Consiglio di Stato
Sezione V
Sentenza 30 settembre 2024, n. 7856

Presidente: Sabatino - Estensore: Fasano

FATTO

1. Cecilia M. proponeva ricorso dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Toscana avverso il provvedimento del 29 agosto 2019 dell'Unione dei Comuni montani Amiata Grossetana (in seguito anche Unione dei Comuni o solo Unione) relativo al diniego di autorizzazione per l'occupazione di suolo pubblico mediante dissuasori di sosta, costituiti da paletti a catena, a protezione di due passi carrabili riferiti ad altrettanti garages di proprietà della ricorrente, nonché avverso il parere presupposto della Polizia municipale del 17 agosto 2019.

Il provvedimento era stato adottato dall'Unione dei Comuni, sulla base del suddetto parere, in risposta all'istanza della signora M., la quale aveva rappresentato come il divieto dei passi carrabili venisse costantemente violato da macchine che si parcheggiavano davanti ai garages.

Con il parere, la Polizia municipale aveva affermato, a seguito di sopralluogo, che "il proprietario di un immobile non può richiedere l'apposizione dei manufatti permanenti davanti a due passi carrabili perché così facendo si creerebbe una incompatibilità nell'esercizio del diritto degli stessi impedendo di fatto l'accesso ai suddetti garages... qualora invece l'apposizione delle colonnine facesse decadere l'interesse di mantenere in essere i suddetti passi carrabili è evidente che l'interesse sotteso del richiedente sia quello di creare uno spazio ad uso privato su un'area pubblica".

La Polizia municipale concludeva, pertanto, con un parere non favorevole, assumendo che l'eventuale apposizione di detti manufatti permanenti poteva essere solo di competenza dell'ente proprietario dell'area e, quindi, del Comune di Arcidosso sulla base di un progetto di riqualificazione urbana.

2. Cecilia M., con il ricorso introduttivo, sosteneva l'illegittimità del provvedimento impugnato, essendo state violate le norme in materia di circolazione e del codice della strada, e riferendo di essersi rivolta in più occasioni alla Polizia municipale, anche in orari notturni, a causa del fatto che i passi carrabili venivano ostruiti dalle auto ivi parcheggiate.

Inoltre, secondo la ricorrente, il parere della Polizia municipale era viziato da vizio di sviamento di potere, atteso che gli agenti accertatori non si erano limitati ad esprimere un parere tecnico sulla base del codice della strada circa l'installazione dei dissuasori, ma si erano spinti, inammissibilmente, a censurare la richiesta di autorizzazione per aspetti e profili di merito che esorbitavano dalla loro competenza.

Cecilia M. lamentava, altresì, l'omessa comunicazione di avvio del procedimento, a causa della quale gli era stata preclusa la possibilità di rappresentare l'erroneità del parere negativo della Polizia municipale.

3. Il Tribunale amministrativo regionale per la Toscana, con sentenza n. 680 del 2023, respingeva il ricorso.

Il Collegio osservava che la legittimità del parere non era mai stata contestata dalla ricorrente, anzi le prescrizioni impartite erano state condivise dal tecnico di fiducia e inserite nell'integrazione di una delle ultime domande di concessione dalla stessa presentata, dove appunto si prevedeva l'installazione di due dissuasori di parcheggio, azionabili da dispositivi elettronici a distanza, al fine di evitare lo stazionamento dei veicoli sulla carreggiata.

La ricorrente, tuttavia, senza procedere al ritiro della precedente istanza, aveva deciso di presentare una nuova domanda di concessione, con la quale aveva proposto l'installazione di dissuasori fissi (con paletti e catenella), a cui era seguito il diniego di autorizzazione impugnato.

A parere del giudicante, "il motivo concreto ed effettivo del diniego è costituito dal fatto che la nuova domanda di concessione, nella quale si ripropone la realizzazione di dissuasori di parcheggio fissi, è stata presentata nel totale dispregio delle prescrizioni precedentemente impartite dall'amministrazione sulla base di una valutazione tecnica che la stessa ricorrente aveva inizialmente recepito e che non è stata contestata neppure con l'odierno gravame".

4. Cecilia M. ha appellato la suddetta pronuncia, chiedendone l'integrale riforma sulla base delle seguenti censure: "1. Inammissibilità della sostituzione giudiziale della motivazione degli atti impugnati; 2. Erroneità nel merito; 3. Mancata comunicazione dell'avvio del procedimento".

