Corte di cassazione
Sezione II penale
Sentenza 14 febbraio 2024, n. 8794
Presidente: Petruzzellis - Estensore: Pardo
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di appello di Torino con sentenza in data 21 giugno 2023 confermava la pronuncia del Tribunale di Verbania datata 26 novembre 2020 che aveva condannato P. Andrea alla pena di mesi 3 di reclusione ed euro 300,00 di multa perché ritenuto colpevole del delitto di ricettazione attenuata allo stesso ascritto, per avere ricevuto n. 7 modellini di giocattoli in plastica di origine furtiva.
2. Avverso detta sentenza proponeva ricorso il difensore dell'imputato avv.to Possetti deducendo, con distinti motivi qui riassunti ex art. 173 disp. att. c.p.p.:
- nullità della sentenza per mancanza di motivazione ex art. 606, lett. e), c.p.p. ed omessa valutazione di prova decisiva costituita dalla ricevuta rilasciata dal ricorrente al D.P. Marco che doveva dimostrare l'assenza di dolo in capo all'imputato quanto alla origine delittuosa degli oggetti ceduti;
- nullità della sentenza per erronea applicazione della legge penale ex art. 606, lett. b), c.p.p. quanto alla errata qualificazione giuridica dei fatti contestati che dovevano essere ricondotti all'ipotesi contravvenzionale di incauto acquisto (art. 712 c.p.) posto che dall'istruzione dibattimentale era emerso come il ricorrente avesse ricevuto i giocattoli successivamente risultati di origine furtiva da un amico;
- nullità della sentenza per erronea applicazione della legge penale e manifesta illogicità della motivazione ex art. 606, lett. b) ed e), c.p.p. quanto alla circostanza valorizzata dalla corte di appello dell'omessa indicazione nel corso del procedimento delle modalità di ricezione del bene da parte dell'imputato; al proposito sottolineava che essendosi proceduto con rito abbreviato ed essendo gli atti del fascicolo del PM tutti utilizzabili ai fini della decisione, l'indicazione delle modalità di ricezione non avrebbe dovuto essere necessariamente ribadita nel corso del rito abbreviato;
- nullità della sentenza per erronea applicazione della legge penale o della legge processuale penale ex artt. 606, lett. b), c.p.p., 53-58 l. 689/1981 come riformulati dal d.lgs. 150/2022 ovvero difetto di motivazione quanto al rigetto dell'istanza di applicazione delle pene sostitutive della reclusione posto che l'istanza era stata ritualmente reiterata con l'atto di appello e con le conclusioni scritte ed aveva errato il giudice di secondo grado a ritenere quali condizioni ostative i precedenti giudiziari o i periodi di carcerazione pregressi; difatti, il giudice di merito avrebbe dovuto valutare esclusivamente l'insussistenza di condizioni ostative e tenere altresì conto che scontate le condanne l'imputato non aveva commesso ulteriori reati a partire dal 2016; la valutazione della corte di appello contrastava con la volontà del legislatore di deflazionare le carcerazioni brevi e con il disposto dell'art. 58 cit.;
- nullità della sentenza per violazione di legge penale e difetto di motivazione in relazione all'omessa pronuncia circa la richiesta di ammissione al programma di giustizia riparativa; la corte di appello non aveva valutato le conclusioni scritte dell'udienza del 21 giugno 2023 con le quali si era richiesta la specifica ammissione a tali programmi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I primi tre motivi di ricorso reiterano doglianze già dedotte in fase di appello e rispetto alle quali priva di qualsiasi vizio appare la motivazione della sentenza impugnata e devono pertanto, essere dichiarati inammissibili.
Ed invero, quanto a tutte le circostanze dedotte va ricordato come in tema di sindacato del vizio della motivazione, il compito del giudice di legittimità non è quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito in ordine all'affidabilità delle fonti di prova, bensì di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti, e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre (Sez. un., n. 930 del 13 dicembre 1995, Rv. 203428); esame nel caso di specie esattamente compiuto dai giudici di merito con valutazioni complete e del tutto prive delle lamentate illogicità ed a fronte delle quali il ricorrente insiste in una interpretazione alternativa dei fatti non deducibile nella presente sede di legittimità.
