Corte di cassazione
Sezione V penale
Sentenza 10 gennaio 2023, n. 12517
Presidente: Sabeone - Estensore: Pezzullo
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 6 maggio 2022, la Corte di appello di Roma ha confermato la sentenza emessa in data 5 giugno 2019 dal Tribunale di Roma, con la quale C. Giuseppe era stato condannato alla pena di mesi sei di reclusione ed euro 1.000,00 di multa, per i reati di lesioni personali e minaccia, perché, in data 14 luglio 2015, in Roma, nel corso di una lite afferrava e girava con forza la mano destra ed il naso di Simone A., cagionandogli lesioni guaribili in giorni 23, rivolgendogli la frase "devi andare in giro sempre con qualcuno, non sai cosa ti può succedere".
2. Avverso la suddetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione l'imputato, con atto a firma del proprio difensore di fiducia, affidando le proprie censure a due motivi, con i quali deduce:
2.1. con il primo motivo, i vizi di violazione di legge e di motivazione, per avere la Corte territoriale violato il principio dell'"oltre ogni ragionevole dubbio"; invero, la Corte territoriale non ha minimamente raffrontato le deposizioni effettuate nel corso del procedimento, incorrendo nello stesso errore già evidenziato nell'atto di appello, poiché avallare l'ininfluenza di chi "per primo abbia cominciato ad attaccare briga con l'altro", equivarrebbe ad espungere dall'ordinamento giuridico l'istituto della legittima difesa ex art. 52 c.p., anche sotto il profilo di un eventuale eccesso colposo ex art. 55 c.p.; contraddittorie appaiono anche le descrizioni delle modalità della presunta aggressione fisica, poiché il C., senza alcuna motivazione (che, invece, avrebbe avuto il solo A., stando alla sua stessa ricostruzione) avrebbe aggredito l'A., forse attendendo la fine di una telefonata, secondo modalità tutt'altro che precise e dettagliate, laddove appare molto più plausibile e verosimile la ricostruzione dei fatti fornita dall'imputato; l'A., per sua stessa ammissione, aveva motivi di risentimento nei confronti del C., mentre quest'ultimo avrebbe avuto tutto l'interesse ad evitare ogni incontro e/o confronto con l'A.; erronea è anche l'entità delle lesioni, in quanto l'unico documento proveniente da una struttura pubblica è il verbale di pronto soccorso che evidenzia esclusivamente una lievissima lesione, diagnosticando esattamente "contusione piramide nasale" e lieve distorsione al "polso destro" con prognosi di tre giorni, effettuata dopo aver sottoposto l'A. ad apposite radiografie tanto al polso, quanto al setto nasale; i successivi certificati, rilasciati da medico specializzato in pediatria, dr. Aldo P., non danno atto dell'effettuazione di alcun esame strumentale successivo, né allegano alcun altro elemento d'indagine, limitandosi a prescrivere successivi giorni di riposo, sino a superare la soglia dei venti giorni, per poi dichiarare l'A. "clinicamente guarito" con certificazione in data 5 agosto 2015; tale quadro clinico non giustifica le conclusioni riferite dal teste dr. R., in sede di escussione, apparendo curiosa la discrasia tra quanto refertato dalla struttura pubblica e quanto successivamente certificato dai medici di parte, peraltro non specializzati, i quali hanno aggravato il quadro clinico sino ad integrare la più grave fattispecie in questione, con conseguente pregiudizio per l'imputato;
2.2. con il secondo motivo, il vizio di motivazione in relazione alla richiesta di riduzione della pena, per avere la Corte territoriale condannato l'imputato ad una pena ingiusta ed eccessiva, in relazione alla lievità delle lesioni e alla totale assenza di conseguenze, tenuto conto delle caratteristiche soggettive ed oggettive dell'imputato.
3. Il Procuratore generale in sede, in persona del sostituto procuratore dr.ssa Paola Mastroberardino, ai fini della decisione del ricorso, ha fatto pervenire le sue richieste scritte, ai sensi del comma 8 dell'art. 23 del d.l. n. 137/2020, conv. con modificazioni dalla l. 176/2020, e dell'art. 16 del d.l. 30 dicembre 2021, n. 228, convertito con modificazioni dalla l. 25 febbraio 2022, n. 15, concludendo per il rigetto del ricorso.
