Corte di cassazione
Sezione IV penale
Sentenza 26 novembre 2024, n. 15455
Presidente: Dovere - Estensore: Cenci
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di appello di Bologna il 19 gennaio 2024 ha integralmente confermato, previa correzione di errore materiale contenuto nel dispositivo della decisione di primo grado, la sentenza, appellata dall'imputato, con cui il Tribunale di Modena il 19 dicembre 2022, all'esito del dibattimento, ha riconosciuto Stefano Angelo L.G. responsabile del reato di cui all'art. 186, commi 2, lett. c), 2-bis e 2-sexies, del d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285, per avere guidato un'automobile in stato di ebrezza alcolica (tasso di 1,61 g./l. alla prima prova e di 1,63 g./l. alla seconda), fatto contestato come commesso in ora notturna il 10 giugno 2020, provocando un incidente stradale, in conseguenza condannandolo, con le attenuanti generiche stimate equivalenti all'aggravante di cui all'art. 186, comma 2-bis, del codice della strada, alla pena di giustizia (il dispositivo della sentenza-documento, depositata il 16 gennaio 2023, recante la condanna alla pena di tre mesi di arresto e di duemila euro di ammenda è stato corretto, conformemente al dispositivo pubblicato mediante lettura all'udienza del 19 dicembre 2022, in dieci mesi di arresto e tremila euro di ammenda).
2. Ricorre per la cassazione della sentenza l'imputato, tramite difensore di fiducia, affidandosi a quattro motivi, con i quali denunzia violazione di legge (tutti i motivi) e vizio di motivazione (il secondo motivo).
2.1. Con il primo motivo lamenta violazione dell'art. 131-bis c.p.
La Corte di appello, ad avviso del ricorrente, ha negato l'applicabilità della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, valorizzando l'ora notturna dell'incidente stradale e la causazione di incidente da parte dell'imputato, in ciò travisando le prove, in quanto, non essendo stato Stefano Angelo L.G. sanzionato per la condotta di guida, deve ritenersi errata l'attribuzione allo stesso della paternità dell'incidente stradale: ed infatti la causa dell'urto sarebbe da attribuire alla improvvisa immissione nel traffico del veicolo antagonista, rendendo inevitabile l'impatto.
In ogni caso, i danni alle cose sono stati modesti e nessun danno v'è stato alle persone, non è stato allertato personale sanitario e la polizia giudiziaria non ha sanzionato alcuno per la condotta di guida, onde i giudici di merito si sarebbero dovuti orientare per la tenuità del fatto.
Si richiama l'insegnamento delle Sezioni unite, n. 13681 del 25 febbraio 2016, Tushaj, ove si è sottolineata la imprescindibile necessità di apprezzamento in concreto della gravità del fatto, apprezzamento che nel caso di specie sarebbe stato effettuato con eccessivo rigore dai giudici di merito, non avendo, come si è già sottolineato, l'imputato causato il fatto ed essendo da poco (ore 22.35) trascorso l'orario (ore 22.00) oltre il quale si applica l'aggravante dell'ora notturna, ed avendo, per converso, i decidenti trascurato circostanze favorevoli all'imputato, ossia essere accaduto il fatto in una zona poco frequentata, in un giorno infrasettimanale (mercoledì) ed in un'ora in cui c'era poca gente in giro, e ragionato in base a mere congetture.
2.2. Con il secondo motivo censura promiscuamente violazione degli artt. 517 c.p.p. e 186, comma 2-bis, del codice della strada e contraddittorietà della motivazione in punto di contestazione della circostanza aggravante della causazione di incidente stradale, contestazione che è avvenuta all'udienza del 21 ottobre 2022, all'esito della discussione finale delle parti, dopo la chiusura del dibattimento e soltanto a seguito di sollecitazione del giudice.
