Consiglio di Stato
Sezione VI
Sentenza 29 ottobre 2025, n. 8398
Presidente: Volpe - Estensore: Lamberti
FATTO
1. Alphabet raggruppa business di natura e dimensioni diverse, il maggiore dei quali fa capo a Google LLC; Google Italy è la controllata italiana del gruppo Google, attiva principalmente nella fornitura di servizi a favore delle altre aziende del gruppo.
2. Google offre svariati servizi online e prodotti software, tra cui il sistema operativo per dispositivi mobili Android.
2.1. Poiché Android è focalizzato principalmente sui dispositivi mobili e, dunque, richiede modifiche per poter essere adatto all'uso sulle automobili, Google ha sviluppato Android Automotive OS ("AAOS"): un sistema operativo integrato finalizzato a far funzionare i sistemi di infotainment a bordo degli autoveicoli (ossia le funzioni della consolle centrale delle automobili).
Android Auto è invece un'app, lanciata nel 2015, sviluppata per dispositivi mobili con sistema operativo Android, con l'obiettivo di consentire agli utenti di accedere a talune app presenti sul loro smartphone tramite lo schermo integrato di un'automobile.
2.2. Per consentire a ciascuna app di poter essere presente su Android Auto, Google predispone soluzioni per intere categorie di app sotto forma di template, che consentono agli sviluppatori terzi di costruire versioni delle proprie app compatibili con Android Auto.
Alla fine del 2018, tali template erano disponibili solo per le app di media e di messaggistica; per rispondere all'esigenza degli utenti di poter disporre di app di navigazione di alta qualità compatibili con Android Auto, Google ha altresì sviluppato versioni delle proprie app di mappe e navigazione (ossia, Google Maps e Waze).
In alcuni casi, Google ha altresì consentito agli sviluppatori di costruire "custom app", ossia app personalizzate, sviluppate per essere compatibili con Android Auto in assenza di un template predefinito.
3. Enel X fornisce servizi per la ricarica dei veicoli elettrici ed il gruppo Enel gestisce più del 60% delle colonnine di ricarica disponibili in Italia.
Nel maggio 2018, Enel X ha lanciato l'app JuicePass, che offre una serie di funzionalità per la ricarica dei veicoli elettrici e, in particolare: la ricerca e la prenotazione delle colonnine di ricarica su una mappa; il trasferimento su Google Maps o Apple Maps, in modo da consentire la navigazione verso la colonnina di ricarica selezionata; l'avvio, l'interruzione e il monitoraggio della sessione di ricarica e il relativo pagamento.
JuicePass è disponibile per gli utilizzatori di smartphone Android e può essere scaricata da Google Play.
3.1. Enel X ha chiesto di rendere JuicePass compatibile con Android Auto nel settembre 2018. Google ha negato tale possibilità, sul presupposto che le app di media e di messaggistica sarebbero le uniche app di terzi compatibili con Android Auto; Google ha ribadito tale risposta anche in seguito, in data 21 settembre 2018 e 8 novembre 2018, nonostante le reiterate richieste di Enel X.
Dopo altre interlocuzioni tra Enel X e il team italiano di Google, in data 21 dicembre 2018, Enel X ha chiesto a Google una risposta definitiva alla richiesta di concedere a JuicePass l'accesso ad Android Auto, specificando che la versione di JuicePass compatibile con Android Auto avrebbe dovuto includere quattro funzionalità, e in particolare: (i) la ricerca di una colonnina di ricarica compatibile con una data auto elettrica; (ii) la selezione della colonnina di ricarica all'interno di una lista; (iii) la prenotazione della colonnina di ricarica; e (iv) l'avvio della sessione di ricarica.
3.2. In data 18 gennaio 2019, Google ha informato Enel X che, allo stadio di sviluppo dell'epoca, non era possibile pubblicare JuicePass su Android Auto, spiegando che ciò era dovuto a motivi di sicurezza e alla necessità di allocare in modo razionale le risorse necessarie per lo sviluppo richiesto.
4. In data 12 febbraio 2019, Enel X ha presentato una segnalazione all'Autorità garante della concorrenza e del mercato, sostenendo che la condotta di Google, consistente nel rifiuto ingiustificato di consentire a JuicePass di funzionare con Android Auto, integrasse una violazione dell'art. 102 TFUE.
4.1. Avviato il procedimento, in data 29 novembre 2019, Google ha presentato all'Autorità una proposta di impegni che mirava ad introdurre un template per le app di navigazione compatibili con Android Auto, che però l'Autorità ha respinto.
4.2. In data 15 ottobre 2020, Google ha rilasciato una versione del template che permetteva di progettare versioni beta di app per la ricarica di auto elettriche compatibili con Android Auto.
5. Con il provvedimento n. 29645, adottato in data 27 aprile 2021 al termine del procedimento A529, l'Autorità garante della concorrenza e del mercato ha deliberato che la condotta posta in essere da Google, consistente nell'ostacolare e procrastinare la pubblicazione dell'app JuicePass, sviluppata da Enel X, sulla piattaforma Android Auto, costituisce un abuso di posizione dominante in violazione dell'art. 102 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea.
5.1. L'Autorità, con il predetto provvedimento, ha disposto: a) che Google ponga fine ai citati comportamenti distorsivi della concorrenza e si astenga in futuro dal porre in essere comportamenti analoghi; b) che Google dia pronta attuazione agli obblighi indicati alla sezione IX del provvedimento e, pertanto: i) rilasci la versione definitiva del template per lo sviluppo di app per la ricarica elettrica; ii) proceda allo sviluppo di eventuali funzionalità mancanti nel template finale, indicate come essenziali da Enel X; iii) trasmetta all'Autorità entro 30 giorni una proposta di nomina del fiduciario per l'attuazione e il monitoraggio dei suddetti obblighi; iv) consenta al fiduciario per l'attuazione e il monitoraggio degli obblighi, approvato dall'Autorità, l'accesso a tutte le informazioni e a tutte le risorse necessarie per lo svolgimento del compito assegnato e di prestare la collaborazione e l'assistenza che saranno richieste; c) l'irrogazione, in solido alle società Alphabet, Google LLC e Google Italy, della sanzione amministrativa pecuniaria complessiva pari a euro 102.084.433,91.
6. Le società appellanti hanno impugnato tale provvedimento avanti il T.A.R. per il Lazio che, con la sentenza indicata in epigrafe, ha respinto integralmente il ricorso.
7. Avverso tale pronuncia hanno proposto appello le società originariamente ricorrenti, per i motivi di seguito esaminati.
Si sono costituite in giudizio l'Autorità e Enel X Italia s.r.l., chiedendo il rigetto dell'appello. Enel X Way s.r.l. è intervenuta ad opponendum.
8. La Sezione, con l'ordinanza n. 3584/2023, ha rimesso alla Corte di giustizia cinque quesiti interpretativi ai sensi dell'art. 267 TFUE, sui quali la Corte si è pronunciata con la sentenza del 25 febbraio 2025 (causa C-233/23).
A seguito di tale pronuncia, parte appellante ha proposto motivi aggiunti avverso il provvedimento impugnato.
9. All'udienza pubblica del 16 ottobre 2025, la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. Il caso in esame riguarda il rifiuto di Google di rendere disponibile sulla piattaforma Android Auto l'app JuicePass (già denominata Enel X Recharge), sviluppata da Enel X Italia per fornire servizi connessi alla ricarica delle auto elettriche.
Secondo l'Autorità, Google, a fronte della richiesta di Enel X Italia, non ha approntato le soluzioni informatiche adeguate, così ostacolando e procrastinando, ingiustificatamente, la disponibilità dell'app di Enel X su Android Auto.
L'Autorità ha sostenuto - ed il T.A.R. ha confermato tale prospettazione - che la condotta di Google assume rilevanza ai fini della tutela della concorrenza e delle dinamiche di mercato in ragione della posizione dominante detenuta da Google, che riveste un ruolo centrale nell'abilitazione delle interazioni e transazioni digitali e, in particolare, nel consentire agli utenti professionali (nel caso di specie, gli sviluppatori) di accedere alla platea degli utenti finali di app.
Nella specie, le tipologie e le specifiche caratteristiche delle app pubblicabili su Android Auto, nonché la tempistica della definizione e della messa a disposizione dei necessari strumenti di programmazione dipendono esclusivamente da Google.
1.1. L'Autorità prospetta che la condotta di Google rileva sotto il profilo antitrust anche in ragione della presenza su Android Auto della app proprietaria Google Maps. Infatti, esisterebbe uno spazio competitivo che comprende sia Google Maps (così come altre app di navigazione), sia la app di Enel X Italia (così come altre app di servizi connessi alla ricarica elettrica), dal momento che entrambe le app offrono servizi di ricerca e navigazione relativamente alle colonnine di ricarica (concorrenza effettiva) e, in aggiunta, l'app di Enel X Italia offre funzionalità che sono nuove, ma che potrebbero in futuro essere integrate in Google Maps (concorrenza potenziale); inoltre, l'app di Enel X Italia e Google Maps sarebbero in competizione per gli utenti e per i dati da questi generati.
1.2. Per tali ragioni, secondo l'Autorità, il rifiuto di Google si configura come una condotta omissiva rispetto alla "speciale responsabilità" di garantire l'interoperabilità di Android Auto relativamente al versante degli sviluppatori di app, con specifico riferimento alla possibilità per Enel X Italia di sviluppare una versione della propria app JuicePass compatibile.
Considerate la parziale sovrapponibilità tra Google Maps e JuicePass e tenuto conto del fatto che Google Maps è su Android Auto, mentre JuicePass ne era esclusa, il rifiuto di Google andrebbe collocato nel quadro di un rifiuto a consentire l'interoperabilità (rifiuto a contrarre), che ha comportato una violazione del principio di level playing field, consistente in un ingiusto vantaggio della app proprietaria di Google a discapito della app del concorrente Enel X Italia.
