Consiglio di Stato
Sezione V
Sentenza 21 aprile 2023, n. 4067
Presidente: Caringella - Estensore: Caminiti
FATTO E DIRITTO
1. Con il ricorso in epigrafe Alessio P. ha interposto appello avverso la sentenza in forma semplificata del Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna (Sezione Seconda), n. 00866/2022, con cui il primo giudice ha declinato la giurisdizione in favore di quella del G.O. in relazione al ricorso avente ad oggetto l'impugnazione del provvedimento n. 53614 del 20 agosto 2022 del sindaco del Comune di Oristano, con cui è stata disposta la revoca, con decorrenza immediata, del dott. Alessio P. dall'incarico di amministratore unico della società Oristano Servizi Comunali s.r.l., quale società in house a capitale interamente pubblico, nonché l'impugnazione della determina del sindaco di Oristano n. 23 del 2 settembre 2022, che ha disposto la nomina del nuovo amministratore unico della società Oristano Servizi.
1.1. La sentenza di prime cure ha ritenuto sussistente la giurisdizione del G.O. sul presupposto che trovi applicazione l'art. 2449 c.c., norma ritenuta discriminante per l'attribuzione della giurisdizione, e che detto profilo fosse identico, in punto di fatto e di diritto, a quello già giudicato dalle Sezioni unite della Corte di cassazione, con sentenza n. 16335 del 18 giugno 2019 nel caso relativo alla revoca dell'amministratore della società Milano Ristorazione s.p.a. da parte dell'ente pubblico.
1.2. A dire di parte appellante, per contro, nel caso esaminato dalla Suprema Corte, lo statuto della società Milano Ristorazione s.p.a. riportava un espresso riferimento al potere dell'ente pubblico di disporre la revoca dell'amministratore, ai sensi dell'art. 2449 c.c., mentre tale richiamo non era presente nello statuto della società Oristano Servizi comunali s.r.l.
In tesi di parte appellante pertanto l'impugnazione del provvedimento di revoca dell'amministratore della società in house da parte dell'ente pubblico non rientrerebbe nella giurisdizione del giudice ordinario, in assenza di un'espressa privatizzazione della facoltà di revoca da parte dello statuto, ai sensi dell'art. 2449 c.c., venendo altrimenti in rilievo un normale potere di imperio e un correlato interesse legittimo in capo all'amministratore revocato.
1.3. In tesi attorea il T.A.R. avrebbe pertanto erroneamente declinato la giurisdizione, affermando la discutibile tesi secondo la quale detta privatizzazione potrebbe dirsi comunque avvenuta, dato che l'art. 2449 c.c. troverebbe applicazione anche quando non è richiamato dallo statuto della società, perché si etero-integrerebbe con l'art. 50, commi 8 e 9, del t.u.e.l., laddove per contro la revoca dell'amministratore, avvenuta in forza di tale disposto normativo, in difetto di un'esplicita norma dello statuto societario, andrebbe configurata come esercizio di un potere di tipo pubblicistico.
2. L'appello è destituito di fondamento, dovendosi ritenere corretta la sentenza del primo giudice che ha ritenuto sussistente la giurisdizione del G.O.
2.1. È infatti noto che la giurisdizione si determina in base alla domanda, a prescindere dal vaglio della sua fondatezza, e, ai fini del riparto tra giudice ordinario e giudice amministrativo, rileva non già la prospettazione delle parti, bensì il petitum sostanziale, il quale va identificato non solo e non tanto in funzione della concreta pronuncia che si chiede al giudice, ma anche e soprattutto in funzione della causa petendi, ossia della intrinseca natura della posizione dedotta in giudizio ed individuata dal giudice con riguardo ai fatti allegati ed al rapporto giuridico del quale detti fatti costituiscono manifestazione (fra le altre Sez. un., ordd. n. 12378 del 16 maggio 2008 e n. 15323 del 25 giugno 2010).