I giudici di merito, con valutazione conforme, hanno sottolineato tutti gli elementi probatori sussistenti a carico del ricorrente che la corte di appello, con valutazione esente dalle lamentate censure, ha analiticamente riportato alla pagina 3 della pronuncia impugnata sottolineando, in particolare, l'avvenuta cessione dal P. al D.P. di oggetti precedentemente rubati al proprietario Po. che poi li riconosceva come propri. Ed a fronte di tale pregnante quadro probatorio i giudici di primo e secondo grado hanno negato valenza decisiva alla fattura di vendita rilasciata da P., escludendo che la stessa potesse in qualche modo escludere la prova del dolo, stante che non dimostrava attraverso quale soggetto od altra modalità il ricorrente fosse venuto in possesso degli oggetti furtivi.
Tali considerazioni escludono ogni fondatezza anche della doglianza in punto di qualificazione giuridica poiché il reato di incauto acquisto di cui all'art. 712 c.p., richiede per il suo riconoscimento in luogo della più grave ricettazione che una descrizione attendibile delle modalità di ricezione del bene di provenienza illecita sia stata fornita e che la stessa, per le particolari modalità, possa essere ritenuta indicativa di una componente psicologica solamente colposa piuttosto che dolosa.
Peraltro sul punto va ricordato come sia stato affermato dalle Sezioni unite imp. Nocera che l'elemento psicologico della ricettazione può essere integrato anche dal dolo eventuale, che è configurabile in presenza della rappresentazione da parte dell'agente della concreta possibilità della provenienza della cosa da delitto e della relativa accettazione del rischio, non potendosi desumere da semplici motivi di sospetto, né potendo consistere in un mero sospetto (Sez. un., n. 12433 del 26 novembre 2009, dep. 30 marzo 2010, Rv. 246324-01). Ne deriva affermare che alcun vizio rilevante appare affliggere la pronuncia di merito avendo il giudice di appello correttamente ricavato la sussistenza del dolo dalla assenza di qualsiasi indicazione fornita dal P. e ciò in applicazione di quel principio giurisprudenziale conforme secondo cui, ai fini della configurabilità del reato di ricettazione, la prova dell'elemento soggettivo può essere raggiunta anche sulla base dell'omessa o non attendibile indicazione della provenienza della cosa ricevuta, la quale è sicuramente rivelatrice della volontà di occultamento, logicamente spiegabile con un acquisto in mala fede.
2. Né fondato appare il terzo motivo che lamenta violazione di legge in ordine alla omessa utilizzazione di atti acquisiti nel giudizio abbreviato poiché proprio l'applicazione del principio sopra indicato, circa la possibilità di ricavare la prova del dolo di ricettazione dall'omessa indicazione dell'origine del bene di provenienza illecita, porta ad affermare che anche nel rito contratto di cui agli artt. 438 e segg. c.p.p. l'imputato al fine di dimostrare la ricezione in buona fede può sottoporsi ad esame o rendere spontanee dichiarazioni ex art. 421, comma 3, c.p.p. ovvero fare riferimento a dichiarazioni ritualmente rese nel corso delle indagini e ritualmente acquisite al fascicolo del P.M.
Nel caso di specie, viceversa, i giudici di merito hanno sottolineato, con valutazione conforme, che il P. non risultava avere reso alcuna dichiarazione personalmente e che gli unici riferimenti alle modalità di ricezione erano contenuti in dichiarazioni rese in sede di indagini da altri soggetti informati dei fatti del tutto inidonee ad escludere il dolo del delitto di cui all'art. 648 c.p. ovvero a dimostrare un profilo di semplice colpa idoneo a riqualificare i fatti ex art. 712 c.p.; così che le conclusioni fornite sul punto dalla corte di appello al punto 4.3 della motivazione appaiono del tutto esenti dalle lamentate censure.
