Corte di cassazione
Sezione IV penale
Sentenza 28 febbraio 2025, n. 20953

Presidente: Di Salvo - Estensore: Bellini

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di appello di Milano, con ordinanza assunta in data 27 novembre 2024, ha dichiarato la inammissibilità della domanda di riparazione per ingiusta detenzione avanzata dall'odierno ricorrente Giammassimo G. in relazione alla detenzione subita dal giorno 9 aprile 2018 al giorno 24 giugno 2018 in custodia in carcere e, dalla suddetta data fino al 7 luglio 2018, agli arresti domiciliari in relazione ad una pluralità di contestazioni compendiate ai capi A, C, D e F della imputazione provvisoria (associazione per delinquere per la commissione di reati di truffa, emissione di fatture per operazioni inesistenti, autoriciclaggio e somministrazione di medicinali con messa in pericolo della salute pubblica, concorso in truffa pluriaggravata, autoriciclaggio e falso), accuse in relazione alle quali il ricorrente era stato in parte prosciolto con sentenza di non luogo a procedere, ai sensi dell'art. 425 c.p.p., in data 17 settembre 2019 del giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Milano e infine assolto con sentenza del Tribunale di Milano in data 12 luglio 2021.

2. La Corte distrettuale, dopo avere esaminato le singole contestazioni e verificato le eventuali modifiche apportate alle stesse nel corso del giudizio di merito, ravvisava una corrispondenza di incriminazione tra gli originari titoli della imputazione provvisoria di cui ai capi A) (delitto associativo), D) (autoriciclaggio) e F), che nel mentre aveva assunto la intestazione di I (reati di falso) rispetto a quelli giudicati dal GUP di Milano con sentenza di non luogo a procedere ai sensi dell'art. 425 c.p.p.

Non ravvisava invece analoga coincidenza incriminatrice tra la originaria ipotesi ascritta al capo C), in relazione alla quale pure era stata disposta la misura coercitiva (afferente a ipotesi di truffe realizzate mediante la dissimulazione di crediti Iva nei confronti dell'erario previa acquisizione di farmaci da aziende ospedaliere con destinazione ospedaliera per poi dirottarli in operazioni esterovestite esenti da Iva), con le ipotesi di reato successivamente giudicate, tanto da affermare che, in relazione all'originario capo C) della imputazione provvisoria, l'azione penale non era stata affatto esercitata dalla pubblica accusa.

3. In relazione poi alle ipotesi di reato per le quali era stata pronunciata sentenza di non luogo a procedere ai sensi dell'art. 425 c.p.p., riconosceva essere inutilmente decorso il termine biennale per la proposizione della domanda di riparazione della ingiusta detenzione, presentata con ricorso depositato in data 21 novembre 2023, in quanto la sentenza di non luogo a procedere era stata depositata in data 1° ottobre 2019; avverso di essa era stato proposto appello dal pubblico ministero in data 11 novembre 2019, che era stato dichiarato inammissibile per tardività con ordinanza in data 23 maggio 2022, sul presupposto che la sentenza era passata in giudicato fin dalla data del 2 novembre 2019, di talché "l'inoppugnabilità della prima sentenza che ha prosciolto l'istante per i capi A, D, I (ex F) sarebbe sopravvenuta con l'ultimo istante del giorno di sabato 2 novembre 2019, con il decorso del termine di 15 giorni ex art. 585, comma 1, lett. a), c.p.p., corrente dalla data del 17 ottobre 2019, trentesimo giorno successivo alla pronuncia del dispositivo della sentenza di non luogo a procedere ex art. 425 c.p.p., il cui termine di motivazione è pari a giorni trenta ex art. 424, comma 4, c.p.p., termine che, nella specie, era stato rispettato dal giudice dell'udienza preliminare". Poiché l'irrevocabilità della sentenza era intervenuta nel novembre 2019, doveva riconoscersi la tardività della richiesta di riparazione per la ingiusta detenzione attivata soltanto nell'anno 2023, atteso che, in relazione alle contestazioni che avevano dato luogo alla misura cautelare, il termine biennale andava misurato a fare data dalla pronuncia che aveva definito il giudizio rispetto ad esse e non già a fare data dalla sentenza assolutoria di merito, la quale aveva definito ulteriori contestazioni in relazione alle quali non era stato emesso alcun titolo cautelare.