2.2. Nell'ipotesi di specie non può trovare accoglimento la tesi di parte appellante secondo la quale, in difetto di un espresso richiamo contenuto nello statuto comunale all'art. 2449 c.c., i poteri dell'ente pubblico avrebbero carattere autoritativo, dovendo per contro ritenersi che al potere di nomina dell'amministratore, previsto nell'ipotesi di specie dallo statuto (artt. 7 ed 8), vada riconosciuta attuazione di quanto previsto dall'art. 2449 c.c. e che a detto potere privatistico si accompagni quello contrario, avente del pari carattere paritetico, di revoca, nella cui logica si inscrive anche il potere previsto dall'art. 50 del t.u.e.l., secondo quanto ritenuto dalla Suprema Corte con la indicata pronuncia Sez. un., 18 giugno 2019, n. 16335, con cui si è ritenuto, come correttamente evidenziato dal giudice di prime cure, che i commi 8 e 9 dell'art. 50 t.u.e.l. siano norme etero-integrative dell'art. 2449 c.c., che, nei limiti temporali previsti, consentono all'ente pubblico, in deroga alla previsione statutaria di durata minima dell'incarico, di revocare i componenti dell'organo di gestione in precedenza nominati.
2.2.1. Le Sezioni unite della Cassazione sono state chiamate infatti con la citata sentenza a pronunciarsi sull'atto di revoca degli amministratori di una partecipata del Comune (che direttamente e indirettamente, per mezzo di un'altra società controllata, detiene l'intero capitale sociale) adottato dal sindaco neoeletto in virtù dei poteri conferiti dall'art. 50 del t.u.e.l. (d.lgs. n. 267/2000).
Nella fattispecie presa in esame la Cassazione a Sezioni unite, nel ritenere preliminarmente che la giurisdizione sia del G.O., ha evidenziato, richiamando i propri precedenti (Cass., Sez. un., 6 maggio 1995, n. 4989; 26 agosto 1998, n. 8454; ord. 3 ottobre 2016, n. 19676; ord. 14 settembre 2017, n. 21299; ord. 1° dicembre 2016, n. 24591), che "una società non muta la sua natura di soggetto privato solo perché un ente pubblico ne possiede, in tutto o in parte, il capitale". Questo assunto trova fondamento nel rapporto che lega la società e l'ente pubblico che è di assoluta autonomia, "posto che l'ente può incidere sul funzionamento e sull'attività della società non già attraverso l'esercizio di poteri autoritativi o discrezionali, ma solo avvalendosi degli strumenti previsti dal diritto societario, da esercitare a mezzo dei componenti degli organi sociali di sua nomina".
Ed è proprio l'autonomia che caratterizza le società pubbliche a condurre la Cassazione ad affermare la giurisdizione del giudice ordinario sulle controversie nel quale sono coinvolte compagini sociali in mano pubblica, tra cui rientrano, per quanto in questa sede maggiormente interessa, anche quelle relative alla nomina e alla revoca degli amministratori.
Invero, la P.A. quando nomina o revoca gli amministratori "non esercita un potere a titolo proprio ma esercita l'ordinario potere dell'assemblea, ad essa surrogandosi, quale organo della società, per autorizzazione della legge o dello statuto". Inoltre, "l'amministratore di designazione pubblica non è soggetto agli ordini dell'ente nominante ed anzi, per testuale previsione del codice civile (art. 2449 c.c.), ha i medesimi diritti ed i medesimi obblighi dell'amministratore di nomina assembleare". Infine, l'equiparazione tra amministratori di nomina assembleare e quelli designati dall'ente pubblico si riscontra anche nella forma di tutela a cui possono accedere, atteso che entrambi possono giovarsi solo della "monetizzazione della funzione" ai sensi dell'art. 2383 c.c.
Da ciò discende "l'inquadramento privatistico delle società in mano pubblica, col relativo assoggettamento alla giurisdizione ordinaria", come del resto evincibile dall'art. 1, comma 3, del d.lgs. n. 175/2016 (c.d. t.u.s.p.), il quale conferma l'applicabilità del diritto societario alle società partecipate in tutti i casi in cui le disposizioni del codice civile non siano espressamente derogate dal testo unico.
2.2.2. A sostegno della giurisdizione ordinaria per gli atti di nomina e revoca degli amministratori la Cassazione richiama anche l'art. 2449, comma 1, c.c., che chiarisce che la facoltà del compimento dei predetti atti deve essere "conferita al socio pubblico dallo statuto, cioè da un atto fondamentale di natura negoziale (art. 2328 c.c., comma 3) e che, con l'abrogazione (...) dell'art. 2450 c.c. - a norma del quale la legge o lo statuto potevano attribuire la nomina e la revoca ad un ente pubblico estraneo al capitale sociale - è stato posto in chiaro che gli atti in questione competono all'ente pubblico uti socius, e dunque iure privatorum e non iure imperii".
