Corte di cassazione
Sezione II penale
Sentenza 19 aprile 2023, n. 24495
Presidente: Rago - Estensore: Leopizzi
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di L'Aquila ha integralmente confermato la pronuncia di condanna emessa in data 27 aprile 2021 dal Tribunale di Teramo, nei confronti di Anna D.D., per i reati di cui agli artt. 56-640 e 489 c.p.
2. Ha proposto ricorso per cassazione la suddetta imputata, a mezzo del proprio difensore, articolando quattro motivi di ricorso, che qui si riassumono nei termini di cui all'art. 173 disp. att. c.p.p.
2.1. Con il primo motivo, la ricorrente deduce violazione di legge e mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in relazione alla ribadita infondatezza dell'eccezione relativa alla mancanza di poteri di rappresentanza del denunciante.
2.2. Con il secondo motivo, lamenta violazione di legge ed erronea applicazione degli artt. 56-640 e 61, n. 2-489 in relazione agli artt. 477-482 c.p., poiché la penale responsabilità è stata confermata sulla sola base di una ricostruzione artificiosa dei fatti fornita dal responsabile di filiale e di generiche presunzioni. Non sono state formalmente identificate le persone presentatesi alle filiali di Conegliano e di Alba Adriatica; non è accertato chi abbia avuto in concreto la disponibilità del telefono cellulare che si assume di D.D.; non sussisterebbero artifici o raggiri perché chi si è presentato in banca ha semplicemente aperto un conto corrente e poi si è allontanato
2.3. Il terzo motivo evidenzia come dovesse essere applicata la causa di non punibilità di cui all'art. 56, terzo comma, c.p., perché l'autrice del fatto ha volontariamente desistito dalla prosecuzione dell'azione, allontanandosi quando l'operatore di sportello si è alzato per fotocopiare il documento di identità.
2.4. Con il quarto motivo, si contesta l'eccessiva severità della pena irrogata.
3. Si è proceduto mediante trattazione scritta del procedimento in cassazione, ai sensi dell'art. 23, comma 8, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito nella l. 18 dicembre 2020, n. 176 (applicabile in forza di quanto disposto dall'art. 94, comma 2, d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, come modificato dal d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, convertito, con modificazioni, dalla l. 30 dicembre 2022, n. 199).
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è, nel suo complesso, infondato.
2. La ricorrente si duole che la Corte territoriale abbia ritenuto valida la querela sporta dal responsabile della filiale della banca presso la quale era stato aperto a fini truffaldini un conto corrente; la censura è infondata, poiché il collegio di secondo grado ha fatto buon governo dei principi elaborati in materia dalla giurisprudenza di legittimità.
La persona offesa cui compete il diritto di querela va individuata nel soggetto passivo del reato, ossia colui che subisce la lesione dell'interesse penalmente protetto. Possono pertanto coesistere più soggetti passivi di un medesimo reato, che vanno individuati con riferimento alla titolarità del suddetto bene giuridico. In tema di furto, sono stati ritenuti legittimati in proprio a proporre querela per furto in un supermercato sia il direttore che il commesso, posto che la qualità di persona offesa spetta, in simile evenienza, non solo al titolare di diritti reali, ma anche ai soggetti responsabili dei beni posti in vendita (giurisprudenza richiamata dalla Corte abruzzese). Facendo corretta applicazione di questi principi, più recentemente, questa Sezione ha avuto modo di precisare che il diritto di querela per il delitto di truffa spetta, indipendentemente dalla formale attribuzione del potere di rappresentanza, anche all'addetto che si sia personalmente occupato, trovandosi al bancone di vendita, della transazione commerciale con cui si è consumato il reato, assumendo egli, in quel frangente, la responsabilità in prima persona dell'attività del negozio e rivestendo pertanto la titolarità di fatto dell'interesse protetto dalla norma incriminatrice (Sez. 2, n. 50725 del 4 ottobre 2016, Filannino, Rv. 26838201). In senso analogo è stato ribadito che il diritto di querela per il delitto di truffa spetta anche al gestore dell'esercizio commerciale che, indipendentemente dalla formale investitura dei poteri di rappresentanza legale da parte dell'impresa fornitrice dei beni oggetto del reato, li abbia commercializzati in nome e per conto della stessa, assumendosi in prima persona la responsabilità di qualsivoglia operazione inerente alla vendita del prodotto medesimo (Sez. 2, n. 37012 del 30 giugno 2016, Miari, Rv. 26791401). In termini con il caso di specie, Sez. 2, n. 39069 del 15 giugno 2018, Meocci, non massimata, ha condivisibilmente affermato che, in tema di truffa, il responsabile della filiale di banca debba considerarsi persona offesa e dunque titolare in proprio di un autonomo diritto di querela, in quanto responsabile, in quel frangente, delle attività dell'istituto bancario e delle eventuali conseguenze pregiudizievoli per l'interesse dell'ente da lui rappresentato.