Il motivo di appello svolto sul punto (pp. 6 e ss. dell'impugnazione di merito) è stato disatteso con la motivazione che si rinviene alle pp. 3-4 della sentenza impugnata, che si ritiene erronea ed illegittima, in quanto la contestazione è avvenuta tardivamente, cioè non già dopo la chiusura del dibattimento ma addirittura al termine delle discussioni e dopo che il giudice era entrato in camera di consiglio ed inoltre su impropria sollecitazione dell'organo giudicante, che in tal modo ha interferito sulle prerogative esclusive del P.M., senza che possa attribuirsi rilievo alla avvenuta assegnazione di termine a difesa, che ha consentito all'imputato di valutare se introdurre nuove prove ma non già di richiedere riti alternativi.
2.3. Con il terzo motivo l'imputato si duole della ulteriore violazione dell'art. 186, comma 2-bis, del codice della strada, avendo i giudici di merito attribuito all'imputato, alle pp. 4-5 della motivazione, la causazione dell'incidente stradale sulla base di mere congetture. Alla stregua della conformazione dei luoghi, essendo la strada curvilinea e la visuale ostacolata da alberi, e della manovra di retromarcia che era in corso da parte dell'altro veicolo, che cercava di parcheggiare negli appositi stalli, l'imputato, in realtà, non ha causato l'incidente, tanto da non essere stato sanzionato in via amministrativa, essendo stato, al più, solo coinvolto in un incidente, coinvolgimento che, tuttavia, non consente di ritenere sussistente l'aggravante in questione (come puntualizzato da pronunzie di legittimità, che si richiamano, tra cui Sez. 4, n. 33760 del 17 maggio 2017, Magnoni, Rv. 270612, secondo cui «In tema di guida in stato di ebbrezza, ai fini della configurabilità dell'aggravante prevista dall'art. 186, comma secondo bis, C.d.S. è necessario che l'agente abbia provocato un incidente e che, quindi, sia accertato il coefficiente causale della sua condotta rispetto al sinistro, non essendo sufficiente il mero suo coinvolgimento nello stesso»).
2.4. Tramite l'ultimo motivo il ricorrente lamenta violazione degli artt. 133, 62-bis e 69 c.p., avendo i giudici di merito posto in essere un giudizio di bilanciamento tra circostanze eterogenee con la motivazione che si rinviene alla p. 5 della sentenza impugnata, ove si trascurano, ad avviso della difesa, sia gli esiti concreti del sinistro stradale, contenuti quanto ai danni alle cose ed inesistenti quanto alle persone, sia la condotta collaborativa tenuta dall'imputato sin dall'immediatezza sia la ratio stessa dell'istituto delle circostanze attenuanti generiche, ratio che risulterebbe "tradita" nel caso di specie.
3. Il P.G. nella requisitoria scritta dell'11 ottobre 2024 ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.
4. La difesa dell'imputato con memoria del 13 novembre 2024 ha insistito per l'accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato e deve essere rigettato, per le seguenti ragioni.
2. Occorre esaminare i motivi di ricorso in ordine logico.
Quanto alla seconda questione, con cui si censura promiscuamente violazione degli artt. 517 c.p.p. e 186, comma 2-bis, del codice della strada e contraddittorietà della motivazione in punto di contestazione dell'aggravante della causazione di incidente stradale, evidenziando che tale contestazione è avvenuta all'esito della discussione finale delle parti all'udienza del 21 ottobre 2022, dopo la chiusura del dibattimento e solo a seguito di sollecitazione rivolta dal giudice al P.M., osserva il Collegio quanto segue.