2.2.3. Pertanto, come precisato dalla costante giurisprudenza di legittimità (Cass., Sez. un., ord. 23 gennaio 2015, n. 1237; 30 dicembre 2011, n. 30167) il confine tra la giurisdizione amministrativa e ordinaria poggia essenzialmente sulla natura del provvedimento impugnato. Al giudice amministrativo vanno attribuite le controversie relative ai provvedimenti unilaterali di natura autoritativa, che sono, di fatto, preliminari rispetto alle successive deliberazioni societarie, "con i quali l'ente pubblico delibera di costituire la società o di parteciparvi o di procedere ad un atto modificativo o estintivo della stessa o di interferire, nei casi previsti dalla legge, nella vita della medesima".
Al contrario, spettano al giudice ordinario le cause «aventi ad oggetto gli atti societari "a valle" della scelta di fondo dell'utilizzazione del modello societario», ovvero quelle connesse con l'esercizio da parte dell'ente pubblico delle facoltà proprie del socio, "fra le quali rientrano quelle volte ad accertare l'intera gamma delle patologie e delle inefficacie negoziali inerenti la struttura del contratto sociale, ancorché ad essa estranee e/o sopravvenute e derivanti da irregolarità-illegittimità della procedura amministrativa a monte".
Pertanto, le Sezioni unite concludono che la fattispecie concreta - nella quale si dibatte della legittimità dell'atto di revoca degli amministratori di una partecipata emesso dal sindaco neoeletto entro quarantacinque giorni dal suo insediamento - deve essere devoluta alla giurisdizione del giudice ordinario.
Infatti, il provvedimento di revoca, anche quando esercitato a norma dell'art. 50 del t.u.e.l., attiene ad una fase successiva alla costituzione della società e, in quanto idoneo ad incidere sulla struttura societaria, deve essere ricondotto alla "potestà di diritto privato ascrivibile all'ente pubblico uti socius, che il sindaco esercita in conformità degli indirizzi, di natura politico-amministrativa stabiliti dal consiglio". In altre parole il provvedimento del sindaco ha una «connotazione societaria "interna"», mediante il quale viene espressa la volontà del Comune di procedere alla sostituzione dell'intero consiglio di amministrazione della partecipata; ciò "conduce a interpretare i (...) commi 8 e 9 dell'art. 50 t.u.e.l. quali norme etero-integrative dell'art. 2449 c.c., che, nei limiti temporali previsti, consentono all'ente pubblico, in deroga alla previsione statutaria di durata minima dell'incarico, di revocare i componenti dell'organo di gestione in precedenza nominati".
Le Sezioni unite precisano pertanto a chiare lettere che l'art. 50 t.u.e.l. risponde all'esigenza «della nuova amministrazione di poter contare sull'immediata disponibilità di soggetti che si rendano interpreti delle sue nuove linee di indirizzo e delle diverse finalità della gestione, senza dover sottostare ai tempi lunghi occorrenti per verificare se gli amministratori in carica, "ereditati" dal precedente governo cittadino, siano in grado di corrispondere a tali mutate esigenze».
2.2.4. In conclusione, le Sezioni unite, calando i principi generali nella fattispecie concreta, da un lato, ritengono sussistente la giurisdizione del giudice ordinario sull'atto di revoca del nuovo sindaco dell'intero consiglio di amministrazione della società controllata dal Comune e, dall'altro, qualificano l'art. 50 t.u.e.l. come giusta causa oggettiva di revoca degli amministratori, per consentire al sindaco di scegliere persone in linea con l'indirizzo politico e imprenditoriale dell'amministrazione comunale.
3. Tali conclusioni in punto di giurisdizione sono ben applicabili alla fattispecie di cui è causa.
3.1. Infatti, come evidenziato dal Comune appellato, lo statuto della Oristano Servizi s.r.l. contiene numerosi richiami alle norme privatistiche. In particolare, l'art. 7, comma 1, dello statuto espressamente riserva alla competenza del socio unico le decisioni nelle materie di cui agli artt. 2479 e 2487 c.c.; la prima di dette norme, rubricata "decisione dei soci", al comma 2, n. 2), prevede che: "In ogni caso sono riservate alla competenza dei soci: ... la nomina, se prevista nell'atto costitutivo, degli amministratori". L'art. 8 prevede che la società può essere amministrata, alternativamente, su decisione del socio unico, da un amministratore unico o da un consiglio di amministrazione.
