Corte di cassazione
Sezione VI penale
Sentenza 15 novembre 2023, n. 48749

Presidente: Di Stefano - Estensore: Ricciarelli

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 27 gennaio 2023 la Corte di appello di Lecce ha confermato quella del Tribunale di Brindisi in data 1° aprile 2019, con cui Francesco D.M. è stato riconosciuto colpevole della ricettazione di un assegno e del delitto di calunnia, in relazione alla falsa incolpazione di aver ricevuto quell'assegno da Antonio D.F.

2. Ha presentato ricorso D.M. tramite il suo difensore.

Con unico motivo riguardante il delitto di calunnia deduce violazione di legge in relazione all'art. 368 c.p.

La Corte non aveva rilevato che deve ritenersi rientrante nell'esercizio del diritto di difesa e dunque scriminata una falsa accusa rispetto alla quale sia ravvisabile una stretta connessione funzionale tra l'accusa formulata e l'oggetto della contestazione, in quanto la dichiarazione costituisca l'unico indispensabile mezzo di difesa.

3. Il Procuratore generale ha inviato la requisitoria concludendo per l'inammissibilità del ricorso.

4. Il difensore del ricorrente ha inviato memoria di conclusioni, segnalando che la questione era stata formulata nei motivi nuovi di cui la Corte non aveva tenuto conto.

5. Il ricorso è stato trattato senza l'intervento delle parti, ai sensi dell'art. 23, comma 8, d.l. n. 137 del 2020, in base alla proroga da ultimo disposta dall'art. 94, comma 2, d.lgs. 150 del 2022, come modificato dall'art. 5-duodecies, d.l. 162 del 2022, convertito con modificazioni dalla l. 199 del 2022.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso non è fondato.

Il tema dedotto, implicando la configurabilità di una scriminante, tale da escludere l'antigiuridicità del fatto, in relazione ad una ricostruzione della vicenda agevolmente desumibile dalle sentenze di merito, avrebbe potuto essere rilevato anche d'ufficio.

Tuttavia, l'assunto difensivo non può trovare accoglimento.

2. È stato in particolare prospettato dalla difesa che il riferimento fatto dal ricorrente nel corso dell'interrogatorio a D.F., quale soggetto da cui aveva ricevuto l'assegno risultato proveniente da furto, era strettamente collegato ad una fase del procedimento e direttamente funzionale alla sua difesa, quale unico concreto mezzo a sua disposizione.

In tale prospettiva avrebbe dovuto ravvisarsi la scriminante dell'esercizio del diritto di difesa agli effetti dell'art. 51 c.p.

3. Si tratta di impostazione che trova riscontro in alcune sentenze, nelle quali si è affermato che «in tema di calunnia, non esorbita dai limiti del diritto di difesa l'imputato che affermi falsamente davanti all'Autorità giudiziaria fatti tali da coinvolgere altre persone, che sa essere innocenti, nella responsabilità per il reato a lui ascritto, purché la mendace dichiarazione costituisca l'unico indispensabile mezzo per confutare la fondatezza dell'imputazione, secondo un rigoroso rapporto di connessione funzionale tra l'accusa (implicita od esplicita) formulata dall'imputato e l'oggetto della contestazione nei suoi confronti, e sia contenuta in termini di stretta essenzialità» (Sez. 6, n. 33754 del 25 maggio 2022, Ferrari, Rv. 283882; Sez. 6, n. 40886 dell'8 marzo 2018, G., Rv. 274147; Sez. 6, n. 14042 del 2 ottobre 2014, dep. 2015, Lizio, Rv. 262972).

Va tuttavia rimarcato come il tema formi oggetto di un diverso orientamento, in forza del quale si afferma che «in tema di rapporto tra diritto di difesa e accuse calunniose, l'imputato, nel corso del procedimento instaurato a suo carico, può negare, anche mentendo, la verità delle dichiarazioni a lui sfavorevoli, ma commette il reato di calunnia quando non si limita a ribadire la insussistenza delle accuse a lui addebitate, ma assume ulteriori iniziative dirette a coinvolgere l'accusatore - di cui pure conosce l'innocenza - nella incolpazione specifica, circostanziata e determinata di un fatto concreto» (Sez. 2, n. 14761 del 19 dicembre 2017, dep. 2018, Lusi, Rv. 272755; Sez. 6, n. 18755 del 16 aprile 2015, Scagnelli, Rv. 263550; Sez. 1, n. 26455 del 26 marzo 2013, Knox, Rv. 255678; Sez. 2, n. 2740 del 14 ottobre 2009, dep. 2010, Zolli, Rv. 272755).