4. Avverso il suddetto provvedimento ha proposto ricorso per cassazione la difesa di Giammassimo G., la quale ha articolato due motivi di ricorso.

4.1. Con il primo motivo deduce violazione di legge, anche processuale, in relazione agli artt. 314 e 315 c.p.p. con riferimento agli artt. 425 e 434 c.p.p.

Assume il ricorrente che il giudice distrettuale, nel calcolare il dies a quo del termine biennale ai fini della proposizione della domanda di riparazione per l'ingiusta detenzione, aveva confuso i piani del giudicato formale, e cioè della irrevocabilità della sentenza che definisce il giudizio di merito, con quello della inoppugnabilità di una pronuncia, come quella di non luogo a procedere emessa ai sensi dell'art. 425 c.p.p., la quale non è suscettibile di passare in giudicato, in quanto revocabile in qualsiasi momento, e che è invece sottoposta a un particolare procedimento impugnatorio, all'esito del quale la decisione acquisisce stabilità, divenendo inoppugnabile.

Tale distinzione, peraltro recepita dall'art. 315 c.p.p., che, in relazione ai provvedimenti di archiviazione e di non luogo a procedere, fa decorrere il termine biennale dalla data di inoppugnabilità del provvedimento, non era stata colta dalla Corte di appello di Milano, la quale aveva ragionato in termini di irrevocabilità della sentenza, addirittura facendo retroagire l'inoppugnabilità alla data di scadenza del termine di impugnazione, come se la dichiarazione di appello del pubblico ministero non fosse mai stata presentata, in quanto ritenuta tardiva e quindi inammissibile dal giudice dell'impugnazione. Diversamente ragionando in termini di inoppugnabilità, doveva essere riconosciuta la pendenza del giudizio in costanza della impugnazione del pubblico ministero, laddove la inoppugnabilità del provvedimento sarebbe conseguita soltanto all'esito dell'inutile decorso del termine previsto dal codice di rito (art. 434 c.p.p.) per impugnare la ordinanza con cui era stato dichiarato inammissibile l'appello del PM; termine che avrebbe consentito di ritenere la tempestività della domanda di riparazione con riguardo al titolo cautelare disposto per le contestazioni di cui ai capi A-D ed I (già F).

4.2. Con il secondo motivo di ricorso assume violazione di legge e vizio motivazionale della statuizione con cui, in riferimento all'originario capo C) dell'imputazione provvisoria (truffe ai danni dell'erario), era stata riconosciuta la improponibilità della domanda di riparazione, in quanto i fatti di cui alla suddetta contestazione non sarebbero stati esaminati e decisi nel merito.

Assume la Corte di appello che non può essere ravvisata una continuità naturalistica e fattuale tra gli addebiti originariamente ascritti al G. rispetto a quelli su cui si era soffermata la pronuncia assolutoria, così da doversi concludere, in relazione alle suddette ipotesi di truffa, che non fosse stata esercitata l'azione penale.

4.2.1. Sotto un primo profilo assume violazione di legge laddove, se fosse vero che in relazione al capo C) della imputazione provvisoria non sia stata esercitata l'azione penale, benché in relazione al suddetto titolo il ricorrente avesse patito la custodia cautelare, ciò avrebbe dovuto condurre il giudice di appello a ritenere che il G. fosse ancora legittimato a proporre la domanda riparatoria in quanto, in relazione a detto reato, non era stato notificato alcun provvedimento di archiviazione.