Sussiste, dunque, la legittimazione a presentare querela per il delitto di truffa del direttore della filiale di banca presso cui è stato aperto un conto corrente al solo fine di incassare titoli contraffatti, in quanto responsabile delle attività dell'istituto di credito e delle eventuali conseguenze pregiudizievoli per l'interesse di quest'ultimo.
3. Con il secondo, il terzo e il quarto motivo, la ricorrente invoca - riproducendo quasi testualmente, con lievissime modifiche redazionali, le stesse questioni già devolute in appello e da quei giudici puntualmente esaminate e disattese - una rilettura della piattaforma probatoria impossibile in questa sede di legittimità, a fronte della motivazione congrua ed esente da vizi logici da parte dei giudici di merito, con cui il ricorso evita di confrontarsi.
La sentenza di appello ha infatti compiutamente già risposto ai dubbi qui reiterati, rilevando come l'odierna imputata sia stata riconosciuta in effigie da una dipendente della banca. Il Tribunale aveva già ampiamente ricostruito, richiamando plurime convergenti emergenze istruttorie, la condotta di D.D., presentatasi allo sportello esibendo la patente contraffatta oggetto di contestazione al capo b), al fine di negoziare un vaglia postale di cui fu accertata la falsità, previa conferma dell'esistenza di un conto corrente già operativo; indubitabile, pertanto, anche la sussistenza di artifici e raggiri.
3.1. In maniera logicamente e giuridicamente ineccepibile, la Corte di appello ha ritenuto insussistente la desistenza, dal momento che D.D. si allontanò dalla filiale soltanto quando i suoi documenti furono sottoposti a controllo, difettando così ogni volontarietà del comportamento.
La conclusione è conforme ai principi di diritto in materia costantemente affermati da questa Corte regolatrice, in base ai quali, ai sensi dell'art. 56, terzo comma, c.p., la scelta di non proseguire nell'azione criminosa deve essere non necessitata, ma operata in una situazione di libertà interiore, indipendente da circostanze esterne che rendono irrealizzabile o troppo rischioso il proseguimento dell'azione criminosa (cfr., ex pluribus, Sez. 4, n. 12240 del 13 febbraio 2018, Ferdico, Rv. 272535).
3.2. La censura attinente alla eccessività della pena è priva di qualsivoglia specificazione dei motivi che vizierebbero la sentenza impugnata, con un unico accenno - del tutto inconferente rispetto a quanto deducibile in questa sede - al fatto che le richieste del Pubblico ministero d'udienza erano state inferiori alla sanzione irrogata dal Tribunale. La Corte d'appello, viceversa, richiama congruamente le modalità della condotta, l'entità della somma che si tentava di incassare fraudolentemente, i numerosi precedenti penali.
4. Il ricorso deve pertanto essere rigettato e la ricorrente, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., condannata al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Depositata il 7 giugno 2023.