Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana
Sentenza 14 aprile 2023, n. 273

Presidente: Taormina - Estensore: Mazzamuto

FATTO E DIRITTO

1. L'odierna parte appellante impugnava in prime cure il d.a. n. 638 del 12 ottobre 2015, adottato dall'Assessorato regionale dell'energia e dei servizi di pubblica utilità, con il quale venivano determinati i canoni e le royalties dovuti per gli anni di produzione dal 1997 al 2014, relativi a concessione di coltivazione di sostanze minerali. Le doglianze riguardavano, tra l'altro, l'applicazione di alcune esenzioni di pagamento e la loro decorrenza temporale;

Il giudice di prime cure, con la pronuncia in epigrafe indicata, ha dichiarato il ricorso inammissibile per difetto di giurisdizione, in sintesi per le seguenti ragioni:

- non si sarebbe formato un giudicato esterno inter partes sulla giurisdizione in ragione di un precedente contenzioso, risolto da questo Consiglio (C.G.A.R.S. n. 70/2015), in quanto "in disparte ogni considerazione sulla autonomia dei due giudizi, vale evidenziare il fatto che il precedente contenzioso riguardava l'aumento dell'aliquota di partecipazione agli utili d'impresa discrezionalmente deciso dall'amministrazione regionale con apposito decreto, mentre nel caso di specie viene in esame l'applicazione di rigide disposizioni normative che incidono sulla quantificazione del canone di concessione";

- "si tratta, a ben vedere, di modalità di calcolo del canone che sono state previste e predeterminate dalla legge, e che non vengono intaccate da alcuna scelta discrezionale dell'amministrazione. Quest'ultima infatti è chiamata unicamente ad applicare/disapplicare, in maniera vincolata, i benefici economici invocati dalla società, all'esito di una valutazione (eminentemente tecnica) che investe solo l'esistenza o meno delle condizioni stabilite dalla legge";

- si rientrerebbe dunque nella deroga alla giurisdizione esclusiva in tema di concessione di beni pubblici di cui all'art. 133, comma 1, lett. b), del c.p.a., riguardante le controversie che investono "canoni, indennità ed altri corrispettivi" e spettante alla giurisdizione del giudice ordinario.

Con l'odierno appello si presentano motivate censure alla pronuncia gravata, prospettando la sussistenza della giurisdizione del giudice amministrativo.

Nell'odierna camera di consiglio, la causa è trattenuta in decisione.

2. L'appello è fondato.

Deve anzitutto evidenziarsi che il giudice di prime attribuisce un inappropriato rilievo alla distinzione tra atti discrezionali e atti vincolati ai fini della giurisdizione, sia riguardo al criterio generale di riparto, sia a maggior ragione riguardo alla ricorrenza di una materia di giurisdizione esclusiva. Ciò evidentemente sulla scorta di un recente e non condivisibile orientamento del giudice della giurisdizione: "appartiene alla cognizione del giudice ordinario la controversia in cui venga in rilievo un diritto soggettivo nei cui confronti la pubblica amministrazione eserciti un'attività vincolata, dovendo verificare soltanto se sussistano i presupposti predeterminati dalla legge per l'adozione di una determinata misura, e non esercitando, pertanto, alcun potere autoritativo correlato all'esercizio di poteri di natura discrezionale" (da ult. Cass. civ., Sez. un., 29 settembre 2022, n. 28429).

In ordine al primo profilo, questo Consiglio non ha ragione di discostarsi da quanto già statuito sul punto:

«Questo Collegio non condivide l'orientamento del giudice della giurisdizione, già nella sua premessa maggiore, che associa potere vincolato a diritto soggettivo e potere discrezionale a interesse legittimo, e a cui si collega la distinzione, richiamata dalla pronuncia gravata, tra norma-fattispecie-effetto e potere-effetto.

Non pare infatti possa prescindersi dalla considerazione sia del rilievo sistematico del diritto pubblico, sia dell'esistenza di plurimi indici di diritto positivo di segno contrario.

La posizione di interesse legittimo, quale che sia l'esito cui conduca in termini di chance o di certezza nel conseguimento di un bene della vita, è la situazione soggettiva che si confronta con gli atti di diritto pubblico. Affermare che il giudice amministrativo è il giudice degli interessi legittimi significa invero affermare che il giudice amministrativo è il giudice del diritto pubblico in quanto è proprio l'esistenza di un autonomo sistema giuspubblicistico che giustifica l'esistenza di una giurisdizione superiore distinta da quella ordinaria. Risulta così privo di logica sistematica spezzettare gli atti di diritto pubblico a seconda che abbiano natura discrezionale o vincolata, ambientandone una parte in tutt'altro contesto informato ai diversi principi, quelli del sistema civilistico, che naturalmente segnano, a loro volta, la mentalità propria della giurisdizione ordinaria.

