenborgvænge e gli undici locatari di Mjølnerparken hanno sostenuto, in particolare, che la risoluzione dei loro contratti di locazione o l'adozione del piano di sviluppo che li riguardava costituiva una discriminazione diretta fondata sull'origine etnica vietata dalla direttiva 2000/43, in quanto il criterio degli «immigrati provenienti da paesi non occidentali e dei loro discendenti», previsto all'articolo 61 a, paragrafo 2, della legge sugli alloggi pubblici, rientrerebbe nella nozione di «origine etnica», ai sensi dell'articolo 2, paragrafo 2, lettera a), della direttiva in parola.
43. In subordine, tali locatari affermerebbero che le risoluzioni di contratti di locazione da essi contestate comportino una discriminazione indiretta, poiché la prassi consistente nel risolvere siffatti contratti di locazione incide in particolare su persone «di una determinata (...) origine etnica», ai sensi dell'articolo 2, paragrafo 2, lettera b), di detta direttiva.
44. Secondo il giudice del rinvio, il SAB e il Ministero degli Affari sociali, dell'Alloggio e della Terza Età hanno sostenuto, in particolare, che il criterio degli «immigrati provenienti da paesi non occidentali e dei loro discendenti», previsto all'articolo 61 a, paragrafo 2, della legge sugli alloggi pubblici, non rientra nella nozione di «origine etnica» o in quella di «determinata origine etnica» di cui all'articolo 2, paragrafo 2, lettere a) e b), della direttiva 2000/43.
45. Tale giudice indica che la nozione di «paesi non occidentali», sviluppata dal Danmarks Statistik (Ufficio danese delle statistiche), comprende tutti i paesi diversi dagli Stati membri dell'Unione, l'Andorra, l'Islanda, il Liechtenstein, Monaco, la Norvegia, il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, San Marino, la Svizzera, lo Stato della Città del Vaticano, il Canada, gli Stati Uniti, l'Australia e la Nuova Zelanda.
46. L'ufficio in parola definirebbe un «immigrato» come una persona nata all'estero e di cui nessuno dei genitori sia allo stesso tempo nato in Danimarca e cittadino danese. Detto ufficio definirebbe un «discendente» come una persona nata in Danimarca, e di cui nessuno dei genitori sia allo stesso tempo nato in Danimarca e cittadino danese, o i cui genitori, pur essendo nati in Danimarca e avendo ottenuto la nazionalità danese, mantengono entrambi anche una nazionalità straniera.
47. Il giudice del rinvio considera che non si può dedurre né dalla formulazione dell'articolo 2, paragrafo 2, lettere a) e b), della direttiva 2000/43 né dalla giurisprudenza della Corte derivante dalle sentenze del 16 luglio 2015, CHEZ Razpredelenie Bulgaria (C‑83/14; in prosieguo: la «sentenza CHEZ Razpredelenie Bulgaria», EU:C:2015:480), del 6 aprile 2017, Jyske Finans (C‑668/15, EU:C:2017:278), e del 10 giugno 2021, Land Oberösterreich (Indennità di alloggio) (C‑94/20, EU:C:2021:477), se la nozione di «origine etnica» includa un gruppo di persone definite come «immigrati provenienti da paesi non occidentali e loro discendenti» e, in caso affermativo, se la normativa nazionale di cui trattasi nel procedimento principale costituisca una discriminazione diretta o indiretta, ai sensi di tale disposizione.
48. In tali circostanze, l'Østre Landsret (Corte regionale dell'Est) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1) Se il termine "origine etnica" di cui all'articolo 2, paragrafo 2, lettere a) e b), direttiva 2000/43 debba essere interpretato nel senso che tale termine, in circostanze come quelle del caso di specie, in cui, ai sensi della legge danese [sugli alloggi pubblici], si deve ridurre la quota riservata agli alloggi popolari per famiglie nelle "aree in trasformazione" e in cui costituisce una condizione per la qualifica di area in trasformazione che oltre il 50% dei residenti di un'area residenziale siano "immigrati e loro discendenti provenienti da paesi non occidentali", ricomprenda un gruppo di persone definite come "immigrati e loro discendenti provenienti da paesi non occidentali".
2) Qualora la risposta alla prima questione sia in tutto o in parte affermativa, se l'articolo 2, paragrafo 2, lettere a) e b), debba essere interpretato nel senso che il regime descritto nel caso di specie costituisce una discriminazione diretta o indiretta».
Sulle questioni pregiudiziali
49. Con le sue questioni, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l'articolo 2, paragrafo 2, lettere a) e b), della direttiva 2000/43 debba essere interpretato nel senso che una normativa nazionale che prevede l'obbligo di adottare piani di sviluppo destinati a ridurre la percentuale di alloggi pubblici familiari in aree residenziali caratterizzate, tra l'altro, dal fatto che, negli ultimi cinque anni, la percentuale degli «immigrati provenienti da paesi non occidentali e dei loro discendenti» residenti in tali aree ha superato il 50% costituisca una discriminazione diretta o indiretta fondata sull'origine etnica, ai sensi di tale disposizione.
Sull'ambito di applicazione materiale della direttiva 2000/43
50. In via preliminare, occorre verificare se le controversie di cui ai procedimenti principali, nei limiti in cui riguardano il sistema danese di alloggi pubblici familiari, come disciplinato dalla legge sugli alloggi pubblici, rientrino nell'ambito di applicazione materiale della direttiva 2000/43.
51. A tale proposito, in primo luogo, dal considerando 12 di tale direttiva emerge che il legislatore dell'Unione ha considerato che, per assicurare lo sviluppo di società democratiche e tolleranti che consentano la partecipazione di tutte le persone a prescindere dalla razza o dall'origine etnica, le azioni specifiche nel campo della lotta contro le discriminazioni basate sulla razza o l'origine etnica dovrebbero in particolare coprire ambiti quali quelli citati all'articolo 3, paragrafo 1, della direttiva in parola (sentenze del 12 maggio 2011, Runevič-Vardyn e Wardyn, C‑391/09, EU:C:2011:291, punto 41, nonché del 15 novembre 2018, Maniero, C‑457/17, EU:C:2018:912, punto 35).
52. Pertanto, come la Corte ha già dichiarato, tenuto conto dell'oggetto della direttiva 2000/43 e della natura dei diritti che essa mira a salvaguardare nonché del fatto che tale direttiva costituisce l'espressione concreta, nei settori sostanziali da essa disciplinati, del principio di non discriminazione fondata sulla razza e sulle origini etniche sancito all'articolo 21 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (in prosieguo: la «Carta»), l'ambito di applicazione della direttiva in parola non può essere definito in modo restrittivo (sentenza CHEZ Razpredelenie Bulgaria, punti 42 e 72, nonché sentenza del 15 novembre 2018, Maniero, C‑457/17, EU:C:2018:912, punto 36).
53. In secondo luogo, l'articolo 3, paragrafo 1, lettera h), della direttiva 2000/43 dispone che, nei limiti dei poteri conferiti all'Unione, tale direttiva si applica a tutte le persone sia del settore pubblico che del settore privato, compresi gli organismi di diritto pubblico, per quanto attiene all'accesso a beni e servizi che sono a disposizione del pubblico e alla loro fornitura, incluso l'alloggio.
54. A tale riguardo, l'articolo 2, paragrafo 1, della direttiva 2006/123 prevede che quest'ultima si applichi ai servizi forniti da prestatori stabiliti in uno Stato membro, ove la nozione di «servizio» è definita all'articolo 4, punto 1, di tale direttiva come «qualsiasi attività economica non salariata di cui all'articolo [57 TFUE] fornita normalmente dietro retribuzione».
55. A norma dell'articolo 57 TFUE, sono considerati come «servizi», ai sensi dei trattati, le prestazioni fornite normalmente dietro retribuzione, e queste ultime comprendono, in particolare, le attività di carattere commerciale. In forza di una giurisprudenza costante della Corte, la caratteristica essenziale della retribuzione va rintracciata nella circostanza che quest'ultima costituisce il corrispettivo economico della prestazione in questione (sentenza del 23 febbraio 2016, Commissione/Ungheria, C‑179/14, EU:C:2016:108, punti 151 e 153 e giurisprudenza citata).
56. A tale riguardo, la Corte ha dichiarato che un'attività di locazione di un bene immobile svolta da una persona giuridica rientra nella nozione di «servizio», ai sensi dell'articolo 4, punto 1, della direttiva 2006/123 (v., in tal senso, sentenza del 22 settembre 2020, Cali Apartments, C‑724/18 e C‑727/18, EU:C:2020:743, punto 34).
57. Nel caso di specie, come rilevato, in sostanza, dall'avvocata generale ai paragrafi 41 e 42 delle sue conclusioni, dalle spiegazioni fornite all'udienza di discussione dall'Associazione danese per gli alloggi pubblici, dai cinque locatari della Schackenborgvænge nonché dagli undici locatari di Mjølnerparken emerge che il sistema danese di alloggi pubblici familiari è caratterizzato, in particolare, dal fatto che esso è gestito da locatori pubblici, ossia da organizzazioni senza scopo di lucro. Chiunque abbia almeno quindici anni di età potrebbe iscriversi in una lista di attesa per l'assegnazione di tali alloggi, senza condizioni di reddito. Le persone cui è attribuito un alloggio pubblico familiare sarebbero tenute a versare un canone il cui importo sarebbe inferiore al prezzo di mercato, dal momento che tale canone sarebbe destinato unicamente a coprire le spese di funzionamento e di manutenzione di detti alloggi.