4. La difesa dell'imputato ha depositato a mezzo PEC, in data 29 dicembre 2022, conclusioni scritte per l'annullamento della sentenza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
La sentenza impugnata va annullata limitatamente al trattamento sanzionatorio, per quanto si dirà, mentre il ricorso va dichiarato inammissibile nel resto.
1. Preliminarmente occorre dare atto del fatto che, in data 30 dicembre 2022, è entrato in vigore il d.lgs. n. 150 del 10 ottobre 2022 (c.d. riforma Cartabia), come da slittamento operato con l'art. 6 del d.l. n. 162 del 31 ottobre 2022, mediante l'introduzione nelle disposizioni della riforma dell'art. 99-bis, e, per quanto rileva in questa sede, è entrato in vigore l'art. 2, lett. b), con il quale è stato ridisegnato il regime di procedibilità del reato di lesione.
L'art. 582 c.p., all'esito della novella, così recita:
"Chiunque cagiona ad alcuno una lesione personale, dalla quale deriva una malattia nel corpo o nella mente, è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione da sei mesi a tre anni. Si procede tuttavia d'ufficio se ricorre taluna delle circostanze aggravanti previste negli articoli 61, numero 11-octies), 583 e 585, ad eccezione di quelle indicate nel primo comma, numero 1), e nel secondo comma dell'articolo 577. Si procede altresì d'ufficio se la malattia ha una durata superiore a venti giorni quando il fatto è commesso contro persona incapace, per età o per infermità".
Il nuovo regime di procedibilità trova applicazione a partire appunto dall'entrata in vigore del d.lgs. n. 150, ma anche retroattivamente, con i temperamenti dettati dall'art. 85, comma 1, in tema di disposizioni transitorie in materia di modifica del regime di procedibilità, secondo cui "per i reati perseguibili a querela della persona offesa in base alle disposizioni del presente decreto, commessi prima della data di entrata in vigore dello stesso, il termine per la presentazione della querela decorre dalla predetta data, se la persona offesa ha avuto in precedenza notizia del fatto costituente reato".
Tale norma, dettata all'evidenza per la peculiare natura "mista" della querela - processuale e sostanziale, costituente, nel contempo, condizione di procedibilità e di punibilità (Sez. 5, n. 44390 dell'8 giugno 2015, Rv. 265999) - rappresenta il punto di equilibrio tra la necessaria retroattività della legge penale più favorevole all'agente (art. 2, comma 4, c.p.), con conseguente obbligo di immediata declaratoria di non doversi procedere per estinzione del reato, e la necessità di scongiurare un risultato normativo nocivo per le ragioni della persona offesa per fatto "incolpevole" derivante dall'ampliamento del catalogo di reati perseguibili a querela.
Nella fattispecie in esame, tuttavia, la sopravvenuta procedibilità a querela del reato ascritto all'imputato al capo a) - lesioni giudicate guaribili in giorni 23, reato questo procedibile di ufficio antecedentemente alla riforma Cartabia - non rileva, atteso che la p.o., A. Simone, aveva già proposto rituale querela, allegata agli atti del fascicolo processuale.
2. Tanto premesso, si osserva che generiche e, comunque, versate in fatto si presentano le deduzioni di cui al primo motivo di ricorso. Ed invero, la Corte territoriale, pur prendendo atto che non tutte le circostanze di fatto - circa il diverbio tra la p.o., A. Simone, e l'imputato - sono state chiarite, ha evidenziato, tuttavia, in maniera dirimente, che la colluttazione tra i due è avvenuta davvero nei luoghi e con le modalità descritte dalla p.o. e che l'A. ha subito le lesioni oggetto di contestazione, al di là dei motivi di risentimento tra i due e a prescindere da chi per primo abbia cominciato ad attaccare briga con l'altro. Infatti, lo stesso imputato, nella sua confusa ricostruzione, ha ammesso di aver preso per il braccio l'A., storcendoglielo e spintonandolo e non ha escluso che il predetto si possa essere rotto il naso nel corso della colluttazione.
