Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana
Sentenza 20 giugno 2025, n. 495
Presidente: Giovagnoli - Estensore: Di Betta
FATTO E DIRITTO
1. Con deliberazione n. 17 del 30 marzo 2019, il Comune di Randazzo ha dichiarato il proprio dissesto finanziario, ai sensi degli artt. 244 e ss. del d.lgs. n. 267 del 2000, attivando così la speciale procedura di riequilibrio prevista dal titolo VIII del medesimo testo normativo. A seguito di tale dichiarazione, con decreto presidenziale del 23 agosto 2019, è stato nominato l'Organo straordinario di liquidazione, il quale si è insediato in data 19 agosto 2019, assumendo le competenze attribuite ex lege in ordine alla gestione e liquidazione della massa passiva riferibile ad obbligazioni giuridicamente perfezionatesi entro il 31 dicembre 2018, conformemente al disposto dell'art. 252, comma 4, del t.u.e.l.
2. Nel corso del procedimento di liquidazione, il Comune, nella persistente separazione tra gestione ordinaria e straordinaria, ha presentato, in data 19 gennaio 2021, istanza di ammissione al passivo nei confronti della gestione straordinaria per l'importo complessivo di euro 1.744.079,06. Tale somma, secondo la prospettazione dell'ente, corrisponderebbe al disavanzo di cassa accertato alla data 1° gennaio 2019 in relazione a fondi a destinazione vincolata, utilizzati per finalità diverse dal vincolo a cui le risorse erano destinate e successivamente non ricostituiti. Il dettaglio contabile prodotto, in particolare, attestava che euro 1.494.060,64 (cfr. giornale di cassa del tesoriere Unicredit al 2 gennaio 2019) erano riferibili a fondi destinati al programma PRUSST Valdemone, mentre i restanti euro 250.018,22 erano riconducibili ad ulteriori vincoli di scopo, comunque afferenti a risorse contabilizzate come fondi vincolati (cfr. delibera di determinazione della cassa vincolata alla data 1° gennaio 2019).
L'istanza comunale era sorretta da specifica istruttoria interna, da cui emergeva, in particolare, che l'utilizzo delle risorse vincolate si era verificato anteriormente alla data di competenza dell'O.S.L. e che, in difetto di ricostituzione, si era determinata un'obbligazione passiva suscettibile di iscrizione nella massa liquidatoria. Il Comune richiamava altresì a fondamento della propria pretesa la sentenza della Corte dei conti - Sezione regionale di controllo per il Lazio - n. 101 del 2019, che avrebbe riconosciuto la competenza dell'O.S.L. in ordine alla ricostituzione dei fondi vincolati in caso di loro impiego antecedente al dissesto.
3. Con deliberazione n. 41 del 26 marzo 2024, l'O.S.L. ha, tuttavia, respinto l'istanza di ammissione, previo preavviso di diniego anch'esso oggetto di gravame (nota prot. 871 del 19 gennaio 2021), fondando il diniego su una serie di argomentazioni afferenti, da un lato, alla qualificazione giuridica delle risorse PRUSST come estranee alla contabilità dell'ente, in quanto riconducibili a un'iniziativa, secondo l'O.S.L., di un soggetto giuridico distinto costituito ai sensi dell'art. 30 t.u.e.l., e dall'altro, sulla mancata risposta del Comune alle richieste istruttorie concernenti i residui di euro 250.018,22.
A corredo delle proprie valutazioni, la Commissione ha infine richiamato la deliberazione n. 105 del 2022 della Corte dei conti del Lazio, secondo cui un Comune non potrebbe insinuarsi nella massa passiva del proprio dissesto "... poiché non può vantare crediti verso se stesso".