Sotto diverso profilo assume violazione di legge e vizio motivazionale per non avere il provvedimento impugnato colto che il capo c) della imputazione provvisoria, in relazione al quale era stato emesso il titolo cautelare, era confluito nel capo q) della imputazione definitiva, decisa dal Tribunale di Milano con sentenza di assoluzione a seguito di dibattimento. In particolare, il giudice distrettuale non aveva considerato che nel corso del dibattimento, come evidenziato a pag. 19 della sentenza di assoluzione, era stato modificato il capo q) della rubrica mediante la contestazione della emissione di fatture aventi ad oggetto operazioni oggettivamente inesistenti e non già, come in origine ritenuto, soggettivamente inesistenti, e che pertanto le condotte naturalisticamente ascritte erano le medesime di quelle contenute nel capo c) della contestazione provvisoria, sebbene diversamente qualificate giuridicamente. Conforto a tale interpretazione era fornito altresì dalla pronuncia assolutoria intervenuta sul capo r) della rubrica, concernente ipotesi di abuso di ufficio, che faceva anch'esso riferimento a emissione di fatture emesse in relazione a operazioni soggettivamente inesistenti, che invece il Tribunale aveva riconosciuto riconducibili a forniture effettivamente realizzate. D'altro canto, la materialità delle condotte evincibili dal capo c) della imputazione provvisoria era altresì indicata nello stesso capo a) della rubrica (delitto associativo), in cui erano stati descritti i reati fine, e poi trasferiti nel capo q) della rubrica a seguito di modifica dell'imputazione in dibattimento. Si trattava indubbiamente di violazioni concernenti l'emissione di fatture per operazioni inesistenti, mediante la destinazione di farmaci ad acquirenti non autorizzati, la cui provenienza era dissimulata con false fatture, così da consentire agli imputati di lucrare la differenza tra il prezzo di acquisto rispetto a quello di rivendita e al contempo di maturare rilevanti crediti Iva verso l'erario, di cui veniva conseguito il rimborso.

4.2.2. In sostanza, il giudice distrettuale aveva omesso di considerare che i fatti naturalisticamente descritti al capo provvisorio di imputazione di cui alla lettera c), in relazione al quale era stato emesso il titolo cautelare, erano stati poi utilizzati per integrare l'imputazione con riferimento ai capi q) ed r) della imputazione definitiva nel corso del dibattimento, sebbene con la diversa qualificazione giuridica di reati fiscali concernenti l'emissione di fatture per operazioni oggettivamente inesistenti.

5. Nella propria requisitoria scritta, l'ufficio del Procuratore generale e il Ministero resistente, tramite la difesa dell'Avvocatura di Stato, hanno chiesto pronunciarsi l'inammissibilità del ricorso.

5.1. La difesa del G. ha depositato memoria difensiva di replica insistendo nell'accoglimento del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo di ricorso è fondato con conseguente annullamento dell'ordinanza impugnata e assorbimento del secondo motivo di impugnazione.

Errato è il principio, posto a fondamento della pronuncia di inammissibilità della domanda riparatoria, secondo cui al termine biennale previsto dall'art. 315 c.p.p. debbano applicarsi i principi che disciplinano il giudicato formale e gli effetti della sentenza irrevocabile, allorquando il provvedimento che definisce il giudizio di merito assolutorio non è una sentenza di assoluzione, ovvero di proscioglimento, ma una sentenza di non luogo a procedere, pronunciata ai sensi dell'art. 425 c.p.p.

2. In primo luogo, una distinzione tra irrevocabilità della sentenza e inoppugnabilità della sentenza di non luogo a procedere che, per sua natura, non ha carattere di irrevocabilità proprio in ragione del fatto che la stessa è sempre revocabile ai sensi dell'art. 434 c.p.p., è sancita dalla stessa normativa che disciplina il procedimento riparatorio, che all'art. 315 c.p.p. sancisce che la domanda deve essere presentata entro due anni che cominciano a decorrere dalla data in cui è divenuta irrevocabile la sentenza di condanna o di proscioglimento, ovvero dalla data in cui è divenuta inoppugnabile la sentenza di non luogo a procedere, ovvero viene notificato il provvedimento di archiviazione.

