Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana
Sentenza 9 ottobre 2023, n. 656
Presidente: Taormina - Estensore: La Ganga
FATTO E DIRITTO
1. Con ricorso, notificato in data 25 ottobre 2019, la dott.ssa Valentina C. ha impugnato la sentenza in epigrafe appellata, con la quale il Tribunale amministrativo regionale della Sicilia - sede di Palermo - ha respinto il ricorso di primo grado dalla stessa proposto avverso:
- il decreto n. 1017 del 7 novembre 2011, con il quale il Presidente della Regione Siciliana ha respinto il ricorso straordinario da lei presentato;
- la deliberazione della Giunta regionale siciliana n. 262 del 29 settembre 2011;
nonché tutti gli altri atti presupposti, conseguenti o connessi.
2. La dott.ssa C., ha partecipato al concorso pubblico per la copertura di n. 70 posti di dirigente tecnico archeologo, del quale poi è risultata vincitrice. Il bando di riferimento prevedeva che sarebbe stato corrisposto ai vincitori il trattamento economico corrispondente al livello VIII retributivo, di cui alla Tabella A del d.P.R.S. n. 11 del 20 gennaio 1995.
Dopo la scadenza del termine per la presentazione delle domande, è sopravvenuta la legge regionale n. 10 del 2000 (Norme sulla dirigenza e sui rapporti di impiego e di lavoro alle dipendenze della Regione Siciliana), la quale ha dettato disposizioni transitorie, influenti anche sui rapporti inerenti al predetto concorso. In particolare, la ricorrente ha sostenuto che dal tenore letterale delle disposizioni di cui all'art. 6 della citata legge regionale n. 10/2000 e di cui all'art. 2 del d.P.R.S. n. 11/2001, in sede di adozione del "Regolamento attuativo dell'art. 6, comma 2, della l.r. n. 10/2000", risultasse evidente che il legislatore regionale avesse inteso prevedere la corrispondenza fra la vecchia figura del Dirigente Tecnico (VIII livello retributivo) e la nuova del Dirigente inquadrato nella III fascia dell'istituendo ruolo unico dei Dirigenti dell'Amministrazione Regionale siciliana.
Tuttavia con D.D.G. n. 5359 del 3 marzo 2005, l'Amministrazione ha assunto la ricorrente, attribuendole il trattamento retributivo corrispondente al VII livello retributivo (corrispondente alla posizione economica D1) e, conseguentemente, la dott.ssa C. ha impugnato il suddetto provvedimento amministrativo con ricorso straordinario al Presidente della Regione Siciliana nella parte in cui era stato disposto l'inquadramento della stessa nella categoria "D".
Con parere n. 644/2006 reso nell'adunanza dell'11 dicembre 2007, le Sezioni riunite del Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana hanno ritenuto fondato e meritevole di accoglimento il ricorso, riconoscendo, in particolare, che «il corretto inquadramento della ricorrente stessa non poteva che essere proprio quello di dirigente di terza fascia».
Alla mancata adozione da parte del Presidente della Regione del decreto decisorio, la dott.ssa C. ha fatto seguire una diffida, cui l'Amministrazione ha dato riscontro con la nota prot. n. 20683/535058 annunciando la sospensione sine die del procedimento avviato con la proposizione del ricorso straordinario al Presidente della Regione.
La C. ha impugnato tale nota, con un primo ricorso, al fine di ottenerne l'annullamento; più precisamente, la stessa ha dedotto che stante l'asserita abrogazione tacita dell'art. 9, comma 5, d.lgs. n. 373/2003, per sopravvenuta incompatibilità con il novellato art. 14 del d.P.R. n. 1199 del 1971 ad opera della l. n. 69/2009, non sarebbe consentito al Presidente della Regione, l'adozione di un decreto decisorio difforme al parere del Consiglio di Giustizia Amministrativa.
Tale ricorso è stato rigettato dal Tribunale Amministrativo Regionale con la sentenza n. 14329 del 2010 stante la cogenza della previsione di cui all'art. 9, comma 5, d.lgs. n. 373 del 2003 anche dopo le novità introdotte dalla l. n. 69 del 2009 in tema di ricorso straordinario al Presidente della Repubblica.
