Consiglio di Stato
Sezione V
Sentenza 23 febbraio 2024, n. 1825

Presidente: Sabbato - Estensore: Fasano

FATTO

1. In data 4 dicembre 2010 Paolo Z., proprietario dell'immobile, sito nel Comune di Monteforte d'Alpone in via A. De Gasperi n. 2, gravemente danneggiato dall'alluvione verificatasi in Veneto tra il 31 ottobre e il 2 novembre 2010, formulava richiesta di contributo ai sensi dell'OPCM 3906/2010.

Con comunicazione del 3 marzo 2012, il Comune riconosceva all'istante un contributo assegnabile pari a euro 49.852,50 e provvedeva a versare la somma di 30.000 euro, a titolo di anticipazione, precisando che, nel caso in cui la documentazione successivamente prodotta avesse consentito la liquidazione di una somma inferiore a quella liquidata, il richiedente avrebbe dovuto restituire quanto già percepito in acconto, entro e non oltre 10 giorni dal ricevimento della successiva comunicazione definitiva.

Successivamente, con determinazione n. 834 del 7 ottobre 2013, il Comune, richiamando i decreti e le ordinanze di disciplina dell'emergenza, nonché la documentazione prodotta dall'interessato e le verifiche fatte dagli uffici comunali, procedeva alla determinazione definitiva, come da prospetto allegato al decreto e deliberava che nulla doveva essere dato a Paolo Z. a titolo di contributo da parte del Comune e che il predetto avrebbe dovuto restituire i 30.000,00 euro già percepiti a titolo di acconto. In particolare, la richiesta di restituzione era stata determinata a seguito delle comunicazioni inoltrate dall'interessato, che aveva dichiarato di aver ricevuto dall'assicurazione un indennizzo pari a euro 104.555,00, a fronte di un danno quantificabile in euro 166.474,00.

2. Paolo Z. proponeva ricorso dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, denunciando, inter alia, di avere diritto a ottenere un contributo di euro 44.150.93 (ampiamente superiore all'acconto di euro 30.000,00) a fronte di una spesa per riparazione e acquisti di euro 148.705,93 e di un indennizzo dell'assicurazione pari a euro 104.555,00.

Il ricorrente contestava la correttezza degli importi riportati nella tabella allegata al provvedimento impugnato perché in contrasto con quanto effettivamente speso. Deduceva il difetto di motivazione e di istruttoria, in quanto l'Amministrazione, nel quantificare il danno e i costi sostenuti in misura totalmente diversa, non aveva specificato e messo a disposizione gli atti istruttori da cui erano derivati tali importi; pertanto lamentava la carenza di contraddittorio ex art. 10-bis della l. n. 241 del 1990.

L'esponente denunciava eccesso di potere per travisamento dei fatti nonché la violazione dell'ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 3906 e successive modificazioni. A suo dire, era possibile la cumulabilità di indennizzi assicurativi e contribuzioni pubbliche mentre era illegittima la revoca del beneficio a fronte di un danno (integralmente spesato dal cittadino) di gran lunga superiore agli stessi. Rilevava un difetto di competenza ritenendo che la valutazione definitiva in caso di opposizione del beneficiario doveva essere assunta non dal Comune, ma dal Soggetto Responsabile e riteneva di essere stato illegittimamente penalizzato per il solo fatto di aver pagato negli anni un premio assicurativo.

3. Il T.A.R. per il Veneto, con la sentenza n. 308 del 2019, respingeva la richiesta di CTU formulata dal ricorrente, ritenendo sufficiente ai fini della definizione della causa la documentazione esibita dalle parti in giudizio, così rigettando il ricorso. Il Collegio, in particolare, riteneva l'infondatezza del terzo motivo, in quanto rientrava nei poteri dei Comuni l'adozione del decreto definitivo di assegnazione del contributo, nonché l'accertamento dell'eventuale differenza rispetto all'acconto e la richiesta di restituzione, richiamando a tal proposito le linee guida, previste con OCDPC n. 43 del 2013, che espressamente prevedevano che: «qualora, dunque, sia stata accertata una "eccedenza" dell'acconto erogato rispetto al contributo spettante, il Comune interessato dovrà, a seguito di formale provvedimento di accertamento, chiedere la restituzione al soggetto beneficiario della differenza tra il corrisposto e lo spettante, sulla base degli atti d'accertamento posti in essere dalla stessa Amministrazione comunale, con indicazione della specifica causale del rimborso».