5. Il Comune di Arcidosso e l'Unione montani Amiata Grossetana non si sono costituiti in giudizio.

6. All'udienza dell'11 luglio 2024, la causa è stata assunta in decisione.

DIRITTO

7. Con il primo motivo di appello, Cecilia M. censura la sentenza impugnata nella parte in cui il Tribunale amministrativo ha ritenuto di avallare i provvedimenti, non sulla base della validità delle relative motivazioni, costituenti oggetto dell'impugnazione (l'idoneità e lo sviamento di potere del parere della Polizia municipale), ma con riferimento a ragioni diverse ed estranee addotte in sede giudiziale dalla resistente. In questo modo, il Collegio di prima istanza avrebbe trascurato le concrete motivazioni degli atti e i motivi dell'impugnazione, valorizzando aspetti e profili ultronei rispetto all'ambito del giudizio, affermando che il reale motivo di diniego non era rappresentato dal parere negativo della Polizia municipale, come esplicitato nell'atto stesso, ma dalla mancata osservanza delle prescrizioni impartite al riguardo con le precedenti pratiche, "essendo preferibile la soluzione che reca meno intralcio alla circolazione" in quanto "evita la delimitazione in modo permanente di un'area di proprietà pubblica". L'appellante lamenta che il giudice si sarebbe sostituito all'amministrazione rappresentando una motivazione non contenuta nell'atto impugnato.

7.1. La critica è fondata.

Il provvedimento di diniego reca la seguente motivazione: "Visto il parere negativo espresso dall'ufficio di Polizia Municipale rilasciato con prescrizione in data 17 agosto 2019; Visto il parere positivo espresso dall'ufficio Urbanistica rilasciato con prescrizione in data 14 agosto 2019; Viste le vigenti disposizioni legislative e regolamenti in materia; NON AUTORIZZA...".

Il parere negativo espresso dall'ufficio di Polizia municipale, a cui fa riferimento il provvedimento di diniego, si fonda sulla seguente motivazione: "La Polizia Municipale di questo Comune non è mai stata chiamata da nessuno dei titolari dei suddetti passi carrabili per accertare le conseguenti violazioni previste dal cds ai veicoli impropriamente parcheggiati nell'area antistante e non è mai stata riscontrata la presenza durante i normali servizi di controllo; Il proprietario di un immobile non può richiedere l'apposizione dei manufatti permanenti davanti a due passi carrabili poiché così facendo si creerebbe una incompatibilità nell'esercizio del diritto degli stessi impedendo di fatto l'accesso ai suddetti garages; Qualora invece l'apposizione delle colonnine facesse decadere l'interesse di mantenere in essere i suddetti passi carrabili è evidente che l'interesse sotteso del richiedente sia quello di creare uno spazio ad uso privato su un'area pubblica. Viste le considerazioni suddette questo Ufficio esprime parere non favorevole alla richiesta sopradescritta poiché l'eventuale apposizione di detti manufatti permanenti può essere solo di competenza esclusiva dell'Ente proprietario dell'area e quindi del Comune di Arcidosso qualora in un progetto di riqualificazione urbana ne ravvisi la necessità".

La sentenza del T.A.R. per la Toscana n. 680 del 2023 statuisce che: "Si comprende che il motivo concreto ed effettivo del diniego è costituito dal fatto che la nuova domanda di concessione, nella quale si ripropone la realizzazione di dissuasori di parcheggio fissi, è stata presentata nel totale dispregio delle prescrizioni precedentemente impartite dall'amministrazione sulla base di una valutazione tecnica che la stessa ricorrente aveva inizialmente recepito e che non è contestata neppure con l'odierno gravame. Pertanto la decisione dell'amministrazione appare chiara e legittima: essendo preferibile la soluzione che reca meno intralcio alla circolazione ed evita la delimitazione in modo permanente di un'area di proprietà pubblica; non configurandosi alcun sviamento di potere, come invece denunciato con il primo motivo, apparendo piuttosto ingiustificato e non collaborativo l'atteggiamento tenuto dalla ricorrente".