Pari sorte ha avuto l'appello proposto dalla dott.ssa C. per la riforma della detta sentenza, il C.G.A. con la sentenza n. 536 dell'11 giugno 2012, ha rigettato l'appello ritenendo che il ricorso introduttivo, che il T.A.R. aveva respinto nel merito, in realtà fosse inammissibile per difetto di interesse, in quanto proposto avverso un atto giuridicamente privo di ogni attitudine lesiva (la nota di sospensione), essendo di natura endoprocedimentale.
In attesa della decisione di quest'ultimo giudizio di appello, la signora C., con il ricorso di primo grado ha impugnato il decreto presidenziale n. 1017 del 7 novembre 2011, notificatole il 21 dicembre 2011, con il quale il Presidente della Regione Siciliana (nonostante il parere di accoglimento espresso dalle sezioni riunite del C.G.A.) ha respinto il ricorso straordinario da lei presentato; inoltre, ha anche impugnato gli atti prodromici a detto decreto, ossia la deliberazione della Giunta regionale siciliana n. 262 del 29 settembre 2011 avente ad oggetto «autorizzazione al Presidente della Regione a decidere in difformità al parere del C.G.A. n. 644/06 del 11 dicembre 2007» e delle allegate note dell'Ufficio legislativo e legale prot. nn. 7163, 7164, 7165 e 7166 del 9 marzo 2011, tutte conosciute dalla ricorrente in data 21 dicembre 2011.
La ricorrente, anche in questo ricorso, ha sostenuto la tesi della violazione e falsa applicazione dell'art. 9 del d.lgs. n. 373/2003 e dell'art. 14 del d.P.R. n. 1199/1971, come modificato dall'art. 69 l. n. 69/2009 e il Tribunale Amministrativo di primo grado, con sentenza n. 867/2019, oggetto del presente gravame, ha rigettato le avverse doglianze, confermando le conclusioni già espresse con la menzionata sentenza n. 14329 del 2010, nella quale è stato sostenuto, infatti, che l'art. 9, comma 5, del d.lgs. n. 373 del 2003 (che prevede la possibilità di decisione del ricorso straordinario in maniera difforme dal parere del competente organo consultivo) non può ritenersi tacitamente abrogato, per sopravvenuta incompatibilità con la l. n. 69 del 2009 (che invece ha prescritto la decisione finale in maniera necessariamente conforme al parere), in ragione della peculiare natura del d.lgs. n. 373 del 2003, il quale reca «norme di attuazione dello Statuto della Regione Siciliana» e ha rango sovraordinato alla legge ordinaria.
Con l'atto di appello per cui è causa, notificato il 25 ottobre 2019 e depositato in pari data, la dott.ssa C. ha ribadito la tesi della abrogazione tacita dell'art. 9 d.lgs. n. 373/2003 e, in subordine, ha chiesto che venisse sollevata la questione di legittimità costituzionale del citato art. 9, comma 5, del d.lgs. n. 373 del 2003 per contrasto con gli artt. 3, 24, 102 e 113 della Costituzione.
3. L'amministrazione regionale, con memoria depositata in data 9 febbraio 2022, previa costituzione formale del 5 novembre 2019, ha chiesto il rigetto del ricorso perché infondato, richiamando in proposito le conclusioni cui era pervenuto di recente il parere delle Sezioni riunite del C.G.A.R.S. n. 61/2020.
4. Con ordinanza n. 566 del 12 maggio 2022 questo Consiglio di Giustizia Amministrativa, dopo aver preliminarmente ritenuto l'ammissibilità del ricorso di primo grado e dell'appello e, quindi, chiarito che non potesse ipotizzarsi alcun bis in idem, in quanto diversamente si sarebbe inverata un'ipotesi di denegata giustizia, ha affrontato la rilevanza delle censure prospettate e delle conseguenze cui condurrebbe l'accoglimento di una delle medesime.