2.1. La sentenza diventa inoppugnabile quando contro la stessa non possono essere ulteriormente esperiti gli ordinari mezzi di impugnazione; il riferimento alla inoppugnabilità della sentenza di non luogo a procedere introduce pertanto un criterio che non attinge alle regole della sentenza irrevocabile, e quindi alla formazione di un giudicato, eventualmente progressivo, con la conseguenza che l'impugnazione tardiva non è in grado di produrre alcun effetto, né di carattere processuale (in quanto non si radica il rapporto processuale), né di carattere sostanziale (in presenza di giudicato che legittima l'esecuzione delle statuizioni contenute nella pronuncia). Il criterio della inoppugnabilità si riferisce, piuttosto, alla sequenza processuale di atti con cui si manifesta, e si sviluppa, il procedimento impugnatorio.

2.2. È pertanto inoppugnabile, anche se revocabile, la sentenza di non luogo a procedere nei confronti della quale non è più possibile esperire alcun ulteriore mezzo di impugnazione.

Per esempio, è stato affermato che il termine biennale per proporre la domanda di riparazione della ingiusta detenzione decorre dal giorno in cui la sentenza di non luogo a procedere sia divenuta inoppugnabile, da individuarsi, nel caso in cui avverso la stessa sia stato proposto ricorso per cassazione, nella data di deliberazione della sentenza della Corte e non in quella di deposito della motivazione (Sez. 4, n. 22566 del 30 gennaio 2019, Iacoboni, Rv. 276270), ovvero, nel caso di rideterminazione della pena da espiare in sede esecutiva, dalla data di inoppugnabilità del provvedimento esecutivo e non dal momento della scarcerazione, eventualmente antecedente, dell'istante (in motivazione, la Corte [ha] precisato che la ratio della disciplina di cui all'art. 315 c.p.p. è quella di ancorare il dies a quo per la proposizione della domanda al riferimento certo della definitività del provvedimento esecutivo sopravvenuto e non ad un criterio variabile, quale quello della cessazione della custodia cautelare, che può intervenire anche in un momento antecedente, Sez. 4, n. 32349 del 4 maggio 2023, Biamonte, Rv. 284923). Le richiamate decisioni costituiscono la declinazione di principi generali che vengono tratti dalla stessa normativa che regola il giudizio di riparazione per la ingiusta detenzione (Sez. 4, n. 41714 del 23 ottobre 2024, Milito, Rv. 287111-01; n. 38597 del 6 ottobre 2010, Morelli, Rv. 248835; n. 12607 del 24 gennaio 2005, PC in proc. Ministero del Tesoro, Rv. 231250), che non possono prescindere "dalla peculiarità della sentenza di non luogo a procedere ex art. 425 c.p.p., afferente al grado di stabilità stessa della decisione, che non forma giudicato (le sentenze di non luogo a procedere sono revocabili in quanto tipiche decisioni allo stato degli atti), e involgente il tema della non sempre agevole individuazione della linea divisoria tra il concetto di sostenibilità o non sostenibilità in giudizio dell'accusa, categoria giuridica fissata dal comma 3 dell'art. 425 c.p.p." (così, in motivazione, Sez. 6, n. 17951 del 13 ottobre 2015. PM e PC in proc. Barone, Rv. 267310).

3. La sentenza di non luogo a procedere, infatti, anche dopo l'intervenuta inoppugnabilità, non è suscettibile di divenire irrevocabile; tant'è che non impedisce che la persona nei cui confronti viene pronunciata possa subire un nuovo procedimento per lo stesso fatto.

È pertanto necessario tenere distinto il piano degli effetti della sentenza irrevocabile, che determina il passaggio in giudicato delle statuizioni in essa contenute aprendo la porta alla fase esecutiva, dal piano della sentenza di non luogo a procedere non più soggetta a impugnazione; invero nel primo caso, essendosi formato un giudicato sulle statuizioni in essa contenute, l'esperimento di una impugnazione tardiva non è in grado di generare un rapporto processuale dinanzi al giudice della impugnazione, così da determinare la pendenza del giudizio, tantoché risulta preclusa, tranne singole eccezioni (depenalizzazione della norma incriminatrice), ogni decisione diversa da quella di inammissibilità del gravame.