In tale quadro si è inserita un'ulteriore sentenza che, nel valutare i difformi orientamenti, ha riaffermato il secondo, sulla base di una pluralità di argomenti che meritano piena condivisione (si richiama Sez. 2, n. 17705 del 31 gennaio 2022, De Erede, Rv. 283336, i cui principi sono stati successivamente ribaditi da Sez. 5, n. 38729 del 1° giugno 2023, Laruccia, non massimata).

4. Deve, su un piano generale, rimarcarsi come il diritto di difesa, pur costituzionalmente sancito, abbia dei limiti esterni, desumibili dalla concomitante necessità di tutelare valori di pari rango, in concreto espressi da altre norme dell'ordinamento ed anche dal sistema penale.

In particolare, appare evidente come la difesa di un soggetto non possa oltrepassare la soglia dell'ingiustificata aggressione di beni parimenti tutelati, fra l'altro tali da implicare l'apprestamento di adeguate garanzie, come nel caso della formulazione di false incolpazioni a carico di terzi, di cui si conosca l'innocenza, la cui posizione deve essere parimenti salvaguardata in ragione del valore primario della loro dignità e della loro libertà.

Ciò val quanto dire che il diritto di difesa del singolo costituisce sua prerogativa nel quadro di un assetto complessivo dei rapporti intercorrenti tra soggetti che godono di pari garanzie di ordine costituzionale, cosicché l'esercizio del diritto deve esprimersi con riguardo al tema d'accusa e mantenersi all'interno dei dati fattuali ad esso riconducibili, senza travalicare la sfera di tutela di altri soggetti.

Ben si comprende dunque che sia sempre legittima la negazione della validità degli elementi a carico e in tale ambito la formulazione di assunti volti in varia guisa a screditarli, ma senza che ciò possa contemporaneamente tradursi in false accuse specifiche a carico di terzi, in tal modo oltrepassando e non solo lambendo il confine oltre il quale vengono in rilievo le garanzie apprestate dall'ordinamento a tutela dei terzi.

5. Tale analisi non si fonda su valutazioni astratte, ma anche su argomenti specifici desumibili dal sistema penale.

Va infatti rimarcato come il diritto di difesa, per come invocato dall'orientamento qui non condiviso, implichi l'esclusione dell'antigiuridicità della condotta, di essa non potendosi predicare il contrasto con l'ordinamento e con la sfera dei valori da esso tutelati.

Tuttavia, deve rilevarsi come in senso contrario deponga la formulazione dell'art. 384 c.p.

Tale norma, al primo comma, prevede che chiunque commetta uno dei reati contro l'amministrazione della giustizia specificamente indicati non è punibile se ha agito in quanto costretto dalla necessità di salvare se medesimo o un prossimo congiunto da un grave e inevitabile nocumento nella libertà o nell'onore.

Orbene, tale norma non contempla l'ipotesi del delitto di calunnia di cui all'art. 368 c.p.

È al riguardo rilevante che, sulla base di quanto autorevolmente affermato dalle Sezioni unite della Corte di cassazione (Sez. un., n. 10381 del 26 novembre 2020, dep. 2021, Fialova, Rv. 280574), l'art. 384, comma primo, c.p. non configuri una generica causa di non punibilità e neppure una scriminante, tale da elidere l'antigiuridicità della condotta, bensì una causa di esclusione della colpevolezza, correlata all'inesigibilità di una condotta rispettosa delle norme.

In tale prospettiva risulta evidente come l'esplicazione della difesa non possa dirsi scriminata, con l'effetto di eliderne l'antigiuridicità, nel caso della formulazione di false accuse a carico di terzi, giacché proprio la mancata inclusione dell'art. 368 c.p. nella sfera di operatività dell'art. 384, comma primo, c.p. dimostra che quel tipo di difesa esula dal suo legittimo alveo, tanto che non potrebbe dirsi esclusa la colpevolezza: ciò a fortiori attesta che giammai potrebbe venir meno l'antigiuridicità della condotta, essendo evidente che non avrebbe senso interrogarsi sulla colpevolezza ove in radice mancasse sul piano oggettivo la contrarietà all'ordinamento (in termini Sez. 2, n. 17705 del 31 gennaio 2022, De Frede, cit.).

6. Alla luce di quanto rilevato deve, dunque, ritenersi che i giudici di merito abbiano correttamente ravvisato il delitto di calunnia nella condotta del ricorrente, che ha inteso difendersi attribuendo falsamente ad un terzo la responsabilità di avergli consegnato l'assegno di provenienza furtiva, di cui era entrato in possesso.

Ne discende il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Depositata il 6 dicembre 2023.