2. Con il primo motivo ["Error in judicando con riferimento all'assenza delle condizioni per accertare un rifiuto abusivo di contrattare: (i) non indispensabilità dell'accesso a Android Auto; (ii) inidoneità della condotta a eliminare la concorrenza; (iii) inconfigurabilità di un nuovo prodotto. Violazione e falsa applicazione dell'art. 102 TFUE. Sviamento. Difetto di istruttoria. Eccesso di potere per insufficienza o carenza della motivazione"], parte appellante sottopone a critica il provvedimento dove ha stabilito che Google avesse un obbligo di fornitura nei confronti di Enel X ai sensi del diritto antitrust.
Secondo parte appellante, nel caso di specie sarebbero assenti le condizioni per accertare un rifiuto abusivo di fornitura, così come individuate nella stessa giurisprudenza citata nel provvedimento (Tribunale UE, 17 settembre 2007, causa T-201/04, Microsoft), dove il Tribunale UE ha stabilito che un'Autorità di concorrenza può imporre un obbligo di fornitura ai sensi del diritto antitrust soltanto laddove abbia accertato "cumulativamente" una serie di condizioni, e in particolare: (i) l'obbligo di fornitura deve vertere su un prodotto o un servizio indispensabile per l'esercizio di una determinata attività su un mercato vicino; (ii) il rifiuto di fornitura deve essere idoneo a escludere qualsiasi concorrenza effettiva su tale mercato; e (iii) il rifiuto deve costituire un ostacolo alla comparsa di un nuovo prodotto.
Tanto precisato, nello specifico, parte appellane deduce che:
- l'Autorità non ha mai svolto un'analisi di indispensabilità, limitandosi ad affermare che l'accesso ad Android Auto sarebbe una "condizione indispensabile affinché gli sviluppatori terzi possano offrire agli utenti finali app utilizzabili in maniera facile e sicura quando i medesimi utenti sono alla guida";
- la mancanza di accesso ad Android Auto non impedisce alcuna delle funzionalità per le quali JuicePass è stata congegnata; inoltre, sussiste la possibilità che il conducente attacchi il proprio smartphone al cruscotto dell'auto, ad esempio attraverso una ventosa, utilizzando in tal modo la versione semplificata delle app fornita da Android Auto sullo schermo del proprio smartphone, senza proiettarla sullo schermo di bordo;
- la mancanza di accesso ad Android Auto non ha in alcun modo impedito a Enel X di "competere in modo efficace" nel settore dei servizi per la ricarica elettrica, dal momento che JuicePass ha conosciuto una crescita costante e significativa e occupa una posizione di leader nel mercato;
- vi sono moltissime app per la ricarica di veicoli elettrici che operano con successo in Italia, in aggiunta a Enel X (tra le tante, NextCharge, PlugShare e ChargeMap), il che conferma che l'accesso ad Android Auto non era indispensabile per competere.
2.1. Con il secondo motivo ("Error in judicando con riferimento alla condotta di Google in relazione alla valutazione delle circostanze specifiche della controversia e delle giustificazioni oggettive. Violazione e falsa applicazione dell'art. 102 TFUE. Difetto di istruttoria. Omessa considerazione del contesto fattuale e delle circostanze del caso concreto. Erronea valutazione del template rilasciato da Google nell'ottobre 2020. Travisamento dei fatti con riguardo alle dinamiche del settore. Carenza e contraddittorietà della motivazione") parte appellane insiste nel sostenere che la condotta di Google è stata sempre corretta e giustificata da considerazioni oggettive e legittime, precisamente:
- per fornire a JuicePass l'accesso ad Android Auto era prima necessario sviluppare un template per le app per la ricarica di veicoli elettrici, in modo da assicurare il pieno rispetto degli standard e requisiti regolamentari in materia di sicurezza alla guida applicabili;
- al momento dell'originaria richiesta di Enel X di accesso ad Android Auto (settembre 2018), il necessario template non esisteva e doveva essere sviluppato, mentre le altre alternative possibili (come ad esempio l'elaborazione di una custom app come per Kakao) non erano concretamente praticabili;
- il template è stato poi realizzato con tempistiche del tutto ragionevoli, tenuto conto che il lavoro ingegneristico per sviluppare un template che consenta l'accesso ad Android Auto richiede inevitabilmente del tempo;
- l'Autorità non ha indicato alcun elemento a supporto della contestazione circa la presunta irragionevolezza del tempo impiegato da Google per sviluppare il template, tenuto anche conto che la pandemia da Covid-19 ha aumentato la complessità del lavoro e ha fatto sì che servisse più tempo ai fini dell'attività di sviluppo.
2.2. Con il terzo motivo ("Error in judicando sull'erronea individuazione dei mercati rilevanti a monte e sulla mancata prova della dominanza. Violazione e falsa applicazione dell'art. 102 TFUE. Travisamento dei fatti. Eccesso di potere per insufficienza o carenza della motivazione") parte appellante rileva che il provvedimento identifica due mercati a monte, in cui Google deterrebbe una posizione dominante: il mercato della concessione di licenze per sistemi operativi per dispositivi mobili intelligenti, in cui Google è attiva attraverso il sistema operativo Android, e il mercato dei portali di vendita di app per Android (Android app store), in cui Google è attiva attraverso Google Play. Tuttavia, la presunta condotta abusiva contestata a Google riguarda l'app Android Auto che deve essere distinta tanto dal sistema operativo Android, quanto da Google Play.
In altri termini, per accertare un abuso di posizione dominante, il provvedimento avrebbe dovuto definire il mercato rilevante in cui opera Android Auto, e avrebbe dovuto accertare che Android Auto è effettivamente dominante in tale mercato, dal momento che ciò che rileva nel caso di specie è proprio l'accesso ad Android Auto.
2.3. Con il quarto motivo ("Error in judicando con riferimento all'omessa definizione del mercato rilevante a valle interessato dal presunto abuso. Violazione e falsa applicazione dell'art. 102 TFUE. Travisamento dei fatti. Eccesso di potere per insufficienza o carenza della motivazione") parte appellante contesta che il provvedimento si sarebbe erroneamente limitato a individuare uno "spazio competitivo" in cui le app di navigazione sarebbero in concorrenza con le app di ricarica per auto elettriche, senza effettuare l'analisi necessaria per concludere che tale "spazio competitivo" costituirebbe un mercato rilevante ai sensi del diritto della concorrenza.
In particolare, secondo parte appellante, il provvedimento non ha svolto alcuna analisi circa la presunta sostituibilità dal lato della domanda e dal lato dell'offerta tra le app per la ricarica elettrica e le app di navigazione.
Per tale ragione, il provvedimento risulta censurabile nella parte in cui non menziona neppure l'esistenza di uno specifico mercato rilevante a valle, parlando esclusivamente di uno "spazio competitivo".
2.4. Con il quinto motivo ("Error in judicando relativamente all'identificazione di un rapporto di concorrenza tra Google Maps e JuicePass. Violazione e falsa applicazione dell'art. 102 TFUE. Travisamento dei fatti. Eccesso di potere per insufficienza o carenza della motivazione") parte appellante contesta che non sarebbe possibile affermare la sussistenza di un rapporto concorrenziale tra Google Maps e JuicePass su un triplice piano: i) attuale, inteso come presunta sostituibilità tra le due app, relativamente alla funzione di ricerca delle colonnine di ricarica e delle informazioni sulle stesse rilevanti ai fini della ricarica, dal momento che Google Maps e JuicePass non esercitano alcuna pressione concorrenziale reciproca e sono in realtà servizi complementari fra loro; ii) potenziale, sulla base dell'ipotesi che, in futuro, Google possa integrare in Google Maps (su Android Auto) funzioni di prenotazione e pagamento, trattandosi questa di una mera congettura, inidonea a soddisfare lo standard probatorio elaborato dalla giurisprudenza europea; iii) in relazione alla raccolta dei dati generati dagli utenti dei servizi per la ricarica delle auto elettriche, tenuto anche conto che i dati raccolti da Google Maps e da JuicePass sono di tipologie diverse.
2.5. Con il sesto motivo, parte appellante contesta la quantificazione della sanzione per violazione e falsa applicazione degli artt. 15 e 31 della l. n. 287/1990 e dell'art. 11 della l. n. 689/1981, nonché per la violazione e falsa applicazione delle linee guida sulla modalità di applicazione dei criteri di quantificazione delle sanzioni amministrative pecuniarie irrogate dall'Autorità. Deduce, inoltre, eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche e, in particolare, violazione del principio di proporzionalità, difetto di motivazione, carenza di istruttoria e travisamento dei fatti.
3. L'appello va accolto solo limitatamente a quest'ultimo motivo, nei limiti di seguito precisati, dovendosi invece respingere con riguardo alle ulteriori doglianze.
3.1. Con l'ordinanza n. 3584/2023 la Sezione aveva già evidenziato che l'art. 102 TFUE non contiene una definizione di abuso dominate, il quale si presenta come un concetto giuridico generale, e le elencazioni casistiche contenute nella stessa norma sono meramente esemplificative e non esauriscono le modalità di sfruttamento abusivo di posizione dominante vietate dal diritto dell'Unione europea.
Per tale ragione, è compito dell'interprete ricondurre alla fattispecie normativa astratta il caso concreto, avuto riguardo alla sostanza economica del fenomeno, così come si presenta nel contesto economico di riferimento che, nel caso in esame, è condizionato dalle caratteristiche proprie dei mercati digitali.