Invero, l'appellante lamentava che il decreto n. 1017 del 7 novembre 2011 impugnato fosse illegittimo in quanto non conforme al parere n. 644/2006 reso dalle Sezioni Riunite del Consiglio di Giustizia Amministrativa e ciò per due motivi di appello: a) in quanto tra i poteri del Presidente della Regione non vi rientra quello di discostarsi dal parere reso dal C.G.A.R.S. in sede consultiva; b) in subordine, per incostituzionalità; la signora C. ha chiesto, infatti, a questo C.G.A.R.S. di sollevare la questione di legittimità costituzionale dell'art. 9, comma 5, del d.lgs. n. 373 del 24 dicembre 2003, nella parte in cui dispone che «qualora il Presidente della Regione non intenda decidere il ricorso in maniera conforme al parere del Consiglio di giustizia amministrativa, con motivata richiesta deve sottoporre l'affare alla deliberazione della Giunta regionale».
4.1. Questo Collegio giurisdizionale con l'ordinanza n. 566/2022 ha respinto la prima doglianza, in quanto non ha ritenuto fondata l'opinione dell'appellante volta a sostenere l'implicita abrogazione dell'art. 9, comma 5, del d.lgs. n. 373 del 2003 a seguito dell'entrata in vigore dell'art. 69 della l. n. 69 del 2009.
Il Collegio ha spiegato, infatti, che «ove si volesse ritenere che la possibilità per il Presidente della Regione di decidere il ricorso straordinario difformemente dal parere del Consiglio di giustizia amministrativa discenda direttamente dal disposto di cui all'ultimo comma dell'art. 23 dello Statuto ("... decisi dal Presidente della Regione sentite le Sezioni regionali del Consiglio di Stato") sarebbe evidente che la tesi appellatoria non avrebbe nessuna possibilità di essere accolta: è infatti precipitato del principio di gerarchia delle fonti che una legge ordinaria, quale è la l. n. 69 del 18 giugno 2009, giammai avrebbe potuto produrre un effetto abrogativo (anche se implicito/tacito) su una fonte superior, quale è la legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2»; ove, invece, si ritenga che la disposizione fondante il potere del Presidente della Regione di decidere il ricorso straordinario difformemente dal parere del Consiglio di giustizia amministrativa si rinvenga sub art. 9, comma 5, del d.lgs. n. 373 del 24 dicembre 2003, ugualmente la tesi dalla tacita abrogazione non potrebbe essere accolta, in quanto non condivisibile sul piano del rispetto della gerarchia delle fonti.
Com'è noto quest'ultima normativa che chiarisce la speciale disciplina del Consiglio di giustizia amministrativa, è di rango primario perché reca norme di attuazione di statuti speciali ed è una fonte a competenza "riservata e separata" rispetto a quella esercitabile dalle ordinarie leggi della Repubblica.
Tale tipo di normativa può introdurre una disciplina particolare ed innovativa, a condizione però di rispettare il «limite della corrispondenza alle norme e alla finalità di attuazione dello statuto, nel contesto del principio di autonomia regionale» (sentenze n. 353 del 2001 e n. 212 del 1984).
Nell'ordinanza il Collegio ha ritenuto mantenere «... inalterata vitalità l'intuizione di qualificata Dottrina, secondo cui i decreti legislativi emanati per attuare gli Statuti delle Regioni ad autonomia speciale operano ad un livello ultraprimario sicché non solo le leggi regionali, ma anche quelle statali sono tenute a prestarvi osservanza; essi, nell'ambito della loro competenza "si collocano, nella gerarchia delle fonti, a un livello (sub costituzionale, sì, ma) più alto rispetto agli atti legislativi appena nominati».
4.2. Quanto alla "censura", relativa alla richiesta di sollevare la questione di legittimità costituzionale della disposizione di cui art. 9, comma 5, del d.lgs. n. 373 del 24 dicembre 2003, il Collegio, preliminarmente ne ha riconosciuto la rilevanza nel presente giudizio, «atteso che l'eventuale declaratoria di illegittimità della citata disposizione farebbe retroattivamente venir meno, in un rapporto che non può certamente dirsi esaurito, il potere del Presidente della Regione di discostarsi dal parere (di contrario segno) reso dalla Sezione consultiva di questo Cgars» senza causare alcun vuoto normativo, essendo quella in oggetto l'unica disposizione che differenzia l'istituto giustiziale regionale rispetto a quello nazionale, per cui, in sede di riedizione del potere successivamente all'annullamento del decreto impugnato, il decreto decisorio dovrebbe conformarsi al parere reso dalla Sezione Consultiva del Ggars soddisfacendo la pretesa dell'odierna appellante.