58. Alla luce di tali indicazioni, che spetta al giudice del rinvio verificare, occorre constatare che la messa a disposizione di alloggi in cambio di un canone di locazione, nell'ambito di un regime come il sistema danese di alloggi pubblici familiari, deve essere considerata una prestazione di «servizi», ai sensi dell'articolo 57 TFUE e, per estensione, ai sensi dell'articolo 4, punto 1, della direttiva 2006/123, qualora si tratti di prestazioni fornite dietro retribuzione.
59. A tale riguardo, è irrilevante la circostanza che i locatori pubblici che gestiscono tale sistema siano organizzazioni senza scopo di lucro e che l'importo del canone di locazione versato dai locatari sia inferiore al prezzo di mercato.
60. Infatti, il fattore decisivo che riconduce un'attività nell'ambito di applicazione delle disposizioni del trattato FUE relative alla libera prestazione dei servizi è il suo carattere economico, ossia il fatto che l'attività non deve essere prestata senza corrispettivo. Viceversa, non occorre, a tale proposito, che il prestatore persegua lo scopo di realizzare un guadagno (sentenze del 18 dicembre 2007, Jundt, C‑281/06, EU:C:2007:816, punti 32 e 33, nonché del 23 febbraio 2016, Commissione/Ungheria, C‑179/14, EU:C:2016:108, punto 154).
61. La Corte ha altresì dichiarato che possono essere qualificati come attività economiche servizi forniti dietro retribuzione che, senza rientrare nell'esercizio di prerogative dei pubblici poteri, sono garantiti nell'interesse pubblico e senza scopo di lucro e che si trovano in concorrenza con quelli proposti da operatori che perseguono uno scopo di lucro (v., per analogia, sentenze del 6 settembre 2011, Scattolon, C‑108/10, EU:C:2011:542, punto 44 e giurisprudenza citata, nonché del 27 giugno 2017, Congregación de Escuelas Pías Provincia Betania, C‑74/16, EU:C:2017:496, punti 45 e 46 e giurisprudenza citata). Il fatto che tali servizi siano meno competitivi di analoghi servizi forniti da operatori che agiscono con fini di lucro non può impedire che le attività di cui trattasi siano considerate attività economiche (sentenze del 25 ottobre 2001, Ambulanz Glöckner, C‑475/99, EU:C:2001:577, punto 21, e dell'11 novembre 2021, Manpower Lit, C‑948/19, EU:C:2021:906, punto 39).
62. Peraltro, il fatto che una prestazione di servizi sia fornita a un prezzo inferiore al prezzo normale di mercato non è, di per sé, idoneo a ostare a che detta prestazione sia qualificata come attività economica, dato che una siffatta circostanza non è, di per sé, tale da compromettere il nesso diretto esistente tra detta prestazione e il corrispettivo economico della stessa (v., in tal senso e per analogia, sentenza del 15 aprile 2021, Administration de l'Enregistrement, des Domaines et de la TVA, C‑846/19, EU:C:2021:277, punto 43 e giurisprudenza citata).
63. In tali circostanze, poiché dal fascicolo di cui dispone la Corte emerge che il sistema danese di alloggi pubblici familiari comporta prestazioni di servizi, ai sensi dell'articolo 4, punto 1, della direttiva 2006/123, occorre constatare che esso riguarda l'accesso ai servizi e la fornitura degli stessi in materia di alloggio, ai sensi dell'articolo 3, paragrafo 1, lettera h), della direttiva 2000/43.
64. Tale constatazione non sembra poter essere messa in discussione dall'articolo 2, paragrafo 2, lettera j), della direttiva 2006/123, ai sensi del quale quest'ultima non si applica ai servizi sociali riguardanti gli alloggi popolari. Infatti, interpretata alla luce del considerando 27 della direttiva in parola, tale disposizione significa che detta direttiva non si applica alle attività essenziali per garantire il diritto fondamentale alla dignità umana, volte ad evitare il rischio di emarginazione delle persone che ne beneficiano e che costituiscono in tal senso una manifestazione dei principi di coesione e solidarietà sociale (v., in tal senso, sentenza dell'11 luglio 2013, Femarbel, C‑57/12, EU:C:2013:517, punti 42 e 43), attività che in realtà non possono essere qualificate come «economiche».
65. Nel caso di specie, tenuto conto delle caratteristiche del sistema danese di alloggi pubblici familiari esposte al punto 57 della presente sentenza, la messa a disposizione di alloggi dietro retribuzione nell'ambito di tale sistema ha natura di attività economica e non rientra pertanto nei «servizi sociali» relativi agli alloggi popolari, ai sensi dell'articolo 2, paragrafo 2, lettera j), della direttiva 2006/123.
66. Pertanto, fatte salve le verifiche di cui al punto 58 della presente sentenza, alle quali spetta al giudice del rinvio procedere, si deve ritenere che il sistema danese di alloggi pubblici familiari verta su un settore rientrante nell'ambito di applicazione della direttiva 2006/123, il che è sufficiente per constatare l'applicabilità, nell'ambito di tale sistema, della direttiva 2000/43 ai sensi dell'articolo 3, paragrafo 1, di quest'ultima.
67. Ne consegue che le controversie di cui al procedimento principale rientrano nell'ambito di applicazione materiale della direttiva 2000/43.
Sull'esistenza di una discriminazione diretta fondata sull'origine etnica, ai sensi dell'articolo 2, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2000/43
68. L'articolo 2, paragrafo 1, della direttiva 2000/43 concretizza il principio della parità di trattamento nel senso che quest'ultima comporta che non sia praticata alcuna discriminazione diretta o indiretta a causa della razza o dell'origine etnica.
69. Nei limiti in cui, con le sue questioni, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se una normativa nazionale come quella di cui trattasi nel procedimento principale, basata su un criterio relativo agli «immigrati provenienti da paesi non occidentali e [ai] loro discendenti», costituisca una discriminazione diretta o indiretta fondata sull'origine etnica, ai sensi dell'articolo 2, paragrafo 2, lettere a) e b), di tale direttiva, occorre iniziare esaminando se l'impiego di tale criterio all'articolo 61 a, paragrafo 2, della legge sugli alloggi pubblici possa costituire una discriminazione diretta, ai sensi dell'articolo 2 di detta direttiva.
70. L'articolo 2, paragrafo 2, lettera a), della medesima direttiva precisa che, ai fini dell'applicazione del paragrafo 1 di tale articolo, sussiste discriminazione diretta quando, a causa della sua razza od origine etnica, una persona è trattata meno favorevolmente di quanto un'altra persona in una situazione analoga sia, sia stata o sarebbe trattata.
Sulla nozione di «origine etnica», ai sensi della direttiva 2000/43
71. La nozione di «origine etnica» non è definita nella direttiva 2000/43.
72. Ciò posto, la Corte ha già dichiarato che la nozione di «origine etnica», ai sensi di tale direttiva, deriva dall'idea che i gruppi sociali sono caratterizzati in particolare da una comunanza di nazionalità, fede religiosa, lingua, origine culturale e tradizionale e ambiente di vita (sentenza CHEZ Razpredelenie Bulgaria, punto 46, e sentenza del 6 aprile 2017, Jyske Finans, C‑668/15, EU:C:2017:278, punto 17).
73. Emerge altresì dalla giurisprudenza della Corte, da un lato, che, poiché l'elenco di criteri elencati al punto precedente della presente sentenza è introdotto dal termine «in particolare», esso non ha carattere esaustivo e, dall'altro, che un'origine etnica non può essere determinata sulla base di un solo criterio, ma deve, al contrario, basarsi su una serie di elementi, alcuni dei quali sono di natura oggettiva e altri di natura soggettiva (v., in tal senso, sentenza del 6 aprile 2017, Jyske Finans, C‑668/15, EU:C:2017:278, punti 18 e 19).
74. Ne consegue che, in assenza di una definizione della nozione di «origine etnica» nella direttiva 2000/43, i contorni di tale nozione devono essere delimitati sulla base di una combinazione di criteri come quelli di cui al punto 72 della presente sentenza.
75. A tal fine, occorre tener conto dell'obiettivo perseguito da tale direttiva nonché del contesto in cui si inserisce detta nozione.
76. Infatti, secondo una costante giurisprudenza, dalla necessità di garantire tanto l'applicazione uniforme del diritto dell'Unione quanto il principio di uguaglianza discende che i termini di una disposizione del diritto dell'Unione, la quale non contenga alcun rinvio espresso al diritto degli Stati membri ai fini della determinazione del proprio significato e della propria portata, devono di norma essere oggetto, nell'intera Unione, di un'interpretazione autonoma ed uniforme, da effettuarsi tenendo conto non soltanto della formulazione della medesima, ma anche del suo contesto e degli obiettivi perseguiti dalla normativa di cui essa fa parte [sentenze del 18 gennaio 1984, Ekro, 327/82, EU:C:1984:11, punto 11, e dell'8 aprile 2025, Procura europea (Controllo giurisdizionale degli atti procedurali), C‑292/23, EU:C:2025:255, punto 51].