Di ciò ha mostrato consapevolezza non da ora il giudice delle leggi evidenziando come costituisca "un postulato privo di qualsiasi fondamento ... che, di regola, al carattere vincolato del provvedimento corrispondano situazioni giuridiche qualificabili quali diritti soggettivi" (C. cost. n. 127/1998).

Il discorso non cambia se si volge lo sguardo ai dati legislativi.

È sufficiente al riguardo menzionare alcune importanti disposizioni di rilievo ordinamentale, contenute nel codice del processo amministrativo e nella legge generale sul procedimento amministrativo, che mettono inequivocabilmente in relazione l'atto di diritto pubblico vincolato e la giurisdizione generale di legittimità del giudice amministrativo.

Vengono anzitutto in considerazione le espresse condizioni di ammissibilità dell'azione volta ad accertare la pretesa dedotta in giudizio nell'alveo della tutela del silenzio o dell'azione di adempimento. In entrambi i casi, tali azioni sono appunto ammissibili "solo quando si tratta di attività vincolata o quando risulta che non residuano ulteriori margini di esercizio della discrezionalità e non sono necessari adempimenti istruttori che debbano essere compiuti dall'amministrazione" (art. 31, comma 3, c.p.a.), asseverando la naturale giurisdizione del giudice amministrativo sui provvedimenti vincolati, sia in astratto ("attività vincolata"), sia in concreto ("non residuano ulteriori margini di esercizio della discrezionalità"). Il carattere vincolato o discrezionale del provvedimento mantiene certo un rilievo, ma all'interno di tale giurisdizione, modulandone i relativi poteri.

Di non minore significato è la disciplina generale del procedimento amministrativo: "Non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell'avvio del procedimento qualora l'amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato" (art. 21-octies l. n. 241/1990). Questa disciplina si atteggia sin dall'inizio, salvo poi acquisire anche un rilievo sostanziale, a limite processuale del potere di annullamento giurisdizionale, come si evidenzia facilmente nella seconda parte ("dimostri in giudizio"), rispecchiandosi naturalmente nel giudice titolare del generale potere di annullamento degli atti amministrativi, cioè nel giudice amministrativo. E ancora una volta ci troviamo per tabulas di fronte a provvedimenti vincolati» (C.G.A.R.S., Sez. giur., 19 dicembre 2022, n. 1279; ma v. anche C.d.S., Sez. III, 3 ottobre 2022, n. 8434).

Di tutti i soprammenzionati rilievi non si è mai fatto carico il giudice della giurisdizione, né, da ultimo, il giudice delle leggi, che, pur ai limitatissimi fini del giudizio di ammissibilità dell'incidente di costituzionalità, ha ritenuto "evidente", obliterando propri precedenti di segno contrario (C. cost. n. 127/1998 cit.) e muovendosi sulla sola scorta del recente orientamento del giudice della giurisdizione, il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo (che era nel caso giudice a quo) in presenza di un atto vincolato (C. cost. n. 16/2023).

Tanto meno il summenzionato distinguo può assumere rilievo in materia di giurisdizione esclusiva, ove il giudice amministrativo è anche giudice dei diritti soggettivi.

La giurisdizione del giudice ordinario per le "controversie concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi" rimesse al g.o. [art. 133, comma 1, lett. b), c.p.a.] deve intendersi limitata alle controversie meramente patrimoniali che riguardano esclusivamente il calcolo del quantum debeatur, non anche quando vengano in gioco i "criteri" di calcolo, ove si ha comunque l'intermediazione del potere amministrativo, sia in caso di esercizio di una vera e propria discrezionalità o di una discrezionalità tecnica, sia in caso di produzione dell'effetto attraverso l'applicazione dei criteri indicati dalla legge. La controversia non ha peraltro carattere meramente patrimoniale ove finisca per incidere sull'equilibrio complessivo del rapporto concessorio.

In ogni caso, nella fattispecie oggetto della presente controversia, sono ravvisabili significativi profili di apprezzamento tecnico-discrezionale dell'Amministrazione nella individuazione dei "costi interni afferenti", così come è evidente l'incidenza di tale profilo nell'equilibrio complessivo del rapporto concessorio.

Né risulta, per altro verso, convincente in senso contrario un ulteriore e recentissimo orientamento emerso nella giurisprudenza del giudice della giurisdizione, che, sull'asserito presupposto che "la distanza tra le figure dell'appalto e della concessione, su impulso del diritto eurounitario, si è andata riducendo fino a dissolversi, costituendo ormai entrambe contratti a titolo oneroso", così pervenendosi al "punto terminale del processo di contrattualizzazione delle concessioni", ritiene di poter andare al di là della "tradizionale interpretazione riduttiva" della clausola "indennità, canoni e altri corrispettivi", sino complessivamente ad investire, a favore della giurisdizione del giudice ordinario e similarmente alla struttura bifasica degli appalti, la fase della "esecuzione" (Cass., Sez. un., ordd. n. 18267/2019 e n. 20867/2020).