4.3. Infine, il collegio, ai sensi dell'art. 23, comma 2, l. 11 marzo 1953, n. 87, ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell'art. 9, comma 5, del d.lgs. n. 373 del 2003 per contrasto con gli artt. 3, 11, 24, 111, 117, comma 1, 136 della Costituzione, ritenendo che non ricorresse alcuna ipotesi di manifesta infondatezza.
5. La Corte costituzionale con la sentenza n. 63/2023 del 21 febbraio 2023 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 9, comma 5, del d.lgs. 24 dicembre 2003, n. 373, in quanto la vigenza della disposizione censurata secondo la quale il parere reso dal CGARS, in sede di ricorso straordinario resta non vincolante, mentre lo è quello reso dal Consiglio di Stato, a seguito delle modifiche operate dalla l. n. 69 del 2009, determina una serie di significative conseguenze.
La Corte ha chiarito, infatti, che «proprio facendo leva sulle innovazioni legislative introdotte nel 2009 e nel 2010, la Corte di cassazione, partendo dall'intervenuta progressiva assimilazione del ricorso straordinario al ricorso giurisdizionale amministrativo, ha cambiato la propria precedente giurisprudenza e ha riconosciuto l'ammissibilità dell'azione di ottemperanza per l'esecuzione dei decreti resi su ricorsi straordinari (Cass., sez. un., n. 2065 del 2011) e la sindacabilità di questi ultimi da parte della Corte di cassazione per motivi inerenti alla giurisdizione (Cass., sez. un., n. 23464 del 2012). Alla base del mutato indirizzo ha rivestito peso determinante l'intervenuta eliminazione del potere di discostarsi dal parere del Consiglio di Stato, in quanto ciò "conferma che il provvedimento finale, che conclude il procedimento, è meramente dichiarativo di un giudizio: che questo sia vincolante, se non trasforma il decreto presidenziale in un atto giurisdizionale (in ragione, essenzialmente, della natura dell'organo emittente e della forma dell'atto), lo assimila a questo nei contenuti, e tale assimilazione si riflette sull'individuazione degli strumenti di tutela, sotto il profilo della effettività" (Cass., sez. un., n. 2065 del 2011)».
La Corte ha evidenziato come la stessa, nel prendere atto della espressa attribuzione al Consiglio di Stato della legittimazione a sollevare questione di legittimità costituzionale in sede di parere, abbia ricondotto tale rimedio alla nozione di "giudizio", valorizzando, ancora una volta, l'«acquisita natura vincolante del parere del Consiglio di Stato, che assume così carattere di decisione, [la quale] ha conseguentemente modificato l'antico ricorso amministrativo, trasformandolo in un rimedio giustiziale».
La Corte costituzionale prosegue evidenziando che anche l'ultima tappa di tale percorso riguardante la giurisprudenza della Corte di Strasburgo sulla riferibilità alla decisione del ricorso straordinario delle garanzie convenzionali in tema di equo processo sia scaturita proprio dalla circostanza che la Corte europea dei diritti dell'uomo abbia fatto leva proprio sulla modifica normativa che ha attribuito natura vincolante al parere del Consiglio di Stato, infatti, la Corte EDU, nelle precedenti decisioni, aveva escluso la riconducibilità del ricorso straordinario all'art. 6 della Convenzione, in quanto aveva ricostruito la disciplina dell'istituto del ricorso straordinario come rimedio speciale ed escluso, quindi, l'avvio di un procedimento contenzioso del tipo descritto all'art. 6 CEDU.
