Corte di cassazione
Sezione I civile
Ordinanza 8 aprile 2024, n. 9331
Presidente: Marulli - Relatore: Lamorgese
FATTI DI CAUSA
1. I coniugi Ennio P. e Rosa T. convenivano in giudizio la Unicredit s.p.a. per far dichiarare la nullità dei contratti di investimento di loro risparmi in prodotti finanziari, e in subordine alcuni, sottoscritti dal solo P. - a suo dire, su insistenza del personale della banca - per difetto di forma scritta, essendo apocrifa la firma sul contratto-quadro della T., cointestataria del conto da cui è stata attinta la provvista; in subordine, per farne dichiarare la annullabilità o risoluzione per inadempimento della banca agli obblighi informativi e, comunque, per far condannare la stessa banca alle restituzioni e al risarcimento dei danni.
2. Il Tribunale di Roma ha dichiarato la nullità del contratto-quadro del 22 ottobre 1999 limitatamente alla posizione della T., la cui firma era stata accertata come apocrifa, e ha rigettato tutte le altre domande proposte in causa.
3. La Corte d'appello di Roma, con la sentenza in epigrafe, ha rigettato il gravame dei coniugi P. e T.
3.1. La Corte ha in sostanza osservato che non era possibile estendere all'intero contratto, e in particolare al P., la nullità accertata per difetto di forma scritta limitatamente alla posizione della T. (cointestataria del conto), la cui partecipazione al contratto non poteva considerarsi essenziale (ex art. 1420 c.c.), essendo titolare di una posizione giuridica di contitolarità ma autonoma e distinta dal coniuge; e che la censura relativa alle informazioni asseritamente non rese agli investitori, in ordine alle caratteristiche e ai rischi dei prodotti finanziari, era assorbita dal giudicato interno formatosi sulla ratio della sentenza di primo grado circa l'assenza di prova del danno lamentato e del nesso causale, non evincibili di per sé dalla perdita del capitale; di conseguenza, ha giudicato assorbito sia l'ulteriore motivo di appello principale relativo alla domanda restitutoria nel limite del 50% (riferibile alla T.) delle somme investite, sia il motivo di appello incidentale della banca a proposito del carattere impropriamente selettivo della nullità dedotta con riferimento ai soli titoli in portafoglio che avevano subito una minusvalenza e non a quelli che avevano realizzato plusvalenze.
4. P. e T. hanno proposto ricorso per cassazione, affidato a nove motivi, resistiti da Unicredit con controricorso e ricorso incidentale affidato a un motivo che è stato resistito dai ricorrenti principali. Le parti hanno presentato memorie.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. I ricorrenti principali denunciano, con il primo motivo, violazione di legge (artt. 1325, 1419, 1420 e 1854 c.c., 21 e 23 t.u.f., 38 ss. reg. Consob n. 11522 del 1998) per avere la sentenza impugnata dichiarato la nullità solo parziale del contratto-quadro del 22 ottobre 1999, senza averne tratto alcuna conseguenza pratica, avendo rigettato tutte le domande restitutorie e risarcitorie proposte in causa; essi imputano alla Corte romana di avere disconosciuto il carattere unitario o bilaterale del negozio, al quale era essenziale la compartecipazione volitiva di entrambi i coniugi P. e T., con la conseguenza che avrebbe dovuto essere dichiarata la nullità totale del contratto con ogni effetto; essi criticano l'argomento, implicitamente evocato dai giudici di merito, della cointestazione del conto corrente bancario che comporta unicamente che la delega ad operare anche per il cointestatario valga nei rapporti meramente interni nonché con la banca, ma solo quanto alle operazioni tipiche del conto corrente, restando invece estranei alla disciplina di cui all'art. 1854 c.c. ogni altro negozio e gli utilizzi delle somme ivi depositate, come la conclusione del contratto-quadro di investimento con i relativi ordini di acquisto.
2. Il motivo è fondato.
3. Non può dubitarsi della nullità del contratto-quadro in relazione alla posizione della T., la cui firma ivi apposta è stata accertata in causa come apocrifa; né può dubitarsi che detta nullità «sia destinata a travolgere i singoli ordini, facendone venir meno la causa, e che la forma scritta in cui questi ultimi siano stati redatti non sopperisce al difetto di forma ad substantiam acti del contratto quadro» (v. Cass. n. 8869/2012), tanto più che l'acquisto dei titoli è stato ordinato non dalla T. ma dal P.
La sentenza impugnata in questa sede non ne ha dubitato, sebbene non ne abbia tratto alcuna conseguenza pratica, avendo rigettato tutte le domande restitutorie proposte in causa.
