Consiglio di Stato
Sezione V
Sentenza 2 maggio 2025, n. 3734

Presidente: Caringella - Estensore: Quadri

FATTO

Vivai Barretta Garden s.r.l. ha impugnato la comunicazione del 30 ottobre 2023, avente quale oggetto "Comunicazione di revoca dell'aggiudicazione ed escussione della garanzia provvisoria ed atti conseguenti" riferita alla procedura aperta per l'affidamento dell'"Accordo Quadro per Manutenzione Triennale delle Aree Verdi del Comune di Giugliano in Campania (NA)" (CIG 95251366E2 - CUP G91E22000210004), il decreto prot. 821 del 31 ottobre 2023 del registro decreti, a firma del Provveditore, con il quale è stata revocata l'aggiudicazione dell'appalto ed escussa la garanzia provvisoria, e gli atti connessi.

Il Tribunale amministrativo regionale per la Campania ha respinto il ricorso con sentenza n. 7018 del 2023, appellata da Vivai Barretta Garden s.r.l.

Con sentenza n. 7911 del 2024 questa sezione ha respinto l'appello.

Vivai Barretta Garden s.r.l. ha, dunque, proposto ricorso per la revocazione della sentenza n. 7911 del 2024.

Si sono costituiti il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e il Comune di Giugliano in Campania, che hanno chiesto l'inammissibilità e, comunque, il rigetto del ricorso per revocazione.

All'udienza pubblica del 16 aprile 2025 il ricorso per revocazione è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

Giunge in decisione il ricorso proposto da Vivai Barretta Garden s.r.l. per la revocazione della sentenza del Consiglio di Stato, V, n. 7911 del 2024, che ha respinto il suo appello per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania n. 7018 del 2023, che aveva, a sua volta, respinto il ricorso di primo grado di Vivai Barretta Garden s.r.l.

Sia in primo grado che in appello la società assumeva di aver ampiamente documentato la contestazione giudiziale della risoluzione avvenuta con la Messina Servizi a mezzo della produzione degli atti del giudizio attestante la pendenza, davanti al Tribunale di Messina, di un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo ottenuto dall'appellante nei confronti di Messina Servizi Bene Comune per il pagamento del corrispettivo dell'appalto; inoltre, la ricorrente sosteneva di avere documentato di aver proposto una reconventio reconventionis per il pagamento di importi ulteriori rispetto a quelli oggetto del decreto ingiuntivo, per prestazioni rese a valle del SAL prodotto come prova scritta del credito in sede monitoria, con la conseguente illegittimità della risoluzione disposta in ragione del grave inadempimento della Messina Servizi Bene Comune.

Nonostante ciò, sarebbe stata emessa la sentenza n. 77911 del 2024 che si sarebbe fondata su un evidente errore di fatto, determinato da palese svista.

Invero, per la ricorrente, il Collegio non si sarebbe avveduto della contestazione giudiziale della risoluzione, rigettando il ricorso in appello.

Per la ricorrente, inoltre, la risoluzione non solo era stata contestata in giudizio, ma a seguito dell'ordinanza del Tribunale di Messina con cui è stato disposto l'esperimento della mediazione in data 11 luglio 2024, sarebbe stato raggiunto un accordo a seguito del quale Messina servizi Bene Comune s.p.a. ha corrisposto a Vivai Barretta Garden s.r.l. l'importo omnicomprensivo di IVA ed ogni altro onere fiscale di euro 36.000,00 a tacitazione di ogni pretesa direttamente e/o indirettamente connessa o collegata ai fatti dell'odierna procedura di mediazione e al giudizio pendente innanzi al Tribunale di Messina. Inoltre, ANAC avrebbe correttamente rilevato che a seguito dell'accordo transattivo in sede di mediazione demandata dal giudice della causa, entrambe le iscrizioni formulate non avrebbero motivo di esistere, essendosi entrambe definite senza accertamento della responsabilità per risoluzione della ricorrente.