77. Per quanto riguarda, in primo luogo, l'obiettivo perseguito dalla direttiva 2000/43, dal suo articolo 1 emerge che essa mira a stabilire un quadro per la lotta alle discriminazioni fondate sulla razza o l'origine etnica, al fine di rendere effettivo negli Stati membri il principio della parità di trattamento. Inoltre, come enunciato dal considerando 28 di tale direttiva, quest'ultima ha l'obiettivo di garantire un elevato livello di protezione contro la discriminazione fondata su tali motivi in tutti gli Stati membri.
78. Per quanto riguarda, in secondo luogo, il contesto in cui si inserisce la nozione di «origine etnica», ai sensi della direttiva 2000/43 e, in particolare, dell'articolo 2 di quest'ultima, occorre ricordare, sotto un primo profilo, che, come già rilevato al punto 52 della presente sentenza, tale direttiva costituisce l'espressione concreta, nei settori sostanziali da essa coperti, del principio di non discriminazione fondata sulla razza e sull'origine etnica sancito all'articolo 21 della Carta. Secondo le spiegazioni relative alla Carta dei diritti fondamentali (GU 2007, C 303, pag. 17), l'articolo 21, paragrafo 1, di quest'ultima si ispira, in particolare, all'articolo 14 della CEDU e, nella misura in cui coincide con quest'ultimo, si applica in conformità dello stesso.
79. A tale riguardo, dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo relativa all'articolo 14 della CEDU, che vieta qualsiasi discriminazione fondata in particolare sulla razza, risulta che la discriminazione fondata sull'origine etnica di una persona costituisce una forma di discriminazione razziale e che quest'ultima costituisce una forma di discriminazione particolarmente odiosa che, tenuto conto della pericolosità delle sue conseguenze, richiede una vigilanza speciale e una reazione vigorosa da parte delle autorità. Queste ultime devono ricorrere a tutti i mezzi di cui dispongono per combattere il razzismo, rafforzando così la concezione democratica della società (Corte EDU, 13 novembre 2007, D.H. e altri c. Repubblica ceca, CE:ECHR:2007:1113JUD005732500, § 176, nonché Corte EDU, 20 febbraio 2024, Wa Baile c. Svizzera, CE:ECHR:2024:0220JUD004386818, § 90).
80. Sotto un secondo profilo, il considerando 3 della direttiva 2000/43 ricorda che il diritto di ogni individuo all'uguaglianza dinanzi alla legge e alla protezione contro la discriminazione costituisce un diritto universale riconosciuto da diversi accordi internazionali, tra i quali figura la Convenzione internazionale sull'eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale, adottata il 21 dicembre 1965, che è stata firmata da tutti gli Stati membri e di cui occorre pertanto tenere debitamente conto. Ai sensi dell'articolo 1 di tale convenzione, «l'espressione "discriminazione razziale" sta ad indicare ogni distinzione, esclusione, restrizione o preferenza basata sulla razza, il colore, l'ascendenza o l'origine nazionale o etnica», cosicché la discriminazione fondata sull'origine etnica di una persona costituisce una forma di discriminazione razziale ai sensi di detta convenzione (v., in tal senso, sentenza CHEZ Razpredelenie Bulgaria, punto 73).
81. Sotto un terzo profilo, come emerge sia dal considerando 13 della direttiva 2000/43, sia dall'articolo 3, paragrafo 2, della stessa, quest'ultima non comprende le differenze di trattamento basate sulla nazionalità, dal momento che la nazionalità di una persona non può, di per sé, fondare una presunzione di appartenenza a un determinato gruppo etnico.
82. Tale disposizione non può, tuttavia, ostare a che la nazionalità o taluni criteri sottesi alla sua attribuzione siano presi in considerazione, tra altri fattori, ai fini della delimitazione dei contorni della nozione di «origine etnica». Infatti, dall'elenco dei criteri relativi a tale nozione di cui al punto 72 della presente sentenza emerge che la «comunanza di nazionalità» è uno degli elementi che, unitamente ad altri, può consentire di concludere nel senso dell'appartenenza a un gruppo etnico.
83. Parimenti, il criterio del paese di nascita di una persona può costituire uno dei fattori specifici che consentono di concludere nel senso dell'appartenenza di tale persona a un gruppo etnico (v., in tal senso, sentenza del 6 aprile 2017, Jyske Finans, C‑668/15, EU:C:2017:278, punto 18).
84. Infatti, il paese di nascita di una persona può presentare un legame con la nazionalità, la fede religiosa, la lingua, l'origine culturale e tradizionale o, ancora, l'ambiente di vita di tale persona e costituire, quindi, uno degli elementi che possono essere presi in considerazione al fine di determinare l'appartenenza di una persona a un gruppo etnico, purché esso faccia parte di una serie di elementi relativi alla nozione di «origine etnica».
85. Per contro, il criterio del paese di nascita di una persona non può, di per sé, fondare una presunzione di appartenenza ad un determinato gruppo etnico. Infatti, non si può presumere che in ciascuno Stato sovrano esista una, ed una sola, origine etnica (sentenza del 6 aprile 2017, Jyske Finans, C‑668/15, EU:C:2017:278, punto 21).
86. Di conseguenza, sebbene né il criterio della nazionalità di una persona né quello del paese di nascita di quest'ultima siano sufficienti, di per sé, a fondare una siffatta presunzione di appartenenza a un gruppo etnico, sia l'uno che l'altro possono essere presi in considerazione, in combinazione con altri elementi, al fine di valutare l'esistenza di una discriminazione diretta fondata sull'«origine etnica», ai sensi della direttiva 2000/43.
Sulla nozione di «discriminazione diretta» ai sensi della direttiva 2000/43
87. Come sottolineato al punto 70 della presente sentenza, una differenza di trattamento deve essere qualificata come «discriminazione diretta» fondata sull'origine etnica, ai sensi dell'articolo 2, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2000/43, qualora, a causa della sua razza od origine etnica, una persona è trattata meno favorevolmente di quanto un'altra persona in una situazione analoga sia, sia stata o sarebbe trattata. Nel caso di specie, occorre pertanto stabilire, in un primo momento, se la normativa nazionale di cui trattasi nel procedimento principale stabilisca una differenza di trattamento basata sull'origine etnica e, in caso affermativo, esaminare, in un secondo momento, se tale differenza di trattamento conduca a sfavorire talune persone rispetto ad altre, che si trovano in una situazione analoga.
88. Per quanto riguarda, in un primo momento, la condizione relativa al fatto che una differenza di trattamento sia stata istituita «a causa dell'origine etnica», occorre rilevare che dalla legge sugli alloggi pubblici, e in particolare dagli articoli 168 a e 168 b di quest'ultima, emerge che l'obbligo di adottare un piano di sviluppo destinato a ridurre la percentuale di alloggi pubblici familiari si applica alle «aree in trasformazione», ai sensi di tale legge. Queste ultime sono definite all'articolo 61 a, paragrafo 4, di detta legge come aree residenziali che, negli ultimi cinque anni, hanno soddisfatto le condizioni menzionate in tale articolo 61 a, paragrafo 2. Quest'ultima disposizione definisce le «società parallele» come corrispondenti alle aree residenziali che, da un lato, soddisfano almeno due dei criteri socioeconomici e, dall'altro, hanno una percentuale di «immigrati provenienti da paesi non occidentali e dei loro discendenti» superiore al 50%.
89. La legge sugli alloggi pubblici introduce quindi una differenza di trattamento tra tali aree residenziali e quelle che soddisfano, nel corso degli ultimi cinque anni, almeno due di tali criteri socioeconomici, ma in cui la percentuale degli «immigrati provenienti da paesi non occidentali e dei loro discendenti» non ha superato il 50%. Infatti, per queste ultime zone, denominate «aree residenziali vulnerabili», tale legge non impone l'obbligo di adottare un siffatto piano di sviluppo né, di conseguenza, di ridurre la percentuale di alloggi pubblici familiari.
90. Nel caso di specie, detti criteri socioeconomici non sembrano presentare alcun nesso diretto con l'origine etnica dei residenti di aree in trasformazione. Il giudice del rinvio dovrà quindi stabilire se la presa in considerazione di un quinto criterio, legato alla percentuale degli «immigrati provenienti da paesi non occidentali e dei loro discendenti», consenta o meno di ritenere che la legge sugli alloggi pubblici istituisca una differenza di trattamento fondata sull'origine etnica.
91. In tale contesto, occorre sottolineare che quest'ultimo criterio svolge un ruolo che sembra preponderante ai fini dell'individuazione delle aree in trasformazione. Infatti, anche quando, in una determinata zona residenziale, tutti i criteri socioeconomici sono soddisfatti per un periodo di cinque anni, circostanza che tende a dimostrare l'esistenza di una situazione socioeconomica problematica, la legge sugli alloggi pubblici non obbliga ad adottare un piano di sviluppo se, in tale zona abitativa, la percentuale degli «immigrati provenienti da paesi non occidentali e dei loro discendenti» non supera il 50%. Per contro, in presenza di una percentuale di «immigrati provenienti da paesi non occidentali e dei loro discendenti» superiore al 50%, è sufficiente che due dei quattro criteri socioeconomici siano soddisfatti perché l'area in questione sia classificata come «area in trasformazione» e che, di conseguenza, si applichi l'obbligo di adottare un piano di sviluppo per quest'ultima.