4. La questione della nullità (totale) del contratto e dei relativi ordini di acquisto anche nei confronti di P. (unico sottoscrittore del contratto-quadro e autore degli ordini di acquisto) va affrontata con riferimento alle rationes decidendi espresse e inespresse dalla Corte romana.
4.1. In primo luogo, la Corte ha fatto leva sul giudicato che si sarebbe formato sull'affermazione del tribunale, asseritamente non censurata in appello, circa la mancanza di prova del pregiudizio patrimoniale e del nesso causale con le condotte addebitate all'intermediario.
Questo assunto, valorizzato nella logica della ragione più liquida, è errato: l'ipotizzato giudicato riguardante l'assenza di prova del danno ai fini risarcitori non si estende alle restituzioni derivanti dalla conclusione di un contratto invalido in tutto o in parte; e comunque, la predetta affermazione del tribunale era stata specificamente censurata dai ricorrenti, come risulta dai brani dell'atto di appello trascritti in ricorso (a pag. 17 ss.), né risulta comprensibile l'affermazione della Corte territoriale secondo cui «l'ammontare della perdita subita» non possa integrare elemento idoneo a identificare il danno.
4.2. In secondo luogo, la Corte di merito ha ritenuto che la nullità riguardante una sola parte (T.) non comporti la nullità dell'intero contratto, avendo escluso - senza peraltro fornire una motivazione al riguardo - la essenzialità della partecipazione della T. al contratto, inteso come plurilaterale, ai sensi dell'art. 1420 c.c. («nei contratti con più di due parti, in cui le prestazioni di ciascuna sono dirette al conseguimento di uno scopo comune, la nullità che colpisce il vincolo di una sola delle parti non importa nullità del contratto, salvo che la partecipazione di essa debba, secondo le circostanze, considerarsi essenziale»).
Questa impostazione non è condivisibile.
Il paradigma di cui all'art. 1420 c.c. (nullità in senso soggettivo) non è pertinente rispetto al contratto in questione che, seppur stipulato da più investitori con la banca, non è qualificabile come «contratto plurilaterale» cioè «con più di due parti», ma come contratto di scambio senza «uno scopo comune». Dato rilevante che caratterizza la categoria dei contratti plurilaterali, a cui deve essere applicata la disciplina prevista dall'art. 1420 c.c., non è il numero dei partecipanti maggiore di due, ma l'essere le prestazioni di ciascuno di essi dirette al conseguimento di uno scopo comune, per modo che i contratti stessi mettano capo al conseguimento di uno scopo comune o alla costituzione e organizzazione di una comunione di interessi (Cass. n. 4715/1978, n. 3572/1972, Sez. un. n. 2830/1966, n. 1292/1965), il che non si verifica nel contratto di intermediazione finanziaria.
È significativa la precisazione fornita da questa Corte con riferimento ad un altro contratto di scambio, qual è la compravendita con pluralità di venditori-comproprietari , secondo cui la nullità del rapporto, attinente ad uno soltanto dei venditori, esula dalla disciplina dell'art. 1420 c.c., in tema di nullità del contratto plurilaterale, che si riferisce alla diversa ipotesi in cui vi siano prestazioni di più soggetti dirette ad uno scopo comune, e non due prestazioni legate da vincolo di sinallagmaticità (v. Cass. n. 1180/1986).
In effetti, come osservato dai ricorrenti, le norme dettate per i contratti plurilaterali, qual è l'art. 1420 c.c., non sono applicabili al diverso contratto con parte soggettivamente complessa, il quale presenta profili e problemi di disciplina diversi da quelli relativi al contratto plurilaterale. Ne dà conferma l'interpretazione sistematica delle norme in tema di mandato (art. 1726 sulla revoca del mandato collettivo e art. 1730 c.c. sulla estinzione del mandato conferito a più mandatari congiunti), il quale costituisce l'archetipo dei contratti gestori, tra i quali rientra il contratto-quadro di investimento in strumenti finanziari, ove sono presenti elementi che consentono di affermare l'unicità del negozio in presenza di più mandanti, quali la unicità e contemporaneità dell'atto di conferimento dell'incarico e la comunanza di interesse al compimento dell'affare da parte di più mandanti (nella specie, trattasi di coniugi).
Si dovrebbe inoltre stabilire se sia applicabile la disciplina di cui all'art. 1419 c.c. in tema di nullità parziale del contratto o di singole clausole (nullità in senso oggettivo), nel qual caso occorrerebbe verificare se i contraenti lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita da nullità poiché, in caso negativo, l'intero contratto sarebbe nullo.