Il Tribunale riteneva il provvedimento congruamente motivato per relationem, a seguito dell'espletamento di una completa istruttoria, e rilevava che l'ammontare dei danni ritenuti ammissibili risultava dal preciso computo metrico estimativo elaborato dal tecnico comunale, in applicazione dei criteri e dei prezziari di cui all'ordinanza commissariale n. 22 del 2011 (non oggetto di precise contestazioni), e che, proprio sulla base dell'applicazione di tali criteri, il Comune aveva correttamente determinato l'ammontare del danno "accertato e valutato congruo" nella misura di euro 49.852,50 (quantificazione dei danni ammissibili per una percentuale del 75% prevista per la misura del contributo). Pertanto, secondo il Collegio di prima istanza, era legittima la richiesta di restituzione avanzata dal Comune in ragione dell'indennizzo assicurativo ottenuto dal ricorrente per i danni ai beni in questione, pari a euro 104.555,00, importo superiore ai danni ritenuti ammissibili ai fini del contributo (euro 83.133,48). Veniva richiamata la stessa ordinanza commissariale n. 22 del 2011 (indicata nei provvedimenti impugnati) che, nel disciplinare le modalità attuative e i criteri per il riconoscimento dei contributi, consentiva la cumulabilità con l'indennizzo assicurativo nei limiti del danno "ammissibile" («quantificato secondo le modalità previste dalla medesima ordinanza n. 22 del 2011, e non, come invece vorrebbe il ricorrente, di quello quantificabile sulla base delle spese sostenute in maniera svincolata dai criteri di ammissibilità e dai prezziari previsti dall'ordinanza»).

In ordine, infine, alla censura sul mancato preavviso di rigetto, il Collegio riteneva applicabile l'art. 21-octies, comma 2, l. 241/1990, per cui non era possibile l'annullamento per vizi formali laddove risultava provato che il contenuto del provvedimento impugnato non poteva essere diverso da quello in concreto adottato, circostanza presente nel caso di specie.

4. Paolo Z. ha appellato la suddetta pronuncia, chiedendone la riforma sulla base della seguente censura: "Errata motivazione della sentenza per violazione del principio che vieta l'integrazione postuma in giudizio del provvedimento impugnato e mancato rispetto della motivazione nonché violazione degli artt. 3 e 10-bis della Legge 241/90. Difetto di motivazione. Eccesso di potere per difetto di istruttoria e mancanza di contraddittorio". Con il ricorso in appello, vengono riproposti i motivi ritenuti assorbiti dal giudice di prima istanza, e la richiesta di disporre CTU con la formulazione del seguente quesito: «Dica il CTU, esaminati gli atti, ed in particolare la documentazione fotografica dimessa o presente in Comune di Monteforte d'Alpone, così come le fatture e la documentazione contabile dimessa in giudizio e/o presente in Comune di Monteforte, se la spesa di cui all'allegata documentazione contabile sostenuta dal ricorrente sia congrua in rapporto al danno subito dal ricorrente e causato dagli eventi alluvionali 31/10-02/11 dell'anno 2010».

5. Il Comune di Monteforte d'Alpone, si è costituito con memoria, chiedendo la reiezione dell'appello e riproponendo le eccezioni proposte in primo grado, ossia: a) il difetto di giurisdizione, in favore del giudice ordinario, nella misura in cui l'appellante richiede profili attinenti a materia riservata a tale giurisdizione; b) l'inammissibilità dell'azione perché non sarebbe stata proposta avverso lo Stato - Presidenza del Consiglio dei Ministri; c) l'inammissibilità dell'azione perché il ricorso originario sarebbe stato notificato solo per notizia alla Regione Veneto, neppure individuando tale Ente quale controinteressato quando, invece, essa doveva considerarsi a tutti gli effetti l'Amministrazione avverso la quale proporre direttamente impugnazione; d) l'inammissibilità dell'azione perché il ricorso originario non sarebbe stato notificato alla Regione Veneto quale Commissario Delegato per il superamento dell'emergenza derivante dagli eventi alluvionali di cui all'Ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 3906 del 13 novembre 2010; e) l'improcedibilità e comunque la decadenza del ricorso stante l'assenza di notifica a tali parti necessarie.

