Consiglio di Stato
Sezione IV
Sentenza 10 luglio 2023, n. 6714

Presidente: Mastrandrea - Estensore: Di Rubbo

FATTO E DIRITTO

Col ricorso introduttivo e i successivi due ricorsi per motivi aggiunti proposti in primo grado sono state impugnate dalla signora Patrizia D.P. e (limitatamente alla proposizione del ricorso originario e del primo ricorso aggiuntivo) dal signor Mid A.H.K., ciascuno residente nell'edificio sito in via Garibaldi n. 2 del Comune di Calderara di Reno nella unità abitativa di rispettiva proprietà esclusiva, le note con cui il 16 giugno 2011 il Comune di Calderara di Reno chiedeva loro l'adesione al Programma di riqualificazione urbana "Garibaldi 2", lo schema di accordo ex art. 11 l. n. 241 del 1990 per l'attuazione del blocco n. 3 di tale Programma, nonché la deliberazione del Consiglio comunale di Calderara di Reno intervenuta in data 5 maggio 2011, recante l'accordo integrativo al precedente accordo stipulato in data 30 luglio 2003 per la realizzazione di porzioni ERP e del progetto pilota per la sicurezza urbana nell'ambito dei fabbricati interessati dal suddetto Programma di riqualificazione.

Hanno sostenuto i ricorrenti che, mediante gli atti impugnati, il Comune di Calderara di Reno aveva illegittimamente predisposto e approvato un nuovo piano di interventi di riqualificazione, senza portare a compimento i procedimenti relativi ai piani di riqualificazione e recupero ed ai conseguenti accordi già sottoscritti, peraltro senza comunicare alcunché ai diretti interessati in merito alla nuova scelta pianificatoria. In particolare, la gravata deliberazione consiliare recava il recepimento, da parte dell'ente comunale, dello studio di fattibilità del nuovo piano di riqualificazione e delle ipotesi progettuali relative al rifacimento del blocco n. 3, ove abitavano i ricorrenti, nonché la predisposizione della ripartizione degli oneri finanziari dell'intervento tra amministrazione pubblica e proprietari delle unità immobiliari e, in ultimo, lo schema di accordo da approvare, senza che gli interessati fossero stati resi partecipi del nuovo intervento avviato e in un secondo tempo portato a conclusione dall'amministrazione comunale.

Rispetto ai suddetti atti, i due ricorrenti hanno denunziato i seguenti vizi: violazione degli artt. 2, 3, 4 e 9 l.r. n. 19 del 3 luglio 1998; violazione degli artt. 7, 8, 9 e 10 l. n. 241 del 1990; eccesso di potere per contraddittorietà, illogicità manifesta, carenza di istruttoria; violazioni in materia di finanza degli enti locali, con particolare riferimento agli artt. 178, 179 e 191 d.lgs. n. 267 del 2000; violazione dell'art. 97 Cost.

Con un primo ricorso per motivi aggiunti, i ricorrenti hanno poi impugnato, unicamente per illegittimità derivata, la deliberazione della Giunta comunale di Calderara di Reno n. 74 del 2 maggio 2012.

Con un secondo ricorso per motivi aggiunti, la signora D.P. ha chiesto l'annullamento dell'accordo di programma datato 6 dicembre 2012, integrativo dell'accordo del 30 luglio 2003, e dei decreti sindacali n. 1 e n. 2 del 22 gennaio 2013 per gli stessi motivi proposti con l'atto introduttivo del giudizio, nonché con ulteriori censure di asserita violazione degli artt. 8 e 13 l.r. n. 37 del 2002 e dell'art. 5, comma 4, l.r. n. 19 del 1998, dell'art. 3 l. n. 241 del 1990; eccesso di potere per irragionevolezza e arbitrarietà; violazione dell'art. 97 Cost.