3. Fondato è invece il quarto motivo; occorre rammentare che il legislatore della c.d. riforma Cartabia ha inserito una importante innovazione del sistema delle pene sancita dall'introduzione dell'art. 20-bis c.p., intitolato: "Pene sostitutive delle pene detentive brevi" e secondo cui: "Salvo quanto previsto da particolari disposizioni di legge, le pene sostitutive della reclusione e dell'arresto sono disciplinate dal Capo III della legge 24 novembre 1981, n. 689, e sono le seguenti: 1) la semilibertà sostitutiva; 2) la detenzione domiciliare sostitutiva; 3) il lavoro di pubblica utilità sostitutivo; 4) la pena pecuniaria sostitutiva".
La valutazione della portata innovativa della suddetta norma deve essere interpretata analizzando, innanzi tutto, la volontà del legislatore; secondo la relazione illustrativa: «La legge delega attribuisce al giudice di merito il potere di sostituire la pena detentiva anticipando alla fase della cognizione, a titolo di vera e propria pena (anche se sostitutiva), alcune forme di esecuzione extra-carceraria che nell'ordinamento penitenziario vigente sono definite come "misure alternative alla detenzione". Il giudice della cognizione, in altri termini, in caso di condanna a pena detentiva breve, è chiamato ad un compito ulteriore e nuovo rispetto agli schemi classici della commisurazione e applicazione della pena principale, ossia a valutare se non vi siano modelli sanzionatori, sostitutivi della pena detentiva, che contribuiscano in modo più adeguato alla rieducazione del condannato, purché assicurino, anche attraverso opportune prescrizioni, la prevenzione del pericolo che il condannato commetta altri reati. Per adempiere a tale compito, tuttavia, il giudice ha bisogno di un bagaglio di informazioni ulteriori rispetto a quelle comunemente acquisite nel giudizio di cognizione e per questo la legge delega ha previsto il coinvolgimento degli uffici di esecuzione penale esterna.
Il meccanismo elaborato è ispirato al modello del sentencing di matrice anglosassone, ma non è del tutto estraneo al nostro ordinamento, che lo conosce nei processi davanti al giudice di pace... Solo dopo la pubblicazione del dispositivo (ai sensi del vigente art. 545, comma 1, c.p.p.) sia il giudice sia le parti sono in grado di effettuare una prima valutazione circa la possibile applicazione delle pene sostitutive... Nel caso in cui non vi siano preclusioni circa la possibilità astratta di disporre la sostituzione delle pene detentive brevi, al fine di dare evidenza alla possibilità di sostituzione della pena, il giudice, subito dopo la lettura del dispositivo, è gravato dell'onere di dare avviso alle parti (nuovo art. 545-bis, comma 1, primo periodo, c.p.p.)».
Ad avviso del legislatore della riforma, quindi, a seguito della pronuncia di condanna, sul giudice che emette la sentenza ad una sanzione inferiore ad anni 4 grava un preciso onere di valutare la possibile applicazione di pene sostitutive che, assicurando forme di limitazione delle libertà personale extra-carcerarie, appaiano ugualmente idonee ad assicurare la funzione rieducativa pur prevenendo il pericolo di commissione di ulteriori reati.
3.1. In sede di primi commenti si è già affermato che il nucleo forte della riforma del sistema sanzionatorio è costituito proprio dal rilancio delle pene sostitutive. Nonostante l'esigenza prioritaria del c.d. efficientamento del processo e l'annosa questione della prescrizione abbiano polarizzato l'attenzione del dibattito pubblico e politico sulla riforma, e nonostante che la riforma del sistema sanzionatorio sia entrata nel programma di governo quasi inaspettata, proprio quest'ultima ha finito per caratterizzare in modo prevalente le scelte riformistiche.