92. Di conseguenza, la differenza di trattamento di cui trattasi nel procedimento principale sembra basarsi principalmente sul criterio degli «immigrati provenienti da paesi non occidentali e dei loro discendenti», ai sensi della legge sugli alloggi pubblici.
93. Conformemente a quanto esposto al punto 87 della presente sentenza, occorre pertanto esaminare se tale criterio degli «immigrati provenienti da paesi non occidentali e dei loro discendenti» stabilisca una differenza di trattamento fondata sull'origine etnica, ai sensi dell'articolo 2, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2000/43.
94. Poiché detto criterio è previsto dal diritto danese, spetta al giudice del rinvio pronunciarsi al riguardo.
95. Infatti, secondo costante giurisprudenza, nell'ambito di un procedimento instaurato ai sensi dell'articolo 267 TFUE, l'interpretazione delle disposizioni nazionali incombe ai giudici degli Stati membri e non alla Corte, e non spetta a quest'ultima pronunciarsi sulla compatibilità di norme di diritto interno con le disposizioni del diritto dell'Unione. Tuttavia, la Corte è competente a fornire al giudice nazionale tutti gli elementi interpretativi attinenti al diritto dell'Unione che gli consentano di valutare la compatibilità di tali norme con la normativa dell'Unione (sentenze del 17 dicembre 1981, Frans-Nederlandse Maatschappij voor Biologische Producten, 272/80, EU:C:1981:312, punto 9; del 30 novembre 1995, Gebhard, C‑55/94, EU:C:1995:411, punto 19, nonché del 30 novembre 2023, Ministero dell'Istruzione e INPS, C‑270/22, EU:C:2023:933, punto 43).
96. A tale riguardo, anzitutto, dalla decisione di rinvio emerge che la nozione di «immigrato», ai sensi della legge sugli alloggi pubblici, corrisponde a una persona nata all'estero e di cui nessuno dei genitori è allo stesso tempo nato in Danimarca e cittadino danese.
97. Inoltre, la nozione di «discendente» corrisponde, secondo la decisione di rinvio, a una persona nata in Danimarca e di cui nessuno dei genitori è allo stesso tempo nato in Danimarca e cittadino danese, o i cui genitori, pur essendo nati in Danimarca e avendo ottenuto la nazionalità danese, mantengono entrambi anche una nazionalità straniera.
98. Infine, la nozione di «paesi occidentali» comprenderebbe gli Stati membri dell'Unione, Andorra, l'Islanda, il Liechtenstein, Monaco, la Norvegia, il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, San Marino, la Svizzera, lo Stato della Città del Vaticano, il Canada, gli Stati Uniti, l'Australia e la Nuova Zelanda. Tutti i paesi diversi da quelli sopra menzionati sarebbero pertanto considerati «paesi non occidentali».
99. Orbene, come sottolineato ai punti 81 e 85 della presente sentenza, i criteri relativi al paese di nascita della persona interessata, così come al paese di nascita e alla nazionalità dei suoi genitori, non sono sufficienti, considerati isolatamente, per stabilire l'appartenenza a un gruppo etnico. Ciascuno di tali criteri può, di conseguenza, essere considerato neutro al riguardo.
100. Tuttavia, come riconosciuto dal governo danese nelle sue osservazioni scritte, il criterio generale degli «immigrati provenienti da paesi non occidentali e dei loro discendenti» si basa non già sul solo criterio del paese di nascita di una determinata persona e dei suoi genitori né sul solo criterio della nazionalità di questi ultimi, bensì su una combinazione complessa di tali criteri. Infatti, da un lato, si terrebbe conto del paese di nascita della persona interessata, così come del paese di nascita e della nazionalità dei suoi genitori. Dall'altro lato, occorrerebbe stabilire se il paese o i paesi in cui tutte queste persone sono nate e/o di cui hanno la nazionalità siano considerati «paesi non occidentali».
101. Occorre inoltre aggiungere, in primo luogo, che il solo fatto che un criterio generale come quello degli «immigrati provenienti da paesi non occidentali e loro discendenti» possa essere considerato come riferito a più origini etniche non può essere sufficiente, in quanto tale, ad escludere che un siffatto criterio generale si fondi sull'origine etnica delle persone interessate.
102. Sarebbe infatti contrario all'effetto utile della direttiva 2000/43 che l'obiettivo della lotta alle discriminazioni fondate sulla razza o l'origine etnica, quale previsto al suo articolo 1, non si applichi qualora più gruppi etnici siano oggetto di una stessa discriminazione.
103. A tale riguardo, al punto 28 della sentenza del 10 luglio 2008, Feryn (C‑54/07, EU:C:2008:397), che riguardava una causa in cui il direttore di un'impresa aveva dichiarato pubblicamente che quest'ultima rifiutava di assumere «alloctoni», ossia un termine antonimo di «autoctoni» ed equivalente, in sostanza, a «stranieri» o a «immigrati», la Corte ha dichiarato che il fatto che un datore di lavoro, dichiarasse pubblicamente che non avrebbe assunto lavoratori dipendenti aventi una determinata origine etnica o razziale configurava una discriminazione diretta, ai sensi dell'articolo 2, paragrafo 2, lettera a), di tale direttiva. La Corte non ha pertanto escluso che una nozione ampia come quella di «alloctoni», riguardante in sostanza tutti gli stranieri, possa riferirsi alla razza o all'origine etnica, ai sensi di detta direttiva.
104. In tali circostanze, la portata della direttiva 2000/43 non può essere limitata alla lotta alle discriminazioni riguardanti un solo gruppo etnico.
105. In secondo luogo, il contesto che ha accompagnato l'adozione di un criterio generale come quello degli «immigrati provenienti da paesi non occidentali e dei loro discendenti», quale chiarito dai lavori preparatori della normativa in cui tale criterio si inserisce, può parimenti contenere elementi pertinenti al fine di determinare se tale normativa operi una differenza di trattamento basata sull'origine etnica. Pertanto, nel caso di specie, possono essere pertinenti al riguardo lavori preparatori come quelli menzionati nella decisione di rinvio e riprodotti ai punti 18 e 20 della presente sentenza.
106. A tale riguardo, occorre ricordare che la Corte ha dichiarato che, affinché sussista una discriminazione diretta ai sensi dell'articolo 2, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2000/43, è sufficiente che una considerazione legata all'origine etnica abbia determinato la decisione di porre in essere una differenza di trattamento (v., in tal senso, sentenza CHEZ Razpredelenie Bulgaria, punto 76).
107. In terzo luogo, la sola circostanza che i residenti delle aree in trasformazione comprendano anche persone che non siano «immigrati provenienti da paesi non occidentali e loro discendenti» non è idonea a escludere che si possa considerare che una normativa nazionale come quella di cui trattasi nel procedimento principale sia stata adottata sulla base dell'origine etnica (v., in tal senso, sentenza CHEZ Razpredelenie Bulgaria, punto 75).
108. Infine, in quarto luogo, l'impiego della nozione di «paesi non occidentali» non sembra ostare, fatta salva una verifica da parte del giudice del rinvio, a che il criterio generale degli «immigrati provenienti da paesi non occidentali e dei loro discendenti» possa riferirsi a persone il cui luogo di nascita e/o il luogo di nascita dei loro genitori si trovi in un «paese occidentale», o persone la cui nazionalità e/o nazionalità dei loro genitori sia quella di un siffatto «paese occidentale».
109. Una circostanza del genere non può tuttavia, di per sé, essere sufficiente ad escludere che la combinazione complessa di criteri menzionata al punto 100 della presente sentenza possa sfociare in una differenza di trattamento basata sull'origine etnica.
110. Come ricordato al punto 87 della presente sentenza, se il giudice del rinvio, al termine di tutte le verifiche che gli spetta effettuare, giunge alla conclusione che il criterio generale degli «immigrati provenienti da paesi non occidentali e dei loro discendenti», ai sensi della legge sugli alloggi pubblici, stabilisce una differenza di trattamento basata sull'origine etnica, spetterà al medesimo verificare, in un secondo momento, se tale legge comporti che talune persone siano trattate in modo meno favorevole rispetto ad altre persone che si trovino in una situazione analoga.
111. Infatti, l'articolo 2, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2000/43 prevede, oltre alla condizione relativa al fatto che sia stata istituita una differenza di trattamento «a causa dell'origine etnica», altre due condizioni relative, rispettivamente, all'esistenza di un «trattamento meno favorevole» e all'«analogia» delle situazioni esaminate.
112. Occorre ricordare che il requisito relativo all'«analogia» delle situazioni al fine di determinare la sussistenza di una violazione del principio della parità di trattamento deve essere valutato alla luce di tutti gli elementi che le caratterizzano (sentenza CHEZ Razpredelenie Bulgaria, punto 89 e giurisprudenza citata).