La ricostruzione dell'A., ritenuta attendibile con completa motivazione dal primo giudice e confermata nella sostanza dalla Corte territoriale - che ha fatto corretta applicazione dei principi di legittimità in tema di valutazione della prova (Sez. un., n. 41461 del 19 luglio 2012), rappresentando, peraltro, la valutazione della credibilità della persona offesa dal reato una questione di fatto, avente una propria chiave di lettura nel compendio motivazionale fornito dal giudice e non può essere rivalutata in sede di legittimità, salvo che il giudice non sia incorso in manifeste contraddizioni (cfr. ex plurimis Sez. 6, n. 27322 del 2008; Sez. 3, n. 8382 del 22 gennaio 2008, Rv. 239342; Sez. 6, n. 443 del 4 novembre 2004, Rv. 230699) - risulta riscontrata anche dalla deposizione resa dal teste B., oltre che dalla documentazione medica in atti. In tale contesto, pertanto, non illogica, ma congruente, può senz'altro ritenersi la valutazione della riconducibilità delle lesioni all'imputato, risultando nel contesto descritto inconferente il tema della legittima difesa, anche sotto il profilo di un eventuale eccesso colposo ex art. 55 c.p., non supportato da concreti elementi a supporto.
Per quanto concerne, poi, le lesioni e la loro durata, la Corte territoriale ha evidenziato come quelle inizialmente riscontrate al pronto soccorso dell'ospedale Santo Spirito (contusione alla piramide nasale, lieve distorsione del polso destro con prognosi di giorni tre) abbiano avuto postumi proseguiti per giorni 20, accertati da vari specialisti e dal teste dr. R., che ha dichiarato in udienza di aver riscontrato una substenosi da lesione diretta delle ossa del naso, non risolvibile se non tramite intervento chirurgico.
Pertanto, non appare sconfessata da alcun elemento contrario la prognosi di guarigione delle lesioni in complessivi giorni 23, laddove le deduzioni del ricorrente circa una diversa e minore durata della malattia si traducono in deduzioni in fatto, con una alternativa ricostruzione della vicenda, implicante una diversa valutazione delle risultanze processuali e non già in una censura riconducibile ad un vizio di motivazione, desumibile dalla lettura del provvedimento impugnato.
3. Il secondo motivo di ricorso - che sollecita in questa sede di legittimità l'analisi del tema della pena irrogata all'imputato, in relazione al delitto di lesioni giudicate guaribili in giorni 23, e della sua eccessività - è fondato per quanto si dirà, dovendo essere senz'altro esaminato, all'esito della introduzione della c.d. riforma Cartabia, in un'ottica più ampia, che deve tenere conto della riscrittura dell'art. 582 c.p. - che capovolge, quanto al regime di procedibilità, il rapporto di regola/eccezione, prevedendo al primo comma "la regola" circa la punibilità a querela del reato di lesione personale, mentre al secondo comma "l'eccezione", circa la procedibilità di ufficio, per le ipotesi di lesioni aggravate ex art. 583 e 585 c.p., esattamente indicate, fatte salve specifiche ipotesi - e nel contempo del "sistema" di competenza per materia del giudice di pace.
3.1. Come si evince dalla relazione illustrativa al d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 - nella parte che rileva in questa sede - l'intervento del legislatore "mira ad ampliare il regime di procedibilità a querela del delitto di lesioni personali, senza più condizionare tale regime alla durata della malattia non superiore ai venti giorni (c.d. lesioni lievissime). Ne consegue che la procedibilità a querela viene estesa alle c.d. lesioni lievi (malattia compresa tra 21 e 40 giorni), mentre restano procedibili d'ufficio le lesioni gravi (comprensive dell'ipotesi in cui la malattia abbia durata superiore a 40 giorni) e le lesioni gravissime, di cui all'art. 583 c.p. È fatta salva la procedibilità d'ufficio anche in tutte le altre ipotesi in cui attualmente essa è prevista in presenza di concorrenti circostanze aggravanti. Secondo quanto stabilito dalla legge-delega, si fa salva la procedibilità d'ufficio quando la malattia ha durata superiore a venti giorni e il fatto è commesso contro persona incapace per età o per infermità. L'intervento, limitato a ipotesi che presentano un disvalore ridotto, incentiva condotte riparatorie o risarcitorie, che favoriscono la remissione della querela o l'estinzione del reato per condotte riparatorie, ai sensi dell'art. 162-ter c.p. Trattandosi di una fattispecie di frequente contestazione, l'effetto deflattivo sul carico giudiziario si annuncia significativo, ancor più in considerazione del fatto che l'intervento di riforma comporta indirettamente un ampliamento della competenza del giudice di pace in virtù della disciplina di cui all'art. 4, comma 1, lett. a), d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274, che attribuisce al giudice di pace la competenza per le lesioni personali perseguibili a querela di parte".