Ancora si è sottolineato come l'idea sottesa a tale scelta è chiaramente quella di dare effettività e concretezza al finalismo rieducativo della pena, che, come si deduce dal tenore dell'art. 27, comma 3, Cost. (che non a caso declina al plurale il principio codificato), oltre a non essere prerogativa esclusiva del carcere, mal si concilia con l'esecuzione di pene contenute, come appunto quelle punite con reclusione inferiore a quattro anni. In questi casi, infatti, la privazione della libertà, con le conseguenti ricadute sulla stabilità dei rapporti personali del condannato - come quelli familiari e lavorativi - oltre a rappresentare un sacrificio, in molti casi addirittura sproporzionato rispetto alla gravità del reato, non consente, proprio in ragione del tempo di esecuzione della pena e delle offerte trattamentali che in questo momento storico il "carcere" è in grado di offrire ai detenuti, di realizzare l'unica finalità che secondo la Costituzione può oggi legittimare la sanzione penale.
Si è così arrivati a sostenere che la posta in palio è spezzare definitivamente l'equazione "pena uguale carcere", ridurre i numeri delle presenze nei penitenziari italiani e, soprattutto, riuscire a modellare un sistema sanzionatorio penale idoneo a reintegrare i condannati. Pertanto: il nuovo perimetro delle pene detentive brevi, oltre ad assumere un'importanza baricentrica per l'interprete, traccia un confine tra una penalità a bassa intensità, nella quale è possibile un'espiazione integralmente extra-carceraria, e una penalità ad alta intensità, nella quale l'ingresso in carcere - salvo fattori eccezionali esterni (età, figli minori, percorsi terapeutici, salute) - rimane obbligatorio.
Altri autori, premesso che la riforma Cartabia è intervenuta incisivamente in materia di pene sostitutive, imponendo un cambio di forma mentis, di cultura e di approccio pratico a tutti gli operatori del diritto, i quali, tuttavia, spesso paiono averne sottovalutata la portata innovativa, hanno sottolineato come la modifica ha inciso inevitabilmente sui rapporti esistenti tra la fase di cognizione e quella esecutiva, anticipando alla fase "di merito" la scelta relativa alle modalità di esecuzione della pena.
Tale aspetto appare non di poco momento, dacché è di gran lunga preferibile che sia il giudice della cognizione - il quale meglio conosce il profilo dell'imputato - a stabilire le modalità con cui la pena dovrà essere eseguita, piuttosto che la magistratura di sorveglianza, che si basa su un'asettica valutazione cartolare.
Può pertanto concludersi affermando che il dibattito dottrinale sorto all'indomani della riforma ha sottolineato la centralità del sistema delle pene sostitutive nell'ottica della novella anche e, soprattutto, ai fini di assicurare una effettiva funzione rieducativa della pena.
3.2. Così come ricostruito dal legislatore della c.d. riforma Cartabia e dalle prime interpretazioni dottrinali può, conseguentemente, affermarsi che sul giudice della condanna grava un preciso obbligo di verificare la sussistenza delle condizioni per disporre la sostituzione delle pene detentive brevi; e si tratta di un onere di particolare rilievo poiché funzionale a quell'obiettivo di "decarcerizzazione" del sistema penale che è stato indicato quale finalità da realizzare al fine di promuovere il reinserimento del condannato e favorire il minore sovraffollamento delle carceri.
Quanto all'esercizio di tale potere discrezionale, che il quarto motivo di ricorso contesta sotto diversi profili tutti specificamente esposti, rileva il contenuto degli artt. 53, 58 e 59 della l. 681/1989 [recte: 689/1981 - n.d.r.] come riformata dal d.lgs. 150/2022; in particolare, secondo l'art. 53 cit., il giudice, quando ritiene di dovere determinare la durata della pena detentiva entro il limite di quattro anni, può sostituire tale pena con quella della semilibertà o della detenzione domiciliare; quando ritiene di doverla determinare entro il limite di tre anni, può sostituirla anche con il lavoro di pubblica utilità.