Ciò precisato, richiamato il contesto nel quale si è consumata la condotta di parte appellante ed avuto riguardo alle precisazioni espresse dalla Corte di giustizia (di seguito meglio illustrate), deve ritenersi che la condotta di parte appellante integri un rifiuto abusivo in violazione dell'art. 102 TFUE, per le ragioni di seguito schematicamente riportate (e nel prosieguo approfondite in replica agli specifici rilievi di parte appellante):
a) sussiste la situazione di dominanza di mercato assunta da Google in Android e in Google Play; siccome Android Auto non è altro che una proiezione del sistema Android sul sistema di infotainment dell'automobile, appare corretta l'individuazione del mercato in cui Google esercita la propria dominanza. Sul punto, per le ragioni meglio illustrate nel prosieguo, va sin da ora ritenuta soddisfacente la definizione di mercato rilevante effettuata dall'Autorità, tenuto conto che Android Auto è parte del sistema operativo Android e che Google play è lo strumento attraverso il quale scaricare le app; in entrambi tali ambiti è dimostrata la situazione di dominanza di parte appellante, che - giova evidenziarlo - condiziona direttamente ed inevitabilmente l'accesso ad Android Auto e, poi, di conseguenza, al mercato a valle nel quale è destinata ad operare l'app di Enel X;
b) l'accesso ad Android Auto deve ritenersi necessario affinché Enel X possa offrire agli utenti finali app utilizzabili in maniera facile e sicura quando i medesimi utenti sono alla guida, dal momento che l'app (funzionale alla ricarica elettrica dei veicoli) è comunque intimamente collegata all'utilizzo di una autovettura - sia essa ferma o in movimento - del quale Android Auto costituisce specifico complemento, tanto è vero che, per quel che consta, le app sviluppate dalle case automobilistiche sono presenti su Android Auto; in tal senso, l'argomento per cui l'app di Enel X era comunque fruibile tramite uno smartphone non appare risolutivo, dal momento che, a rigore, Android Auto - la cui funzione è di consentire agli utenti di accedere a talune app presenti sullo smartphone tramite lo schermo integrato dell'automobile - non è necessaria, in senso stretto, per nessuna app (neppure per quelle di messaggistica e media sulle quali era consentito l'accesso), trattandosi di uno strumento ("smartphone projection app") per sua natura tendenzialmente atto a rendere solo meglio fruibile un prodotto già esistente e non, invece, uno strumento indispensabile in senso assoluto per il funzionamento di altri prodotti o servizi. Per altro verso, non può trascurarsi il processo di rapida evoluzione digitale, che può indurre a prospettare come "necessari" prodotti o servizi in origine ideati solo per una più comoda fruizione di beni già esistenti.
Inoltre, ad avvalorare le considerazioni che precedono, va sin da ora anticipato che la piattaforma di Google non è stata sviluppata unicamente ai fini della propria attività, ma ha la specifica funzione di rendere fruibili le app sviluppate da terzi soggetti;
c) la condotta di Google è concretamente idonea ad eliminare la concorrenza sul mercato, in quanto, date le caratteristiche dei mercati digitali, è ragionevolmente plausibile che laddove a JuicePass fosse stato definitivamente precluso l'accesso ad Android Auto essa avrebbe perso di interesse per i consumatori; in tal senso, la condotta contestata è suscettibile di determinare un ostacolo alla fruizione da parte degli utenti di un prodotto per il quale esiste una domanda potenziale; per altro verso, avuto riguardo alla peculiarità del contesto, non appare affatto esclusa la possibilità che un'applicazione "generica" esistente (Google Maps) potesse inglobare le funzioni "specifiche" di JuicePass (al riguardo, agli atti emerge che tra le soluzioni proposte da Google vi fosse quella di integrare la maggior parte delle funzioni di JuicePass in Google Maps);
d) il fatto che, nel periodo in cui si è consumata la condotta sanzionata, JuicePass è stata frequentemente scaricata e utilizzata non appare assumere il significato che vorrebbe attribuirgli parte appellante, ove si consideri che tale dato può essere in relazione all'evoluzione crescente del mercato della mobilità elettrica, dovendosi invece confermare che il rifiuto opposto da Google alla richiesta di Enel X era idoneo, nel caso concreto, a pregiudicare lo sviluppo dell'app, tenuto anche conto delle circostanze evidenziate al punto che precede;
e) il rifiuto di parte appellante non è stato supportato da effettive giustificazioni oggettive, dal momento che, pur considerata la tempistica necessaria all'implementazione della soluzione tecnica, Google non ha dimostrato l'effettiva sussistenza del (supposto) pericolo che la sua piattaforma potesse essere pregiudicata dall'integrazione dall'interoperabilità con la nuova app di Enel X, né sono emerse altre ragioni tecniche ostative all'interoperabilità, tanto è vero che la supposta problematica è stata poi risolta;
f) l'individuazione del mercato a valle non può non risentire delle peculiarità del contesto di riferimento e delle caratteristiche di Android Auto che, come detto, serve a rendere solo meglio fruibile un prodotto esistente; in ogni caso, il provvedimento ha delineato gli effetti della condotta abusiva sul mercato a valle, nel quale in una prospettiva dinamica può essere inclusa Google Maps.
3.2. Le considerazioni che precedono risultano confermate ed in sintonia con il pronunciamento della Corte di giustizia reso a seguito del rinvio pregiudiziale alla Corte ex art. 267 TFUE, con il quale la Sezione ha formulato i seguenti quesiti:
a) "se, ai sensi dell'art. 102 TFUE, il requisito dell'indispensabilità del prodotto oggetto di un rifiuto di fornitura debba essere interpretato nel senso che l'accesso deve essere indispensabile per l'esercizio di una determinata attività su un mercato vicino, o se sia sufficiente che l'accesso sia indispensabile per un utilizzo più conveniente dei prodotti o servizi offerti dall'impresa richiedente l'accesso, specie nel caso in cui il prodotto oggetto del rifiuto abbia essenzialmente la funzione di rendere più agevole e conveniente la fruizione di prodotti o servizi già esistenti";
b) "se, nel quadro di una condotta qualificata quale rifiuto di fornitura, sia possibile ritenere un comportamento abusivo, ai sensi dell'art. 102 TFUE, in un contesto nel quale, nonostante il mancato accesso al prodotto richiesto, (i) l'impresa richiedente fosse già attiva sul mercato e abbia continuato a crescere nello stesso per tutto il periodo del presunto abuso e (ii) altri operatori in concorrenza con l'impresa richiedente l'accesso al prodotto abbiano continuato ad operare sul mercato";
c) "se, nel quadro di un abuso consistente nel rifiuto di concedere l'accesso a un prodotto o servizio asseritamente indispensabile, l'art. 102 TFUE debba essere interpretato nel senso che l'inesistenza del prodotto o del servizio al momento della richiesta di fornitura debba essere presa in considerazione quale una giustificazione oggettiva per il rifiuto stesso, o quantomeno se un'autorità di concorrenza sia tenuta a svolgere un'analisi, su elementi oggettivi, del tempo necessario a un'impresa dominante al fine di sviluppare il prodotto o servizio per il quale viene richiesto l'accesso, oppure se sia invece esigibile che l'impresa dominante, stante la responsabilità che assume sul mercato, sia onerata di comunicare al richiedente la tempistica necessaria allo sviluppo del prodotto";
d) "se l'art. 102 TFUE debba essere interpretato nel senso che un'impresa dominante, che detiene il controllo di una piattaforma digitale, può essere tenuta a modificare i propri prodotti, o a svilupparne di nuovi, al fine di consentire a coloro che lo richiedono di accedere a tali prodotti. In tal caso, se un'impresa dominante sia tenuta a prendere in considerazione le generali esigenze del mercato o le esigenze della singola impresa richiedente accesso all'input asseritamente indispensabile, o quantomeno, stante la speciale responsabilità che viene ad assumere sul mercato, se debba prefissare dei criteri oggettivi per l'esame delle richieste che le vengono rivolte e per graduarne l'ordine di priorità";
e) "se, nel quadro di un abuso consistente nel rifiuto di concedere l'accesso a un prodotto o servizio asseritamente indispensabile, l'art. 102 TFUE debba essere interpretato nel senso che un'autorità di concorrenza è tenuta previamente a definire e individuare il mercato rilevante a valle interessato dall'abuso, e se questo possa essere anche solo potenziale".
3.3. La Corte di giustizia, con la decisione assunta in data 25 febbraio 2025, ha reso le seguenti risposte:
1) L'articolo 102 TFUE deve essere interpretato nel senso che il rifiuto, da parte di un'impresa in posizione dominante che ha sviluppato una piattaforma digitale, di garantire, a un'impresa terza che ne ha fatto richiesta, l'interoperabilità di tale piattaforma con un'applicazione sviluppata da detta impresa terza può costituire un abuso di posizione dominante anche qualora detta piattaforma non sia indispensabile per lo sfruttamento commerciale di detta applicazione su un mercato a valle, ma sia idonea a rendere la stessa applicazione più attraente per i consumatori, quando la medesima piattaforma non è stata sviluppata dall'impresa in posizione dominante unicamente ai fini della propria attività.
2) L'articolo 102 TFUE deve essere interpretato nel senso che il fatto che tanto l'impresa che ha sviluppato un'applicazione e chiesto a un'impresa in posizione dominante di garantirne l'interoperabilità con una piattaforma digitale di cui quest'ultima impresa è titolare, quanto concorrenti della prima impresa siano rimasti attivi sul mercato nel quale rientra tale applicazione e vi abbiano sviluppato la loro posizione, sebbene non beneficiassero di una siffatta interoperabilità, non indica, di per sé, che il rifiuto da parte dell'impresa in posizione dominante di dar seguito a tale domanda non fosse idoneo a produrre effetti anticoncorrenziali. Occorre valutare se tale comportamento dell'impresa in posizione dominante fosse tale da ostacolare il mantenimento o lo sviluppo della concorrenza sul mercato rilevante, tenendo conto di tutte le circostanze di fatto pertinenti.
3) L'articolo 102 TFUE deve essere interpretato nel senso che, qualora un comportamento consistente, per un'impresa in posizione dominante, nel rifiutare di garantire l'interoperabilità di un'applicazione sviluppata da un'impresa terza con una piattaforma digitale di cui l'impresa in posizione dominante è titolare possa essere qualificato come abuso, ai sensi di tale disposizione, quest'ultima impresa può utilmente invocare, quale giustificazione oggettiva del suo rifiuto, l'inesistenza di un modello che consenta di garantire tale interoperabilità alla data in cui l'impresa terza ha chiesto tale accesso, quando la concessione di una siffatta interoperabilità mediante tale modello comprometterebbe, di per sé e alla luce delle proprietà dell'applicazione per la quale è richiesta l'interoperabilità, l'integrità della piattaforma stessa o la sicurezza del suo utilizzo, o ancora quando sarebbe impossibile per altre ragioni tecniche garantire tale interoperabilità sviluppando detto modello. In caso contrario, l'impresa in posizione dominante è tenuta a sviluppare un siffatto modello, entro un termine ragionevole necessario a tal fine e a fronte, eventualmente, di un corrispettivo economico adeguato, che prenda in considerazione le esigenze dell'impresa terza che ha chiesto tale sviluppo, il costo effettivo di quest'ultimo e il diritto dell'impresa in posizione dominante di trarne un profitto adeguato.