113. Nel caso di specie, i locatari di alloggi pubblici familiari residenti in aree in trasformazione sembrano trovarsi, per quanto riguarda il loro contratto di locazione, in una situazione analoga a quella dei locatari che beneficiano di un contratto di locazione simile in aree residenziali vulnerabili che, negli ultimi cinque anni, hanno soddisfatto almeno due dei criteri socioeconomici, ma in cui la percentuale degli «immigrati provenienti da paesi non occidentali e dei loro discendenti» non ha superato il 50%.
114. Quanto all'esistenza di un «trattamento meno favorevole», il giudice del rinvio dovrà esaminare le conseguenze che, per tutti i residenti di un'area residenziale, derivano dalla designazione di quest'ultima come «area in trasformazione».
115. A tale riguardo, occorre ricordare che gli articoli 168 a e 168 b della legge sugli alloggi pubblici impongono l'obbligo di adottare un piano di sviluppo che deve mirare a ridurre, entro il 1° gennaio 2030, la quota degli alloggi pubblici familiari a un massimo del 40% di tutti gli alloggi nell'area in trasformazione interessata.
116. Prevedendo un siffatto obbligo, tale legge sembra avere l'effetto di esporre tutti i residenti delle aree in trasformazione ad un rischio aggravato di risoluzione anticipata del loro contratto di locazione e, di conseguenza, di perdita del loro alloggio.
117. Risulta infatti, con riserva di verifica da parte del giudice del rinvio, che la stessa legge sugli alloggi pubblici prevede che la risoluzione anticipata dei contratti di locazione sia una delle conseguenze che possono derivare dall'approvazione di un piano di sviluppo per un'area in trasformazione.
118. Così, dal fascicolo di cui dispone la Corte emerge che, quando l'attuazione di un siffatto piano è realizzata mediante la cessione di alloggi a un acquirente privato, l'articolo 27, paragrafo 4, di tale legge prevede che l'approvazione di una siffatta cessione da parte del ministro competente sia subordinata alla condizione che siano risolti i contratti di locazione dei locatari che non soddisfano i criteri che il consiglio comunale è tenuto ad approvare conformemente all'articolo 27 c, paragrafo 1, di detta legge.
119. Analogamente, l'articolo 27 c, paragrafo 3, della medesima legge dispone che se un bene locativo è concesso in locazione in violazione di tali criteri, il consiglio comunale impone al locatore l'obbligo di risolvere il contratto di locazione.
120. In tali circostanze, i residenti delle aree in trasformazione sembrano correre un rischio aggravato di risoluzione anticipata dei loro contratti di locazione, mentre i residenti delle aree residenziali vulnerabili, caratterizzate dall'esistenza di una situazione socioeconomica problematica quanto meno comparabile a quella esistente nelle aree in trasformazione, non sono esposti a un tale rischio.
121. Orbene, occorre sottolineare che il diritto al rispetto del domicilio è un diritto fondamentale garantito all'articolo 7 della Carta, che contiene diritti corrispondenti a quelli garantiti all'articolo 8, paragrafo 1, della CEDU e che deve, di conseguenza, conformemente all'articolo 52, paragrafo 3, della Carta, vedersi riconosciuto lo stesso significato e la stessa portata di questi ultimi (v., in tal senso, sentenza del 4 ottobre 2024, Mirin, C‑4/23, EU:C:2024:845, punto 63 e giurisprudenza citata).
122. A tale riguardo, dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo emerge che la perdita di un alloggio costituisce una delle più gravi violazioni del diritto al rispetto del domicilio. Infatti, una siffatta perdita pone la persona interessata e la sua famiglia in una situazione particolarmente fragile (v., in tal senso, Corte EDU, 13 maggio 2008, McCann c. Regno Unito, CE:ECHR:2008:0513JUD001900904, § 50, nonché sentenza del 10 settembre 2014, Kušionová, C‑34/13, EU:C:2014:2189, punti 63 e 64).
123. Ne consegue che il rischio aggravato individuato al punto 120 della presente sentenza può costituire un «trattamento meno favorevole», ai sensi dell'articolo 2, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2000/43.
124. Occorre ancora precisare che, ai fini della valutazione dell'esistenza di un siffatto trattamento meno favorevole, non rileva che i criteri in base ai quali sono scelti individualmente i contratti di locazione da risolvere includano o meno il criterio degli «immigrati provenienti da paesi non occidentali e dei loro discendenti». Infatti, una siffatta circostanza non sarebbe idonea a rimettere in discussione l'esistenza di un rischio aggravato di risoluzione anticipata di tali contratti di locazione.
125. Inoltre, sarebbe parimenti irrilevante, a tal fine, la questione se i locatari i cui contratti di locazione sono stati risolti siano o meno «immigrati provenienti da paesi non occidentali e loro discendenti». Infatti, la Corte ha già dichiarato che il principio della parità di trattamento che la direttiva 2000/43 mira ad attuare si applica non in relazione a una determinata categoria di persone, bensì sulla scorta dei motivi indicati all'articolo 1 di tale direttiva, cosicché esso può giovare anche a coloro che, seppure non appartenenti essi stessi alla razza o al gruppo etnico interessato, subiscono tuttavia un trattamento meno favorevole o un particolare svantaggio per uno di tali motivi (v., in tal senso, sentenza CHEZ Razpredelenie Bulgaria, punto 56 e giurisprudenza citata).
126. Infine, per valutare l'esistenza o meno di un «trattamento meno favorevole», ai sensi dell'articolo 2, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2000/43, derivante dalla classificazione di un'area residenziale come «area in trasformazione», il giudice del rinvio potrebbe altresì esaminare se, come è stato sostenuto da alcune delle parti e degli interessati che hanno presentato osservazioni scritte, la denominazione stessa di «area in trasformazione», da cui deriva, per i residenti di tali zone, un rischio aggravato di recesso anticipato dal loro contratto di locazione, che ha sostituito quello di «area ghettizzata difficile», presenti, a livello nazionale, un carattere offensivo e stigmatizzante (v., in tal senso, sentenza CHEZ Razpredelenie Bulgaria, punto 87).
127. In tale contesto, detto giudice potrebbe altresì valutare se talune affermazioni contenute nei diversi lavori preparatori menzionati nella decisione di rinvio e citate ai punti da 17 a 20 della presente sentenza siano tali da suggerire che la normativa nazionale di cui trattasi si basa su stereotipi o pregiudizi relativi agli «immigrati provenienti da paesi non occidentali e [ai] loro discendenti», o addirittura, come affermato dall'avvocata generale, in sostanza, al paragrafo 152 delle sue conclusioni, contribuisce a perpetuare siffatti stereotipi e pregiudizi.
128. Occorre inoltre rilevare che, se il giudice del rinvio dovesse concludere per l'esistenza di una presunzione di discriminazione diretta fondata sull'origine etnica, l'effettiva attuazione del principio della parità di trattamento richiederebbe che l'onere della prova gravi, in particolare, sul Ministero degli Affari sociali, dell'Alloggio e della Terza Età, il quale dovrebbe, conformemente alla norma prevista all'articolo 8, paragrafo 1, della direttiva 2000/43, dimostrare che non vi è stata una violazione di tale principio e che l'adozione della legge sugli alloggi pubblici, nella parte in cui definisce le aree in trasformazione e prevede l'obbligo di adottare piani di sviluppo per tali aree, non è affatto fondata sulle origini etniche della maggioranza degli abitanti di dette zone, ma è basata esclusivamente su fattori obiettivi ed estranei a qualsiasi discriminazione fondata sull'origine etnica (v., in tal senso, sentenza CHEZ Razpredelenie Bulgaria, punto 85 e giurisprudenza citata).
129. Tenuto conto dei motivi che precedono, si deve constatare che l'articolo 2, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2000/43 deve essere interpretato nel senso che una normativa nazionale che prevede l'obbligo di adottare piani di sviluppo destinati a ridurre la percentuale di alloggi pubblici familiari in aree residenziali caratterizzate, tra l'altro, dal fatto che, negli ultimi cinque anni, la percentuale degli «immigrati provenienti da paesi non occidentali e dei loro discendenti» residenti in tali aree ha superato il 50%, costituisce una discriminazione diretta, ai sensi di tale disposizione, qualora risulti che l'adozione di tale normativa nazionale è fondata sulle origini etniche della maggioranza degli abitanti di dette aree residenziali e che detta normativa nazionale ha come conseguenza che tutti gli abitanti delle stesse siano oggetto di un trattamento meno favorevole rispetto a quello di cui sono oggetto gli abitanti di aree residenziali comparabili, ma in cui la percentuale di tali «immigrati provenienti da paesi non occidentali e dei loro discendenti» non ha superato il 50%.
Sull'esistenza di una discriminazione indiretta, ai sensi dell'articolo 2, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2000/43
130. Nell'ipotesi in cui il giudice del rinvio giungesse alla conclusione che la normativa nazionale di cui trattasi nel procedimento principale non costituisce una discriminazione diretta ai sensi dell'articolo 2, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2000/43, esso dovrà ancora esaminare se tale normativa possa costituire una discriminazione indiretta ai sensi di tale articolo 2, paragrafo 2, lettera b).