Con un terzo e quarto ricorso per motivi aggiunti la signora D.P. ha poi impugnato il decreto emesso in data 3 giugno 2013, con cui il Comune di Calderara di Reno aveva espropriato per pubblica utilità l'unità immobiliare di proprietà della ricorrente ubicata nel predetto Comune, via Garibaldi n. 2, Blocco n. 3, la successiva comunicazione di avvenuta esecuzione del decreto, la determinazione n. 81 del 4 marzo 2013 relativa alle indennità di espropriazione provvisorie e la determinazione n. 246 del 3 giugno 2013 di approvazione dello schema di esproprio. Avverso gli atti ablativi, la ricorrente ha dedotto col terzo predetto mezzo, oltre a censure di illegittimità derivata, anche autonomi vizi, quali la violazione dell'art. 3, comma 3, e dell'art. 5, comma 5, l.r. n. 19 del 1998, dell'art. 42 Cost., degli artt. 1, 1-bis, 3, 10 e 11 l. n. 241 del 1990; dell'art. 97 Cost.; nonché l'eccesso di potere per contraddittorietà tra atti, illogicità manifesta, irragionevolezza, travisamento di fatti e carenza di motivazione. Nel quarto ricorso aggiuntivo sono stati denunciati la violazione dell'art. 17 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea e l'eccesso di potere sotto diversi profili, nonché la violazione dell'art. 42 Cost.

In via subordinata rispetto all'azione impugnatoria, la ricorrente ha proposto azione risarcitoria per la condanna della civica amministrazione al risarcimento dei danni patiti a causa degli atti e provvedimenti impugnati.

Si è costituita avverso l'atto introduttivo del giudizio e i quattro ricorsi per motivi aggiunti l'intimata amministrazione comunale di Calderara di Reno, eccependo la inammissibilità di tutti i gravami per l'omessa impugnazione di rilevanti atti presupposti, nonché la irricevibilità dei ricorsi, per l'eccepita tardività della loro notificazione. Nel merito, il Comune ha chiesto che tutti i ricorsi fossero respinti in quanto infondati.

Con decreto n. 307 dell'11 luglio 2013 è stata accolta l'istanza cautelare presentata da parte ricorrente al Presidente ai sensi dell'art. 56 c.p.a. La successiva ordinanza collegiale del T.A.R. ha respinto l'istanza ex art. 55 c.p.a., con decisione confermata dal Consiglio di Stato all'esito dell'appello cautelare.

All'esito della pubblica udienza del giorno 24 ottobre 2018, i vari gravami sopra descritti sono stati respinti dall'impugnata sentenza, con motivazione vertente sul merito.

Ha proposto appello avverso tale decisione la (sola) signora D.P., censurandola e reiterando i vari motivi di ricorso rigettati, nonché le censure rimaste assorbite.

Si è costituito con apposito atto, seguito dal deposito di una memoria, il Comune appellato, che ha eccepito l'inammissibilità dell'appello per sua tardiva proposizione rispetto al termine dimezzato ex art. 119 c.p.a. e, nel merito, la sua infondatezza.

Ha fatto seguito, in data 23 luglio 2020, il deposito di un atto di costituzione del nuovo difensore dell'appellante, con allegata la rinuncia al mandato operata in data 26 giugno 2020 dal precedente difensore (sottoscritta anche dalla cliente per ricevuta).

L'appellante ha poi depositato una memoria ex art. 73 c.p.a., anche in replica alle eccezioni del Comune, e quest'ultimo una memoria di replica ai sensi dello stesso articolo.

All'udienza pubblica del 15 giugno 2023 la causa è passata in decisione.

È fondata l'eccezione pregiudiziale di irricevibilità dell'appello.

L'art. 119 c.p.a., disciplinante il "Rito abbreviato comune a determinate materie", prevede al comma 1 che "Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano nei giudizi aventi ad oggetto le controversie relative a: [...] f) i provvedimenti relativi alle procedure di occupazione e di espropriazione delle aree destinate all'esecuzione di opere pubbliche o di pubblica utilità [...]"; e al comma 2 che "Tutti i termini processuali ordinari sono dimezzati salvo, nei giudizi di primo grado, quelli per la notificazione del ricorso introduttivo, del ricorso incidentale e dei motivi aggiunti, nonché quelli di cui all'articolo 62, comma 1, e quelli espressamente disciplinati nel presente articolo".

In applicazione di tale normativa, il termine "lungo" d'impugnazione disciplinato dall'art. 92, comma 3, c.p.a. e pari, per le sentenze non notificate, a sei mesi dalla pubblicazione della decisione si dimidia in tre mesi.