Ricorda la Corte cost. come solo con la decisione dell'8 settembre 2020, sezione prima, (Mediani contro Italia), «la Corte EDU ha affermato che le tutele previste dalla Convenzione (e segnatamente l'art. 6 sulla ragionevole durata dei processi) sono riferibili anche al ricorso straordinario, sulla base delle modifiche legislative intervenute nel 2009 (legge n. 69 del 2009) e nel 2010 (d.lgs. n. 104 del 2010), ritenendo compiuta la trasformazione del ricorso straordinario in un "judicial remedy", così da riconoscerne, ai fini convenzionali, la "giurisdizionalizzazione", con l'applicabilità delle conseguenti garanzie».
5.1. Ciò detto, la Corte costituzionale ha ritenuto che «se, come si è visto, l'acquisita natura vincolante del parere del Consiglio di Stato ha determinato il riconoscimento dei diversi strumenti di tutela in sede di ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, risolvendosi quindi in un ampliamento delle garanzie dei ricorrenti, è evidente che il permanere della natura non vincolante del parere del CGARS induce a mettere in discussione il riconoscimento (o il mantenimento) delle medesime garanzie in sede di ricorso al Presidente della Regione Siciliana», per cui ha riconosciuta l'esistenza della violazione dell'art. 3 della Costituzione perché «non sussistono, infatti, differenze tra i due istituti idonee a giustificare una tale disparità di trattamento. Né tale disparità appare in alcun modo riconducibile ai profili di autonomia speciale di cui gode la Regione Siciliana», trattandosi di due strumenti che hanno la medesima genesi, la medesima struttura e, tendenzialmente, analoga disciplina.
Pertanto, la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 9, comma 5, del d.lgs. n. 373 del 2003, per violazione degli artt. 3 e 24 Cost., in quanto la disparità di trattamento, oltre che sul principio di eguaglianza, si riflette negativamente sulla tutela dei diritti e degli interessi legittimi di cui all'art. 24 della Costituzione.
6. Alla luce del suddetto percorso fattuale e giurisprudenziale il ricorso della appellante, ritualmente riassunto a seguito della richiamata decisione della Corte costituzionale, deve essere accolto, e per l'effetto, in riforma dell'appellata decisione, deve essere accolto il ricorso di primo grado, con annullamento degli atti impugnati.
Come anticipato, essendo stata dichiarata l'illegittimità dell'art. 9, comma 5, del d.lgs. n. 373 del 2003 e, per l'effetto, essendo venuta meno la facoltà del Presidente della Regione Siciliana di dissociarsi dal parere reso dal Consiglio di Giustizia Amministrativa della Regione Sicilia, a sezioni riunite, gli atti impugnati vanno dichiarati illegittimi, atteso che il Presidente della Regione Siciliana avrebbe dovuto uniformarsi al parere del C.G.A. che aveva espressamente riconosciuto che «il corretto inquadramento della ricorrente stessa non poteva che essere proprio quello di dirigente di terza fascia» e, per l'effetto, avrebbe dovuto annullare il D.D.G. n. 5359 del 3 marzo 2005, con il quale l'Amministrazione ha assunto la ricorrente, nella parte in cui viene attribuito alla stessa il livello retributivo VII invece che l'VIII.
Infatti, ai sensi dell'art. 136 Cost., sì come interpretato ai sensi art. 30 l. 11 marzo 1953, n. 87, le norme dichiarate incostituzionali non possono avere applicazione dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione, con la conseguenza che la «perdita di efficacia» dell'art. 136 Cost. diventa «perdita di ulteriore applicabilità» delle norme dichiarate incostituzionali, con riferimento a tutti i rapporti, anche quelli già pendenti.
7. Le spese del doppio grado di giudizio, atteso la dichiarazione di incostituzionalità e, quindi, la novità della materia e la pregressa giurisprudenza sfavorevole alle tesi dell'appellante e collimante con le difese dell'Amministrazione, possono essere interamente compensate tra le parti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, in sede giurisdizionale, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l'effetto, in riforma dell'appellata decisione, accoglie il ricorso di primo grado, con annullamento degli atti impugnati.
Compensa interamente tra le parti le spese del doppio grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.