Corte di cassazione
Sezione III penale
Sentenza 4 aprile 2023, n. 18029
Presidente: Ramacci - Estensore: Corbetta
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza impugnata, il Tribunale di Prato condannava H. Qinglian alla pena di 2.000 euro di ammenda perché ritenuto responsabile della contravvenzione di cui all'art. 64, comma 1, lett. a), in combinato disposto con l'art. 63, comma 1, e con l'Allegato IV, paragrafo 1.11.2.4, in relazione all'art. 68, comma 1, lett. b), d.lgs. n. 81 del 2000.
2. Avverso l'indicata sentenza, l'imputato, tramite il ministero del difensore di fiducia, propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, con cui deduce:
- la violazione dell'art. 606, comma 1, lett. b), c.p.p. in relazione all'art. 131-bis c.p., avendo il Tribunale erroneamente valutato, come elementi ostativi, il mancato pagamento dell'oblazione, che avrebbe determinato l'estinzione del reato, trattandosi di una condotta post delictum, estranea alla sfera operativa dell'art. 131-bis c.p., e la natura non formale delle violazioni;
- il vizio di motivazione in ordine ai presupposti di operatività dell'art. 131-bis c.p., in quanto il Tribunale non avrebbe valutato tutti gli elementi presenti nel caso concreto, quale il concorso di colpa ascrivibile ai lavoratori, ai fini della valutazione dell'offesa in termini di particolare tenuità.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I motivi di ricorso, esaminabili congiuntamente essendo evidentemente collegati, sono fondati.
2. Il Tribunale ha negato il riconoscimento della causa di non punibilità prevista dall'art. 131-bis c.p. facendo leva su un duplice ordine di argomenti: da un lato, pur dando atto dell'eliminazione, da parte dell'imputato, della violazione rilevata nel corso dell'accesso ispettivo, il Tribunale ha individuato, quale elemento ostativo, il mancato pagamento dell'oblazione, peraltro per ragioni che l'imputato non ha chiarito; dall'altro, il Tribunale ha appurato che, nel caso in esame, il fatto di reato aveva effettivamente leso o messo in pericolo l'incolumità dei lavoratori.
3. Si tratta di una motivazione manifestamente illogica.
Si osserva, quanto al primo profilo, che l'avvenuto pagamento dell'oblazione avrebbe addirittura determinato l'estinzione del reato e, quindi, è un elemento del tutto inconferente ai fini della valutazione della gravità dell'offesa, e, quanto al secondo, che la lesione o la messa in pericolo del bene tutelato è conditio sine qua non per la sussistenza di qualsivoglia illecito penale: non vi è reato senza offesa (o messa in pericolo) di un bene giuridico.
Del resto, la causa di non punibilità in esame postula l'esistenza di un fatto tipico, antigiuridico e colpevole, che il legislatore ritiene non meritevole di sanzione penale proprio in ragione, in primo luogo, dell'esiguità dell'offesa.
4. Vi è da aggiungere che, nelle more del giudizio, l'art. 131-bis c.p. è stato novellato dall'art. 1, comma 1, lett. c), n. 2), d.lgs. n. 10 ottobre 2022, n. 150, a decorrere dal 30 dicembre 2022, ai sensi di quanto disposto dall'art. 99-bis, comma 1, del medesimo d.lgs., aggiunto dall'art. 6, comma 1, d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, convertito, con modificazioni, dalla l. 30 dicembre 2022, n. 199.
Le novità introdotte nell'art. 131-bis c.p. si colgono in una triplice direzione, ossia: 1) la generale estensione dell'ambito di applicabilità dell'istituto ai reati per i quali è prevista la pena detentiva non superiore nel minimo a due anni di reclusione e, quindi, indipendentemente dal massimo edittale, come previsto dalla previgente formulazione; 2) la rilevanza, ai fini della valutazione del carattere di particolare tenuità dell'offesa, anche alla condotta susseguente al reato; 3) l'esclusione del carattere di particolare tenuità dell'offesa in relazione ai reati riconducibili alla Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, fatta a Istanbul l'11 maggio 2011, e ad ulteriori reati ritenuti di particolare gravità.
Orbene, non vi è dubbio che, in applicazione dell'art. 2, comma 3, c.p., la nuova formulazione dell'art. 131-bis c.p., nella parte in cui amplia la portata dalla causa di non punibilità (e quindi in relazione alle modifiche di cui ai punti 1 e 2), sia applicabile retroattivamente, e quindi anche ai reati commessi prima del 30 dicembre 2022.
