Corte di cassazione
Sezione VII penale
Ordinanza 21 gennaio 2025, n. 6519

Presidente: Messini D'Agostini - Relatore: Ariolli

RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO

Letto il ricorso di G. Danilo;

ritenuto che l'unico motivo di ricorso, che contesta la correttezza della motivazione posta a base del giudizio di responsabilità, è indeducibile perché fondato su motivi che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla corte di merito, dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso;

considerato che, con motivazione esente da vizi logici e giuridici, il giudice adito ha esplicitato le ragioni del suo convincimento (si veda, in particolare, pag. 3) facendo applicazione dei principi dettati in materia dalla Corte di legittimità secondo cui, ai fini della configurabilità del delitto di ricettazione, è necessaria la consapevolezza della provenienza illecita del bene ricevuto, senza che sia peraltro indispensabile che tale consapevolezza si estenda alla precisa e completa conoscenza delle circostanze di tempo, di modo e di luogo del reato presupposto, potendo anche essere desunta da prove indirette, allorché siano tali da generare in qualsiasi persona di media levatura intellettuale, e secondo la comune esperienza, la certezza della provenienza illecita di quanto ricevuto. Del resto questa Corte ha più volte affermato che la conoscenza della provenienza delittuosa della cosa può desumersi da qualsiasi elemento, anche indiretto, e quindi anche dal comportamento dell'imputato che dimostri la consapevolezza della provenienza illecita della cosa ricettata, ovvero dalla mancata - o non attendibile - indicazione della provenienza della cosa ricevuta, la quale è sicuramente rivelatrice della volontà di occultamento, logicamente spiegabile con un acquisto in mala fede (Sez. 2, n. 25756 dell'11 giugno 2008, Nardino, Rv. 241458; Sez. 2, n. 29198 del 25 maggio 2010, Fontanella, Rv. 248265). Nella sentenza impugnata l'assenza di plausibili spiegazioni in ordine alla legittima acquisizione del bene si pone come coerente e necessaria conseguenza di un acquisto illecito. Del resto, come questa Corte ha recentemente affermato (Sez. un., n. 12433 del 26 novembre 2009, Nocera, Rv. 246324; Sez. 1, n. 27548 del 17 giugno 2010, Screti, Rv. 247718), l'elemento psicologico della ricettazione può essere integrato anche dal dolo eventuale, che è configurabile in presenza della rappresentazione da parte dell'agente della concreta possibilità della provenienza della cosa da delitto e della relativa accettazione del rischio, non potendosi desumere da semplici motivi di sospetto, né potendo consistere in un mero sospetto. Tutto ciò vale ad escludere, anche attraverso il richiamo alla sentenza di primo grado, qualsiasi vizio della motivazione anche in ordine alla qualificazione giuridica del fatto ai sensi dell'art. 648 c.p., non potendo il fatto, per le considerazioni sopra svolte, essere inquadrato nell'ipotesi dell'incauto acquisto di cui all'art. 712 c.p. Difatti, sulla base di quanto sopra detto, la Corte territoriale ha dato atto, con argomentazioni prive di contraddittorietà logiche e conformi alle risultanze processuali, che la qualificazione giuridica operata dal giudice di primo grado era corretta, sussistendo l'elemento materiale e quello psicologico del delitto di ricettazione. E la scelta effettuata dai giudici di merito si pone in linea con la costante giurisprudenza di questa Corte, condivisa dal Collegio, in base alla quale in tema di ricettazione, il dolo può ricorrere anche nella forma eventuale quando l'agente ha consapevolmente accettato il rischio che la cosa accettata o ricevuta fosse di illecita provenienza, non limitandosi ad una semplice mancanza di diligenza nel verificare la provenienza della cosa, che invece connota l'ipotesi contravvenzionale dell'acquisto di cose di sospetta provenienza (Sez. 2, n. 45256 del 22 novembre 2007, Rv. 238515);

rilevato che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

Depositata il 17 febbraio 2025.