Corte dei conti
Sezione I centrale d'appello
Sentenza 9 febbraio 2023, n. 66
Presidente: Chiappiniello - Estensore: Petrucci
FATTO
Con atto di citazione depositato in data 1° ottobre 2020, la Procura regionale presso la Sezione giurisdizionale per la Regione Abruzzo conveniva in giudizio il dott. Giorgio D., nella qualità di Presidente dell'Ambito Territoriale Ottimale 4 (ATO 4) di Pescara per sentirlo condannare, per danno all'immagine, al pagamento della somma di euro 30.000,00 in favore della Regione Abruzzo, oltre rivalutazione monetaria, interessi legali e spese del giudizio.
L'istruttoria traeva origine dalla notizia del giudizio penale avviato dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Pescara nei confronti di alcuni amministratori e dipendenti pubblici per numerosi reati. Nell'ambito di tale giudizio, il Tribunale di Pescara, con sentenza n. 1668/2016, condannava il dott. D., nella predetta qualità di Presidente dell'ATO 4 di Pescara, per il reato di peculato ai sensi degli artt. 81 e 314 c.p. per indebito utilizzo delle due autovetture di servizio dell'ente e del connesso apparato telepass per il pagamento di pedaggi per un totale di 57 viaggi a/r Pescara-Roma, per finalità rivelatesi estranee a quelle dell'ente.
La Corte di appello di L'Aquila, con sentenza n. 862/2018, confermava la condanna sopra richiamata nei confronti del D. ed, in riforma della pronuncia del Tribunale, condannava quest'ultimo anche per il peculato generato dall'appropriazione di denaro dell'ente utilizzato per spese qualificate come "di rappresentanza", ma in realtà relative a cene ed occasioni conviviali estranee ai fini istituzionali dell'ente (per un totale rispettivamente di 1.055,30 euro e di 4.779,00 euro), ed, inoltre, lo condannava, quale privato corruttore, per il reato di cui agli artt. 81, 319 e 321 c.p., per aver dato al dott. Luigi P. (pure convenuto nel giudizio di primo grado), professore associato di tecnica bancaria presso la Facoltà di scienze manageriali dell'Università di Pescara-Chieti "G. D'Annunzio" ove era iscritto il D., titoli di credito per un importo complessivo di 63.700 euro (di cui ne risultavano rimborsati 33.350), al fine di agevolarlo nel superamento degli esami universitari e successivamente nel conseguimento della laurea specialistica.
Avverso detta sentenza di appello, il dott. D. ed il dott. P. proponevano ricorsi in Cassazione dichiarati inammissibili dalla Suprema Corte con sentenza n. 16852, depositata il 17 aprile 2019.
Trattandosi di sentenza irrevocabile di condanna, il Procuratore regionale per l'Abruzzo esercitava l'azione per danno all'immagine che, quantificava in via equitativa ex art. 1226 c.c. in 30.000 euro utilizzando i parametri oggettivi, soggettivi e sociali elaborati dalla giurisprudenza, nonché il criterio di cui all'art. 1, comma 1-sexies, della l. n. 20/1994 (introdotto dall'art. 1, comma 62, l. n. 190/2012) che, ancorché non applicabile a fatti anteriori alla sua entrata in vigore, purtuttavia poteva rappresentare il senso di disvalore per i fatti illeciti commessi da dipendenti o amministratori pubblici autori di reati contro la pubblica amministrazione.
Con sentenza n. 154/2021, depositata in data 18 maggio 2021, la Sezione giurisdizionale per l'Abruzzo accoglieva parzialmente la domanda attorea e condannava il dott. Giorgio D. al risarcimento per danno all'immagine per la somma di euro 10.000,00 comprensiva di rivalutazione monetaria, in favore dell'ente regionale per il servizio idrico integrato Abruzzo, oltre agli interessi legali dal deposito della sentenza sino all'effettivo pagamento.
Avverso tale sentenza ha interposto appello, con atto ritualmente notificato in data 26 luglio 2021, il dott. D. ribadendo, in via preliminare, l'eccezione di prescrizione e la questione di legittimità costituzionale della disciplina di cui all'art. 17, comma 30-ter, del d.l. n. 78/2009 già sollevate e ritenute non fondate in primo grado estendendo la censura di incostituzionalità a tutto il complesso di norme che attribuiscono la giurisdizione sul risarcimento del danno all'immagine al Giudice contabile, anziché a quello ordinario.
L'appellante lamenta che il Giudice di primo grado, dopo aver richiamato la sentenza n. 355/2010 della Corte costituzionale, ha dedotto che il regime della prescrizione introdotto dal citato art. 17, comma 30-ter, del d.l. n. 78/2009 costituisce espressione della discrezionalità del legislatore; ma, secondo la prospettazione del dott. D., tale discrezionalità dovrebbe trovare un limite nei parametri costituzionali poiché l'affidamento della tutela del danno all'immagine della P.A. anche alla Corte dei conti, piuttosto che lasciarla al Giudice ordinario aggraverebbe "la posizione del convenuto, esposto ad un processo infinito".
Secondo l'appellante, quindi, la decisione impugnata induce a sollevare anche la questione di giurisdizione in tema di danno all'immagine, risultando contraria ai parametri costituzionali e CEDU l'attribuzione di essa al Giudice contabile, perché foriera di irragionevole durata del giudizio.
Il dott. D. contesta, inoltre, la natura esclusivamente sanzionatoria del pagamento a cui è stato condannato stante la quantificazione del danno totalmente avulsa da un preciso evento dannoso e dalla persona del danneggiato.