Dalla piana lettura della motivazione della sentenza impugnata appare evidente che il giudicante ha interpretato le ragioni del diniego, a fronte di un palese difetto motivazionale del provvedimento, integrandone la motivazione, trascurando le concrete ragioni degli atti e i motivi dell'impugnazione, così valorizzando aspetti e profili ultronei rispetto all'ambito del giudizio.

Secondo l'indirizzo consolidato della giurisprudenza amministrativa, l'integrazione giudiziale della motivazione di un provvedimento amministrativo è sempre esclusa "poiché senza una motivazione anteriore al giudizio, verrebbero frustati gli apporti (oppositivi o collaborativi) del partecipante al procedimento, essendo la motivazione della decisione strettamente legata alle risultanze dell'istruttoria", atteso che in questo modo si imporrebbe al privato di attivare la tutela giurisdizionale praticamente al "buio", potendo questi conoscere le ragioni alla base della decisione soltanto nel corso del processo. È, infatti, inammissibile un'integrazione postuma effettuata in sede di giudizio, mediante atti processuali, o comunque scritti difensivi.

Per l'inammissibilità della motivazione postuma, sia attraverso gli scritti difensivi che attraverso la regola del raggiungimento dello scopo, in quanto in contrasto anche con le regole del giusto procedimento amministrativo come delineato dal diritto euro unitario (in particolare, l'art. 295 T.F.U.E., che richiede la motivazione per tutti gli atti delle istituzioni comunitarie, inclusi quelli normativi, e il diritto a una buona amministrazione di cui all'art. 41 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea), appare orientata anche la giurisprudenza della Corte di giustizia, che qualifica la motivazione come "forma sostanziale" e motivo di ordine pubblico da sollevarsi d'ufficio (ex plurimis, C.G.U.E., Sez. VII, 11 aprile 2013, n. 652, C-652/11).

Nella specie, non si può ritenere ammissibile un siffatto processo ermeneutico, in quanto l'approdo argomentativo del Collegio di prima istanza non è l'esito delle emergenze processuali, nella misura in cui i documenti dell'istruttoria abbiano offerto elementi sufficienti ed univoci dai quali possano ricondursi le concrete ragioni della determinazione assunta (C.d.S., n. 7583 del 2023), dovendosi dare rilievo al fatto che il provvedimento prot. n. 13177 del 2019 non reca alcuna motivazione, limitandosi a fare rinvio al parere della Polizia municipale del 17 agosto 2019, le cui conclusioni comunque non sono riportate nella motivazione della sentenza impugnata.

La motivazione costituisce, infatti, il contenuto insostituibile della decisione amministrativa, anche in ipotesi di attività vincolata e, per questo, un presidio di legalità sostanziale insostituibile, nemmeno mediante il ragionamento ipotetico che fa salvo, ai sensi dell'art. 21-octies, comma 2, della l. n. 241 del 1990, il provvedimento affetto da cosiddetti vizi non invalidanti (C.d.S., n. 5984 del 2018). In particolare, «la motivazione del provvedimento amministrativo rappresenta il presupposto, il fondamento, il baricentro e l'essenza stessa del legittimo esercizio del potere amministrativo (art. 3 l. n. 241 del 1990) e, per questo, un presidio di legalità sostanziale insostituibile, nemmeno mediante il ragionamento ipotetico che fa salvo, ai sensi dell'art. 21-octies, comma 2, della l. 241/1990, il provvedimento affetto da c.d. vizi non invalidanti (si veda C.d.S., Sez. III, 7 aprile 2014, n. 1629), non potendo perciò il suo difetto o la sua inadeguatezza essere in alcun modo assimilati alla mera violazione di norme procedimentali o ai vizi di forma. La motivazione del provvedimento costituisce infatti "l'essenza e il contenuto insostituibile della decisione amministrativa, anche in ipotesi di attività vincolata" (C.d.S., Sez. III, 30 aprile 2014, n. 2247), e non può certo essere emendata o integrata; quasi fosse una formula vuota o una pagina bianca, da una successiva motivazione postuma, prospettata ad hoc dall'Amministrazione resistente nel corso del giudizio» (C.d.S., n. 5291 del 2018).

Secondo l'indirizzo prevalente della giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, che si condivide: "il primo giudice, qualora escluda l'illegittimità del provvedimento impugnato sulla base di rationes decidendi che non trovano fondamento nell'impianto motivazionale dell'atto amministrativo, incorre nel vizio di ultrapetizione, oltre che nella violazione del principio di separazione dei poteri ex art. 34, comma 2, c.p.a." (C.d.S., n. 3666 del 2021).