Fondamentale è poi il successivo art. 58, significativamente intitolato: "Potere discrezionale del giudice nell'applicazione e nella scelta delle pene sostitutive"; la norma richiama i parametri dettati dall'art. 133 c.p. stabilendo che, valutati detti criteri, il giudice può applicare le pene sostitutive quando risultano più idonee alla rieducazione del condannato e quando, anche attraverso opportune prescrizioni, assicurino la prevenzione del pericolo di commissione di ulteriori reati. Lo stesso articolo aggiunge poi che la pena detentiva non può essere sostituita quando sussistano fondati motivi per ritenere che le prescrizioni non saranno adempiute dal condannato.
Infine è l'art. 59 che detta testualmente le condizioni soggettive per la sostituzione della pena detentiva escludendo la possibilità di applicarla per chi:
- ha commesso il reato per cui si procede entro tre anni dalla revoca della sanzione sostitutiva o durante l'esecuzione della stessa;
- deve essere sottoposto a misura di sicurezza personale;
- risulta condannato per uno dei reati di cui all'art. 4-bis ord. penit.
Dalla lettura del predetto articolo risulta pertanto che, così come esattamente esposto in ricorso, la sussistenza di precedenti condanne a carico dell'imputato non può essere ritenuta ex se elemento ostativo alla concessione delle pene sostitutive e ciò perché il legislatore ha stabilito, quali condizioni ostative, circostanze che appaiono del tutto indipendenti dalla negativa personalità desumibile dai precedenti penali così che le sanzioni oggi introdotte dall'art. 20-bis c.p. sono concedibili anche ai recidivi pur se reiterati.
Conseguentemente deve essere escluso che il giudice di merito possa respingere la richiesta di applicazione delle pene sostitutive in ragione della sola presenza di precedenti condanne, ricavando da solo questo elemento un giudizio negativo tale da negare il beneficio e ciò perché, il rinvio all'art. 133 c.p. contenuto nell'art. 58 l. 689/1981, come riformulato, va letto in stretta connessione con successivo art. 59 cit. che pure ha previsto quali condizioni ostative circostanze tutte relative al reato per cui si procede e non riferibili ai precedenti.
La condizione ostativa per la concessione delle pene sostitutive, espressamente prevista dal legislatore, è invece quella dettata dall'art. 58, primo comma, cit. secondo cui la pena detentiva non può essere sostituita quando:
- non assicura la prevenzione del pericolo di commissione di ulteriori reati;
- sussistano fondati motivi per ritenere che le prescrizioni non saranno adempiute dal condannato.
Così che, ai fini della esclusione, si richiede un giudizio prognostico circa una pericolosità qualificata ed un concreto pericolo di violazione delle condizioni imposte che, certamente, potrà pure tenere conto dei precedenti, ma che non può esaurirsi solo nella valutazione degli stessi.
3.3. Va poi ricordato che ai sensi dell'art. 95 d.lgs. 150/2022 "le norme previste dal Capo III della legge 24 novembre 1981, n. 689, se più favorevoli, si applicano anche ai procedimenti penali pendenti in primo grado o in grado di appello al momento dell'entrata in vigore del presente decreto", con la conseguenza che tutta la disciplina in precedenza esaminata in tema di pene sostitutive è divenuta immediatamente applicabile ai giudizi pendenti in fase di appello, incombendo, pertanto, anche su tale giudice l'obbligo, ove ritualmente investito, di valutare la sussistenza delle condizioni per l'applicazione delle pene sostitutive (si veda al proposito Sez. 4, n. 636 del 29 novembre 2023, dep. 9 gennaio 2024, Rv. 285630-01; Sez. 6, n. 46013 del 28 settembre 2023, Rv. 285491-01).