A questo riguardo - osservano però i ricorrenti - «se non è applicabile l'art. 1420 c.c. (perché non si è in presenza di un contratto "con più di due parti") [...] a maggior ragione non è applicabile l'art. 1419 c.c. (perché la nullità in questione non attiene al contenuto del contratto)». L'osservazione è condivisibile, a meno che non si voglia implausibilmente riferire la nullità parziale alla proprietà asseritamente esclusiva, in capo a P., del 50% della provvista depositata sul conto cointestato e utilizzata per l'investimento.
Il risultato non cambia se si ritiene che possano esservi contratti plurilaterali con scopo comune e contratti plurilaterali di scambio (senza scopo comune), dovendosi comunque verificare in concreto se nel contratto plurilaterale, anche di scambio, prevalga l'esigenza conservativa ispiratrice dell'art. 1420 c.c. ma anche degli art. 1419 e 1440 c.c., in presenza di nullità del contratto che colpisca il vincolo di una sola parte (utile per inutile non vitiatur).
In questa prospettiva evolutiva non si può prescindere dal particolare rilievo che assume l'esigenza formale nei contratti relativi alla prestazione dei servizi di investimento, ai sensi dell'art. 23 del d.lgs. n. 58 del 1998 (t.u.f.), e nei contratti bancari, ai sensi dell'art. 117 del d.lgs. n. 385 del 1993 (t.u.b.).
Tale esigenza - precludendo la possibilità di valorizzare il comportamento, processuale o extraprocessuale, delle parti in funzione integrativa di prescrizioni formali previste dalla legge - sarebbe frustrata se si ammettesse la possibilità che un contratto di intermediazione finanziaria possa essere validamente sottoscritto da uno solo dei due intestatari del conto comune, con efficacia vincolante per entrambi.
Neppure sarebbe coerente ammettere la possibilità di considerare la partecipazione di uno dei contraenti come inessenziale con l'effetto di derogare alla prescrizione di forma scritta vigente per il tipo di contratto posto in essere, né si comprenderebbe perché la partecipazione dell'uno dovrebbe considerarsi non essenziale e quella dell'altro invece sì (quando i risparmiatori sono due, come nel caso di specie).
In effetti, parte di un contratto come quello in esame ben può definirsi soggettivamente complessa, dovendo essere acquisite, nella fase formativa dello stesso e con le modalità previste dalla legge, le manifestazioni di volontà di tutti coloro che la compongono.
5. La principale ratio, seppur inespressa, su cui si basa la sentenza impugnata, è la facoltà degli intestatari del conto corrente - che funge da provvista per operazioni di investimento finanziario - di compiere operazioni anche separatamente (art. 1854 c.c.): ciò renderebbe quelle compiute dal P., in forza del contratto-quadro da lui sottoscritto, valide e vincolanti per sé, oltre che per la T. Questa argomentazione non è condivisibile.
5.1. In disparte il rilievo che la facoltà per i cointestatari del conto di compiere le operazioni anche separatamente non può essere presunta per il sol fatto che il conto risulti intestato a più persone ma dev'essere rigorosamente dimostrata da chi vi abbia interesse, poiché, in mancanza, le singole operazioni individuali non sono efficaci se non attuate con il consenso, che non può essere presunto, di tutti i cointestatari (Cass. n. 7110/2017, n. 16671/2012), in realtà, la disposizione di cui all'art. 1854 c.c. è solo apparentemente utile a risolvere la questione controversa in causa. Si tratta infatti di stabilire se l'acquisto dei titoli sia valido ed efficace per chi abbia effettuato l'ordine e per il cointestatario del conto quando il contratto-quadro sia stato sottoscritto solo dal primo (ordinante) e non dal secondo.
5.2. Per risolvere la questione controversa è utile fare cenno alla sentenza n. 13764 del 2017, richiamata in ricorso, emessa da questa Corte nel caso dei fratelli G.B. R. e N. R. contro la Banca Popolare di Bari, nonostante la parziale diversità delle fattispecie.
In quel caso il contratto-quadro fu sottoscritto da G.B. R. e non da N. R.; gli ordini di acquisto furono dati da N. R. Nel caso in esame, invece, gli ordini di acquisto sono stati dati da chi ha sottoscritto il contratto-quadro (P.), mentre l'altro stipulante (T.) non lo ha sottoscritto.
La Corte di cassazione, con la sentenza del 2017 poc'anzi menzionata, confermò la statuizione impugnata che aveva dichiarato la nullità dei contratti di acquisto di N. R. in conseguenza della nullità del contratto-quadro per difetto di sottoscrizione dello stesso N. R. e accolse il ricorso degli investitori avverso la statuizione che aveva giudicato validi e vincolanti per G.B. R. gli ordini di acquisto fatti da N. R., in quanto aventi causa (secondo l'erronea valutazione della Corte d'appello) nel contratto-quadro sottoscritto da G.B. R.