È pertanto evidente come il potere di nomina del socio unico si inquadri nel disposto dell'art. 2449 c.c., il cui comma 2 prevede che "gli amministratori e i sindaci ... nominati a norma del primo comma possono essere revocati soltanto dagli enti che li hanno nominati".
3.2. Il Comune di Oristano, in persona del sindaco pro tempore, è infatti socio unico della Oristano Servizi s.r.l.; pertanto al potere di nomina previsto dallo statuto non può che accompagnarsi anche quello contrario di revoca, a norma dell'art. 2449, comma 2, c.c., essendo quest'ultimo contrarius actus rispetto alla nomina.
3.3. L'art. 19 dello statuto, inoltre, a chiusura del corpus normativo in esso previsto, dispone che: "Per quanto non espressamente disciplinato dal presente Statuto, valgono le norme dettate dal codice civile e dalle leggi in materia". Detta disposizione, peraltro, è perfettamente coerente con la clausola ermeneutica generale di cui all'art. 1, comma 3, d.lgs. n. 175 del 19 agosto 2016 (t.u.s.p.) secondo la quale: "Per tutto quanto non derogato dalle disposizioni del presente decreto, si applicano alle società a partecipazione pubblica le norme sulle società contenute nel codice civile e le norme generali di diritto privato"; il che vale ad evidenziare vieppiù il carattere paritetico di tale potere, come lucidamente rilevato anche (ex plurimis) dall'ordinanza n. 34473 del 27 dicembre 2019 della Suprema Corte di cassazione a Sezioni unite. Tale ultima pronuncia, nel richiamare il consolidato orientamento giurisprudenziale a favore della giurisdizione del G.O., ha affermato che: "Con riguardo alla società partecipata da un ente locale, pur quando costituita secondo il modello del c.d. in house providing, queste Sezioni unite (Cass. 1° dicembre 2016, n. 24591; vedi anche Sez. un., 27 marzo 2018, n. 7759) hanno stabilito che le azioni concernenti la nomina o la revoca di amministratori e sindaci, ai sensi dell'art. 2449 c.c., spettano alla giurisdizione del giudice ordinario, non di quello amministrativo, perché investono atti compiuti dall'ente pubblico uti socius, non iure imperii, e posti in essere a valle della scelta di fondo per l'impiego del modello societario, ogni dubbio essendo stato sciolto a favore della giurisdizione ordinaria dalla clausola ermeneutica generale, in senso privatistico, prevista dal d.l. n. 95 del 2012, art. 4, comma 13, conv., con modif., dalla l. n. 135 del 2012, oltre che dal principio successivamente stabilito dal d.lgs. n. 175 del 2016, art. 1, comma 3, a tenore del quale, per tutto quanto non derogato dalle relative disposizioni, le società a partecipazione pubblica sono disciplinate dalle regole privatistiche".
4. Il definitivo transito delle società partecipate nell'orbita del diritto comune si evince inoltre da tre disposizioni.
In primo luogo, l'art. 1, comma 3, t.u.s.p. (d.lgs. 175/2016) dispone, come innanzi precisato, che "per tutto quanto non derogato dalle disposizioni del presente decreto, si applicano alle società a partecipazione pubblica le norme sulle società contenute nel codice civile e le norme generali del diritto privato". Il principio affermato mira ad «assegnare all'intervento di regolazione una valenza prettamente privatistica, con applicazione generale delle disposizioni contenute nel codice civile, salvo "deroghe" di rilevanza privata o pubblica poste dal decreto stesso» (cfr. parere 21 aprile 2016, n. 968 reso dalla Commissione speciale del Consiglio di Stato sullo schema di decreto recante "Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica").
Anche l'art. 12 del d.lgs. 175/2016 sposta il baricentro della responsabilità degli organi di governance verso il diritto civile. La suddetta disposizione prevede che "i componenti degli organi di amministrazione e controllo delle società partecipate sono soggetti alle azioni civili di responsabilità previste dalla disciplina ordinaria delle società di capitali". Viene, tuttavia, fatta salva "la giurisdizione della Corte dei conti per il danno erariale causato dagli amministratori e dai dipendenti delle società in house".