4) L'articolo 102 TFUE deve essere interpretato nel senso che, per valutare l'esistenza di un abuso consistente in un rifiuto, da parte di un'impresa in posizione dominante, di garantire l'interoperabilità di un'applicazione sviluppata da un'impresa terza con una piattaforma digitale di cui l'impresa in posizione dominante è titolare, un'autorità garante della concorrenza può limitarsi a identificare il mercato a valle sul quale tale rifiuto può produrre effetti anticoncorrenziali, anche se tale mercato a valle è solo potenziale, e tale identificazione non richiede necessariamente una definizione precisa del mercato dei prodotti e del mercato geografico rilevante.
4. Alla luce del pronunciamento della Corte di Giustizia trova conferma l'infondatezza dei motivi di appello nei termini di seguito esposti.
4.1. Quanto alle censure di cui al primo motivo di appello con il quale si contesta la sussistenza, alla stregua della giurisprudenza della Corte di giustizia, di un obbligo di fornitura in capo a Google, si osserva che secondo la stessa Corte le condizioni di cui al punto 41 della sentenza del 26 novembre 1998, Bronner, (C-7/97, EU:C:1998:569) - sulla quale, giova sin da ora evidenziare, si basava la prospettazione difensiva della società e non l'impianto del provvedimento impugnato - erano giustificate dalle circostanze proprie di quella causa, che consistevano nel rifiuto, da parte di un'impresa dominante, di consentire a un concorrente l'accesso a un'infrastruttura che essa aveva sviluppato per le esigenze della propria attività, ad esclusione di qualsiasi altro comportamento. Per contro, qualora un'impresa dominante abbia sviluppato un'infrastruttura non per le sole esigenze delle sue attività proprie, bensì nella prospettiva di consentire un utilizzo di tale infrastruttura da parte di imprese terze, non si applica la condizione enunciata dalla Corte al punto 41 della sentenza del 26 novembre 1998, Bronner (C-7/97, EU:C:1998:569), relativa all'indispensabilità di detta infrastruttura all'esercizio dell'attività del richiedente l'accesso, nel senso che non esiste alcun sostituto reale o potenziale a tale infrastruttura.
Come evidenziato dal provvedimento impugnato (cfr. paragrafi 285 e ss.), Android Auto non ha come unico scopo quello di collegare le app compatibili con l'unità di infotainment dell'auto, ma si ripropone di modificare anche l'esperienza utente, semplificando la grafica e le funzioni delle diverse app anche di terzi, per rendere la fruizione dei servizi dell'app più semplice e sicura. Sulla piattaforma digitale sono già disponibili migliaia di applicazioni sviluppate da imprese terze (come dichiarato dalla stessa Google, quali, per esempio, Spotify e Deezer per lo streaming musicale e Stitcher per i podcast).
Come già accennato, Google ha consentito l'accesso di imprese terze ad Android Auto, rendendo tale piattaforma digitale compatibile per categorie di applicazioni o addirittura per applicazioni specifiche che tali imprese terze avevano sviluppato.
Secondo la Corte, ne consegue che il rifiuto dell'impresa dominante può costituire un abuso di posizione dominante anche qualora detta piattaforma digitale non sia indispensabile per lo sfruttamento commerciale dell'applicazione di cui trattasi su un mercato a valle, nel senso che non esisterebbe alcun sostituto reale o potenziale all'utilizzo di quest'ultima tramite la medesima piattaforma.
Alla luce delle considerazioni svolte dalla Corte di giustizia, vanno per l'effetto disattese le censure con le quali parte appellante lamentava che il provvedimento impugnato si poneva in contrasto con la giurisprudenza di cui alla sentenza della Corte di giustizia del 26 novembre 1998, Bronner (C-7/97, EU:C:1998:569), difettando la condizione della indispensabilità dell'infrastruttura.
4.2. Quanto agli ulteriori argomenti difensivi di cui al primo motivo di appello, per cui la condotta di Google non avrebbe causato alcun effetto distorsivo della concorrenza, la Corte ha precisato che la qualificazione di un comportamento di un'impresa dominante come abusivo non impone di dimostrare, nel caso di un comportamento di una tale impresa diretto a escludere i propri concorrenti dal mercato in questione, che il suo risultato sia stato raggiunto e, dunque, di dimostrare un concreto effetto escludente sul mercato. Pertanto, un'autorità garante della concorrenza può constatare una violazione dell'art. 102 TFUE dimostrando che, durante il periodo nel quale il comportamento in questione è stato attuato, esso aveva, nelle circostanze del caso di specie, la capacità di restringere la concorrenza basata sui meriti nonostante la sua mancanza di effetti. Il mantenimento dello stesso grado di concorrenza sul mercato interessato, o addirittura lo sviluppo della concorrenza su tale mercato, non significa necessariamente che il comportamento di cui trattasi non sia idoneo a produrre effetti anticoncorrenziali, in quanto una tale assenza di effetti potrebbe risultare da altre cause ed essere dovuta, per esempio, a cambiamenti sopravvenuti nel mercato rilevante dall'inizio di detto comportamento o all'incapacità dell'impresa in posizione dominante di attuare con successo la strategia all'origine di un comportamento del genere. Ne deriva che, nel caso di specie, la circostanza invocata da Google che Enel X Italia e alcuni suoi concorrenti abbiano mantenuto la loro presenza nel mercato in cui rientra l'applicazione JuicePass, o addirittura che l'abbiano rafforzata, non significa di per sé che il diniego di accesso ad Android Auto da parte di Google non sia stato idoneo a produrre effetti anticoncorrenziali.
Appare invece ragionevole considerare che l'app JuicePass è stata esclusa dalla piattaforma Android Auto per tutto il 2020 e nei primi mesi del 2021, ovvero nel periodo in cui si è registrata una forte crescita delle vendite di veicoli elettrici e, quindi, della domanda di servizi connessi alla ricarica elettrica.
L'esclusione era pertanto concretamente idonea a determinare una limitazione delle possibilità, per Enel X, di costruire la propria base utenti.
Tenuto conto delle considerazioni già svolte, deve anche precisarsi che l'utilizzo dell'app al di fuori di Android Auto, e dunque, necessariamente a veicolo fermo, è residuale e non sufficiente a sostenere la diffusione della app presso gli utenti e il prodursi degli effetti di rete che possono portare alla costruzione e al consolidamento di una base utenti ampia e attiva.
Infatti, come evidenziato dall'Autorità, quello che conta per le app è l'effettivo utilizzo da parte degli utenti e i download non costituiscono un indicatore di detto utilizzo (posto che gran parte delle app scaricate vengono successivamente rimosse). Nel caso di specie, l'effettivo utilizzo della app JuicePass dipende dall'utilità che gli utenti ne possono trarre e, quindi, dall'utilizzabilità in maniera facile e sicura alla guida e/o dall'ampiezza dei servizi consentiti, elementi che sarebbero stati, entrambi, garantiti dalla presenza dell'app sulla piattaforma Android Auto (cfr. paragrafo 378, pag. 130 del provvedimento). È incontestabile che senza l'accesso ad Android Auto la app JuicePass non è utilizzabile dal conducente se non in modalità mobile dal cellulare che ne diminuisce ragionevolmente l'utilità e l'appetibilità per il consumatore.
Da un altro punto di vista, deve osservarsi che, nel medesimo arco temporale, Google ha avuto la possibilità di implementare la propria app Google Maps (disponibile sulla piattaforma digitale), che per le sue caratteristiche risulta, quantomeno in termini potenziali (vedasi oltre), un prodotto concorrente di JuicePass, specie con riferimento alle funzioni di ricerca e navigazione.
Alla luce delle circostanze innanzi ricordate sussiste la prova di un'idoneità concretamente escludente della condotta abusiva, dovendosi disattendere anche sotto tale profilo la prospettazione di parte appellante.
4.3. Infine, quanto alla rivendicata natura di Android Auto alla stregua di una piattaforma chiusa e sulle considerazioni tecniche fatte valere da parte appellante nelle difese articolate a seguito del pronunciamento della Corte di giustizia, deve precisarsi come ai fini del presente giudizio rilevi l'aspetto economico-commerciale della risorsa, ovvero la scopo per il quale la stessa è stata concepita e poi di fatto utilizzata, la quale sotto tale profilo è sempre stata considerata "aperta" dalle stesse società appellanti (a mero titolo esemplificativo, vedasi la comunicazione di parte appellante all'Autorità del 20 aprile 2021, ove si legge "il sistema operativo Android è un progetto c.d. open source, che è reso accessibile online in modo gratuito a qualsiasi produttore di dispositivi mobili e a qualsiasi sviluppatore di app interessato. Il sistema operativo Android è reso disponibile senza che vi sia necessità di utilizzare alcuna app di proprietà di Google").
Del resto, la stessa Corte di giustizia, avuto riguardo alle caratteristiche del prodotto ed alla sua specifica finalità, ha sottolineato che "Non si può ritenere che una piattaforma digitale destinata a consentire l'utilizzo, sul sistema di infotainment di autoveicoli, di applicazioni sviluppate da terzi e scaricate sui dispositivi mobili degli utenti sia stata creata unicamente per le esigenze di tale impresa in posizione dominante".