A quest'ultimo proposito la sentenza n. 13764/2017 affermò che «è indiscutibile che gli ordini emessi da N. R. - ancorché redatti in forma scritta - non possano trovare valido fondamento, o anche solo aggancio, nel contesto del contratto-quadro e del rapporto che ne è seguito tra la Banca Popolare e G.B. R.». Questa conclusione è stata così argomentata dalla Corte di legittimità: «nello stabilire che, per il caso di conto corrente cointestato, l'azione individuale di un cointestatario è idonea a vincolare pure gli altri cointestatari, la norma dell'art. 1854 c.c. fa inequivoco riferimento in via esclusiva ai prelievi dal conto (in disparte restando qui, naturalmente, ogni riferimento ai versamenti che affluiscano sul conto). Per contro, la lettura data dalla Corte territoriale alla fattispecie in esame viene ad assegnare alla figura della cointestazione di conto una portata ultrattiva ed ultronea, forzandone i termini in maniera abnorme. In effetti, essa non predica solo che N. R. potesse da solo prelevare somme dal libretto cointestato, con efficacia vincolante anche per il fratello G.B.: cosa, questa, sicuramente corretta. La lettura della Corte [d'appello] pure predica, e in via necessaria, che vincolante per quest'ultimo fosse altresì il successivo, e distinto, atto posto in essere da N. R., come consistente nell'impiego delle somme prelevate in uno o in un altro investimento (ovvero in diverso utilizzo). Quest'ultimo predicato risulta decisamente errato: posto appunto che l'atto di impiego di quanto prelevato è profilo radicalmente estraneo al rapporto di conto e all'eventuale cointestazione del medesimo». Il principio enunciato dal precedente del 2017 è il seguente: «la cointestazione del conto che funga da provvista per operazioni di investimento finanziario non esplica nessuna efficacia rispetto all'emissione dei relativi ordini di investimento, che sono governati dal contratto-quadro stipulato tra la banca e uno dei cointestatari».
5.3. Da questo condivisibile arresto giurisprudenziale è possibile desumere che l'abilitazione (ove formalmente esistente) di uno degli intestatari ad operare disgiuntamente sul conto con efficacia vincolante per sé e per l'altro o gli altri intestatari è limitata alle operazioni di prelievo sul conto, ma non si riferisce alle successive operazioni e iniziative negoziali realizzate tramite l'utilizzo delle somme prelevate. Ciò induce a concludere che il meccanismo di cui all'art. 1854 c.c. non sia utile alla difesa di Unicredit in causa, perché trattasi di norma che disciplina il diverso rapporto di conto corrente verso la banca, nei cui confronti opera la responsabilità solidale dei correntisti per i «saldi dei conti» a condizione che sia valido, anche formalmente, il rapporto relativo all'investimento in strumenti finanziari nei confronti dei due investitori.
Se tale rapporto è retto - come nella specie - da un (unico) contratto-quadro sottoscritto solo da uno dei due stipulanti, esso è nullo per difetto di forma scritta, con conseguente travolgimento integrale degli ordini di acquisto per entrambi.
5.4. Deve essere enunciato il seguente principio: in tema di intermediazione finanziaria, il contratto-quadro sottoscritto da uno solo dei due investitori è nullo per difetto di forma scritta, ai sensi dell'art. 23 t.u.f., con conseguente travolgimento degli ordini di acquisto nei confronti di entrambi, senza necessità di valutare se la partecipazione dell'altro (la cui sottoscrizione nella specie è risultata apocrifa) sia stata essenziale, non essendo il contratto in questione qualificabile come plurilaterale, ai sensi dell'art. 1420 c.c., ma come contratto bilaterale con parte soggettivamente complessa.
6. In conclusione, il primo motivo è accolto e, di conseguenza, gli altri motivi sono assorbiti, in particolare: il secondo e terzo motivo, sulla restituzione della somma investita in conseguenza della nullità totale del contratto; il quarto, sull'ammissibilità del motivo di appello relativo alla domanda di risarcimento del danno; il quinto, sulla risoluzione del contratto per inadempimento della banca; il sesto, ancora sulla domanda risarcitoria; il settimo e ottavo, sulla restituzione della metà della somma investita, con riferimento alla posizione della T.; il nono motivo, sulla domanda restitutoria riferibile ad operazioni di acquisto di titoli che si assume non ordinati. È assorbito anche il ricorso incidentale di Unicredit in tema di nullità selettive.
7. La sentenza impugnata è cassata in relazione al motivo accolto con rinvio alla Corte d'appello di Roma per un nuovo esame.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo e dichiara assorbiti gli altri motivi del ricorso principale e il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d'appello di Roma, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di cassazione.