4. Avverso tale deliberazione, il Comune di Randazzo ha proposto ricorso, deducendo, l'erroneità della ricostruzione operata dall'O.S.L. e prospettando la violazione di plurime disposizioni normative, tra cui gli artt. 252 e 254 t.u.e.l., l'art. 195 medesimo decreto, l'art. 10 dell'accordo quadro del 31 maggio 2002 stipulato con il Ministero delle infrastrutture, nonché i principi contabili generali e specifici di cui agli allegati al d.lgs. n. 118 del 2011.
Il ricorrente ha sostenuto, in particolare:
- che il PRUSST non avrebbe, mai assunto autonoma soggettività giuridica, sicché le risorse ricevute dal Ministero avrebbero dovuto ritenersi imputate al bilancio comunale, anche se destinate ad attività promosse in forma associata;
- che l'utilizzo delle risorse vincolate imponeva la loro ricostituzione;
- che l'ente non può ritenersi privo di legittimazione ad agire nei confronti della gestione straordinaria, atteso che quest'ultima opera quale organo terzo e autonomo funzionalmente separato dalla gestione ordinaria;
- che la deliberazione impugnata si poneva in insanabile contrasto con lo stesso piano di riequilibrio finanziario approvato prima del dissesto, nel quale erano espressamente previsti accantonamenti a copertura dei fondi a destinazione vincolata.
5. Costituitasi in giudizio, la Commissione straordinaria di liquidazione ha preliminarmente eccepito il difetto di giurisdizione del Giudice amministrativo, assumendo che la controversia rientrasse nella materia della contabilità pubblica e fosse quindi devoluta alla cognizione della Corte dei conti. Ha, altresì, contestato nel merito la fondatezza del ricorso, reiterando le argomentazioni contenute nella deliberazione impugnata e invocando altresì un precedente della giurisdizione amministrativa (T.A.R. Catania, I, n. 2252/2024) in cui si affermava la cessazione, in capo al Comune, del ruolo di soggetto promotore del PRUSST.
6. All'esito del giudizio di prime cure, con la sentenza oggetto dell'odierno gravame, il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia, sede di Catania, ha pronunciato declaratoria di inammissibilità del ricorso proposto dal Comune di Randazzo, ravvisando un difetto assoluto di giurisdizione in capo al Giudice amministrativo e ritenendo che la cognizione della controversia spettasse, in via esclusiva, alla magistratura contabile, ai sensi dell'art. 172, comma 1, lett. d), del codice di giustizia contabile. In particolare, il Giudice di primo grado ha ritenuto che la domanda proposta dall'ente ricorrente si collochi nell'ambito di una materia di contabilità pubblica, rientrante nelle attribuzioni giurisdizionali della Corte dei conti, sulla scorta della natura soggettiva degli atti impugnati e della funzione tipica attribuita all'Organo straordinario di liquidazione.
7. Avverso tale statuizione, l'ente locale ha proposto rituale impugnazione, censurando in radice l'erroneità della declaratoria di difetto di giurisdizione contenuta nella pronuncia del Giudice di primo grado, e articolando, a fondamento del proprio gravame, una serie di motivi di appello sorretti da argomentazioni giuridiche, sistematicamente ancorate al dettato normativo, ai principi costituzionali e alla giurisprudenza di legittimità e di merito. L'ente appellante, in particolare, contesta recisamente la sussistenza dei presupposti per l'applicazione dell'art. 172, comma 1, lett. d), del codice della giustizia contabile, evidenziando come la controversia si configuri a tutti gli effetti quale giudizio di impugnazione di un atto amministrativo, rientrante nella giurisdizione generale di legittimità propria del Giudice amministrativo.
8. La Commissione straordinaria di liquidazione si è costituita in giudizio ribadendo ciò che ha sostenuto in primo grado, in totale adesione alla sentenza impugnata, sollevando plurime eccezioni in rito: difetto di giurisdizione; difetto di interesse ad agire; inammissibilità per carenza delle condizioni dell'azione che semmai farebbe capo al Ministero delle infrastrutture; difetto di legittimazione attiva in quanto il Comune non riveste più il ruolo di soggetto promotore del PRUSST.