Per l'effetto, risultano irrilevanti gli argomenti sviluppati da Google nelle ultime memorie depositate e la relativa relazione prodotta in causa relativa agli aspetti tecnici del prodotto, tenuto anche conto che la stessa Corte ha precisato che, laddove non sia immediatamente possibile per ragioni tecniche l'accesso di prodotti terzi alla piattaforma, occorre individuare delle tempistiche ragionevoli, instaurare un'interlocuzione ed eventualmente chiedere un contributo economico proporzionato all'impresa richiedente, rilevando unicamente, ai fini della valutazione dell'illeceità del rifiuto, che la piattaforma non sia stata sviluppata dall'impresa dominante al solo fine di un proprio uso esclusivo.
In ogni caso, il provvedimento descrive in modo adeguato le funzionalità della piattaforma ed il suo chiaro scopo di fungere da strumento per i prodotti (app) realizzati da soggetti terzi, che gli conferiscono la caratteristica di essere "aperta" nel senso innanzi precisato e rilevante nel presente giudizio (cfr. par. 31 e ss. in relazione ad Android e par. 72 in relazione ad Android Auto).
L'effettivo sviluppo dell'interoperabilità dell'app terza Kakao - che per certi aspetti appare assimilabile a quella di EnelX - costituisce l'ulteriore conferma delle considerazioni che precedono.
5. Quanto al secondo motivo di appello e alle giustificazioni oggettive che un'impresa in posizione dominante può invocare in relazione al rifiuto di fornire o di sviluppare un modello per applicazioni sviluppate da imprese terze che consenta di utilizzarle tramite una piattaforma digitale di cui tale impresa in posizione dominante è titolare, quale l'inesistenza di un modello per una categoria di applicazioni che consenta di garantire l'interoperabilità tra tali applicazioni e tale piattaforma alla data in cui l'accesso è stato richiesto, la Corte ha osservato che il rifiuto di garantire l'interoperabilità di un'applicazione con una piattaforma digitale può essere oggettivamente giustificato qualora la concessione di una siffatta interoperabilità comprometta, di per sé e alla luce delle proprietà dell'applicazione per la quale è richiesta l'interoperabilità, l'integrità della piattaforma stessa o la sicurezza del suo utilizzo o sia impossibile per altre ragioni tecniche garantire tale interoperabilità sviluppando detto modello. Al contrario, al di fuori di tali situazioni, l'inesistenza del modello per la categoria delle applicazioni interessate o le difficoltà connesse al suo sviluppo che l'impresa in posizione dominante può incontrare non possono costituire di per sé una giustificazione oggettiva del diniego di accesso opposto da tale impresa. Tuttavia, prendendo in considerazione tutte le circostanze pertinenti al riguardo, l'esigenza di dedicare un periodo di tempo ragionevole a tale sviluppo, con conseguente impossibilità di realizzare immediatamente l'interoperabilità richiesta, può essere considerata obiettivamente necessaria e proporzionata, tenendo conto al contempo delle esigenze dell'impresa che chiede l'accesso alla piattaforma dell'impresa in posizione dominante e delle difficoltà incontrate da quest'ultima per sviluppare tale modello. A tale riguardo sono pertinenti, in particolare, il grado di difficoltà tecnica per sviluppare il modello per la categoria delle applicazioni interessate che consenta l'accesso richiesto, le difficoltà connesse all'impossibilità di dotarsi, in breve tempo, di talune risorse, in particolare umane, necessarie per sviluppare tale modello avuto riguardo alle esigenze dell'impresa che richiede l'accesso, o ancora vincoli esterni all'impresa in posizione dominante che incidono sulla sua capacità di sviluppare siffatto modello, come ad esempio quelli imposti dal quadro normativo applicabile.
Ciò premesso, lo sviluppo di un modello che garantisca l'interoperabilità richiesta può rappresentare un costo per l'impresa in posizione dominante. L'art. 102 TFUE non osta tuttavia a che tale impresa esiga dall'impresa che ha chiesto l'interoperabilità un corrispettivo economico adeguato. Siffatto corrispettivo deve essere equo e proporzionato, consentendo all'impresa in posizione dominante, tenuto conto del costo reale di tale sviluppo, di trarne un profitto adeguato. La fissazione dell'importo di tale corrispettivo non esclude l'eventuale applicazione di altre norme del diritto dell'Unione che disciplinino, se del caso, la remunerazione dell'impresa in posizione dominante per l'acquisizione, da parte dell'impresa che ha chiesto l'interoperabilità, di utenti finali per la propria applicazione.
Ai fini del presente giudizio, è utile sottolineare come la Corte abbia altresì osservato che l'assenza di una risposta dell'impresa in posizione dominante alla richiesta di un'impresa terza diretta a ottenere l'interoperabilità della piattaforma digitale di cui la prima è titolare con un'applicazione sviluppata da tale impresa terza potrebbe inoltre costituire un indizio del fatto che il rifiuto di garantire una siffatta interoperabilità non è oggettivamente giustificato.
5.1. Nel caso di specie, Google non ha dimostrato la sussistenza di alcuna circostanza oggettiva atta a giustificare il ritardo con il quale ha poi consentito l'interoperabilità tra Android auto e l'app di Enel X; né ha compiutamente definito il tempo occorrente allo sviluppo di tale interoperabilità.
È invece emerso che Google ha rifiutato la richiesta di Enel X Italia e/o ha sempre proposto soluzioni non soddisfacenti. In punto di fatto è incontestato che le interlocuzioni tra Google e Enel abbiano avuto inizio nel 2018 (in particolare, con una prima e-mail datata 20 settembre 2018 con la quale Google informava Enel X che l'App "is not eligible for Android Auto") e che si siano prolungate per mesi senza giungere a esito proficuo (vedasi paragrafi 163 e ss. del provvedimento impugnato).
5.2. Sul tema relativo alle supposte giustificazioni che l'impresa dominante potrebbe addur[r]e, occorre sottolineare che, se è vero che l'onere della prova quanto all'esistenza delle circostanze costitutive di una violazione dell'art. 102 TFUE grava sulle autorità garanti della concorrenza, sia a livello dell'Unione sia a livello nazionale, è vero pure che spetta all'impresa in posizione dominante interessata far valere un'eventuale giustificazione oggettiva e dedurre, al riguardo, argomenti ed elementi di prova. Una volta soddisfatto detto requisito da parte dell'impresa in posizione dominante, spetta poi all'autorità garante della concorrenza in questione, qualora intenda dichiarare l'esistenza di un abuso di posizione dominante, dimostrare che gli argomenti e gli elementi di prova addotti da tale impresa non sono convincenti e che quindi la giustificazione addotta non può essere accolta.
Alla luce delle considerazioni sviluppate dalla Corte di giustizia, il secondo motivo di appello va dunque disatteso, posto che parte appellante, pur giustificando il proprio rifiuto in nome di ragioni astrattamente plausibili (esigenze tecniche di sicurezza by design, necessità di una soluzione scalabile tramite template, rallentamento da Covid nelle prove di guida e nei test con simulatori), non supporta tale prospettazione con alcuna evidenza oggettiva. Esemplificativamente, Google non ha mai individuato in che modo l'app potesse in concreto risultare pericolosa per l'utente, né le ragioni per cui vi sarebbe stato il rischio di violare le norme o gli standard internazionali; non è stata inoltre fornita la prova concreta dell'impossibilità di soluzioni transitorie non discriminatorie (anche alla luce delle esperienze custom evocate dalla stessa Google).
La prospettazione di parte appellante risulta inoltre smentita dalla comunicazione mail interna a Google del 21 novembre 2018, in cui si chiede se l'impossibilità di pubblicare la app dipenda da questioni tecniche ovvero da una scelta di policy ("quick question: the reason why we cannot publish Enel X app on Android auto is only because of our actual publishing policy or, reviewing the app you also found technical blockers? i.e. user interface etc)". La risposta è che dipende da una scelta di policy ("That's correct. It's a publishing policy. At the moment, the only apps that are approved on Android Auto are Media and Messaging apps").
5.3. Va precisato che la condotta illecita non risulta cessata neppure con il rilascio della versione beta avvenuto il 15 ottobre 2020, tenuto conto che, ai fini antitrust, rileva l'equivalenza competitiva dell'accesso. Ciò precisato, si osserva che la versione beta risulta pubblicabile solo nel canale test del Play Store, con visibilità ridotta e con il passaggio allo standard rimesso alla decisione del platform owner, in assenza di tempistiche predeterminate; a ciò si aggiungono le limitazioni funzionali evidenziate da Enel X e poi oggetto di attenzione del fiduciario. In tali condizioni, la beta non può integrare un accesso effettivo e non discriminatorio alla generalità degli utenti e, perciò, non elide l'effetto escludente della condotta abusiva.
6. Sono infondati anche il terzo, il quarto e il quinto motivo di appello.
Sul piano generale, va ricordato che l'individuazione del mercato rilevante implica un accertamento di fatto che presenta margini di opinabilità, sui quali il giudice amministrativo non può intervenire, sostituendosi alle valutazioni dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato, a meno che queste non risultino viziate sotto il profilo del travisamento dei fatti, della violazione di legge e della irragionevolezza (C.d.S., Sez. VI, 8 aprile 2014, n. 1673, cfr. altresì Cass. civ., Sez. un., 20 gennaio 2014, n. 1013).
La Corte di giustizia, quanto alla necessità di definire il mercato a valle sul quale tale rifiuto può produrre effetti anticoncorrenziali, ha precisato che, nell'ambito dell'applicazione dell'art. 102 TFUE, l'identificazione del mercato a valle non richiede necessariamente una definizione precisa del mercato dei prodotti e del mercato geografico. In talune circostanze, è sufficiente che possa essere individuato un mercato potenziale, anche ipotetico (sentenza del 29 aprile 2004, IMS Health, C-418/01, EU:C:2004:257, punto 44). Infatti, quando il mercato a valle interessato è ancora in fase di sviluppo o evolve rapidamente e, di conseguenza, la sua portata non è completamente definita alla data in cui l'impresa in posizione dominante attua il comportamento asseritamente abusivo, è sufficiente che l'autorità garante della concorrenza identifichi tale mercato, anche se solo potenziale. Detta autorità deve poi, tenendo conto delle caratteristiche e della portata potenziale di detto mercato, dimostrare che tale comportamento è idoneo a produrvi effetti anticoncorrenziali, quand'anche esista su quest'ultimo solo una concorrenza potenziale tra i prodotti o i servizi dell'impresa in posizione dominante e - in caso di comportamento consistente per quest'ultima nel rifiutare l'interoperabilità richiesta da un'impresa terza con una piattaforma digitale di cui l'impresa in posizione dominante è titolare - i prodotti o i servizi dell'impresa che richiede tale interoperabilità.