Ciò in quanto, il principio della domanda di cui agli artt. 99 c.p.c. e 2907 c.c., espressione del potere dispositivo delle parti, completamento del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato in base alla regula iuris di cui all'art. 112 c.p.c., e pacificamente applicabile anche al processo amministrativo, comporta che sussiste il vizio di ultrapetizione quando l'accertamento compiuto in sentenza finisce per riguardare un petitum ed una causa petendi nuovi e diversi rispetto a quelli fatti valere nel ricorso e sottoposti dalle parti all'esame del giudice, con conseguente negazione del bene o dell'utilità richiesti dalla parte ricorrente per ragioni dalla stessa non esternate.

La violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato emerge, altresì, qualora, ammettendo una integrazione postuma della motivazione sottesa al provvedimento, il primo giudice statuisca su una fattispecie oggettivamente diversa da quella prospettata nel provvedimento gravato, con evidente lesione dei diritti difesa (C.d.S., n. 28 del 2020).

Il suddetto vizio processuale, nella fattispecie, è ravvisabile, avendo il primo giudice integrato la motivazione del provvedimento impugnato sulla base delle deduzioni difensive dell'amministrazione, senza tenere conto delle censure prospettate dalla ricorrente che investivano la carenza motivazionale del provvedimento di diniego e lo sviamento di potere in cui era incorsa la Polizia municipale, la quale non si era limitata ad esprimere un parere tecnico, ma si era spinta a censurare la richiesta della ricorrente per aspetti e profili di merito esorbitanti dalla sua competenza.

7.2. Va, altresì, condivisa la doglianza con la quale l'appellante lamenta che il giudice si sarebbe sostituito all'amministrazione rappresentando una motivazione non contenuta nell'atto impugnato.

Invero, con riferimento alla violazione del principio di separazione dei poteri, il giudice di primo grado, avendo formulato argomentazioni a sostegno del provvedimento impugnato che ne hanno alterato l'impianto motivazionale, ha emesso una pronuncia su poteri non ancora esercitati, in violazione del disposto di cui all'art. 34, comma 2, c.p.a., essendo stata esaminata la legittimità di nuove questioni poste a sostegno della decisione censurata, non previamente decise dal competente organo amministrativo.

8. Con il secondo mezzo, si denuncia che il Tribunale adito avrebbe errato nel ritenere che il diniego era giustificato dal fatto che la ricorrente aveva dapprima, in riferimento ad altre pratiche, ricevuto il nulla osta della Polizia municipale per l'installazione dei dissuasori di sosta a condizione che "venissero apposti dei manufatti, non fissi (con paletti a catenella) ma a scomparsa, azionabili con dispositivi elettronici a distanza", salvo poi, senza contestare tale parere ed anzi avendo fatto proprie tali prescrizioni, avendole il suo tecnico inserite nell'integrazione di una delle due domande di concessione, decidere "senza alcuna valida giustificazione di presentare una nuova domanda di concessione con la quale si proponeva l'installazione di dissuasori fissi (con paletti e catenella), cui è seguito il diniego di autorizzazione impugnato".

L'appellante lamenta che tale ricostruzione sarebbe sbagliata, in quanto il susseguirsi di pratiche è stato determinato dalla necessità di continuo adeguamento, durante l'iter procedimentale, alle osservazioni ed indicazioni rese dai componenti uffici dell'amministrazione nel corso della normale interlocuzione con il tecnico di fiducia.

8.1. Il mezzo è fondato.

L'appellante ha correttamente rammentato che, in data 29 marzo 2019, il Servizio edilizia ed urbanistica dell'amministrazione aveva espresso parere sfavorevole circa i dissuasori a scomparsa in quanto "il manufatto oggetto di richiesta non risulta per colori e foggia congruo al contesto in cui si inserisce". Per tale ragione, e per conformarsi alle indicazioni dell'amministrazione, ha provveduto a modificare la domanda proponendo l'installazione di dissuasori fissi, pertanto il Comune, con nota del 14 agosto 2019, ha espresso parere favorevole, precisando che "la tipologia di dissuasori proposta dalla richiedente risulta conforme al Regolamento per la tutela del decoro urbano e dell'ornato architettonico dei centri urbani".