Vivai Barretta Garden s.r.l. propone, dunque, ricorso per revocazione della sentenza succitata, deducendo i seguenti motivi:

- quanto al giudizio rescindente, erroneità della sentenza, sub specie di errore di fatto ex art. 106 c.p.a., in combinato disposto con l'art. 395, comma 1, n. 4, c.p.c.;

- quanto al giudizio rescissorio, error in iudicando per manifesta contraddittorietà in ragione del coevo giudizio di affidabilità espresso dalla stazione appaltante nella concessione della proroga e conseguente arbitrarietà e irragionevolezza nel giudizio di inaffidabilità in concreto dell'appellante.

Per il Comune di Giugliano in Campania il ricorso per revocazione è inammissibile e infondato, non sussistendo alcun abbaglio dei sensi da parte del giudice.

Il ricorso è inammissibile.

Per consolidata giurisprudenza, l'errore di fatto, idoneo a costituire il vizio revocatorio previsto dall'art. 395, n. 4), c.p.c., deve: 1) consistere in una errata percezione del fatto, in una svista di carattere materiale, oggettivamente e immediatamente rilevabile e tale da aver indotto il giudice a supporre l'esistenza di un fatto la cui verità era esclusa in modo incontrovertibile, oppure a considerare inesistente un fatto accertato in modo parimenti indiscutibile; 2) essere decisivo, nel senso che, se non vi fosse stato, la decisione sarebbe stata diversa; 3) non cadere su di un punto controverso sul quale la Corte si sia pronunciata; 4) presentare i caratteri della evidenza e della obiettività, sì da non richiedere, per essere apprezzato, lo sviluppo di argomentazioni induttive e di indagini ermeneutiche; 5) non consistere in un vizio di assunzione del fatto, né in un errore nella scelta del criterio di valutazione del fatto medesimo.

L'errore di fatto revocatorio consiste, insomma, nel cosiddetto abbaglio dei sensi, e cioè nel travisamento delle risultanze processuali dovuto a mera svista del giudice, che conduca a ritenere come inesistenti circostanze pacificamente esistenti o viceversa: la falsa percezione da parte del giudice della realtà processuale, che giustifica l'applicazione dell'art. 395, c.p.c., deve consistere in una svista obiettivamente ed immediatamente rilevabile, che abbia portato ad affermare l'esistenza di un fatto decisivo, incontestabilmente escluso dagli atti e documenti di causa, ovvero l'inesistenza di un fatto decisivo che dagli atti e documenti medesimi risulti invece positivamente accertato.

È inammissibile, quindi, il rimedio revocatorio in relazione ad errori non rilevabili con assoluta immediatezza, ma che richiedano, per essere apprezzati, lo sviluppo di argomentazioni induttive e di indagini ermeneutiche, ovvero errori che non consistano in un vizio di assunzione del fatto (tale da comportare che il giudice non statuisca su quello effettivamente controverso), ma si riducano ad errori di criterio nella valutazione del fatto, di modo che la decisione non derivi dall'ignoranza di atti e documenti di causa, ma dall'erronea interpretazione di essi.

Non sussiste vizio revocatorio quando si lamenta un'asserita erronea valutazione delle risultanze processuali o una anomalia del procedimento logico di interpretazione del materiale probatorio (in quanto ciò si risolve in un errore di giudizio), nonché quando una questione controversa sia stata risolta sulla base di specifici canoni ermeneutici o sulla base di un esame critico della documentazione acquisita (cfr. C.d.S., V, 20 dicembre 2018, n. 7189).

Nella fattispecie all'esame del Collegio non si rinvengono i ricordati elementi che connaturano gli estremi dell'errore revocatorio di fatto, atteso che gli asseriti errori della sentenza ipotizzati nel ricorso non appaiono consistere in un vizio di assunzione del fatto, tale da comportare che il giudice non statuisca su quello effettivamente controverso.