Tale assunto si scontra, ad avviso di questo Collegio, con obiezioni difficilmente superabili:

- il diritto eurounitario è, a ben vedere, neutro rispetto alle qualificazioni interne;

- l'eventuale superamento della tradizionale configurazione in termini di provvedimento unilaterale della concessione (ancora da ult. C.G.A.R.S., Sez. giur., 10 gennaio 2023, n. 27), nel senso che quest'ultima avrebbe assunto una nuova veste contrattuale o bilaterale, non comporta affatto un mutamento in salsa privatistica del titolo del rapporto; evocare la figura del contratto non significa cioè che si pervenga di per sé ad un contratto di diritto privato;

- la qualificazione pubblicistica di moduli consensuali è ormai un dato ordinamentale acquisito (C. cost. n. 35/2010);

- la previsione legislativa della giurisdizione esclusiva in materia di concessioni verrebbe in radice svuotata di significato, ove si accedesse, con effetti sostanzialmente abrogativi, ad una riqualificazione privatistica di tali titoli, sicché, a tutto concedere, si potrebbe al più pervenire, in luogo del provvedimento unilaterale, alla ricorrenza di un contratto di diritto pubblico; anzi in tal caso la giurisdizione del giudice amministrativo troverebbe semmai ulteriore e largo ancoraggio nell'art. 133, comma 1, lett. a), n. 2), c.p.a. (già art. 11, comma 5, l. n. 241/1990), secondo il quale "Sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, salvo ulteriori previsioni di legge: a) le controversie in materia di: ... 2) formazione, conclusione ed esecuzione degli accordi integrativi o sostitutivi di provvedimento amministrativo e degli accordi fra pubbliche amministrazioni".

Di recente questo Consiglio ha anche avuto modo di evidenziare che "è ben diversa la norma attributiva di giurisdizione esclusiva sugli appalti lett. e) rispetto a quella per concessione di pubblici servizi (lett. c), in quanto la prima è espressamente limitata alla procedura di affidamento ed alla eventuale dichiarazione di inefficacia del contratto, mentre la seconda ha un ambito applicativo evidentemente più vasto, che ne determina l'applicazione anche alla fase esecutiva del rapporto, con la sola eccezione delle controversie meramente patrimoniali", e che la «circostanza che, su sollecitazione del diritto europeo, la differenza tra appalto e concessione si sia andata riducendo, costituendo entrambi un "contratto a titolo oneroso" non legittima una completa assimilazione tra i due istituti, e ciò in quanto tale avvicinamento riguarda sostanzialmente il procedimento di selezione del contraente, o del concessionari[o]» (C.G.A.R.S., Sez. giur., 29 giugno 2022, n. 774).

Infine, è in ogni caso e a sua volta assorbente la fondatezza del motivo sulla sussistenza di un preesistente giudicato esterno inter partes (C.G.A.R.S. n. 70/2015 cit.).

Costituisce orientamento consolidato della giurisprudenza che "Il passaggio in cosa giudicata di una pronuncia del Giudice ordinario, ovvero del Giudice amministrativo, recante statuizioni sul merito di una pretesa attinente ad un determinato rapporto, estende i suoi effetti al presupposto della sussistenza della giurisdizione di detto Giudice su tale rapporto, indipendentemente dal fatto che essa sia stata o meno oggetto di esplicita declaratoria e, quindi, osta a che la giurisdizione di quel Giudice possa essere contestata in successive controversie fra le stesse parti aventi titolo nel medesimo rapporto davanti a un Giudice diverso, avendo il giudicato esterno la medesima autorità di quello interno, in quanto corrispondono entrambi all'unica finalità dell'eliminazione dell'incertezza delle situazioni giuridiche e della stabilità delle decisioni" (Cass. civ., Sez. un., 10 dicembre 2020, n. 28179).

È vero che un siffatto assunto non pare potersi in toto sovrapporre ad un rapporto che per prescrizione legislativa è articolato in più parti che fanno capo a giudici diversi. Ma esso dovrà pur sempre valere in ordine alla qualificazione del rapporto e all'intera parte pubblicistica del rapporto rimessa al giudice amministrativo, sicché deve ritenersi che il giudicato sulla giurisdizione del giudice amministrativo, di cui alla sopra evocata pronuncia, formatosi su controversia attinente l'incremento dell'aliquota di partecipazione della parte pubblica ai profitti aziendali si riverberi sulle altre parti pubblicistiche del rapporto, ivi compresa la questione dei criteri di determinazione del canone.

3. In definitiva, l'appello va accolto e va affermata la giurisdizione del giudice amministrativo, con annullamento ex art. 105 c.p.a. dell'impugnata sentenza e rimessione della causa al primo giudice. Sussistono giusti motivi per compensare le spese di entrambi i gradi di giudizio, considerato che la materia delle concessioni è attualmente oggetto di problematica rivisitazione degli orientamenti giurisprudenziali sul riparto di giurisdizione.

P.Q.M.

Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, in sede giurisdizionale, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l'effetto annulla la pronuncia gravata con rinvio al giudice di prime cure.

Spese compensate di entrambi i gradi di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.