Ne consegue che la ricostruzione in fatto operata dal primo giudice non tiene conto delle emergenze processuali, pertanto non riceve il necessario supporto probatorio l'assunto, sostenuto in sentenza, secondo cui non vi sarebbe giustificazione nella richiesta da parte della signora Cecilia M. di una nuova concessione.

9. Con la terza censura, l'appellante contesta la pronuncia impugnata nella parte in cui è stata respinta la doglianza, introdotta con il ricorso originario, relativa alla violazione delle garanzie partecipative, atteso che l'Amministrazione non avrebbe provveduto alla comunicazione di avvio del procedimento.

9.1. Il motivo va accolto.

La comunicazione di avvio del procedimento rappresenta un supplemento procedimentale la cui attivazione è indefettibile e infungibile per l'amministrazione procedente, secondo l'ambito delimitato dalla norma, e, al contempo, costituisce una "opportunità" per il privato, il quale può anche non avvalersi della possibilità di interloquire con l'amministrazione e quindi attendere il provvedimento finale.

Alla facoltà del privato corrisponde un obbligo dell'amministrazione, quello di prendere in considerazione il materiale ricevuto e di darne conto nella motivazione del provvedimento finale.

Tale comunicazione ha, pertanto, un ruolo fondamentale, essendo finalizzata a far sì che il privato possa interloquire con l'amministrazione introducendo nella dinamica procedimentale l'apprezzamento degli interessi di cui è portatrice, per consentire la comparazione con gli altri interessi coinvolti pubblici e privati.

Si tratta di una fase procedimentale avanzata, in cui le osservazioni del privato potrebbero condurre ad un esito provvedimentale diverso da quello preannunciato, e la loro attenta valutazione, trasfusa nella motivazione, costituisce estrinsecazione di garanzia sostanziale, pertanto non può dedursi un superamento in sede giudiziale di quanto espresso in sede amministrativa.

Il T.A.R. ha respinto la doglianza, ritenendo che si tratta "di procedimento amministrativo avviato ad istanza di parte, i cui elementi essenziali erano fra l'altro ben noti alla ricorrente, essendosi la stessa interfacciata con gli uffici competenti tramite il proprio tecnico di fiducia in occasione delle precedenti domande di concessione".

La motivazione recata nella sentenza impugnata non può essere condivisa, atteso che dalla lett. c-ter) dell'art. 8, comma 2, l. n. 241 del 1990, ove si legge che la comunicazione deve contenere "nei procedimenti ad iniziativa di parte, la data di presentazione della relativa istanza", si ricava, per implicito, che l'amministrazione è tenuta, ricorrendone i presupposti (v. art. 7 l. n. 241 del 1990), ad effettuare la comunicazione di avvio del procedimento anche in quest'ultima tipologia di procedimenti; il legislatore, dunque, non ha ritenuto l'istanza di parte idonea a sostituire completamente la comunicazione di avvio del procedimento.

Nel caso in esame, la peculiarità della vicenda processuale e la complessità dell'iter procedimentale avrebbero suggerito il coinvolgimento del privato in un contraddittorio "costruttivo" nell'ottica della massima collaborazione tra le parti.

L'istante avrebbe potuto proporre soluzioni modificative sulle base delle richieste dell'amministrazione per favorire la conclusione positiva dell'iter procedimentale. Inoltre, l'Unione dei Comuni non si è fatta carico di dimostrare, nel corso del giudizio di primo grado, che il contenuto del provvedimento impugnato non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato, fornendo la prova della sua concreta e sostanziale non modificabilità (C.d.S., nn. 1081 del 2020, 4089 del 2019, 3611 del 2019 e 1156 del 2011).

10. In definitiva, l'appello è fondato e per l'effetto, in riforma della sentenza impugnata, va accolto il ricorso originario proposto dalla signora Cecilia M.

11. Le ragioni della decisione e la peculiarità della vicenda processuale giustificano l'integrale compensazione tra le parti delle spese di lite del doppio grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l'effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso introduttivo proposto da Cecilia M.

Compensa integralmente tra le parti le spese di lite del doppio grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Note

La presente decisione ha per oggetto TAR Toscana, sez. IV, sent. n. 680/2023.