Avuto riguardo ai rilievi formulati da Google, sempre sul piano generale, va precisato che la nozione di "spazio competitivo", utilizzata dall'Autorità, era volta a cogliere le specificità dei prodotti e dei mercati digitali, ovvero di un contesto in continua e rapida evoluzione, che appare del tutto coerente con i principi espressi dalla Corte di giustizia ed innanzi ricordati.
6.1. L'Autorità ha correttamente individuato i mercati rilevanti, ovvero il mercato della concessione di licenze per sistemi operativi per dispositivi mobili intelligenti (dove Google è presente tramite Android), e il mercato dei portali di vendita di applicazioni (dove Google è presente tramite Google Play). I suddetti mercati rilevanti - applicati all'ambiente auto - si pongono a monte dello spazio competitivo che comprende sia le app (specialiste) di servizi connessi alla ricarica elettrica - quale è JuicePass, sia le app (generaliste) di navigazione - quale è Google Maps.
Il primo dei mercati rilevanti individuati dall'Autorità è quello in cui Google detiene una posizione dominante per il tramite di Android, vale a dire il mercato dei sistemi operativi che mettono in relazione gli sviluppatori e gli utenti di app per dispositivi mobili. L'altro mercato è quello in cui la dominanza di Google è da ricondurre a Google Play, che pure opera in un contesto (app store) in cui gli sviluppatori di app si interfacciano con i propri utenti.
Siccome Android Auto è parte integrante del sistema operativo Android, essendo il frutto delle evoluzioni che hanno interessato Android (che ne permette la proiezione sull'auto), il primo mercato rilevante è stato quindi ragionevolmente individuato in quello in cui Google opera tramite Android, vale a dire il mercato della concessione di licenze per sistemi operativi per dispositivi mobili intelligenti. Al riguardo, il provvedimento spiega esaustivamente che Android Auto rappresenta una modalità di fruizione delle funzionalità di Android al di fuori del proprio dispositivo mobile (smartphone o tablet), ovvero uno standard per consentire l'interoperabilità tra gli apparati mobili intelligenti con sistema operativo Android e i sistemi di infotainment delle auto (cfr. par. 269-270 e 290 ss. provv.).
Sotto altro profilo, si osserva come sia di comune esperienza che la distribuzione di app agli utenti finali di Android avviene poi tramite Google Play, il portale di vendita di applicazioni per Android.
Ciò precisato, per definire la posizione dominante di Google occorre necessariamente considerare che tali ambiti rappresentano gli strumenti necessari alla successiva implementazione dell'app di Enel X sul sistema di visione delle auto.
L'AGCM ha adeguatamente provato che Google è in una posizione dominante sui predetti mercati, mediante il sistema operativo Android e Google Play [vale a dire: (i) il mercato della concessione di licenze per sistemi operativi per dispositivi mobili intelligenti e (ii) il mercato dei portali di vendita di applicazioni per Android, entrambi di dimensione geografica mondiale, fatta eccezione per la Cina].
Sul punto, il T.A.R. ha correttamente condiviso il richiamo dell'Autorità alla decisione sul caso AT.40099 - Google Android (confermata in parte qua dal Tribunale UE con sentenza del 14 settembre 2022, T-604/18), nella quale la Commissione europea ha concluso che Google detiene una posizione dominante nel mercato della concessione di licenze per sistemi operativi per dispositivi mobili intelligenti, sulla base della sua quota di mercato (nel 2016, pari al 96,4% delle vendite di device con sistema operativo che è oggetto di licenza) e del fatto che i sistemi operativi per smartphone e tablet che non sono oggetto di licenza (tra cui, in particolare, iOS di Apple) non esercitano una pressione competitiva sufficiente ad affievolire l'autonomia di comportamento di Google. Inoltre, si dà atto che nell'ottica degli sviluppatori di app, Android è una risorsa ineludibile per raggiungere il 75% di utenti che, in Italia, si serve di dispositivi mobili con sistema Android.
Ad ulteriore conferma delle valutazioni che precedono, l'istruttoria svolta dall'Autorità ha dimostrato che la larghissima maggioranza delle case automobilistiche (il 98% delle auto vendute in Italia) ha scelto di rendere i propri sistemi di infotainment compatibili con Android Auto. I gruppi automobilistici interpellati (che nel periodo 2019-2020 rappresentavano il 70% circa delle immatricolazioni in Italia) hanno dichiarato che l'interoperabilità con Android Auto risponde alle esigenze dei potenziali clienti ed è fondamentale per stare al passo con la concorrenza, confermando che Android Auto costituisce uno standard di mercato (vedasi i paragrafi 290 e 56-58 del provv.).
Alla luce del contesto innanzi descritto, deve convenirsi che il potere che Google detiene nei due mercati a monte, correttamente individuati dall'Autorità, attribuisce all'operatore la posizione di interlocutore obbligato per qualsiasi sviluppatore che intenda raggiungere la platea di consumatori (il 75% dei possessori di smartphone) che usa, nei propri dispositivi mobili, il sistema Android.
La sentenza appellata condivisibilmente conclude quindi che la posizione dominante di Google è stata "ampiamente argomentata dall'Autorità, con osservazioni che non palesano alcuna irrazionalità o incongruenza".
Per le ragioni esposte devono essere respinti il terzo ed il quarto motivo di appello.
6.2. Alla luce delle considerazioni che precedono e del chiarimento reso dalla Corte di giustizia devono essere disattese anche le ulteriori censure di parte appellan[t]e che si concentrano sul mercato a valle e con cui si contesta la sussistenza di un rapporto concorrenziale tra Google Maps e JuicePass.
Il rapporto tra i due prodotti (Google Maps e JuicePass) è ampiamente illustrato nel provvedimento (vedasi paragrafi 111-122 e 301-305).
Come sopra evidenziato, le app di servizi connessi alla ricarica elettrica e le app di navigazione sono legate da un rapporto competitivo che origina dal fatto che entrambe offrono servizi potenzialmente funzionali alla ricarica dei veicoli elettrici pur seguendo due approcci differenti: specialistico le prime, generalista le seconde. Siffatto rapporto competitivo consente plausibilmente di individuare un mercato che contiene entrambe le tipologie di app e può essere definito in termini di concorrenza effettiva (con riferimento alle funzioni di ricerca e navigazione), di concorrenza potenziale (con riferimento alle funzioni di gestione e/o pagamento della ricarica ed eventualmente di prenotazione) e di concorrenza per gli utenti e i dati da questi generati (tra cui quelli relativi alla ricerca di una colonnina di ricarica e quelli relativi all'uso delle medesime colonnine).
Quanto al profilato rapporto di concorrenza potenziale, l'indagine dell'Autorità ha evidenziato l'interesse concreto di Google ad ampliare la propria offerta di servizi connessi alla ricarica elettrica, richiamando la risposta della stessa Google del 17 luglio 2020.
Emerge dunque come Google già da anni avesse iniziato ad estendere la propria offerta di servizi relativi alla ricarica elettrica tramite Google Maps, ampliando il set informativo disponibile e dotandosi degli strumenti per alimentare il flusso di dati sulle colonnine di ricarica.
Ne deriva che l'esclusione dell'app JuicePass dalla piattaforma ben poteva ritenersi idonea a consentire a Google di ampliare le funzionalità di Google Maps, fino a ricomprendere anche attività attualmente possibili solo attraverso le app (specialiste) per la ricarica delle auto elettriche.
Avuto riguardo ai chiarimenti resi della Corte di giustizia innanzi ricordati, risulta dunque ragionevolmente individuato anche il mercato rilevante entro il quale le due app (Google mapp e Juice pass) operano in effettiva e/o comunque potenziale competizione tra loro.
7. Non possono essere esaminati i motivi aggiunti dedotti da parte appellante nel presente giudizio, in quanto proposti tardivamente oltre il termine di legge e, pertanto, irricevibili.
Nei giudizi cui si applica il rito ex art. 119 c.p.a., qual è quello di specie, il termine per la notifica dei motivi aggiunti in appello è dimezzato ed è quindi pari a 30 giorni. Ai sensi dell'art. 119, comma 2, c.p.a., l'eccezione alla regola del dimezzamento dei termini per la notifica di motivi aggiunti vale solo "nei giudizi di primo grado". Considerato che la sentenza della Corte di giustizia - che nella prospettazione di parte appellante giustificherebbe la proposizione dei motivi aggiunti - è stata pubblicata il 25 febbraio 2025, i motivi aggiunti notificati il 24 aprile 2025 sono tardivi ed irricevibili.
I rilievi di parte appellante al riguardo non sono condivisibili, stante il chiaro tenore letterale dell'art. 119 cit.
Inoltre, non sussistono valide ragioni per sostenere che il dimezzamento dei termini in appello in relazione ai motivi aggiunti sia incompatibile con il diritto di difesa della parte, che in primo grado può, invece, giovarsi dei termini ordinari. Al riguardo, si osserva che l'originario ricorrente, nel giudizio di secondo grado, già conosce il provvedimento ed ha già articolato i propri motivi avverso lo stesso sin dal primo grado; in appello, i motivi aggiunti non possono investire nuovi e differenti provvedimenti (come invece permesso nel giudizio di primo grado), risolvendosi solo nella possibilità di proporre nuove censure al medesimo provvedimento alla luce di documenti sopravvenuti (cfr. art. 104, comma 3, c.p.a.). Per tale ragione, non appare possibile comparare la situazione del ricorrente in primo grado con quella di parte appellante, dovendosi dunque disattendere la prospettazione di Google al riguardo.