3.1.1. Merita all'uopo rimarcare che la relazione illustrativa - nell'ultima parte riportata - dà atto del fatto che l'intervento della riforma comporterà un "ampliamento" della competenza del giudice di pace, ma, a dispetto della palesata volontà di "ampliamento", il legislatore della riforma non è, poi, specificamente intervenuto sulle norme determinanti la competenza penale per materia del giudice di pace, di guisa che deve darsi atto che l'art. 4, comma 1, lett. a), d.lgs. 274 del 28 agosto 2000 (ancora) richiama la competenza per il reato di cui all'art. 582 c.p., limitatamente al secondo comma, perseguibile a querela di parte (che, tuttavia, attualmente prevede le ipotesi in cui il reato è procedibile di ufficio, con alcune eccezioni "per i delitti consumati o tentati previsti dagli articoli 581, 582, limitatamente alle fattispecie di cui al secondo comma perseguibili a querela di parte, ad esclusione dei fatti commessi contro uno dei soggetti elencati dall'articolo 577, secondo comma, ovvero contro il convivente"). Tale norma - all'epoca della sua introduzione pienamente aderente al disposto dell'art. 15 della l. 24 novembre 1999, n. 468, di delega al governo in materia di competenza penale del giudice di pace (al giudice di pace è devoluta la competenza per il delitto di cui all'art. 582, secondo comma, ossia di lesione personale punibile a querela della persona offesa) - risulta oggi, nel richiamo al secondo comma dell'art. 582 c.p., ad una prima lettura, alquanto scollegata rispetto al testo del novellato art. 582, che, come già ripetutamente rilevato, contiene la regola della procedibilità a querela nel primo comma ed al secondo comma l'eccezione circa la procedibilità d'ufficio del reato.
3.2. Il mancato intervento del legislatore della riforma anche sull'art. 4, primo comma, lett. a), d.lgs. 274 del 28 agosto 2000, quanto al richiamo del secondo comma dell'art. 582 (contemplante, nella formulazione antecedente alla riforma Cartabia, appunto la procedibilità a querela delle lesioni nel caso di durata della malattia non superiore a venti giorni, mentre, nella nuova formulazione, le eccezioni al novellato primo comma, con la previsione della procedibilità di ufficio, in presenza delle aggravanti previste), legittima una duplice interpretazione.
3.2.1. Secondo un'interpretazione strettamente e meramente letterale, in assenza di modifiche dell'art. 4, lett. a), in simmetria con la nuova formulazione dell'art. 582 c.p., la competenza del giudice di pace resta limitata al reato di lesioni, procedibile a querela, di cui al secondo comma dell'art. 582, e, dunque, esclusivamente alle ipotesi residuali - rispetto alla procedibilità di ufficio - in tale riformato comma contemplate [ossia per l'eccezione dell'eccezione: "Si procede tuttavia d'ufficio se ricorre taluna delle circostanze aggravanti previste negli articoli 61, numero 11-octies), 583 e 585, ad eccezione di quelle indicate nel primo comma, numero 1), e nel secondo comma dell'articolo 577"], e dunque resta circoscritta alle ipotesi di cui all'art. 577, primo comma, n. 1, c.p. e di cui all'art. 577, secondo comma, c.p., indipendentemente dalla durata della malattia, sempre che non ricorrano le aggravanti di cui all'art. 583 c.p.
In definitiva, secondo tale interpretazione, il silenzio del legislatore della riforma supporterebbe la tesi secondo cui al giudice di pace non sarebbero più attribuite per competenza le lesioni in generale "procedibili a querela di parte", ma solo quelle che, nell'ambito del secondo comma del novellato art. 582 c.p., risultano ancora (in via di eccezione alla procedibilità di ufficio) perseguibili a querela di parte.