9. A fronte di tali rilievi, questo Collegio - all'esito di un esame puntuale della disciplina applicabile e del quadro giurisprudenziale di riferimento, nonché alla luce di un'interpretazione costituzionalmente orientata dei principi che regolano il riparto di giurisdizione - ritiene fondate le censure proposte dall'appellante sulla questione pregiudiziale, con conseguente integrale rigetto dell'eccezione preliminare di difetto di giurisdizione sollevata dalla Commissione straordinaria di liquidazione e accolta dal Tribunale Amministrativo Regionale.
10. Il Collegio ritiene opportuno ricostruire la disciplina normativa che regola lo stato di dissesto finanziario degli enti locali, la cui matrice originaria va individuata nel titolo VIII del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, improntata a criteri di separazione funzionale, responsabilizzazione amministrativa e salvaguardia della continuità istituzionale dell'ente pubblico.
Tale architettura normativa ha conosciuto diversi interventi di affinamento e potenziamento, tra i quali assumono particolare rilievo l'art. 5, comma 2, del d.l. 12 luglio 2004, n. 80, convertito con modificazioni nella l. 9 agosto 2004, n. 140, che ha chiarito il perimetro temporale di attribuzione alla gestione straordinaria delle obbligazioni contratte prima della dichiarazione di dissesto, e l'art. 36 del d.l. 24 aprile 2017, n. 50, convertito con modificazioni nella l. 21 giugno 2017, n. 96, che ha inciso profondamente sulla disciplina dei fondi a destinazione vincolata, attribuendo in via esclusiva alla Commissione straordinaria di liquidazione la gestione contabile dei relativi residui attivi e passivi, anche in deroga al principio generale di separazione tra gestione straordinaria e ordinaria.
La ratio legis che sottende tale evoluzione normativa è quella di assicurare un assetto funzionale autonomo e autosufficiente per la gestione del pregresso passivo, evitando che le passività consolidate, maturate nel periodo antecedente alla crisi conclamata, possano travolgere la gestione corrente e compromettere gli equilibri economico-finanziari della fase di risanamento.
Il legislatore ha dunque disegnato un sistema che, nel perseguimento dell'interesse pubblico primario al ripristino della solvibilità dell'ente, individua nell'O.S.L. un soggetto dotato di competenze esclusive, finalizzate alla ricostruzione ordinata del quadro debitorio e alla definizione di un piano di estinzione coerente con la capacità effettiva dell'amministrazione dissestata, secondo criteri di equità, imparzialità e responsabilità amministrativa. Tale impianto normativo ha consacrato un modello di governance del dissesto ispirato a un rigoroso principio di distinzione funzionale tra due piani autonomi e complementari dell'azione amministrativa dell'ente locale: da un lato, la gestione ordinaria delle funzioni istituzionali e dei servizi pubblici, rimessa agli organi di governo e all'apparato burocratico dell'ente medesimo; dall'altro, la gestione straordinaria delle passività pregresse, formalmente e sostanzialmente separata, affidata a un organo autonomo dotato di poteri propri - la Commissione straordinaria di liquidazione - istituito con finalità eccezionali e transitorie, e incaricato di procedere, con criteri liquidatori e secondo logiche concorsuali, alla rilevazione, quantificazione e progressiva estinzione della massa debitoria maturata anteriormente all'approvazione dell'ipotesi di bilancio riequilibrato.