6. La Regione Veneto si è costituita in resistenza, concludendo per il rigetto dell'appello.

7. All'udienza straordinaria del 28 novembre 2023, la causa è stata assunta in decisione.

DIRITTO

8. Con l'unico motivo di appello, si deduce l'erroneità della sentenza nella parte in cui si ritiene il provvedimento correttamente motivato per relationem, in quanto gli atti invocati dal giudice non sarebbero stati richiamati nel provvedimento finale impugnato. In particolare, il provvedimento farebbe riferimento ad una comunicazione del 3 marzo 2012 "sottoscritta per ricevuta dal ricorrente", di cui si contesta la ricezione.

Sul punto si denunzia l'inammissibile integrazione postuma della motivazione in corso di giudizio rispetto ai due computi metrici, comparsi solo in sede di produzione giudiziale, sicché si lamenta l'impossibilità di provvedere alla rituale contestazione. L'appellante ritiene, inoltre, che il danno conseguito dall'alluvione, e il corrispondente costo di ripristino, dovrebbero essere considerati per complessivi euro 144.586,966, contrariamente a quanto affermato da Comune.

L'esponente censura la sentenza impugnata nella parte in cui il giudice non si sarebbe avveduto della contraddittorietà fra un saldo positivo deliberato, a fronte ed a seguito della documentazione depositata fin dall'apertura del procedimento amministrativo e quanto, contrariamente, portato a saldo negativo a partire dalla nota n. 834/2013. Denuncia, altresì, l'erroneità della decisione anche in ordine al mancato accoglimento del motivo sul difetto di contraddittorio, stante la violazione dell'art. 10-bis l. 241/1990, atteso che non risulterebbe scontato, né provato, un esito immutato nel caso in cui vi fosse stato un adeguato confronto fra cittadino e Amministrazione, tenuto conto, in specie, delle puntuali e copiose attività di rendicontazione allegate.

9. L'appello è fondato e va accolto.

Il Collegio, preliminarmente, dichiara l'inammissibilità delle eccezioni prospettate dall'Ente comunale, dovendosi rammentare che "nel processo amministrativo, ai sensi dell'art. 101 c.p.a., per le parti diverse dall'appellante, la riproposizione, con memoria difensiva da depositare entro il termine per la costituzione in giudizio, riguarda in modo esclusivo le domande e le eccezioni dichiarate assorbite e non esaminate nella sentenza di primo grado; di conseguenza, laddove invece l'eccezione pregiudiziale sia stata esaminata e disattesa dal giudice di primo grado, la parte eccipiente ha l'onere di impugnare il relativo capo della sentenza nelle forme dell'appello incidentale, sia pure condizionato" (C.d.S., n. 1816 del 2014).

A tale onere processuale, il Comune di Monteforte d'Alpone non ha ottemperato.

9.1. Passando all'esame del merito della controversia, il Collegio ritiene fondata la denuncia di difetto di motivazione dei provvedimenti impugnati, atteso che la comunicazione della stima effettuata dal tecnico, prot. 3315 del 3 marzo 2012, dalla quale si evincerebbe il danno accertato con allegazione del computo metrico, non risulta essere stata sottoscritta da Paolo Z., come invece sostenuto dal Collegio di prima istanza nella sentenza impugnata.

Invero, la determinazione n. 834 del 7 ottobre 2013 contiene una motivazione generica, in quanto si rinvia all'istruttoria espletata senza alcun riferimento specifico a documenti, con semplice allegazione di una tabella "predisposta in data 30.9.2013" in cui viene definito il solo totale del danno accertato e del danno dichiarato, senza alcuna specifica argomentazione.

Neppure di ausilio, per comprendere l'iter logico-giuridico con il quale l'Amministrazione si è determinata alla revoca del contributo, sono la nota prot. 14856 del 2013 e la nota prot. 16017 del 2013, con la conseguenza che, in violazione del criterio della trasparenza, il destinatario dell'atto di ritiro del beneficio non è stato in grado di comprendere le ragioni della determinazione amministrativa.

È noto al Collegio l'indirizzo della giurisprudenza, secondo cui si ritiene sufficientemente motivato un provvedimento amministrativo con il richiamo per relationem ad un altro documento, atteso che la motivazione per relationem corrisponde ad una tecnica motivazionale pienamente ammessa dall'art. 3 della l. n. 241 del 1990, che richiede l'indicazione dell'atto richiamato purché sia conosciuto o conoscibile dal destinatario.

Nondimeno, nella specie, neppure la comunicazione di stima eseguita dal tecnico, prot. 3315 del 3 marzo 2012, è stata resa nota al ricorrente sicché non sono state comunicate le ragioni della revoca del beneficio.