2.1. Dalla lettura del verbale, essendo nel caso di specie consentito l'accesso diretto agli atti da parte del Collegio (ex plurimis, Sez. 1, n. 8521 del 9 gennaio 2013, Chahid, Rv. 255304: «In tema di impugnazioni, allorché sia dedotto, mediante ricorso per cassazione, un error in procedendo ai sensi dell'art. 606, comma primo, lett. c), c.p.p., la Corte di cassazione è giudice anche del fatto e, per risolvere la relativa questione, può accedere all'esame diretto degli atti processuali»), emerge che il Tribunale, all'esito del dibattimento, dopo le discussioni delle parti, ritiratosi in camera di consiglio, è uscito dalla camera di consiglio e ha dato lettura di un'ordinanza con la quale - testualmente - ha osservato quanto segue:
«rilevato che all'esito della attività istruttoria, consistita nell'acquisizione con il consenso delle parti di tutti gli atti di indagine preliminare, il fatto come ricostruito risulta diverso da quello contestato nel capo di imputazione, risultando il medesimo aggravato dalla circostanza di cui all'art. 186, co. 2bis, cds; rilevato che per orientamento giurisprudenziale pacifico e consolidato è inibita al giudice la possibilità, ex art. 521 c.p.p., di riconoscere in sentenza una circostanza aggravante contestata, neppure in fatto, dal PM, atteso che detto riconoscimento costituirebbe violazione delle disposizioni concernenti l'iniziativa del medesimo nell'esercizio dell'azione penale, come tale comportante la nullità assoluta ed insanabile della sentenza, nella parte relativa a tale statuizione (da ultimo Cass., Sez. V, sent. n. 11412 del 19 gennaio 2021, Papandrea, Rv. 289748). PQM Rimette il processo in istruttoria invitando il P.M. alla luce degli atti originariamente contenuti del fascicolo della indagine preliminare di rettificare l'imputazione contestata all'odierno imputato».
Il verbale di udienza dà atto che, subito dopo la lettura dell'ordinanza, «Il Pubblico Ministero, preso atto, integra il capo di imputazione mediante la contestazione della circostanza aggravante di cui all'art. 186, comma 2 bis, cds con l'aggiunta "della circostanza aggravante di avere commesso un sinistro stradale". La difesa chiede un termine a difesa. Il Giudice concede il termine [...]». Alla successiva udienza l'imputato, nuovamente discussa la causa, è stato condannato, con il riconoscimento dell'aggravante oggetto dell'iniziativa.
2.2. Così ricostruite le scansioni procedurali, pur cogliendo nel segno il ricorrente nel segnalare una vistosa "invasione di campo" da parte del Giudice nell'ambito di esclusiva spettanza del P.M., con possibile alterazione dell'equilibrio tra le parti e del dovere di equidistanza rispetto ad esse del decidente, ciononostante la censura del ricorrente (che si è sintetizzata nel "ritenuto in fatto" sub n. 2.2), risulta infondata, per le seguenti ragioni.
2.3. La riferita ordinanza contiene un errore in diritto, in quanto è già stato in più occasioni puntualizzato da parte della S.C. che la "diversità del fatto" ex art. 521 c.p.p. è da escludere quando risultino configurabili esclusivamente nuove o diverse circostanze aggravanti (tra le altre: Sez. 4, n. 44973 del 13 ottobre 2021, Nodari, Rv. 282246, sub nn. 2-4 del "considerato in diritto", pp. 2-3; Sez. 1, n. 25882 del 12 maggio 2015, Dello Monaco ed altro, Rv. 263941, sub n. 2 del "considerato in diritto", pp. 2-3; Sez. 4, n. 31446 del 25 giugno 2008, P.G. in proc. Mustaccioli, Rv. 240896, la cui massima ufficiale recita «Il giudice che riconosca la diversità di una circostanza aggravante rispetto a quella originariamente contestata, non può trasmettere gli atti al pubblico ministero ai sensi dell'art. 521, comma secondo, c.p.p., atteso che le circostanze sono elementi esterni al fatto che non ne determinano la diversità»).
Deve, quindi, escludersi che la diversità di una circostanza aggravante, così come la presenza o l'assenza di un'aggravante, determini diversità del fatto o sia comunque riconducibile alla relativa nozione, in quanto la circostanza aggravante non incide sulla fattispecie incriminatrice ma rileva solo al fine della maggiore gravità dell'illecito, che resta tale.