Ricostruito in tal modo l'obbligo gravante sul giudice della condanna, deve pertanto ritenersi che il giudice di appello ritualmente investito della questione della applicabilità delle pene sostitutive inflitte con la sentenza di condanna di primo grado, come esattamente avvenuto nel caso in esame, deve procedere all'analisi delle condizioni per la concessione delle stesse; in tale contesto, quindi, il sistema prevede un doppio richiamo ai criteri direttivi di cui all'art. 133 c.p. dapprima ai fini della determinazione della pena e, poi, ai fini della individuazione della pena sostitutiva così come richiamato dal citato art. 58 l. 689/1981; con la necessaria conseguenza che, ove il giudice della condanna, nell'ambito della forbice edittale della pena, abbia determinato la sanzione nei termini edittali minimi o, comunque, in termini prossimi ai suddetti minimi, valutando la scarsa entità del dolo ovvero la limitata gravità dei fatti, la pronuncia che neghi l'applicazione di una delle pene previste dall'art. 20-bis c.p. sulla base di una affermata elevata pericolosità dell'imputato appare affetta da insanabile contraddittorietà.
Ciò appare esattamente avvenuto nel caso in esame ove, a fronte di una pena edittale nella forbice compresa tra 15 giorni e 6 anni per il reato attenuato di cui all'art. 648, comma 4, c.p., irrogata nella misura assai ridotta e prossima ai minimi assoluti di mesi 3 di reclusione, per un fatto oggettivamente ritenuto di scarsa gravità quale la ricettazione di sette modellini di plastica, il giudice di appello ha negato l'applicabilità delle pene sostitutive facendo riferimento alla gravità ed al numero dei precedenti gravanti a carico dell'imputato ed alla impossibilità di ritenere che ogni pena diversa dalla reclusione possa assicurare le esigenze specialpreventive, circostanze, queste, o non rilevanti sotto il profilo normativo, come in precedenza esposto, ovvero che appaiono contraddette dall'esercizio del potere discrezionale in sede di determinazione della sanzione in concreto inflitta.
Deve pertanto essere affermato che il giudice di primo grado in sede di condanna dell'imputato ovvero il giudice di appello chiamato a pronunciarsi ex art. 95 d.lgs. 150/2022 è tenuto a valutare i criteri direttivi di cui all'art. 133 c.p. sia ai fini della determinazione della pena da infliggere sia, subito dopo, ai fini della individuazione della pena sostitutiva (ex art. 58 d.lgs. 150/2022), con l'ovvia conseguenza che tra i due giudizi deve esservi continuità e non insanabile contraddittorietà, favorendosi l'applicazione di una delle sanzioni previste dall'art. 20 c.p. tanto minore rispetto ai limiti edittali risulti la pena in concreto inflitta.
E proprio sotto tale profilo, l'impugnata sentenza appare affetta anche da difetto di motivazione, specificamente eccepita nel successivo ricorso, nella parte in cui ha omesso di valutare le date di consumazione dei precedenti dai quali pretende ricavare il giudizio di pericolosità pur avendo la difesa eccepito che la consumazione dei precedenti delitti rimonterebbe al 2016 ed a date anche anteriori.
4. Quanto al procedimento che la corte di appello in sede di rinvio dovrà osservare vanno pure svolte alcune considerazioni in ordine alla fase di applicazione delle pene sostitutive; come già anticipato il legislatore della c.d. riforma Cartabia (d.lgs. 150/2022) ha profondamente innovato il sistema delle pene sostitutive anticipando l'irrogazione delle stesse già alla fase del giudizio di cognizione ed introducendo il meccanismo del c.d. sentencing; si è così stabilito che, quando è stata applicata una pena detentiva non superiore a quattro anni e non è stata ordinata la sospensione condizionale, subito dopo la lettura del dispositivo, il giudice, se ricorrono le condizioni per sostituire la pena detentiva con una delle pene sostitutive di cui all'art. 53 della l. 24 novembre 1981, n. 689, ne dà avviso alle parti. Se l'imputato, personalmente o a mezzo di procuratore speciale, acconsente alla sostituzione della pena detentiva con una pena diversa dalla pena pecuniaria, ovvero se può aver luogo la sostituzione con detta pena, il giudice, sentito il pubblico ministero, quando non è possibile decidere immediatamente, fissa una apposita udienza non oltre sessanta giorni, dandone contestuale avviso alle parti e all'ufficio di esecuzione penale esterna competente. Alla successiva udienza il giudice, valutati gli elementi raccolti, integra il dispositivo indicando la pena sostitutiva con gli obblighi e le prescrizioni corrispondenti ovvero lo conferma ove ritenga non sussistere i presupposti per l'applicazione del beneficio.