131. Ai sensi di detto articolo 2, paragrafo 2, lettera b), sussiste discriminazione indiretta quando una disposizione, un criterio o una prassi apparentemente neutri possono mettere persone di una determinata razza od origine etnica in una posizione di particolare svantaggio rispetto ad altre persone, a meno che tale disposizione, criterio o prassi siano oggettivamente giustificati da una finalità legittima e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari.
132. Per quanto riguarda, in primo luogo, l'esistenza di una disposizione, di un criterio o di una prassi «apparentemente neutri», la Corte ha dichiarato che tale condizione implica che la disposizione, il criterio o la prassi in questione debbano essere formulati o applicati, in apparenza, in modo neutro, ossia in considerazione di fattori diversi dalla caratteristica protetta e ad essa non equivalenti (v., in tal senso, sentenza CHEZ Razpredelenie Bulgaria, punti 93 e 109).
133. In secondo luogo, occorre ricordare che, qualora risulti che una misura che genera una differenza di trattamento che comporti un trattamento meno favorevole è stata adottata per ragioni connesse alla razza o all'origine etnica, una misura siffatta deve essere qualificata come discriminazione diretta, ai sensi dell'articolo 2, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2000/43. Al contrario, una discriminazione indiretta fondata sulla razza o sull'origine etnica non richiede che una motivazione di questo tipo si trovi alla base dalla misura di cui trattasi. Infatti, affinché una misura possa ricadere nell'ambito di applicazione dell'articolo 2, paragrafo 2, lettera b), di tale direttiva, è sufficiente che, pur informandosi a criteri neutri non fondati sulla caratteristica protetta, quest'ultima misura possa svantaggiare in modo particolare le persone che possiedono tale caratteristica (v., in tal senso, sentenza CHEZ Razpredelenie Bulgaria, punti 95 e 96 e giurisprudenza citata).
134. In terzo luogo, e per quanto riguarda la condizione prevista da tale articolo 2, paragrafo 2, lettera b), secondo cui la misura di cui trattasi deve essere tale da comportare un «particolare svantaggio» per le persone di una determinata razza od origine etnica rispetto ad altre persone, la Corte ha dichiarato che tale condizione deve essere intesa nel senso che sono proprio le persone di una determinata origine etnica che si trovano svantaggiate per via della disposizione, del criterio o della prassi in questione (sentenza CHEZ Razpredelenie Bulgaria, punto 100, e sentenza del 15 novembre 2018, Maniero, C‑457/17, EU:C:2018:912, punto 47).
135. Ciò premesso, la disposizione, il criterio o la prassi in questione non devono necessariamente avere l'effetto di svantaggiare una sola origine etnica in particolare.
136. Infatti, come rilevato dall'Istituto per i diritti umani e dalla Commissione europea nelle loro osservazioni scritte, mentre varie versioni linguistiche dell'articolo 2, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2000/43 contengono un termine corrispondente al termine in lingua danese «bestemt» («dato» o «determinato»), altre versioni linguistiche di tale disposizione non contengono un siffatto termine, ma evocano semplicemente un'«origine etnica» o un'«etnia», senza ulteriori precisazioni.
137. Pertanto, un'interpretazione di detta disposizione secondo la quale una discriminazione indiretta può essere constatata soltanto qualora una disposizione, un criterio o una prassi apparentemente neutri comporti un particolare svantaggio per un solo gruppo etnico, ad esclusione delle disposizioni, dei criteri o delle prassi che comportano svantaggi per più gruppi etnici, non trova sostegno testuale in numerose versioni linguistiche della stessa disposizione.
138. In tale contesto, conformemente a una giurisprudenza costante, la formulazione utilizzata in una delle versioni linguistiche di una disposizione del diritto dell'Unione non può essere l'unico elemento a sostegno dell'interpretazione di questa disposizione né si può attribuire ad essa un carattere prioritario rispetto alle altre versioni linguistiche. Infatti, la necessità che un atto dell'Unione sia applicato e, quindi, interpretato in modo uniforme esclude che esso sia considerato isolatamente in una delle sue versioni, ma impone che esso sia interpretato in funzione dell'impianto sistematico e della finalità della normativa di cui fa parte (sentenze del 25 marzo 2010, Helmut Müller, C‑451/08, EU:C:2010:168, punto 38, e dell'8 maggio 2025, Pielatak, C‑410/23, EU:C:2025:325, punto 58).
139. Orbene, un'interpretazione come quella di cui al punto 137 della presente sentenza sarebbe difficilmente conciliabile con gli obiettivi della direttiva 2000/43, quali menzionati al punto 77 della presente sentenza.
140. A questo proposito, occorre ricordare che, per le ragioni esposte ai punti 102 e 103 della presente sentenza, la portata di tale direttiva non può essere limitata alla lotta contro le discriminazioni riguardanti un solo gruppo etnico.
141. Infine, occorre rilevare che, come enunciato dal considerando 15 di detta direttiva, il diritto o la prassi degli Stati membri possono prevedere che l'esistenza di una discriminazione indiretta possa essere stabilita con qualsiasi mezzo, compresa l'evidenza statistica.
142. A tale riguardo, spetta al giudice nazionale valutare in quale misura i dati statistici prodotti dinanzi ad esso siano affidabili e se possano essere presi in considerazione, vale a dire se, in particolare, non riflettano fenomeni puramente fortuiti o congiunturali e se siano sufficientemente significativi [v., in tal senso, sentenza del 24 settembre 2020, YS (Pensioni aziendali del personale dirigente), C‑223/19, EU:C:2020:753, punto 51 e giurisprudenza citata].
143. Qualora, a seguito dell'esame che è tenuto ad effettuare, il giudice del rinvio concluda che la disposizione e il criterio generale di cui trattasi nel procedimento principale comportano un particolare svantaggio per le persone appartenenti a determinati gruppi etnici, ai sensi dell'articolo 2, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2000/43, esso dovrà esaminare se tale disposizione e detto criterio generale siano oggettivamente giustificati da una finalità legittima e se i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari.
144. A tale riguardo, conformemente alla giurisprudenza costante della Corte, il principio di proporzionalità impone di verificare che misure nazionali, sotto un primo profilo, siano idonee a realizzare l'obiettivo di interesse generale perseguito, sotto un secondo profilo, siano limitate allo stretto necessario, nel senso che tale obiettivo non potrebbe ragionevolmente essere raggiunto in modo altrettanto efficace con altri mezzi meno lesivi dei diritti e delle libertà garantiti agli interessati, e, sotto un terzo profilo, non siano sproporzionate rispetto a detto obiettivo, il che implica in particolare una ponderazione dell'importanza di quest'ultimo e della gravità dell'ingerenza in tali diritti e libertà (sentenza del 5 dicembre 2023, Nordic Info, C‑128/22, EU:C:2023:951, punto 77 e giurisprudenza citata).
145. Al fine di stabilire se una restrizione soddisfi tale principio di proporzionalità, spetta allo Stato membro che intenda avvalersi di un obiettivo idoneo a legittimare una restrizione ad una libertà fondamentale o ad un diritto fondamentale fornire al giudice nazionale tutti gli elementi atti a consentire a quest'ultimo di assicurarsi che la misura in discussione soddisfa effettivamente i requisiti derivanti da tale principio, tenendo presente che le giustificazioni che possono essere addotte da tale Stato membro devono essere corredate da un'analisi dell'idoneità e della necessità di tale misura per raggiungere tale obiettivo nonché da elementi precisi che consentano di suffragare l'argomentazione di detto Stato membro (sentenza del 10 luglio 2025, INTERZERO e a., C‑254/23, EU:C:2025:569, punto 101 e giurisprudenza citata).
146. Inoltre, occorre ricordare che la nozione di giustificazione oggettiva, ai sensi dell'articolo 2, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2000/43, deve essere interpretata restrittivamente (sentenza CHEZ Razpredelenie Bulgaria, punto 112).
147. Nel caso di specie, per quanto riguarda, in un primo momento, gli obiettivi perseguiti dalla legge sugli alloggi pubblici, occorre rilevare che, secondo il governo danese, gli articoli 61 a e 168 a di tale legge mirano a risolvere i problemi connessi alla formazione di «società parallele» che si sono presentati nel sistema danese di alloggi pubblici nonché a garantire un'integrazione riuscita.
148. Tale governo invoca quindi ragioni attinenti alla coesione sociale e all'integrazione dei cittadini di paesi terzi nell'ambito di tale sistema, nonché ragioni connesse alla politica degli alloggi popolari e al suo finanziamento.
149. Per quanto riguarda, in primo luogo, l'obiettivo relativo alla coesione sociale e all'integrazione, la Corte ha già dichiarato che l'obiettivo consistente nel garantire un'integrazione riuscita dei cittadini di paesi terzi, tenuto conto dell'importanza attribuita, nell'ambito del diritto dell'Unione, alle misure di integrazione, come emerge dall'articolo 79, paragrafo 4, TFUE, può costituire un motivo imperativo di interesse generale, fermo restando che l'integrazione di tali cittadini è un elemento chiave per promuovere la coesione economica e sociale, obiettivo fondamentale dell'Unione enunciato nel Trattato FUE [v., per analogia, sentenze del 12 aprile 2016, Genc, C‑561/14, EU:C:2016:247, punti 55 e 56, nonché del 22 dicembre 2022, Udlændingenævnet (Esame linguistico imposto agli stranieri), C‑279/21, EU:C:2022:1019, punti 37 e 38].