Tale attribuzione funzionale trova fondamento nell'art. 252, comma 4, del d.lgs. n. 267/2000, come modificato e integrato dall'art. 5, comma 2, del d.l. n. 80 del 2004, convertito nella l. n. 140 del 2004, il quale ha delineato una regola cronologica di imputazione alla gestione straordinaria, fondata sul criterio del compimento dell'attività amministrativa generatrice dell'obbligazione entro il 31 dicembre dell'anno antecedente a quello di redazione dell'ipotesi di bilancio riequilibrato. La norma, nella sua formulazione testuale e nella sua portata sistematica, e successivamente la giurisprudenza (cfr. Ad. plen., n. 1 del 2022 e C.G.A., sent. n. 7 del 2024), hanno chiarito che anche i debiti non ancora accertati in sede giurisdizionale o amministrativa alla data di insorgenza del dissesto, ma comunque correlati a fatti o atti anteriori alla predetta soglia temporale, rientrano nella sfera di competenza dell'O.S.L., purché il relativo accertamento sia intervenuto prima dell'approvazione del rendiconto della gestione straordinaria.
Si configura, dunque, un perimetro oggettivo e temporale rigidamente definito, che costituisce la cornice giuridica insuperabile entro cui si cristallizza la massa passiva di riferimento della procedura di dissesto. Tale delimitazione temporale rappresenta un presidio strutturale di garanzia, volto a impedire qualsiasi commistione o interferenza tra le poste debitorie pregresse e la gestione ordinaria corrente, la quale, una volta avviata la fase del riequilibrio finanziario, deve essere preservata da ogni contaminazione contabile proveniente dal passato.
In questa prospettiva funzionale, l'Organo straordinario di liquidazione assurge a plesso decisionale autonomo e distinto, sebbene radicato nell'ordinamento dell'ente locale, e si qualifica come soggetto pubblico investito di una funzione tipicamente amministrativa, che si estrinseca attraverso l'esercizio di poteri autoritativi orientati alla formazione di una volontà pubblicistica incidente su rapporti obbligatori pregressi. Ai sensi degli artt. 254 e 255 del d.lgs. n. 267/2000, tale funzione si sviluppa attraverso una sequenza procedimentale caratterizzata da doveri di istruttoria, obblighi motivazionali e rispetto delle garanzie partecipative, culminante nell'adozione del piano di estinzione delle passività e nella rendicontazione finale dell'attività svolta.
L'adozione di tale piano, lungi dal configurarsi quale mera operazione contabile interna, rappresenta un atto di alta amministrazione che incide in maniera determinante sul diritto dei creditori, compreso l'ente stesso ove titolare di obbligazioni insorte anteriormente alla dichiarazione di dissesto.
L'imputazione del debito alla gestione straordinaria di liquidazione comporta, quale effetto giuridico immediato e inderogabile, la sottrazione dell'intera sfera di competenza attiva e passiva relativa alle obbligazioni pregresse dall'area funzionale di governo dell'ente territoriale, inibendo ex lege, e con portata assoluta, l'esperibilità di qualsiasi forma di azione giurisdizionale, sia essa esecutiva, cautelare o cognitiva, individuale o collettiva, che abbia per oggetto crediti riconducibili alla fase antecedente al dissesto. Tale effetto inibitorio, che assume i tratti di una vera e propria immunità giurisdizionale temporanea dell'ente rispetto a pretese pecuniarie, trova fondamento non in un meccanismo meramente processuale, bensì in una ratio sistemica di natura sostanziale, radicata nella peculiare teleologia della procedura liquidatoria.
11. In tale articolato contesto normativo, ove le grandezze contabili - tra debiti pregressi, equilibri di bilancio e fondi di cassa, ordinaria e straordinaria - sembrano assurgere a categorie giuridiche, la domanda proposta dal Comune di Randazzo è volta all'annullamento della deliberazione n. 41 del 2024 adottata dalla Commissione straordinaria di liquidazione, con cui è stata rigettata l'istanza avanzata dallo stesso ente al fine di ottenere l'ammissione alla massa passiva.
L'atto impugnato si configura, pertanto, come un provvedimento amministrativo a contenuto autoritativo, intervenuto all'esito di un procedimento istruttorio, comprendente l'acquisizione di controdeduzioni e con una motivazione formale.