Tale disciplina del c.d. modello bifasico ha recepito le critiche con le quali la dottrina aveva segnalato l'eccessiva rigidità del sistema sanzionatorio previgente influenzando anche la Commissione per la riforma del codice penale che aveva proprio previsto la possibilità che la pronuncia sulla sanzione può essere non contestuale alla pronuncia sulla responsabilità dell'imputato, quando il giudice ritenga necessario, per le valutazioni relative alle sanzioni, acquisire ulteriori elementi di prova, o verificare il consenso dell'imputato su determinate misure.
In tal caso il giudice, dopo avere letto il dispositivo contenente l'affermazione di responsabilità, rinvia in tutto o in parte la pronuncia sulla sanzione ad una udienza successiva, con ordinanza nella quale sono indicati i temi da trattare.
Tuttavia accanto a tale modello, oggi richiamato dalla disciplina positiva del già citato art. 545-bis c.p.p., non può essere escluso che il giudice chiamato a deliberare abbia già acquisito al momento di emissione del dispositivo di condanna il consenso dell'imputato all'applicazione della pena sostitutiva e possa direttamente disporre in tal senso senza dovere necessariamente procedere all'udienza di c.d. sentencing. Tale possibilità deve, infatti, ricavarsi da altre norme di rango primario pure introdotte dalla riforma Cartabia ed in particolare dagli artt. 53, 58 e 61 della l. 689/1981 come riformulati dal d.lgs. 150/2022; l'art. 53 cit. stabilisce che: "il giudice, nel pronunciare sentenza di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale, quando ritiene di dover determinare la durata della pena detentiva entro il limite di quattro anni, può sostituire tale pena con quella della semilibertà o della detenzione domiciliare; quando ritiene di doverla determinare entro il limite di tre anni, può sostituirla anche con il lavoro di pubblica utilità"; ai sensi del successivo art. 58 cit.: "il giudice, nei limiti fissati dalla legge e tenuto conto dei criteri indicati nell'articolo 133 del codice penale, se non ordina la sospensione condizionale della pena, può applicare le pene sostitutive della pena detentiva quando risultano più idonee alla rieducazione del condannato e quando, anche attraverso opportune prescrizioni, assicurano la prevenzione del pericolo di commissione di altri reati".
Infine, è soprattutto il cit. art. 61 che rende chiara la previsione di immediata applicabilità della pena sostitutiva al momento della condanna statuendo espressamente che: "nel dispositivo della sentenza di condanna, della sentenza di applicazione della pena e del decreto penale, il giudice indica la specie e la durata della pena detentiva sostituita e la specie, la durata ovvero l'ammontare della pena sostitutiva".
Dal combinato disposto delle suddette norme risulta, pertanto, che, ove il giudice al momento della emissione del dispositivo di condanna abbia già acquisito il consenso dell'imputato e ritenga la sussistenza dei presupposti per l'applicazione delle pene sostitutive già positivamente vagliati, può direttamente disporre la sostituzione senza necessariamente dovere procedere alla successiva udienza di c.d. sentencing; ove ritenga di dovere acquisire ulteriori chiarimenti dall'ufficio esecuzione penale esterna circa il programma di trattamento procederà invece ai sensi dell'art. 545, comma 1, c.p.p.; infine, ove escluda che le pene sostitutive assicurino la prevenzione del pericolo di commissione di ulteriori reati, rigetterà la richiesta stessa, necessariamente formulata prima della conclusione del giudizio ed accompagnata dall'indispensabile consenso dell'imputato.