Il "fatto diverso", consiste, difatti, in un'ipotesi storica difforme rispetto a quella contestata e con essa incompatibile (cfr. Sez. 4, n. 31446 del 25 giugno 2008, P.G. in proc. Mustaccioli, cit., sub n. 3.2 dei "motivi della decisione", p. 5), e la relativa nozione, che è desumibile dall'art. 649 c.p.p., deve essere correlata alle componenti essenziali della fattispecie, attinenti: (1) alla condotta; (2) al nesso causale; (3) all'evento. Nessuna rilevanza è, pertanto, a tale fine attribuibile, non soltanto alla definizione giuridica, ma anche alle circostanze, che non determinano diversità del fatto, ma ad esso accedono, semplicemente - appunto - "circostanziandolo" cioè rendendolo più o meno grave, immutata la "vicenda di vita" oggetto dell'accertamento penale. E nessuna possibilità è, per conseguenza, data al giudice che ritenga la sussistenza di una ulteriore aggravante o che riconosca la diversità di una circostanza rispetto a quella originariamente contestata, di trasmettere gli atti al Pubblico Ministero e di vanificare, così, l'inerzia di questi, che, qualora non abbia tempestivamente e ritualmente contestato la nuova o diversa circostanza aggravante, non può che subire il giudicato destinato a formarsi sull'originaria contestazione, senza rimedio.
Detto in altri termini: anche ove il giudice ravvisi, cognita causa, la sussistenza di una circostanza aggravante, non può restituire gli atti al P.M. affinché l'organo dell'accusa vi provveda; ciò in quanto l'"antidoto" previsto dall'art. 521 c.p.p. per "neutralizzare" l'ipotesi di inerzia del P.M. può essere attivato soltanto ove il fatto risulti diverso (nel suo nucleo essenziale: condotta-nesso-evento) da come descritto nell'imputazione, non già ove risulti essere il medesimo, benché diversamente circostanziato.
Si tratta di soluzione che è in linea con la decisione della Corte costituzionale n. 230 del 19 ottobre-15 novembre 2022, che ha ritenuto non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 521, comma 2, c.p.p., sollevata in riferimento agli artt. 3 e 112 Cost., nella parte in cui non prevede che il giudice disponga con ordinanza la trasmissione degli atti al Pubblico Ministero quando accerti che risulta una circostanza aggravante (nel caso di specie, la recidiva) non oggetto di contestazione.
La Consulta in motivazione ha precisato che la disposizione censurata, nel prevedere la restituzione degli atti per il fatto diverso e non anche per l'aggravante non contestata, individua un punto di equilibrio tra gli opposti interessi e principi sottesi al processo penale e non può essere qualificata in termini di manifesta irragionevolezza o arbitrarietà. La scelta del legislatore è stata, infatti, quella di limitare la regressione del procedimento alla sola ipotesi (il fatto diverso) in cui la definizione del giudizio con una sentenza assolutoria determinerebbe la totale impunità dell'autore del fatto, privilegiando, invece, le esigenze di tutela della ragionevole durata del processo e della terzietà e imparzialità del giudice nel caso in cui l'errore del P.M. («consapevolmente, o anche per mera disattenzione»: così sub n. 3.4 del "considerato in diritto" della sent. n. 230 del 2022) si ripercuota soltanto sulla misura della pena. La disciplina in esame, inoltre, realizza - ha ritenuto la Corte costituzionale - un bilanciamento non irragionevole tra il principio di obbligatorietà dell'azione penale, che non può comunque essere esteso sino al punto di negare qualsiasi spazio valutativo al P.M. nella configurazione dell'imputazione (in linea generale e tanto più quando, come nella specie, venga in rilievo l'aggravante della recidiva), il diritto di difesa dell'imputato e lo stesso ruolo del giudice, chiamato a verificare la corrispondenza dei fatti provati a quelli ascritti all'imputato dal P.M., e non già ad assicurare, in chiave collaborativa con quest'ultimo, l'adeguamento dell'imputazione ai fatti provati.
Da ciò consegue - ha espressamente ritenuto la Consulta - che, in difetto di contestazione di una circostanza aggravante da parte del P.M., «il giudice non potrà nemmeno ritenere esistente in base agli atti la circostanza non contestata, essendogli ciò precluso dall'art. 521, comma 1, c.p.p., e dovrà pertanto limitarsi a pronunciare condanna per il fatto di reato non qualificato, come ritualmente contestato dal pubblico ministero» e che «una circostanza aggravante non contestata all'imputato, e pertanto non oggetto di contraddittorio tra accusa e difesa, deve essere considerata tamquam non esset per il giudice» (così, rispettivamente, sub nn. 3.2 e 3.3 del "considerato in diritto" di Corte cost., n. 230 del 2022).