3.1. L'"inoppugnabilità" della sentenza di non luogo a procedere, invece, non può essere considerata alla stregua di un fenomeno di giudicato, in quanto tale non è, ma rileva quale evento o dato processuale al quale, nella sua oggettività processuale e fattuale, la legge riconduce alcuni effetti, tra i quali quello di segnare il dies a quo della domanda di riparazione.

In tale prospettiva, pertanto, è errata la interpretazione fornita dal giudice della riparazione laddove, in subiecta materia, ha ritenuto di mutuare le regole processuali e gli orientamenti giurisprudenziali in materia di giudicato formale a fronte di sentenza irrevocabile, in quanto la loro applicazione condurrebbe a conseguenze che si pongono in antitesi con i principi di certezza dei rapporti giuridici e di stabilità e prevedibilità degli esiti del procedimento di impugnazione. Si impone pertanto una interpretazione della nozione di sentenza di non luogo a procedere non più soggetta a impugnazione ("inoppugnabile"), che sia coerente con i limiti e i tempi nei quali deve essere esercitato il potere di impugnazione, fino al momento in cui sia esaurita l'ultima facoltà della parte interessata per contrastare l'esito del giudizio, nella sequenza processuale e nelle forme assegnate dal codice di rito. Ragionando diversamente si determinerebbe l'applicazione, ai fini del calcolo della decorrenza del termine, di un parametro eccentrico, ovvero quello della irrevocabilità, che il legislatore ha previsto espressamente appartenere alle sentenze rese in dibattimento e nel rito abbreviato, mentre, per quanto concerne le sentenze di non luogo a procedere, ha ritenuto di dovere riferirsi alla inoppugnabilità delle stesse. D'altro canto, risulterebbe contrario ai principi di certezza dei rapporti processuali e di prevedibilità dell'esito del procedimento impugnatorio pretendere che il soggetto prosciolto con sentenza ex art. 425 c.p.p. sia chiamato a sincerarsi, ancor prima che l'impugnazione del rappresentante della pubblica accusa gli sia notificata a cura della cancelleria ai sensi dell'art. 584 c.p.p., ovvero che gli sia notificata la fissazione della udienza camerale in cui deve essere deciso l'appello del PM ai sensi degli artt. 127 e 428, comma 2, c.p.p., della tempestività del gravame, al fine di risalire al dies a quo per la proposizione della richiesta riparatoria, anticipando, a tale fine, l'accertamento del giudice della impugnazione che potrebbe intervenire, come nella specie, oltre due anni dopo la data di proposizione del gravame, infine riconosciuto tardivo.

Conforto a tale interpretazione è offerto dalla giurisprudenza del giudice costituzionale, il quale, nel dichiarare la illegittimità costituzionale dell'art. 315 c.p.p., in quanto prevedeva che il termine biennale per la proposizione della domanda di riparazione per la ingiusta detenzione dovesse decorrere dalla pronuncia del decreto di archiviazione piuttosto che dalla notifica all'indagato, ha affermato (sentenza n. 446/1997) che "il principio secondo il quale, una volta stabilito un termine di decadenza, l'interessato deve essere posto in condizione di conoscerne la decorrenza iniziale senza l'imposizione di oneri eccedenti la normale diligenza è stato affermato più volte dalla giurisprudenza di questa Corte (cfr. sentenze nn. 185 del 1988, 134 del 1985, 14 del 1977, 255 del 1974 e 159 del 1971)", principio che risulterebbe compromesso qualora si sostenesse, come ha fatto il giudice della riparazione, che la declaratoria di inammissibilità per tardività della impugnazione del Pubblico Ministero avverso la sentenza di non luogo a procedere, pronunciata ad oltre due anni dalla proposizione della impugnazione, retroagisse, ai fini della proposizione della domanda di riparazione, alla scadenza del termine di impugnazione, in quanto si porrebbe a carico dello stesso imputato, interessato ad agire per la riparazione della ingiusta detenzione subita, l'onere di individuare il dies a quo di un termine di decadenza ancor prima che il giudice, adito con la impugnazione, dichiarasse l'inammissibilità del gravame.