Nello stesso senso dovrà procedere anche il giudice di appello al quale venga prospettata la questione a seguito dell'entrata in vigore della nuova disciplina attraverso i motivi nuovi o specifica memoria alla quale sia allegato il consenso dell'imputato, ovvero il giudice del rinvio disposto a seguito di annullamento dalla Corte di cassazione, come nel caso di specie.
4.1. Va ancora rammentato che la possibile applicazione delle pene sostitutive nella fase dell'emissione del dispositivo di condanna non esclude il successivo intervento del magistrato di sorveglianza ovvero dell'ufficio esecuzione penale esterno e persino l'eventuale revoca del beneficio; invero rilevano al proposito le previsioni dettate dagli artt. 62, 63 e 66 della l. 689/1981 come riformulati dal d.lgs. 150/2022. Ai sensi del cit. art. 62 infatti: "Quando deve essere eseguita una sentenza di condanna a pena sostitutiva della semilibertà o della detenzione domiciliare, il pubblico ministero trasmette la sentenza al magistrato di sorveglianza del luogo di domicilio del condannato... Il magistrato di sorveglianza procede a norma dell'articolo 678, comma 1-bis, del codice di procedura penale e, previa verifica dell'attualità delle prescrizioni, entro il quarantacinquesimo giorno dalla ricezione della sentenza provvede con ordinanza con cui conferma e, ove necessario, modifica le modalità di esecuzione e le prescrizioni della pena. L'ordinanza è immediatamente trasmessa per l'esecuzione all'ufficio di pubblica sicurezza del comune in cui il condannato è domiciliato ovvero, in mancanza di questo, al comando dell'Arma dei carabinieri territorialmente competente. L'ordinanza è trasmessa anche all'ufficio di esecuzione penale esterna e, nel caso di semilibertà, al direttore dell'istituto penitenziario cui il condannato è stato assegnato". Il successivo art. 63 detta disposizioni del tutto analoghe in caso di lavoro di pubblica utilità sostitutivo, mentre l'art. 66 cit. stabilisce il procedimento per la revoca della pena sostitutiva a seguito di inosservanza delle prescrizioni stabilendo la competenza del magistrato di sorveglianza in caso di violazioni della semilibertà o della detenzione domiciliare e del giudice che ha applicato il lavoro di pubblica utilità.
Attraverso il successivo intervento della magistratura di sorveglianza e dell'ufficio di esecuzione penale esterno, quindi, il controllo della corretta possibilità di applicazione e dell'esatto adempimento della pena sostitutiva direttamente disposta con la sentenza di condanna è ugualmente assicurato così che alcun ostacolo appare sussistere alla sua diretta irrogazione, anche in fase di appello o di giudizio di rinvio, senza necessariamente dovere procedere alla c.d. udienza di sentencing.
5. Quanto all'ultimo motivo in tema di omessa motivazione sulla richiesta di accesso ai programmi di giustizia riparativa, trattasi di doglianza non proponibile; ed invero, secondo il più recente orientamento di questa Corte di legittimità (Sez. 2, n. 6595 del 12 dicembre 2023, Baldo, n.m. allo stato), il provvedimento con il quale il giudice nega al richiedente l'accesso ai programmi di giustizia riparativa non è impugnabile, trattandosi di provvedimento di natura non giurisdizionale.
In conclusione, l'impugnazione deve ritenersi fondata limitatamente alla omessa applicazione delle pene sostitutive con conseguente annullamento della sentenza impugnata sul punto ed irrevocabilità della dichiarazione di responsabilità.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata, limitatamente all'applicabilità della pena sostitutiva, con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Torino. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso e definitivo l'accertamento di responsabilità.
Depositata il 28 febbraio 2024.