Il Comune ricorrente ha avanzato l'istanza all'Organo straordinario di liquidazione, e non avrebbe potuto agire in modo differente, in quanto "ai fini dell'applicazione degli articoli 252, comma 4, e 254, comma 3, del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, si intendono compresi nella fattispecie ivi previste tutti i debiti correlati ad atti e fatti di gestione verificatisi entro il 31 dicembre dell'anno precedente a quello dell'ipotesi di bilancio riequilibrato, pur se accertati, anche con provvedimento giurisdizionale, successivamente a tale data ma, comunque, non oltre quella di approvazione del rendiconto della gestione di cui all'art. 256, comma 11, del medesimo Testo Unico" (cfr. Ad. plen., n. 1 del 2022).
La contrapposizione processuale fra l'ente locale e l'O.S.L. è configurabile come l'emersione di un conflitto oggettivo tra due centri di imputazione di interessi pubblici differenziati, ciascuno operante nel rispetto di competenze normativamente definite e con ambiti funzionali autonomi: l'uno (l'ente) nella gestione ordinaria della funzione amministrativa locale, l'altro (l'O.S.L.) nell'ambito straordinario e separato della procedura liquidatoria.
Accertati i fatti nei termini anzidetti, orbene, pur dando atto della fondatezza di alcune argomentazioni sostenute dal Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia con la sentenza impugnata, il Collegio dissente dalla soluzione declinatoria ritenendo che la controversia all'esame non rientri, né per oggetto né per struttura, nell'ambito della giurisdizione contabile, spettando il relativo sindacato al Giudice amministrativo.
Il punto qualificante, che merita di essere valorizzato, è rappresentato dalla natura dell'atto impugnato ovvero la deliberazione dell'O.S.L. con cui si nega l'ammissione alla massa passiva di somme vincolate. Tale deliberazione non si configura quale espressione di una funzione meramente contabile, né quale regolazione paritaria di rapporti giuridico-patrimoniali tra enti, ma costituisce, piuttosto, un provvedimento autoritativo, espressione del potere amministrativo di accertamento e liquidazione della massa passiva, disciplinato dagli artt. 254 e 256 del d.lgs. n. 267/2000.
L'Organo straordinario di liquidazione, istituito con decreto presidenziale su proposta del Ministero dell'interno opera nell'alveo del diritto amministrativo, adottando atti che - per forma, procedimento e natura degli effetti - si qualificano come provvedimenti amministrativi, idonei a incidere su posizioni soggettive di interesse legittimo. Non pare, pertanto, convincente quanto sostenuto nella sentenza impugnata in merito al richiamo all'art. 172, comma 1, lett. d), c.g.c., disposizione che, nel riferirsi ai "giudizi ad istanza di parte [...] nelle materie di contabilità pubblica", non può fungere da fondamento per un'estensione indiscriminata della giurisdizione contabile a tutti i casi in cui sia evocato un effetto finanziario.
Opina, difatti, il Collegio, in merito all'art. 172, comma 1, lett. d), del codice di giustizia contabile, che la norma ha carattere speciale e vista la portata dispositiva - in quanto eccezionale rispetto al principio generale di riparto della giurisdizione tra giudice ordinario, amministrativo e contabile - non ammette letture estensive o applicazioni analogiche, pena la violazione dei principi fondamentali sanciti dagli artt. 24, 103 e 113 della Costituzione. Tale disposizione configura, infatti, un'ipotesi tassativa e rigorosamente delimitata di attribuzione della cognizione alla giurisdizione contabile in materia diversa da quelle di contabilità in senso stretto e di responsabilità amministrativa o contabile, postulando a tal fine la compresenza di due presupposti strutturali dotati di carattere cumulativo ed essenziale (cfr. ex multis Corte conti, Sez. III centr. giurisd. app., sent. n. 3 del 9 gennaio 2020).