150. Tenuto conto dell'importanza di tale obiettivo fondamentale dell'Unione, gli Stati membri dispongono, in linea di principio, di un ampio margine di discrezionalità per adottare misure volte a garantire la coesione sociale e l'integrazione, ivi comprese le misure di pianificazione urbana.
151. Occorre tuttavia sottolineare che, come risulta dal punto 108 della presente sentenza, la nozione di «immigrati provenienti da paesi non occidentali e loro discendenti» comprende anche persone aventi la nazionalità di uno Stato membro, compreso il Regno di Danimarca. Pertanto, nella misura in cui si applica a cittadini di Stati membri, la normativa nazionale di cui trattasi nel procedimento principale non può essere giustificata da detto obiettivo.
152. In secondo luogo, per quanto riguarda l'obiettivo relativo al perseguimento, nell'ambito di un sistema di alloggi pubblici, di esigenze relative alla politica abitativa, la Corte ha altresì dichiarato che esigenze relative alla politica dell'edilizia popolare di uno Stato membro ed al finanziamento di questa possono anch'esse costituire motivi imperativi di interesse generale (sentenza del 1° ottobre 2009, Woningstichting Sint Servatius, C‑567/07, EU:C:2009:593, punto 30). Ciò vale anche per i requisiti che promuovono l'accesso all'alloggio per le persone vulnerabili o a basso reddito (sentenza del 27 febbraio 2025, AEON NEPREMIČNINE e a., C‑674/23, EU:C:2025:113, punto 55).
153. È vero che, nell'ambito della loro politica in materia di alloggi, anche gli Stati membri dispongono, in linea di principio, di un ampio margine di discrezionalità.
154. Ciò premesso, nel caso di specie, la normativa nazionale di cui trattasi nel procedimento principale, imponendo l'obbligo di adottare piani di sviluppo destinati a ridurre la percentuale di alloggi pubblici familiari nelle aree in trasformazione, sembra mirare a risolvere non già problemi connessi al finanziamento degli alloggi pubblici, bensì piuttosto problemi di ordine socioeconomico, relativi alla coesione sociale e all'integrazione, esistenti in tali zone. Di conseguenza, in considerazione dei motivi imperativi di interesse generale invocati dal governo danese, menzionati al punto 147 della presente sentenza, si deve ritenere che l'obiettivo relativo alla politica abitativa si inserisca nel più ampio contesto dell'obiettivo relativo alla coesione sociale e all'integrazione.
155. Del resto, dato che tali piani di sviluppo possono portare alla perdita di un alloggio, essi non sembrano poter essere giustificati dall'obiettivo di promuovere l'accesso all'alloggio per talune categorie di persone.
156. In terzo luogo, anche se la normativa di cui trattasi nel procedimento principale può, in linea di principio, essere considerata come rientrante in un settore nel quale gli Stati membri dispongono di un ampio margine di discrezionalità, ciò non toglie che questi ultimi restano tenuti a rispettare il divieto di qualsiasi discriminazione fondata sulla razza o sull'origine etnica, sancito all'articolo 21 della Carta e concretizzato dalla direttiva 2000/43.
157. A tale riguardo, dai considerando 9, 12 e 13 di tale direttiva emerge, da un lato, che le discriminazioni basate sulla razza o l'origine etnica possono pregiudicare il conseguimento degli obiettivi del Trattato FUE, in particolare il raggiungimento di un elevato livello di occupazione e di protezione sociale, il miglioramento del tenore e della qualità della vita, la coesione economica e sociale e la solidarietà, e possono anche compromettere l'obiettivo di sviluppare l'Unione quale spazio di libertà, sicurezza e giustizia e, dall'altro, che la proibizione di qualsiasi discriminazione di questo tipo che detta direttiva istituisce nei settori da essa disciplinati mira in particolare ad assicurare lo sviluppo di società democratiche e tolleranti che consentano la partecipazione di tutte le persone, indipendentemente dalla razza o dall'origine etnica (sentenza CHEZ Razpredelenie Bulgaria, punto 74).
158. Per quanto riguarda, in un secondo momento, la questione se la normativa di cui trattasi nel procedimento principale rispetti il principio di proporzionalità, occorre esaminare, in primo luogo, se le misure da essa previste siano idonee a realizzare l'obiettivo imperativo di interesse generale perseguito da tale normativa.
159. A tale riguardo, l'adozione di piani di sviluppo volti a risolvere problemi di ordine socioeconomico che colpiscono in particolare talune aree residenziali può essere considerata, in linea di principio, una misura idonea a conseguire l'obiettivo di promuovere la coesione sociale e l'integrazione.
160. Ciò premesso, come rilevato, in sostanza, dall'avvocata generale ai paragrafi 167 e 168 delle sue conclusioni, il giudice del rinvio dovrà stabilire se il governo danese gli abbia fornito elementi idonei a dimostrare che la misura concreta volta a ridurre la percentuale di alloggi pubblici familiari nelle aree in trasformazione sia effettivamente idonea a conseguire tale obiettivo.
161. Per quanto riguarda l'idoneità di una misura a garantire la realizzazione di un obiettivo imperativo di interesse generale, secondo costante giurisprudenza una normativa è idonea a garantire la realizzazione dell'obiettivo invocato solo se le misure da essa previste rispondono realmente all'intento di raggiungerlo e se sono attuate in modo coerente e sistematico (v., in tal senso, sentenze del 28 novembre 2023, Commune d'Ans, C‑148/22, EU:C:2023:924, punto 37 e giurisprudenza citata, nonché del 21 marzo 2024, Landeshauptstadt Wiesbaden, C‑61/22, EU:C:2024:251, punto 94 e giurisprudenza citata).
162. Nel caso di specie, si deve necessariamente constatare che, nelle aree residenziali vulnerabili, caratterizzate dall'esistenza di problemi di ordine socioeconomico quanto meno comparabili a quelli esistenti nelle aree in trasformazione, la legge sugli alloggi pubblici non obbliga ad adottare piani di sviluppo come quelli di cui trattasi nel procedimento principale. Ne consegue che, nelle aree residenziali vulnerabili, simili problemi sono affrontati, se del caso, con altri mezzi volti a garantire la coesione sociale.
163. Spetta pertanto al giudice del rinvio stabilire se, prevedendo l'obbligo di adottare siffatti piani, tale legge persegua l'obiettivo di promuovere la coesione sociale in modo coerente e sistematico, sebbene tale obbligo si applichi solo alle aree in trasformazione, in cui la percentuale degli «immigrati provenienti da paesi non occidentali e dei loro discendenti» supera il 50%, ad esclusione delle aree residenziali vulnerabili, nelle quali tale proporzione è inferiore al 50%.
164. Nell'ipotesi in cui il giudice del rinvio giungesse tuttavia alla conclusione che la normativa nazionale di cui al procedimento principale è idonea a garantire la realizzazione dell'obiettivo relativo alla coesione sociale e all'integrazione, esso sarebbe tenuto, in secondo luogo, al fine di determinare se una siffatta misura sia necessaria per raggiungere tale obiettivo, a verificare se, come hanno sostenuto più parti e interessati che hanno presentato osservazioni scritte, detto obiettivo possa essere raggiunto, in modo altrettanto efficace, con altri mezzi meno lesivi dei diritti e delle libertà garantiti alle persone interessate.
165. Supponendo che non si possa individuare nessun'altra misura altrettanto efficace, il giudice del rinvio dovrebbe ancora esaminare, in terzo luogo, la proporzionalità in senso stretto di tale normativa. Tale giudice dovrebbe quindi verificare se gli inconvenienti causati da detta normativa non siano sproporzionati rispetto agli obiettivi invocati e se quest'ultima non arrechi un pregiudizio eccessivo agli interessi legittimi dei residenti delle aree in trasformazione (v., in tal senso, sentenza CHEZ Razpredelenie Bulgaria, punto 123 e giurisprudenza citata).
166. In tale contesto, occorre ricordare, come indicato al punto 121 della presente sentenza, che il diritto al rispetto del domicilio è un diritto fondamentale garantito dall'articolo 7 della Carta.
167. Il considerando 4 della direttiva 2000/43 enuncia, peraltro, che è importante, riguardo all'accesso ai beni e ai servizi nonché alla fornitura degli stessi, ossia, come emerge dai punti 63 e 66 della presente sentenza, nel settore interessato dalla presente causa, rispettare la protezione della vita privata e familiare, vale a dire del diritto fondamentale in cui rientra la tutela del domicilio di una persona e della sua famiglia (v., in tal senso, sentenza del 24 giugno 2025, GR REAL, C‑351/23, EU:T:2025:474, punto 93).