L'Amministrazione, inoltre, ha provveduto ad una inammissibile integrazione postuma della motivazione dei provvedimenti impugnati, allegando nel corso del giudizio i computi metrici, che come si è detto non sono stati mai comunicati a Paolo Z., il quale, per tale ragione non ha potuto provvedere alla contestazione delle determinazioni dell'Amministrazione nei termini e nei modi indicati dalle regole processuali, con evidente violazione del diritto di difesa (art. 24 Cost.).

La motivazione di un provvedimento amministrativo non può essere integrata nel corso del giudizio con la specificazione di ulteriori elementi di fatto che giustificherebbero il provvedimento impugnato, atteso che la motivazione deve precedere e non seguire l'atto della pubblica amministrazione, soprattutto laddove i fatti evidenziati in giudizio dalla difesa dell'amministrazione, malgrado preesistessero all'adozione dell'atto impugnato, non sono stati posti a base di esso.

Lo scopo della motivazione dell'atto è, infatti, quello di esternare le ragioni del provvedimento in modo da rendere comprensibile l'iter logico seguito dall'Autorità e possibile la difesa delle proprie ragioni al destinatario del provvedimento, rimanendo altrimenti vanificati sia il principio costituzionale del buon andamento dell'amministrazione, sia la possibilità di difesa dell'interessato e la possibilità stessa del sindacato giurisdizionale (C.d.S., n. 1656 del 2016; C.d.S., n. 3385 del 2021).

Questo Consiglio di Stato, in più occasioni, ha ribadito che: "il divieto di integrazione della motivazione in sede processuale è volto ad evitare che il ricorrente sia posto, come è nel caso di atti discrezionali, in una posizione di effettiva minoranza della tutela in giudizio: il che potrebbe avvenire se le censure fondate, da lui dedotte nell'originaria domanda, potessero essere neutralizzate dall'Amministrazione al di fuori della pregressa applicazione delle regole legali di presidio istruttorio e di logicità e proporzionalità dell'attività valutativa" (C.d.S., n. 8218 del 2010).

Ne consegue che la sentenza impugnata va riformata nella parte in cui si sostiene che "il provvedimento impugnato è adeguatamente motivato per relationem, dando adeguatamente conto delle ragioni di diritto... e dei presupposti di fatto che lo sostengono, considerato, altresì che il ricorrente era a piena conoscenza degli esiti precedenti dell'istruttoria che gli sono stati comunque comunicati dal Comune (vedi nota prot. n. 3315 del 2013 sottoscritta per ricevuta dal ricorrente)".

9.2. Va accolta anche la censura con la quale si è prospettata la violazione dell'art. 10-bis della l. n. 241 del 1990, dovendosi rilevare che la diversa quantificazione del danno, come determinata dall'Amministrazione, proprio in ragione del rilevato vizio motivazionale, avrebbe potuto essere contestata in fase procedimentale da Paolo Z., sicché l'assenza del contraddittorio in ordine alla determinazione dei pregiudizi effettivamente subìti ha inciso sulla legittimità sulla richiesta di restituzione delle somme erogate.

Nella specie, diversamente da quanto sostenuto dal Collegio di prima istanza, non risulta suscettibile di applicazione l'art. 21-octies della l. n. 241 del 1990, atteso che proprio la discrepanza tra quanto dichiarato dal privato e la stima effettuata dal Comune, di fatto non comunicata al ricorrente e dallo stesso non conosciuta e soprattutto non riportata nel provvedimento gravato, avrebbe necessitato del dialogo attivato ai sensi dell'art. 10-bis della l. cit., non essendo corretto ritenere che il provvedimento sarebbe stato lo stesso anche a seguito dell'apporto collaborativo del ricorrente.

10. In definitiva l'appello va accolto ed ogni altra questione assorbita, stante il vizio motivazionale degli atti impugnati, e per l'effetto, in riforma della sentenza impugnata, va accolto il ricorso introduttivo proposto da Paolo Z., con conseguente annullamento degli atti impugnati, fatti salvi i provvedimenti che l'Amministrazione riterrà in seguito di adottare.

11. Le spese di lite del doppio grado di giudizio, tenuto conto delle ragioni della decisione e della peculiarità della vicenda processuale, vanno interamente compensate tra le parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l'effetto in riforma della sentenza impugnata accoglie il ricorso introduttivo proposto da Paolo Z. ed annulla l'atto ivi impugnato.

Compensa integralmente tra le parti le spese di lite del doppio grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Note

La presente decisione ha per oggetto TAR Veneto, sez. III, sent. n. 308/2019.