Il primo presupposto consiste nella necessaria esistenza di una disposizione normativa primaria che espressamente devolva alla Corte dei conti la competenza a decidere determinate controversie. Tale previsione deve assumere il carattere della specialità e della tipizzazione, non essendo sufficiente una generica riconducibilità del thema decidendum all'ambito della finanza pubblica o del bilancio, ma occorrendo, invece, una norma attributiva specifica, che individui con precisione il tipo di azione, il tipo di soggetto e l'oggetto del giudizio. In mancanza di tale base normativa, l'accesso alla giurisdizione contabile è precluso in radice, per violazione del principio del Giudice naturale precostituito per legge.
Il secondo presupposto, di carattere materiale, attiene alla natura della controversia e richiede che essa verta effettivamente su materia riconducibile alla contabilità pubblica in senso tecnico, vale a dire su rapporti giuridici attinenti alla gestione, alla tenuta, alla verifica o alla resa del conto di denaro pubblico, ovvero alla responsabilità derivante da danno erariale. È necessario, cioè, che la lite abbia per oggetto attività funzionalmente collegate all'amministrazione e alla tutela delle risorse pubbliche, come accade nelle ipotesi di giudizio sul conto, responsabilità patrimoniale del pubblico funzionario, oppure verifica della corretta tenuta del bilancio o della contabilità degli enti pubblici.
Tali due presupposti - l'uno di ordine formale, l'altro di ordine sostanziale - debbono concorrere simultaneamente, con carattere imprescindibile e insopprimibile. La mancanza anche di uno solo di essi impedisce, in modo assoluto e insuscettibile di sanatoria, la devoluzione della cognizione alla Corte dei conti, dovendosi altrimenti configurare un'ipotesi di sconfinamento giurisdizionale in contrasto con l'assetto costituzionale del riparto.
La giurisdizione contabile, a parere del Collegio, non può essere invocata ogni qualvolta si faccia questione della gestione di risorse pubbliche; essa trova applicazione esclusivamente in presenza di un'espressa previsione legislativa ovvero in quei casi nei quali sia in discussione la tenuta del conto giudiziale o la responsabilità amministrativa di un soggetto pubblico per danno erariale. Diversamente opinando, si correrebbe il rischio di una indebita espansione dell'ambito cognitivo del Giudice contabile, in violazione del principio della giurisdizione naturale e della tassatività delle giurisdizioni speciali, che impone una rigorosa delimitazione delle materie attribuite alle singole magistrature.
In tale prospettiva, pertanto, la deliberazione dell'O.S.L. oggetto del gravame si atteggia a manifestazione provvedimentale in senso pieno e pertanto rientra nell'ambito di cognizione naturale del Giudice amministrativo, chiamato a sindacare l'operato della pubblica amministrazione sotto il profilo della legittimità. Si ritiene, difatti, che una diversa impostazione conduca a un'inaccettabile estensione del perimetro della giurisdizione contabile, con effetti paradossali in punto di riparto. In particolare, si verrebbe a configurare una situazione in cui le decisioni dell'O.S.L. sarebbero sottratte a qualsivoglia sindacato sulla loro legittimità, qualora il soggetto inciso fosse il Comune stesso nella sua gestione ordinaria, laddove esse sarebbero invece pienamente sindacabili davanti al Giudice amministrativo ove adottate nei confronti di soggetti terzi. Si introdurrebbe, così, una disparità di tutela non giustificabile né sul piano normativo né su quello costituzionale, stante l'identità funzionale e procedurale degli atti in questione.
Secondo un principio di ordine generale, solidamente radicato nella più autorevole giurisprudenza di legittimità e fatto proprio anche dal Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia, allorché si tratti di determinare quale sia il plesso giurisdizionale titolare della potestas iudicandi, non può attribuirsi rilievo decisivo al mero tenore letterale della domanda formulata in giudizio, bensì occorre far capo al contenuto sostanziale della pretesa giurisdizionale ivi dedotta, avuto riguardo alla natura effettiva del bene giuridico controverso e alla posizione soggettiva fatta valere.