Con l'impugnazione la società ha inteso, dunque, rendere oggetto di sindacato la oramai intangibile pronunzia di secondo grado utilizzando in maniera strumentale l'impugnativa di cui all'art. 395 c.p.c.

I motivi articolati dalla società non afferiscono un presunto "abbaglio dei sensi" o "svista di carattere materiale", ma aspetti in fatto e soprattutto "in diritto" oramai coperti dal giudicato.

Le censure dedotte in sede di revocazione involgono, dunque, questioni di carattere giuridico ed ermeneutico, che costituiscono punti già controversi del giudizio, al fine di riproporre e rivisitare, nel merito, argomenti non più censurabili.

I motivi si risolvono, cioè, in un'inammissibile censura all'attività valutativa del precedente giudice, la quale esula dall'ambito della revocazione, pena la trasformazione dello strumento revocatorio in un terzo grado di giudizio (cfr. C.d.S., V, 11 dicembre 2015, n. 5657).

In particolare, non è ravvisabile il dedotto vizio revocatorio assunto dall'istante, in quanto lo stesso costituisce proprio uno dei punti controversi sul quale il giudice ha deciso.

Per la sentenza, invero: "Gli argomenti con i quali l'appellante contesta detta motivazione sono manifestamente infondati, per la inconsistenza, sotto il profilo giuridico, della tesi secondo cui l'aver richiesto il pagamento di prestazioni effettuate equivarrebbe alla contestazione in giudizio della risoluzione e il mancato pagamento di tali prestazioni avrebbe indotto la Vivai Barretta Garden ad avvalersi della eccezione di inadempimento ai sensi dell'art. 1460 del codice civile. Argomenti che sono smentiti dal fatto (non contestato) che il provvedimento di risoluzione non è stato impugnato in giudizio, nel quale, invece, essi avrebbero potuto e dovuto trovare la loro corretta collocazione".

Per la ricorrente la sentenza si sarebbe fondata solo su un evidente errore di fatto, determinato da palese svista, atteso che il Collegio non si sarebbe avveduto della contestazione giudiziale della risoluzione e avrebbe rigettato il ricorso in appello solo per tale motivo.

Al contrario, la sentenza ha chiaramente posto in evidenza che: "Nel caso di specie, è sufficiente osservare che la risoluzione per inadempimento del contratto con la Messina Servizi, di cui si è già riferito, risulta definitivamente accertata per la mancata impugnazione del provvedimento adottato dall'amministrazione appaltante ai sensi dell'art. 108 del d.lgs. n. 50 del 2016, e quindi è certamente rilevante ai sensi dell'art. 80, comma 5, lettera c-ter), del medesimo decreto legislativo (non, quindi, ai sensi della lettera c) del medesimo art. 80, come erroneamente sostenuto dall'appellante) integrando uno degli elementi essenziali della causa di esclusione prevista dalla norma citata".

La sentenza n. 77911 del 2024 sostiene proprio che quanto esperito dalla ricorrente non equivalga a contestazione in giudizio della risoluzione. Dunque, le contestazioni svolte nel presente ricorso per revocazione hanno formato proprio oggetto del giudizio di appello, e sulle stesse il Collegio si è specificamente pronunciato. Non sussistono, dunque, i presupposti per la revocazione della decisione.

Alla luce delle suesposte considerazioni il ricorso per revocazione va dichiarato inammissibile.

Le spese di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo con il Comune, mentre sussistono giusti motivi per compensarle con il Ministero in ragione della sua difesa meramente formale.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sul ricorso per revocazione, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile.

Condanna la società ricorrente alla rifusione delle spese di giudizio nei confronti del Comune di Giugliano in Campania che si liquidano in euro 6.000, oltre ad oneri di legge. Spese compensate con il Ministero.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Note

La presente decisione ha per oggetto C.d.S., sez. V, sent. n. 7911/2024.