Infine, l'art. 14 del t.u.s.p., in tema di crisi d'impresa, afferma in maniera netta che tutte le compagini pubbliche (anche in house) "sono soggette alle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo, nonché, ove ne ricorrano i presupposti, a quelle in materia di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza di cui al decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270, e al decreto-legge 23 dicembre 2003, n. 347, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 febbraio 2004, n. 39".
4.1. Pertanto non può più seriamente dubitarsi della natura giuridica privata delle società in cui le Amministrazioni detengono delle partecipazioni: vanno, infatti, "respinte le suggestioni dirette alla compenetrazione sostanzialistica tra tipi societari e qualificazioni pubblicistiche" (Cass., sent. 7 febbraio 2017, n. 3196).
5. Questo ragionamento è stato avallato anche dal Consiglio di Stato, che, nel parere n. 968/2016 reso sul testo unico società partecipate, ha precisato che «la giurisprudenza del Consiglio di Stato ha affermato che sussiste compatibilità tra "scopo pubblico" e "scopo lucrativo". Lo strumento delle società è, infatti, utilizzato anche nel settore del diritto civile per il conseguimento di scopi non lucrativi (...)». Più in dettaglio, il Consiglio di Stato (C.d.S., Sez. VI, 20 marzo 2012, n. 1574) ha chiarito che dopo la riforma del diritto societario del 2003, "l'interesse sociale non ha una connotazione omogenea ed unitaria, in quanto confluiscono nell'assetto societario non solo interessi eterogenei che fanno capo agli stessi soci (si pensi al socio investitore e a quello imprenditore), ma anche interessi diversi riferibili a soggetti terzi. In questa prospettiva, non può ritenersi che il rispetto dell'interesse pubblico sia idoneo ad alterare il tipo societario conducendo alla configurazione di una società diversa da quella contemplata dal codice civile".
5.1. La ricostruzione in chiave civilistica delle società partecipate è avvalorata, come innanzi precisato, anche dall'art. 2449 c.c., il quale, con riferimento alle società per azioni che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio in cui lo Stato o gli enti pubblici detengono partecipazioni, prevede esclusivamente un "particolare" potere di nomina (e revoca) degli organi di governance, con la conseguenza che per tutti gli altri profili si applica la disciplina del diritto comune.
Pertanto, per quanto qui maggiormente rileva, l'ente pubblico, nel momento in cui nomina e revoca gli amministratori della partecipata, non esercita un proprio potere, ma si surroga al potere che ordinariamente spetterebbe all'assemblea. In altre parole, come precisato dalla giurisprudenza di legittimità, la facoltà attribuita all'ente si qualifica come "sostitutiva della generale competenza dell'assemblea ordinaria, trovando la sua giustificazione nella peculiarità di quella tipologia di soci, e deve essere qualificata estrinsecazione non di un potere pubblico, ma essenzialmente di una potestà di diritto privato, in quanto espressiva di una potestà attinente ad una situazione giuridica societaria, restando esclusa qualsiasi sua valenza amministrativa" (Cass., Sez. un., ord. 23 gennaio 2015, n. 1237).
6. L'inquadramento privatistico delle società partecipate si inserisce, altresì, nel solco scavato dalla giurisprudenza della Corte di giustizia dell'Unione europea (CGUE, sent. 23 ottobre 2007, causa C-112/05; sent. 6 dicembre 2007, cause riunite C-463/04 e C-464/04; sent. 26 marzo 2009, causa C-326/07), la quale ha affermato il c.d. principio di neutralità delle forme giuridiche, sancito all'art. 345 TFUE, in virtù del quale "i trattati lasciano del tutto impregiudicato il regime di proprietà esistente negli Stati membri rendendo ininfluente la proprietà pubblica o privata del capitale sociale".
7. Alla luce dei suesposti rilievi l'appello va rigettato, con conseguente conferma della giurisdizione del G.O., innanzi al quale le parti potranno riassumere il giudizio, ai sensi dell'art. 11, comma 2, c.p.a.
8. Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta.
Condanna parte appellante alla refusione delle spese di lite in favore del Comune appellato, liquidate in complessivi euro 2.000,00 (duemila/00), oltre oneri accessori, se dovuti, come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.