3.2.2. La seconda interpretazione, fatta propria dal Collegio, che parte dalla constatazione di un difetto di coordinamento tra la nuova formulazione dell'art. 582 c.p. e l'art. 4, primo comma, lett. a), d.lgs. 274 del 28 agosto 2000, non può che valorizzare la volontà del legislatore riformatore, palesata nella relazione illustrativa, di ampliamento della competenza del giudice di pace e non certo di riduzione, ritenendo che il giudice di pace sia competente per il reato di lesione ex art. 582 c.p., procedibile a querela di parte - e quindi anche per le lesioni guaribili entro quaranta giorni - fatte salve le eccezioni previste, determina[n]ti la procedibilità di ufficio, ovvero, comunque, la competenza del Tribunale.
3.3. Supportano tale opzione interpretativa alcune considerazioni.
Innanzitutto, un'interpretazione meramente letterale - valorizzante esclusivamente il disposto non novellato dell'art. 4, primo comma, lett. a), d.lgs. 274 del 28 agosto 2000 - si tradurrebbe in un evidente "passo indietro" rispetto agli obiettivi, non solo della riforma Cartabia, ma anche della stessa legge attributiva della competenza penale al giudice di pace, contemplanti, tra l'altro, nell'art. 15 della legge-delega n. 468/1999, la devoluzione al giudice di pace della competenza per il delitto di cui all'art. 582 c.p. di "lesione personale" "punibile a querela della persona offesa".
Infatti, il mancato riferimento testuale al novellato primo comma dell'art. 582 c.p. dovrebbe comportare che il reato di lesione perseguibile a querela (ossia la stragrande maggioranza delle ipotesi di lesioni) - poiché non facente parte del catalogo delle eccezioni alla procedibilità di ufficio, di cui al riformato secondo comma dell'art. 582 - dovrebbe "ritornare" (quanto alle lesioni non superiori a venti giorni), o restare, nella competenza del Tribunale (quanto alle lesioni da 21 a 40 giorni), ponendosi in evidente contrasto con la volontà della riforma di favorire altresì - attraverso l'estensione del regime di procedibilità a querela per figure di reato frequenti, con limitato disvalore degli illeciti - condotte riparatorie e ripristinatorie in vista di una ricomposizione del conflitto alternativa, nell'intento di decongestionare il processo penale, migliorandone l'efficienza attraverso la "deflazione". Obiettivo quest'ultimo che risulterebbe completamente distonico, laddove il legislatore avesse davvero inteso "riportare" le lesioni procedibili a querela, guaribili in pochi giorni, nella competenza generale del Tribunale, sottraendole alla competenza del giudice di pace.
Senza considerare, poi, che siffatta interpretazione si tradurrebbe in un'interpretazione in malam partem, comportante una modifica in peius del trattamento sanzionatorio, come già evidenziato da questa Corte in altra fattispecie, per la quale è stato affermato il principio che, in tema di successione di leggi nel tempo, il trasferimento della competenza per materia dal giudice di pace al tribunale monocratico comporta una modifica in peius del trattamento sanzionatorio, ove determini l'applicazione delle sanzioni detentive in luogo delle più favorevoli sanzioni pecuniarie previste dall'art. 52 del d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274, che non può operare retroattivamente (Sez. 6, n. 13708 del 3 marzo 2020, Rv. 279260), e il legislatore della riforma dichiaratamente non ha inteso inasprire le sanzioni per il reato di lesioni (lievissime, ossia non superiori a venti giorni, secondo la precedente disciplina dell'art. 582), procedibili a querela, ma anzi attenuare il rigore derivante dall'obbligatorietà dell'azione penale, mediante l'ampliamento del catalogo delle fattispecie procedibili a querela, anche con un chiaro intento deflattivo.