2.4. Il Giudice non può nemmeno decidere di «Rimette[re] il processo in istruttoria invitando il PM alla luce degli atti originariamente contenuti nel fascicolo della indagine preliminare di rettificare l'imputazione contestata all'odierno imputato», come invece è concretamente accaduto nel caso di specie, poiché, operando il suggerimento nei termini testualmente riferiti, si viene a violare il dovere di terzietà e di imparzialità del Giudice esplicitamente posto dalla Carta fondamentale al comma 2 dell'art. 111 Cost.
L'ordinanza si esprime in termini talmente netti circa la sussistenza sia del reato sia dell'aggravante mai contestata dal P.M. («il fatto come ricostruito risulta diverso da quello contestato nel capo di imputazione, risultando il medesimo aggravato dalla circostanza di cui all'art. 186 co. 2bis cds [...] inibita al giudice la possibilità, ex art. 521 c.p.p., di riconoscere in sentenza una circostanza aggravante contestata, neppure in fatto, dal PM») da costituire una anticipazione di giudizio che potrebbe essere, in linea ipotetica, rilevante ai sensi del comma 1, lett. b), dell'art. 37 c.p.p.
Occorre, tuttavia, prendere atto che non risulta essere stato attivato nel caso di specie lo strumento della ricusazione, cui può ricorrersi negli stringenti termini temporali disciplinati dall'art. 38, comma 2, ultimo periodo, c.p.p. (cfr. Sez. 2, n. 34055 del 9 ottobre 2020, Ferrara, Rv. 280307; Sez. 6, n. 20084 del 28 aprile 2008, Mitrano, Rv. 240073; Sez. 5, n. 47015 del 20 ottobre 2004, Cella).
2.5. Nello sviluppo successivo dell'udienza, peraltro, il giudice ha concesso un termine, così consentendo il contraddittorio tra le parti, in tal modo non ravvisandosi la condizione che, ad avviso della richiamata sentenza di Corte cost. n. 230 del 2022, determina che la circostanza denunziata sia tamquam non esset.
Né può ravvisarsi una nullità nel caso di specie, non essendo la stessa prevista dall'art. 178 c.p.p. o da altre disposizioni.
Il motivo, dunque, non può trovare accoglimento.
3. Quanto al terzo motivo, con cui si denuncia il riconoscimento della sussistenza dell'aggravante della causazione da parte dell'imputato dell'incidente stradale, il ricorso si esprime in termini di mero soggettivo dissenso rispetto alla ricostruzione operata dai giudici di merito, leggendosi alle pp. 4-5 della sentenza impugnata che l'auto guidata dall'imputato è andata a collidere contro un'altra vettura che stava parcheggiando in un tratto di strada rettilineo e servito da illuminazione pubblica e che, ove il conducente non si fosse trovato in stato di ebrezza, avrebbe posto in essere una manovra tale da evitare l'impatto.
4. In ordine [al] quarto motivo, con cui si sottopone a critica l'esito nel senso di equivalenza del giudizio di bilanciamento operato tra circostanze eterogenee, la Corte di appello argomenta (alla p. 5) in base alla gravità del fatto, tenuto conto dell'orario notturno e della duplicità dei veicoli coinvolti, con motivazione che il ricorrente ancora una volta non condivide ma che risulta immune da vizi emendabili in sede di legittimità.
5. In relazione, infine, al motivo con cui si lamenta il mancato riconoscimento della causa di non punibilità di cui all'art. 131-bis c.p., si tratta, a ben vedere, della mera soggettiva non condivisione da parte dell'imputato della valutazione giudiziale circa la non modesta gravità del fatto effettuata dalla Corte di appello con motivazione (alla p. 3) che non risulta né illogica né incongrua, che fa leva sull'orario notturno dell'incidente, in cui, in ragione della minore visibilità, più elevato è il rischio di creare danni agli utenti della strada.
6. Consegue, dunque, la statuizione in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Depositata il 18 aprile 2025.