Emerge dalla superiore narrazione che la presente causa, a seguito del terzo motivo di ricorso per motivi aggiunti, ha ad oggetto anche un provvedimento di esproprio. Ad essa si applica pertanto il primo comma dell'art. 32 c.p.a. e, in conseguenza del suo disposto ("Se le azioni sono soggette a riti diversi, si applica quello ordinario, salvo quanto previsto dal Titolo V del Libro IV", appunto contenente le succitate disposizioni), il predetto termine d'impugnazione "dimezzato". Tale disciplina opera a prescindere dal rito concretamente osservato nel grado precedente, in ossequio al consolidato orientamento da ultimo ribadito dalla Sezione (sent. n. 4326/2022, richiamata nella memoria di replica del Comune appellato).

Quest'ultima precisazione risale alla decisione dell'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 32/2012, che ha enunciato il seguente principio di diritto: "i riti speciali, e segnatamente quello di cui all'art. 23-bis l. Tar (ora art. 119 c.p.a.), sono stabiliti dal legislatore per ragioni di interesse generale e hanno applicazione oggettiva, sicché al fine della verifica se una determinata controversia rientri nell'ambito di applicazione di un rito speciale o del rito ordinario sono irrilevanti il comportamento processuale delle parti o del giudice, trattandosi di evenienze che non escludono ex se la doverosa applicazione del rito (ordinario o speciale), effettivamente stabilito dalla legge; tuttavia se l'errore del giudice circa il rito da applicare e i conseguenti termini si inquadra in un complessivo comportamento fuorviante dello stesso giudice e delle controparti (che in primo grado hanno anche tratto vantaggio dell'errore stesso), si determina una situazione che oggettivamente giustifica la concessione dell'errore scusabile".

Nel caso di specie, l'appello è stato tardivamente notificato in data 12 luglio 2019, a fronte dell'intervenuta pubblicazione dell'impugnata sentenza in data 15 gennaio 2019.

In base a quanto sopra rammentato va altresì esclusa, nel caso di specie, la sussistenza dell'errore scusabile della parte ai fini di un'eventuale rimessione nel termine ex art. 37 c.p.a. (peraltro neppure richiesta nelle difese dell'appellante, che si è limitata a invocare l'opposto principio di ultrattività del rito in concreto osservato).

Infatti, l'omessa formale "conversione" del rito con espresso provvedimento in primo grado ex art. 32, comma 1, c.p.a., a seguito dell'impugnazione del decreto di esproprio con motivi aggiunti, costituisce null'altro che la mera inosservanza di quest'ultima disposizione (in sé irrilevante secondo l'orientamento citato), non essendo per il resto intervenuta alcuna statuizione giudiziale recante un significativo avallo, ancorché implicito, della perpetuazione del rito ordinario, come tale idonea a fuorviare la parte ricorrente, ingenerandole un giustificato affidamento in tal ultimo senso all'atto dell'introduzione del successivo grado di giudizio.

Quanto all'altro aspetto rilevante suindicato, neppure risulta che sia derivato alcun particolare "vantaggio" alla controparte pubblica dall'irregolarità processuale occorsa (in primo grado le parti, compresa la ricorrente, hanno depositato documenti e memorie ex art. 73 c.p.a., anche di replica, in modo tempestivo in base ai rispettivi termini "a ritroso" propri di entrambi i riti in parola).

In definitiva l'appellante, edotta della previsione dell'art. 119 cit. nell'interpretazione resa dalla citata giurisprudenza, era tenuta al rispetto di tale disposizione.

L'appello è pertanto da dichiararsi irricevibile ai sensi dell'art. 35, comma 1, lett. a), c.p.a.

Le spese relative al presente grado possono essere compensate, considerato che la definizione in rito dell'appello discende in parte dall'interpretazione giurisprudenziale.

Per quest'ultima medesima ragione può essere confermata l'ammissione della parte ricorrente al gratuito patrocinio, già disposta dalla competente Commissione con decreto n. 162/2019, non ricorrendo la fattispecie di colpa grave della parte ai fini dell'eventuale revoca ex art. 136, secondo comma, d.P.R. 115/2002. Osta, tuttavia, in modo specifico alla liquidazione del compenso, richiesta in atti dall'attuale difensore dell'appellante, il preciso disposto dell'art. 130-bis d.P.R. 115/2002, secondo cui "Quando l'impugnazione, anche incidentale, è dichiarata inammissibile, al difensore non è liquidato alcun compenso".

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo dichiara irricevibile.

Spese compensate.

Conferma l'ammissione della parte appellante al gratuito patrocinio e non liquida il compenso richiesto dal suo difensore per le rispettive ragioni indicate in motivazione.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.