5. In particolare, nella vicenda in esame, assume particolare rilevanza la considerazione, ai fini della valutazione della gravità dell'offesa, anche della condotta susseguente al reato, elemento che la giurisprudenza di questa Corte, con riferimento alla previgente formulazione della norma, escludeva dal novero degli elementi da apprezzare proprio perché non espressamente previsto, e dovendosi perciò valutare la misura dell'offesa nel momento di consumazione del reato (cfr., ad esempio, Sez. 5, n. 660 del 2 dicembre 2019, dep. 10 gennaio 2020, P., Rv. 278555).
Per effetto dell'indicata modifica, invece, la condotta post factum è uno - ma non certamente l'unico, né il principale - degli elementi che il giudice è chiamato ad apprezzare ai fini del giudizio avente ad oggetto l'offesa.
Peraltro, come si desume dalla relazione illustrativa all'indicato d.lgs., il legislatore delegato ha volutamente utilizzato un'espressione ampia e scarsamente selettiva - quale, appunto, «condotta susseguente al reato» - allo scopo di «non limitare la discrezionalità del giudice che, nel valorizzare le condotte post delictum, potrà [...] fare affidamento su una locuzione elastica ben nota alla prassi giurisprudenziale, figurando tra i criteri di commisurazione della pena di cui all'art. 133, comma secondo, n. 3, c.p.».
Il giudice potrà perciò valutare una vasta gamma di condotte definite solo dal punto di vista cronologico-temporale, dovendo essere "susseguenti" al reato, ed evidentemente in grado di incidere sulla misura dell'offesa.
Ciò vale non solo nel caso in cui le condotte susseguenti riducano il grado dell'offesa - quali le restituzioni, il risarcimento del danno, le condotte riparatorie, le condotte di ripristino dello stato dei luoghi, l'accesso a programmi di giustizia riparativa, o, come nel caso in esame, l'intervenuta eliminazione delle violazioni accertate dagli organi ispettivi - ma anche, e specularmente, quando delle condotte aggravino la lesione - inizialmente "tenue" - del bene protetto.
6. Va precisato, infine, come pure emerge dalla relazione illustrativa (p. 346), che la condotta susseguente al reato acquista rilievo, nella disciplina dell'art. 131-bis c.p., non come esclusivo e autosufficiente indice-requisito di tenuità dell'offesa, bensì come ulteriore criterio, accanto a tutti quelli contemplati dall'art. 133, comma 1, c.p., ossia la natura, la specie, i mezzi, l'oggetto, il tempo, il luogo e ogni altra modalità dell'azione; la gravità del danno o del pericolo; l'intensità del dolo o della colpa: elementi tutti che, nell'ambito di un giudizio complessivo e unitario, il giudice è chiamato a valutare per apprezzare il grado dell'offesa.
Ciò significa che le condotte post delictum non potranno di per sé sole rendere di particolare tenuità un'offesa che tale non era al momento della commissione del fatto - dando così luogo a una sorta di esiguità sopravvenuta di un'offesa in precedenza non tenue - ma, come detto, potranno essere valorizzate nel complessivo giudizio sulla misura dell'offesa, giudizio in cui rimane centrale, come primo termine di relazione, il momento della commissione del fatto, e, quindi, la valutazione del danno o del pericolo verificatisi in conseguenza della condotta.
7. In considerazione della manifesta illogicità della motivazione e stante la mancata valutazione dell'accertata estinzione delle violazioni quale condotta susseguente al reato, la sentenza dovrebbe essere annullata limitatamente all'applicabilità dell'art. 131-bis c.p., con rinvio, sul punto, al Tribunale di Prato.
Nondimeno, essendo nel frattempo maturata la prescrizione del reato, va richiamata la uniforme giurisprudenza di legittimità secondo cui, in presenza di una causa di estinzione del reato, non sono rilevabili in sede di legittimità vizi di motivazione della sentenza impugnata in quanto il giudice del rinvio avrebbe comunque l'obbligo di procedere immediatamente alla declaratoria della causa estintiva (Sez. un., n. 35490 del 28 maggio 2009, Tettamanti, Rv. 244275), cosicché la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio per essere il reato estinto per intervenuta prescrizione.
Deve rilevarsi, infatti, che la declaratoria di estinzione del reato per prescrizione prevale sulla esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all'art. 131-bis c.p., in quanto essa, estinguendo il reato, rappresenta un esito più favorevole per l'imputato, mentre la seconda lascia inalterato l'illecito penale nella sua materialità storica e giuridica (Sez. 6, n. 11040 del 27 gennaio 2016, dep. 16 marzo 2016, Calabrese, Rv. 266505; Sez. 3, n. 27055 del 26 maggio 2015, dep. 26 giugno 2015, P.C. in proc. Sorbara, Rv. 263885).
8. Per i motivi indicati, la sentenza impugnata deve perciò essere annullata senza rinvio essendo il reato estinto per prescrizione.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata per essere il reato estinto per prescrizione.
Depositata il 2 maggio 2023.