7.1. Avuto riguardo alle doglianze espresse da parte appellante a seguito della sentenza della Corte di giustizia innanzi citata quanto alla supposta violazione dei diritti di difesa, all'applicazione di un erroneo test legale e all'innovatività dei principi della Corte di giustizia, si osserva che questo Giudice si è limitato a sollecitare la Corte di giustizia in relazione alla portata ed all'interpretazione dell'art. 102 del TFUE, come richiesto dalla stessa parte appellante (vedasi memoria del 7 marzo 2023).
Non è possibile introdurre nel presente giudizio argomenti volti a contestare i principi affermati dalla sentenza della Corte, il cui recepimento è doveroso per questo Giudice, a prescindere da ogni ulteriore considerazione.
Per altro verso, deve osservarsi che il provvedimento impugnato non si basa affatto sui criteri espressi dalla Corte di giustizia del 26 novembre 1998, Bronner (C-7/97, EU:C:1998:569), non potendosi pertanto sostenere che, a seguito del rinvio pregiudiziale, il provvedimento debba essere vagliato alla stregua di nuovi ed innovativi principi. È stata invece la prospettazione difensiva di Google a sollecitare la valutazione del caso in esame alla stregua della citata sentenza Bronner; prospettiva che la Corte di giustizia ha, tuttavia, disatteso, confermando l'impianto del provvedimento impugnato.
Al riguardo, anche prima dell'intervento della Corte, la Sezione aveva già osservato che: "la giurisprudenza richiamata da parte appellante a sostegno della propria prospettazione (ex multis Corte di giustizia, sentenza del 26 novembre 1998, causa C-7/97, Bronner, EU:C:1998:569), che esprime consolidati principi in riferimento alla fattispecie del rifiuto di contrattare, non appare immediatamente applicabile al caso in esame che, come detto, si colloca in un modello di business che risente delle peculiarità di funzionamento dei mercati digitali" (cfr. ord. n. 3584/2023).
In ogni caso, l'applicazione dei principi affermati dalla Corte nell'ambito del presente giudizio non implica l'accertamento di nuovi fatti storici, né si risolve in un indebito sconfinamento del giudicante nell'attività propria dell'Autorità, dal momento che, giova rimarcarlo, si tratta solo di fare applicazione dei detti principi alla luce di quanto già esaustivamente accertato dal provvedimento, rispetto al quale parte appellante ha avuto modo di spiegare appieno le proprie prerogative difensive.
In altri termini, non vi è necessità di alcuna ulteriore attività istruttoria, essendosi inoltre già innanzi chiarita l'irrilevanza degli aspetti introdotti in giudizio da parte appellante circa la natura aperta o chiusa dello strumento per cui è causa (vedasi punto 4.3 della presente sentenza).
8. L'appello merita accoglimento in relazione al sesto motivo - concernente la determinazione della sanzione - nei termini di seguito esposti.
Con tale censura parte appellante contesta che il provvedimento: (a) ha erroneamente calcolato il valore delle vendite dei beni o servizi oggetto dell'illecito; (b) ha determinato scorrettamente la durata della presunta condotta abusiva; (c) ha qualificato erroneamente l'illecito come "molto grave"; (d) ha illegittimamente applicato un importo supplementare (la c.d. entry fee); (e) non ha tenuto in considerazione la novità delle contestazioni mosse a Google, che di regola giustificherebbe tutt'al più l'imposizione di una sanzione simbolica.
8.1. Quanto al valore delle vendite rispetto al quale commisurare la sanzione non può essere seguita la prospettazione di Google per la quale non dovrebbero essere presi in considerazione anche Android e Google Play ai fini del calcolo del valore delle vendite dei beni o servizi dell'illecito, posto che Android e Google Play, come già innanzi spiegato, sono i prodotti ai quali si riferisce la posizione dominante di Google e, dunque, devono essere considerati nell'accertamento del fatturato rilevante.
Va inoltre precisato che in tale computo va inclusa anche Google Maps, che è il prodotto di Google che, come già spiegato, appartiene allo spazio competitivo nel quale si sono prodotti gli effetti dell'abuso contestato.
Ciò in conformità al punto 8 delle linee guida sulle sanzioni che prevedono che il calcolo dell'importo base della sanzione si fonda, direttamente o indirettamente, sul valore delle vendite dei beni e servizi oggetto dell'infrazione, realizzate dall'impresa nell'ultimo anno di partecipazione all'infrazione (c.d. "valore delle vendite").
Al riguardo, va precisato che la peculiarità dei prodotti e servizi in questione (il sistema operativo Android, come detto, è un progetto c.d. open source, che è reso accessibile online in modo gratuito a qualsiasi produttore di dispositivi mobili e a qualsiasi sviluppatore di app interessato) si riflette anche sulla commisurazione del predetto valore, tanto che l'Autorità in sede procedimentale aveva richiesto a parte appellante i criteri per elaborare stime dei valori di fatturato richiesti.
L'Autorità sostiene che Google si sia limitata ad offrire dati non attendibili alla stregua delle informazioni desumibili dal bilancio consolidato di Alphabet relativo al 2020. Nel provvedimento, si osserva che parte appellante aveva indicato un fatturato nullo per Android, tuttavia, nel bilancio consolidato di Google relativo al 2020, si legge che Android è un prodotto che contribuisce alla generazione di ricavi di altri prodotti ("Google Services includes products and services such as ads, Android, Chrome, hardware, Google Maps, Google Play, Search, and YouTube. Google Services generates revenues primarily from advertising...").
In tale situazione, date le peculiarità del prodotto per il quale non è attribuibile un valore contabile delle vendite - tenuto anche conto che i servizi digitali sono spesso forniti a titolo gratuito, con la caratteristica "di utilizzare i dati generati dagli utenti come input per attività collaterali che generano ricavi (ad esempio, i servizi di intermediazione della pubblicità sui siti web) e dunque di estrarre il valore economico dei medesimi dati" - appare legittimo il richiamo da parte dell'Autorità al fatturato rilevante di Google ai sensi del punto 9 delle linee guida in base al quale, nell'ipotesi in cui il dato relativo al fatturato "non sia reso disponibile dall'impresa oppure non sia attendibile ovvero sufficientemente rappresentativo o, comunque, altrimenti non determinabile", l'Autorità può prendere "in considerazione qualsiasi altra informazione che essa ritenga pertinente o appropriata, quale ad esempio: la media del valore delle vendite nell'intero periodo di durata dell'infrazione oppure un altro anno di tale periodo di riferimento o ancora una percentuale del fatturato totale realizzato in Italia".
Nello specifico, non appare censurabile il procedimento seguito dall'Autorità che è partita dai dati del bilancio consolidato di Google relativo al 2020 per calcolare un fatturato rilevante che tenesse conto dei ricavi generati dai Google Services, dell'incidenza dei ricavi realizzati in Italia e dell'incidenza dei ricavi relativi ad Android, Google Play e Google Maps (cfr. par. 437 provv.).
Tuttavia, il bilancio consolidato di Google non contiene una ripartizione del fatturato per singoli paesi, ad eccezione degli Stati Uniti, bensì fa riferimento a macro-regioni tra cui la macro-regione Europa, Medio Oriente e Africa (EMEA), alla quale è riferibile il 30% dei ricavi. In tale situazione, l'Autorità ha stimato detta incidenza considerando che l'Italia è tra i paesi più densamente popolati della macro-regione EMEA e dove l'utilizzo di servizi digitali è largamente diffuso. L'Autorità, in considerazione della rilevanza di Android sull'attività di Google e della consolidata e capillare diffusione di Google Play e Google Maps, ha quindi stimato l'incidenza cumulativa di detti prodotti sul fatturato complessivo generato dai Google Services pari al 10%.
Ferma la correttezza del procedimento seguito dall'Autorità, si osserva, invece, come il provvedimento non spieghi i criteri applicati per giungere a quest'ultima stima finale, né sono esplicitate le ragioni per cui non sono stati ritenuti attendibili i dati interni di Google resi a fronte di una esplicita richiesta in tal senso (cfr. comunicazione del 20 aprile 2021).
Nello specifico, rispetto ai dati resi da Google, il provvedimento si limita ad affermare che "appaiono non attendibili e comunque non sufficientemente rappresentativi rispetto alle informazioni contenute nel bilancio consolidato di Alphabet relativo al 2020" e che "mentre nella risposta alla richiesta di informazioni Google indica un fatturato nullo per Android, nel bilancio consolidato relativo al 2020 Google afferma che Android genera ricavi", trascurando di considerare i dati comunque resi in riferimento a Google Play e Google mapp. Inoltre, non si giustifica - se non in modo assolutamente generico e, pertanto, non idoneo allo scopo ("l'Italia è tra i paesi più densamente popolati della macro-regione EMEA e dove l'utilizzo di servizi digitali è largamente diffuso") - come sia stata determinata l'incidenza Italia sul perimetro "Google Services" e, soprattutto, l'incidenza specifica dei tre prodotti; né si spiega perché sia stata adottata l'aliquota del 10% sul bilancio consolidato.
La giurisprudenza ha già avuto modo di chiarire che, nel caso in cui un'autorità di concorrenza intenda muovere critiche a un'impresa in relazione ai dati di fatturato da essa forniti, è tenuta a "chiedere ulteriori spiegazioni... al fine di verificarli" (cfr. Tribunale UE, sentenza del 15 giugno 2005, cause riunite T-71/03, T-74/03, T-87/03 e T-91/03, Tokai Carbon). Inoltre, in tale ambito, l'obbligo di motivazione che incombe alle autorità antitrust deve, tra l'altro, consentire alle imprese destinatarie delle sanzioni "di comprendere la fondatezza della metodologia prescelta dalla Commissione, e al Tribunale di verificarla" (Tribunale UE, sentenza del 10 novembre 2017, T-180/15; Corte di giustizia, sentenze del 10 luglio 2019, C-39/18, e dell'8 febbraio 2007, C-3/06).
Ne deriva che l'Autorità, quanto alla base di calcolo (valore delle vendite), avrebbe dovuto esplicitare i criteri allocativi adottati per derivare, dal valore dei "Google Services", la relativa attribuzione all'Italia nonché l'incidenza dei singoli prodotti (Android/Google Play/Google Maps), chiarendo previamente perché si siano preferite dette stime rispetto ai dati interni forniti dalla società.