168. Orbene, occorre precisare che obiettivi di interesse generale, quali la coesione sociale e l'integrazione, non possono essere perseguiti da una misura nazionale senza tener conto del fatto che essi devono essere conciliati con i diritti fondamentali e con i principi interessati da tale misura, quali enunciati dai Trattati e dalla Carta, e ciò effettuando una ponderazione equilibrata tra, da un lato, tali obiettivi di interesse generale e, dall'altro, i diritti e i principi in questione, al fine di garantire che gli inconvenienti causati da tale misura non siano sproporzionati rispetto a detti obiettivi. Così, la possibilità per gli Stati membri di giustificare una limitazione ai diritti garantiti dall'articolo 7 della Carta deve essere valutata misurando la gravità dell'ingerenza che una limitazione siffatta comporta, e verificando che l'importanza degli obiettivi di interesse generale perseguiti da tale limitazione sia adeguata a detta gravità (v., in tal senso, sentenza del 10 luglio 2025, INTERZERO e a., C‑254/23, EU:C:2025:569, punto 109 e giurisprudenza citata).
169. A tale riguardo, occorre ricordare che la legge sugli alloggi pubblici, prevedendo l'obbligo di adottare piani di sviluppo per le aree in trasformazione, sembra comportare, per i residenti di queste ultime, un rischio aggravato di risoluzione anticipata dei loro contratti di locazione e, di conseguenza, di perdita del loro alloggio.
170. Orbene, come emerge dai punti 121 e 122 della presente sentenza, la perdita di un alloggio arreca una delle più gravi violazioni al diritto al rispetto del domicilio, ai sensi dell'articolo 7 della Carta, e pone la persona interessata e la sua famiglia in una situazione particolarmente fragile.
171. Emerge altresì dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo relativa all'articolo 8 della CEDU, il cui paragrafo 1 prevede diritti equivalenti a quelli garantiti dall'articolo 7 della Carta, anzitutto, che, sebbene, quando sono in gioco politiche sociali o economiche, anche nel settore dell'alloggio, le autorità nazionali dispongano di un ampio margine di manovra, la discrezionalità così lasciata a tali autorità è tanto più limitata in quanto il diritto in questione è importante per garantire all'individuo interessato il godimento effettivo dei diritti fondamentali o di ordine «intimo» ad essa riconosciuti. Ciò vale in particolare per i diritti garantiti da tale articolo 8, che sono diritti di importanza cruciale per l'identità della persona, l'autodeterminazione di quest'ultima, la sua integrità fisica e giuridica, il mantenimento delle sue relazioni sociali nonché la stabilità e la sicurezza della sua posizione all'interno della società (Corte EDU, 17 ottobre 2013, Winterstein e altri c. Francia, CE:ECHR:2013:1017JUD002701307, § 148).
172. Inoltre, chiunque rischi di essere vittima della grave lesione del diritto al rispetto del domicilio costituita dalla perdita di un alloggio deve, in linea di principio, poter far esaminare la proporzionalità di una siffatta misura da un giudice indipendente alla luce dei principi pertinenti che derivano da detto articolo 8. Per valutare la proporzionalità di un provvedimento di sfratto, occorre tener conto, in particolare, delle seguenti considerazioni, ossia: se il domicilio è stato stabilito legalmente, ciò riduce la legittimità di qualsiasi provvedimento di sfratto e, al contrario, se è stato stabilito illegalmente, la persona interessata si trova in una posizione meno forte. Peraltro, se non è disponibile alcuna sistemazione alternativa, l'ingerenza è più grave che nel caso in cui una tale sistemazione sia disponibile, e la sua adeguatezza o meno va valutata in considerazione, in particolare, delle esigenze particolari dell'individuo interessato (v., in tal senso, Corte EDU, 17 ottobre 2013, Winterstein e altri c. Francia, CE:ECHR:2013:1017JUD002701307, § 148).
173. Infine, l'appartenenza delle persone interessate a un gruppo socialmente svantaggiato e le loro esigenze particolari a tale titolo devono essere prese in considerazione nell'esame di proporzionalità che le autorità nazionali sono tenute ad effettuare (Corte EDU, 17 ottobre 2013, Winterstein e altri c. Francia, CE:ECHR:2013:1017JUD002701307, § 160).
174. Nel caso di specie, il fatto che, nel sistema danese di alloggi pubblici, le autorità nazionali si facciano carico del ricollocamento delle persone alle quali viene risolto anticipatamente il contratto di locazione può costituire uno degli elementi che spetta al giudice del rinvio prendere in considerazione, tra gli altri, nell'ambito dell'esame della proporzionalità della normativa nazionale di cui trattasi nel procedimento principale. Tale elemento può, infatti, portare ad attenuare la gravità della lesione del diritto al rispetto del domicilio risultante da una siffatta risoluzione anticipata, purché tale presa in carico sia effettiva e l'alloggio sostitutivo sia adattato alle esigenze particolari di tali persone e delle loro famiglie. Occorre tuttavia tener conto del fatto che alcune delle suddette persone e di tali famiglie hanno risieduto, legalmente e da molti anni, nell'alloggio familiare che perdono.
175. Tenuto conto dei motivi che precedono, si deve constatare che l'articolo 2, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2000/43 deve essere interpretato nel senso che una normativa nazionale che prevede l'obbligo di adottare piani di sviluppo destinati a ridurre la percentuale di alloggi pubblici familiari in aree residenziali caratterizzate, tra l'altro, dal fatto che, negli ultimi cinque anni, la percentuale degli «immigrati provenienti da paesi non occidentali e dei loro discendenti» residenti in tali aree ha superato il 50%, costituisce una discriminazione indiretta, ai sensi di tale disposizione, qualora risulti, da un lato, che tale normativa nazionale, pur essendo formulata o applicata, apparentemente, in modo neutro, vale a dire in considerazione di fattori diversi da quello dell'origine etnica, ha l'effetto di mettere in una posizione di particolare svantaggio le persone appartenenti a determinati gruppi etnici e, dall'altro, che detta normativa nazionale non rispetta, ai fini della realizzazione dell'obiettivo imperativo di interesse generale da essa perseguito, il principio di proporzionalità.
176. In tali circostanze, occorre rispondere alle questioni sollevate dichiarando che l'articolo 2, paragrafo 2, lettere a) e b), della direttiva 2000/43 deve essere interpretato nel senso che una normativa nazionale che prevede l'obbligo di adottare piani di sviluppo destinati a ridurre la percentuale di alloggi pubblici familiari in aree residenziali caratterizzate, tra l'altro, dal fatto che, negli ultimi cinque anni, la percentuale degli «immigrati provenienti da paesi non occidentali e dei loro discendenti» residenti in tali aree ha superato il 50%,
- costituisce una discriminazione diretta, ai sensi di tale articolo 2, paragrafo 2, lettera a), qualora risulti che l'adozione di tale normativa nazionale è fondata sulle origini etniche della maggioranza degli abitanti di tali aree residenziali e che detta normativa nazionale ha come conseguenza che tutti gli abitanti delle stesse siano oggetto di un trattamento meno favorevole rispetto a quello di cui sono oggetto gli abitanti di aree residenziali comparabili, ma in cui la percentuale di tali «immigrati provenienti da paesi non occidentali e dei loro discendenti» non ha superato il 50%;
- costituisce una discriminazione indiretta, ai sensi di tale articolo 2, paragrafo 2, lettera b), qualora risulti, da un lato, che la stessa normativa nazionale, pur essendo formulata o applicata, apparentemente, in modo neutro, vale a dire in considerazione di fattori diversi da quello dell'origine etnica, ha l'effetto di mettere in una posizione di particolare svantaggio le persone appartenenti a determinati gruppi etnici e, dall'altro, che la normativa nazionale considerata non rispetta, ai fini della realizzazione dell'obiettivo imperativo di interesse generale da essa perseguito, il principio di proporzionalità.
Sulle spese
177. Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.
P.Q.M.
la Corte (Grande Sezione) dichiara:
L'articolo 2, paragrafo 2, lettere a) e b), della direttiva 2000/43/CE del Consiglio, del 29 giugno 2000, che attua il principio della parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica, deve essere interpretato nel senso che una normativa nazionale che prevede l'obbligo di adottare piani di sviluppo destinati a ridurre la percentuale di alloggi pubblici familiari in aree residenziali caratterizzate, tra l'altro, dal fatto che, negli ultimi cinque anni, la percentuale degli «immigrati provenienti da paesi non occidentali e dei loro discendenti» residenti in tali aree ha superato il 50%,
- costituisce una discriminazione diretta, ai sensi di tale articolo 2, paragrafo 2, lettera a), qualora risulti che l'adozione di tale normativa nazionale è fondata sulle origini etniche della maggioranza degli abitanti di tali aree residenziali e che detta normativa nazionale ha come conseguenza che tutti gli abitanti delle stesse siano oggetto di un trattamento meno favorevole rispetto a quello di cui sono oggetto gli abitanti di aree residenziali comparabili, ma in cui la percentuale di tali «immigrati provenienti da paesi non occidentali e dei loro discendenti» non ha superato il 50%;
- costituisce una discriminazione indiretta, ai sensi di detto articolo 2, paragrafo 2, lettera b), qualora risulti, da un lato, che la stessa normativa nazionale, pur essendo formulata o applicata, apparentemente, in modo neutro, vale a dire in considerazione di fattori diversi da quello dell'origine etnica, ha l'effetto di mettere in una posizione di particolare svantaggio le persone appartenenti a determinati gruppi etnici e, dall'altro, che la normativa nazionale considerata non rispetta, ai fini della realizzazione dell'obiettivo imperativo di interesse generale da essa perseguito, il principio di proporzionalità.