4. Deve pertanto concludersi che è conforme a diritto e a logica, nonché coerente con i richiamati principi di certezza e oggettività dei rapporti processuali e di prevedibilità degli esiti del giudizio impugnatorio, nonché dell'art. 315 c.p.p. - e qui se ne enuncia il principio di diritto - affermare che "il termine di due anni per proporre la domanda di riparazione per la ingiusta detenzione a seguito di sentenza di non luogo a procedere pronunciata dal GIP ai sensi dell'art. 425 c.p.p. decorre, in caso di intervenuta impugnazione che venga poi dichiarata inammissibile in quanto tardiva, non già dalla data in cui è scaduto il termine per proporre impugnazione avverso la pronuncia di non luogo a procedere, bensì dall'inutile decorso del termine per proporre ricorso per cassazione avverso l'ordinanza della Corte di appello che dichiari, ai sensi dell'art. 591, comma 2, c.p.p., l'inammissibilità del gravame, ovvero, in ogni caso, dalla deliberazione del giudice di legittimità che si pronunci su tale ricorso".

4.1. Passando ad applicare nella specie il principio sopra enunciato e conformemente a quanto evidenziato dal giudice della riparazione nel provvedimento impugnato, va rilevato che la sentenza di non luogo a procedere è stata emessa in data 18 settembre 2019 ed è stata impugnata con appello proposto dal PM in data successiva al 2 novembre 2019, data riconosciuta dalla Corte di appello quale ultimo giorno utile per impugnare. La Corte di appello ha quindi dichiarato inammissibile l'impugnazione, per la rilevata tardività, con ordinanza assunta in data 23 maggio 2022. L'ordinanza di inammissibilità emessa dal giudice del gravame poteva a sua volta essere impugnata ex art. 428 c.p.p. in relazione all'art. 591, comma 3, c.p.p. con ricorso per cassazione. Ne consegue che, a differenza di quanto è stato postulato nell'ordinanza ricorsa, la sentenza di non luogo a procedere è divenuta inoppugnabile allo spirare del termine per proporre ricorso per cassazione avverso l'ordinanza che ha dichiarato la inammissibilità del gravame e, dunque, pur sempre nel corso dell'anno 2022. Solo da allora sono iniziati a decorrere i due anni entro i quali il ricorrente era tenuto a presentare la domanda di riparazione per ingiusta detenzione, la quale risulta essere stata proposta in data 21 novembre 2023 e pertanto entro il termine biennale dalla data in cui la sentenza di non luogo a procedere è divenuta inoppugnabile sulla base degli strumenti impugnatori riconosciuti dall'art. 428 e 591, comma 3, c.p.p.

5. L'ordinanza impugnata deve pertanto essere annullata senza rinvio, con trasmissione degli atti alla Corte di appello di Milano per l'ulteriore corso, risultando assorbita, all'esito dell'accoglimento del primo motivo di ricorso, la questione, sollevata con il secondo motivo di ricorso, concernente l'eventuale sopravvivenza, a seguito della pronuncia ex art. 425 c.p.p., di ulteriori contestazioni definite con sentenza dibattimentale di assoluzione in relazione alle quali era stata disposta la misura cautelare, questione rilevante soltanto qualora fosse stata accertata la tardività della domanda riparatoria rispetto alla data di inoppugnabilità della sentenza di non luogo a procedere.

Il giudice del rinvio provvederà anche alla regolamentazione delle spese sostenute dalle parti nel presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio l'ordinanza impugnata e dispone trasmettersi gli atti per l'ulteriore corso alla Corte di appello di Milano, cui demanda altresì la regolamentazione delle spese tra le parti relativamente al presente giudizio di legittimità.

Depositata il 5 giugno 2025.

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