L'accoglimento sotto tale profilo della censura dedotta da Google priva di rilevanza il quesito pregiudiziale che parte appellante ha chiesto di sottoporre alla Corte di giustizia relativamente all'attendibilità dei dati forniti dall'Autorità ed ai doveri della stessa.
In ogni caso, al riguardo, deve inoltre rilevarsi che la Corte di giustizia ha già chiarito che "per quanto riguarda le ammende inflitte alle imprese o alle associazioni di imprese per infrazioni alle norme sulla concorrenza dell'Unione, si deve constatare che l'articolo 23, paragrafo 2, del regolamento n. 1/2003 disciplina unicamente le situazioni nelle quali siffatte ammende sono imposte dalla Commissione. Gli orientamenti del 2006 sono parimenti applicabili unicamente a siffatte situazioni" (sentenza CGUE, causa C-450/15), precisando inoltre che "ai sensi dell'articolo 5 del regolamento n. 1/2003, le autorità garanti della concorrenza degli Stati membri infliggono ammende in applicazione del loro diritto nazionale. L'interpretazione delle norme del diritto nazionale non rientra nell'ambito di competenza della Corte" (sentenza della CGUE causa C-450/15).
8.2. Quanto alla durata dell'infrazione, l'Autorità ha accertato che l'abuso ha avuto inizio con il primo rifiuto espresso da Google il 20 settembre 2018 fino all'adozione del provvedimento.
Seppure la Corte di giustizia abbia valorizzato anche l'esigenza di dedicare un periodo di tempo ragionevole allo sviluppo del nuovo prodotto, nel caso di specie non appare condivisibile la prospettazione di parte appellante per cui l'infrazione dovrebbe tenere conto del tempo necessario per lo sviluppo e il collaudo di un nuovo template per app compatibili con Android Auto, dal momento che, a fronte della richiesta di Enel X, Google non ha affatto mostrato tale disponibilità, opponendo invece un semplice rifiuto (vedasi documenti ISP 55-77 allegati al provvedimento e le considerazioni già esposte innanzi), in tal modo concretizzando un abuso illecito dalla propria posizione dominante, che è poi venuto meno solo grazie all'intervento dell'Autorità.
Avuto riguardo alle doglianze di parte appellante, si osserva che, laddove l'accesso fosse stato tecnicamente impossibile al momento della richiesta, Google ben poteva indicare la tempistica presumibilmente occorrente per la soddisfazione della richiesta.
Inoltre, in senso opposto alla prospettazione di parte appellante, sono emersi elementi idonei a costituire una ragionevole presunzione del fatto che il rifiuto di Google di pubblicare l'app Enel X JuicePass su Android Auto non dipende da questioni tecniche, ma risulta conseguente ad una mera scelta aziendale di "publishing policy" su Android Auto (vedasi la comunicazione interna già innanzi citata).
Risulta in sintonia con gli assunti che precedono il fatto che, a prescindere dalla tempistica - che Google non indica - per lo sviluppo del template, il definitivo sviluppo dello stesso è avvenuto solo dopo la denuncia all'Autorità.
Nei fatti, Google, a distanza di più di due anni dalla prima richiesta (settembre 2018), si è limitata a fornire un template che consentiva la sola predisposizione della versione beta, senza creare versioni definitive che consentissero ad Enel X di rendere disponibile JuicePass su Android Auto. Per quest'ultima ragione, ovvero la mancata ultimazione di un template definitivo idoneo a rendere disponibile JuicePass su Google Android, contrariamente a quanto prospettato da Google, non vi è stata alcuna interruzione della condotta illecita.
Al riguardo, deve infatti ribadirsi che il rilascio della versione beta, avvenuto il 15 ottobre 2020, per le ragioni già esposte innanzi, non può integrare un accesso effettivo e non discriminatorio alla generalità degli utenti e, perciò, non elide l'effetto escludente della condotta abusiva.
Non appare inoltre possibile valorizzare il periodo della pandemia da covid, in quanto questa si è diffusa solo nel marzo 2020, circa un anno e mezzo dopo la prima richiesta di rilascio del template. Inoltre, l'Autorità ha evidenziato che la pandemia non impediva affatto di venire incontro alle richieste di Enel X Italia, come dimostra la trattativa con Apple (JuicePass è disponibile su Apple CarPlay sin dal mese di novembre 2020 a seguito della presentazione del nuovo sistema operativo iOS 14, avvenuta il 22 giugno 2020).
Quanto alla durata dell'infrazione deve invece darsi atto che questa deve rite[ne]rsi cessata con il rilascio definitivo del template in data 5 aprile 2021, stante l'attestazione resa al riguardo dal fiduciario circa la idoneità a supportare tutte le funzionalità essenziali rivendicate da Enel X.
Sotto tale profilo il termine di durata dell'infrazione deve essere corretto. Non emergono, infatti, elementi che giustifichino una protrazione dell'illecito fino al 27 aprile 2021 (data del provvedimento), giacché, come detto, il fiduciario ha attestato che il template definitivo è idoneo a consentire tutte le funzioni essenziali indicate da Enel (prenotazione e avvio inclusi).
Non rileva, invece, ai fini della commisurazione della sanzione, la scelta di Enel X di avviare i lavori di sviluppo di una versione di JuicePass compatibile con Android Auto solo nel gennaio 2022, ossia otto mesi dopo il rilascio della versione definitiva del template (avvenuto il 5 aprile 2021). Infatti, nel contesto descritto, i profili residui fatti valere da Enel X (Maps obbligatorio, personalizzazioni) attengono più propriamente all'ottimizzazione dello strumento o, al più, all'ottemperanza/monitoraggio degli obblighi, ma non giustificano la protrazione della durata dell'illecito oltre il 5 aprile 2021 (al riguardo si rimanda alle relazioni del fiduciario).
8.3. Gli argomenti fatti valere da parte appellante al fine di contestare l'assunta gravità dell'infrazione non sono condivisibili.
L'Autorità ha tenuto conto dei tradizionali fattori di gravità, quali la natura delle condotte, il ruolo e la rappresentatività sul mercato delle imprese coinvolte nonché il contesto nel quale l'infrazione è stata attuata.
Al riguardo, giova ricordare che si è al cospetto di un abuso escludente i cui effetti investono non solo il benessere del consumatore, ma anche la struttura del mercato e possono ostacolare l'innovazione dei servizi di mobilità elettrica nonché influenzare lo sviluppo di un settore contiguo, quello della mobilità elettrica, in una fase cruciale di avvio di quest'ultima.
L'Autorità ha inoltre valorizzato il contesto di mercato che si caratterizza per la forte innovazione e la rapida evoluzione tecnologica: i settori coinvolti sono quelli delle applicazioni digitali per l'offerta di servizi agli utenti finali e della mobilità elettrica. Si tratta di settori strategici destinati ad una forte e rapida crescita e sui quali si basano i piani di sviluppo "verde" e digitale dell'Unione europea.
Infine, non va dimenticata la grande notorietà e l'enorme rilevanza economica di Google, quale indiscusso protagonista dominante dell'economia digitale.
8.4. Va ritenuta infondata anche la censura avverso l'applicazione di una entry fee pari al 20% del fatturato rilevante.
Per la giurisprudenza "l'applicazione della c.d. entry fee... rientra nell'apprezzamento unitario dell'adeguatezza della sanzione, sia pure sotto lo specifico profilo dell'esigenza di deterrenza, senza quindi la necessità di una motivazione additiva rispetto alla disamina della gravità della condotta illecita" (C.d.S., 9 maggio 2022, n. 3570).
La condotta posta in essere, il contesto nel quale questa è maturata, la situazione di dominanza di Google giustificano l'applicazione della predetta maggiorazione.
Invero, non può essere trascurata l'esigenza di garantire un reale effetto deterrente alla sanzione, che nel caso di specie appare adeguata alla violazione posta in essere e proporzionata alla capacità economica di parte appellante che, come noto, è una delle principali imprese operanti nel settore digitale a livello mondiale.
8.5. Le considerazioni che precedono valgono altresì ad escludere l'eventualità di una sanzione meramente simbolica, che a norma dell'art. 33 delle linee guida resta una mera eventualità rimessa alla discrezionalità dell'Autorità che, per le ragioni innanzi esposte, nel caso in esame è stata ragionevolmente esclusa.
9. In definitiva, l'appello va respinto ad eccezione del sesto motivo che deve essere parzialmente accolto nei limiti innanzi precisati. Negli stessi limiti, in parziale riforma della sentenza impugnata, deve essere accolto il ricorso di primo grado.
Per l'effetto, l'Autorità dovrà rideterminare la sanzione:
a) tenendo conto della durata dell'infrazione, come innanzi circoscritta;
b) motivando l'individuazione del valore delle vendite rilevante, spiegando le ragioni dell'inattendibilità dei dati interni forniti da Google ed esplicitando i criteri sottesi alla stima di detto valore e, se del caso, anche rideterminandolo al fine di renderlo coerente con i criteri previamente individuati.
Le questioni appena vagliate esauriscono la vicenda sottoposta al Collegio, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell'art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante, ex plurimis, per le affermazioni più risalenti, Cass. civ., Sez. II, 22 marzo 1995, n. 3260 e, per quelle più recenti, Cass. civ., Sez. V, 16 maggio 2012, n. 7663 e per il Consiglio di Stato, Sez. VI, 13 maggio 2019, n. 3110). Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.
9.1. Il parziale accoglimento del ricorso e la complessità delle questioni trattate giustificano la compensazione delle spese di lite del doppio grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) dichiara i motivi aggiunti irricevibili, accoglie l'appello nei limiti di cui in motivazione e, per l'effetto, in parziale riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado negli stessi limiti, demandando all'Autorità la rideterminazione della sanzione irrogata.
Spese di lite del doppio grado compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Note
La presente decisione ha per oggetto TAR Lazio, sez. I, sent. n. 10147/2022.