In tale prospettiva, la Suprema Corte di cassazione, a Sezioni unite civili, con orientamento da tempo consolidato e mai contraddetto nei suoi tratti essenziali, insegna che, ai fini dell'individuazione del giudice munito di giurisdizione non vale la prospettazione formalistica, soggettiva e talora suggestiva operata dalle parti, bensì occorre fare riferimento al cosiddetto petitum sostanziale che va ricostruito alla luce della causa petendi, ossia della natura intrinseca della situazione giuridica azionata, valutata con riferimento ai fatti allegati e al rapporto giuridico sostanziale sottostante.
La domanda proposta dall'Amministrazione comunale di Randazzo nei confronti dell'Organismo straordinario di liquidazione, orbene, lungi dal porsi nell'alveo delle controversie relative alla realizzazione di pretese creditorie soggettive, si colloca invero sul piano, eminentemente pubblicistico, della corretta e razionale amministrazione delle risorse finanziarie dell'ente territoriale, incidendo su un profilo di interesse generale afferente alla salvaguardia dell'equilibrio economico-finanziario dell'ente stesso.
In tale ottica, si deve riconoscere come l'ente territoriale - agendo formalmente nella veste di soggetto proponente una determinata richiesta - si muova in realtà per la cura di un interesse pubblico di rilievo primario e prevalente, volto a garantire la regolarità, la trasparenza e la sostenibilità dell'azione amministrativa nel delicato contesto della fuoriuscita dalla condizione di dissesto.
Il Comune, pertanto, non persegue un proprio interesse patrimoniale in senso stretto, né si atteggia quale portatore di un diritto soggettivo alla soddisfazione di un credito, bensì agisce per assicurare una sana, corretta ed equilibrata gestione della propria finanza pubblica, nell'ambito di un procedimento amministrativo che ha ad oggetto l'ammissione o l'esclusione di determinati debiti alla massa passiva.
Di talché, tanto la causa petendi, identificabile nel rapporto conflittuale tra l'ente comunale e il soggetto investito del mandato straordinario di gestione liquidatoria, quanto il petitum sostanziale - ravvisabile nella richiesta di accoglimento in detta massa - si inscrivono appieno nella sfera della giurisdizione del Giudice amministrativo, giacché involgono valutazioni tecnico-discrezionali e ponderazioni tipicamente spettanti all'autorità preposta alla tutela dell'interesse pubblico.
In definitiva, l'interesse che sorregge l'azione del Comune non è già quello - proprio dei soggetti privati - di conseguire coattivamente l'adempimento di una obbligazione pecuniaria, bensì quello, ben più ampio e qualificato, di evitare ricadute distorsive sull'assetto futuro della propria gestione finanziaria e di concorrere, secondo logiche di buon andamento, al graduale riequilibrio dei conti pubblici. Le posizioni di diritto soggettivo eventualmente coinvolte, riconducibili a soggetti terzi, rimangono sullo sfondo e risultano del tutto estranee al thema decidendum del presente giudizio.
Per tutto quanto sopra, il Collegio ritiene che la giurisdizione debba essere affermata in capo al Giudice amministrativo, al quale spetta il compito di sindacare, nei limiti propri della giurisdizione di legittimità, la correttezza formale e sostanziale delle deliberazioni adottate dall'OSL in sede di formazione della massa passiva.
L'appello deve, dunque, essere accolto, con conseguente annullamento della sentenza appellata e rinvio della causa al T.A.R. adito.
La peculiarità delle questioni di diritto esaminate giustifica l'integrale compensazione delle spese del doppio grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, in sede giurisdizionale, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, in riforma della sentenza gravata, dichiara la sussistenza della giurisdizione amministrativa; per l'effetto, rimette la causa al giudice di primo grado ai sensi dell'art. 105, comma 1, c.p.a.
Spese del doppio grado sin qui svolto compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Note
La presente decisione ha per oggetto TAR Sicilia, Catania, sez. V, sent. n. 2770/2024.