Per rendere, dunque, compatibile lo spirito della riforma Cartabia, in relazione al reato di cui all'art. 582 c.p., con l'art. 4, primo comma, lett. a), d.lgs. 274 del 28 agosto 2000, non può che essere adottata un'interpretazione estensiva e logica del portato di tale ultima norma, tenuto conto che anche l'attribuzione della competenza al giudice di pace di alcuni reati penali si è mossa nel solco di ricercare strategie e forme sanzionatorie trascendenti la tradizionale dimensione punitiva, in vista di obiettivi di riconciliazione o mediazione delle forme minori di conflittualità. E, dunque, il senso di attribuire al giudice di pace con il d.lgs. n. 274 del 28 agosto 2000 il reato di "lesione perseguibile a querela" corrisponde a tale finalità che deve trovare continuità proprio in presenza di una rinnovata e dichiarata volontà del legislatore della riforma di coltivare, anzi ampliare, la competenza del giudice di pace.
Il perdurante riferimento al secondo comma dell'art. 582, nella sua precedente formulazione, non può oggi che assumere il significato di un sostanziale richiamo, nel contempo, al primo comma del riformato art. 582 c.p., contenente la previsione in virtù della quale il reato di lesioni è stato attribuito, nella sua forma lieve, alla competenza del giudice di pace: la procedibilità a querela. E comunque, anche ove volesse intendersi il riferimento al secondo comma dell'art. 582 c.p. alla sua formulazione novellata, non potrebbe comunque non ritenersi logicamente ricompresa nella competenza del giudice di pace anche l'ipotesi di cui al primo comma delle lesioni procedibili a querela, trattandosi della previsione di carattere generale, che contiene - e a cui si assommano - le eccezioni alla procedibilità di ufficio contemplate nell'attuale secondo comma dell'art. 582 c.p.
Con le suddette interpretazioni, in definitiva, non si opera un'applicazione "analogica" estensiva, vietata in materia penale dall'art. 14 delle preleggi, poiché il divieto in questione afferisce alle "norme incriminatrici" e nella fattispecie non si verte in un'ipotesi di applicabilità di "norme incriminatrici" appunto e delle sue sanzioni. Si tratta piuttosto, attraverso l'attività interpretativa, di leggere il riferimento al "secondo comma" dell'art. 582 c.p., contenuto nell'art. 4, oltre il suo significato più immediato, attraverso un'analisi logica e plausibile di esso e, dunque, operando un'interpretazione estensiva.
Peraltro, nel caso di specie, si tratterebbe di una parziale interpretazione analogica in bonam partem, per certi aspetti ammessa anche nel campo penale, mirante all'irrogazione di sanzioni più miti, poiché la competenza del giudice di pace, per tutte le lesioni procedibili a querela, comporta l'applicazione del sistema di pene più favorevoli previste dall'art. 52 del d.lgs. n. 274/2000, che consente anche in cassazione di annullare la sentenza con la quale sia stata irrogata una pena illegale.
In definitiva, deve affermarsi il principio secondo cui l'evidente difetto di coordinamento dell'art. 4, comma 1, lett. a), del d.lgs. n. 274/2000 con il novellato art. 582 c.p. trova ragionevole composizione sistematica attraverso la voluntas legis, attributiva della competenza penale al giudice di pace, palesata nell'art. 15 della legge-delega n. 468/1999 - secondo cui al giudice di pace è devoluta la competenza per il delitto di cui all'art. 582 c.p. di lesione personale punibile a querela della persona offesa - in uno all'intento della c.d. riforma Cartabia, espresso nella relazione illustrativa, di determinare "un ampliamento della competenza del giudice di pace in virtù della disciplina dell'art. 4, comma 1, lett. a), del d.lgs. n. 274/2000 che attribuisce allo stesso la competenza per le lesioni personali perseguibili a querela di parte", al di là del riferimento testuale esclusivamente al secondo comma dell'art. 582 c.p.
Ne deriva che le lesioni perseguibili a querela di parte, ex art. 582 c.p., come quelle oggetto di giudizio, superiori a venti giorni e non eccedenti quaranta giorni di malattia - in mancanza di specifiche eccezioni - sono divenute, all'esito della riforma Cartabia di competenza del giudice di pace, sicché le pene irrogabili sono quelle previste dal d.lgs. n. 274 del 2000.
4. Ne consegue che la sentenza impugnata deve essere annullata limitatamente al trattamento sanzionatorio, con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Roma. Il ricorso va dichiarato inammissibile nel resto.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio e rinvia per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Roma; dichiara inammissibile il ricorso nel resto.
Depositata il 24 marzo 2023.