Con ulteriore doglianza, la parte appellante lamenta, poi, il vizio di ultrapetizione della sentenza censurata, ritenendo che l'elemento dell'individuazione del preteso danneggiato sia parte costitutiva dell'obbligazione risarcitoria con la conseguenza che il Giudice di primo grado, rilevata l'erronea individuazione da parte della Procura della Regione Abruzzo quale amministrazione danneggiata, non avrebbe potuto modificare l'ente che aveva patito il danno disponendo la condanna a favore dell'ente regionale per il servizio idrico integrato (ERSI) Abruzzo.
In conclusione, l'appellante richiede al Collegio, previo rinvio alla Corte costituzionale delle questioni incidentalmente sollevate, di annullare o, in subordine, riformare l'impugnata sentenza erronea anche nel quantum e, per l'effetto, rigettare integralmente la domanda di condanna; in estremo subordine, chiede alla Sezione di ridurre grandemente l'avversa pretesa risarcitoria.
Con memoria depositata in data 4 gennaio 2023, si è costituito nel presente giudizio il rappresentante della Procura generale dichiarando infondate le doglianze circa l'attribuzione della giurisdizione in tema di danno all'immagine anche alla Corte dei conti sottolineando che la giurisdizione contabile sul danno all'immagine non osta alla costituzione di parte civile dell'amministrazione per il risarcimento dello stesso danno dinanzi al Giudice ordinario e che la mera circostanza che l'azione del Procuratore regionale sia subordinata alla previa definizione del giudizio penale, e non sia, come quella dell'amministrazione, ad esso concomitante, non determina affatto una durata irragionevole del processo, ma è ispirata a una ratio di garanzia per il convenuto, il quale potrà essere attinto dalla stessa solo quando sarà stata accertata in modo irrevocabile la sua responsabilità per uno dei reati cui la legge ricollega il risarcimento del danno all'immagine.
Parimenti infondata si appalesa, ad avviso della Procura generale, la questione di legittimità costituzionale delle norme in materia di danno all'immagine per violazione della CEDU dovendosi considerare che il danno all'immagine non consegue in re ipsa alla commissione dell'illecito penale, ma deve essere concretamente dimostrato ed il fatto che si tratti di un pregiudizio non patrimoniale, perché incide non sul patrimonio ma sull'immagine dell'amministrazione, non toglie che si tratti di un danno, il cui risarcimento presuppone la prova della sua esistenza.
È, poi, reputato infondato dal Procuratore generale anche il motivo di gravame per vizio di ultrapetizione osservandosi, secondo la giurisprudenza in materia, che, nella vicenda all'esame, l'ente danneggiato, ovvero l'amministrazione che ha subito un pregiudizio alla propria immagine, è l'ATO 4 di Pescara di cui l'appellante era Presidente all'epoca dei fatti e che la differenza tra la domanda e la decisione atterrebbe, piuttosto, all'individuazione del soggetto che è succeduto nei rapporti che facevano capo a detto ATO, tra cui il diritto al risarcimento del predetto danno.
In conclusione, la Procura generale chiede di respingere l'impugnazione, con condanna dell'appellante al pagamento delle spese del presente grado di giudizio.
All'udienza di discussione della causa del 27 gennaio 2023, le parti presenti hanno insistito per l'accoglimento delle rispettive conclusioni.
La causa è stata, quindi, trattenuta in decisione.
DIRITTO
In via preliminare, il Collegio deve esaminare la questione di giurisdizione a cui è strettamente correlata la sollevata questione di legittimità costituzionale dell'art. 17, comma 30-ter, del d.l. n. 78/2009 già reputata manifestamente infondata in primo grado ed estesa dalla parte appellante all'intero complesso normativo che attribuisce la giurisdizione sul risarcimento del danno all'immagine al Giudice contabile, anziché a quello ordinario.
La questione di legittimità costituzionale dell'intero complesso normativo che assegna la giurisdizione sul risarcimento del danno all'immagine al Giudice contabile deve reputarsi manifestamente inammissibile, per genericità, non essendo analiticamente indicate né le norme asseritamente incostituzionali, né i parametri violati, mentre la questione di giurisdizione e la questione di legittimità costituzionale sollevate dall'appellante con riferimento alla disciplina di cui all'art. 17, comma 30-ter, del d.l. n. 78/2009, convertito dalla l. n. 102/2009, si appalesano manifestamente infondate.
L'art. 17, comma 30-ter, del d.l. n. 78/2009 appena richiamato prevede che: "le Procure della Corte dei conti esercitano l'azione per il risarcimento del danno all'immagine nei soli casi e nei modi previsti dall'articolo 7 della legge 27 marzo 2001, n. 97. A tale ultimo fine, il decorso del termine di prescrizione di cui al comma 2 dell'articolo 1 della legge 14 gennaio 1994, n. 20, è sospeso fino alla conclusione del procedimento penale".
Reputa, pertanto, il Collegio che alcun dubbio può ravvisarsi sulla sussistenza della giurisdizione contabile alla luce della predetta disposizione essendo, peraltro, oramai consolidato l'orientamento della Corte regolatrice e della giurisprudenza contabile.
Invero, "in materia di responsabilità amministrativa, la norma che ha circoscritto la possibilità del pubblico ministero presso il giudice contabile di agire per il risarcimento del danno all'immagine di enti pubblici ai soli fatti costituenti delitti contro la P.A. accertati con sentenza passata in giudicato, introduce una condizione di mera proponibilità dell'azione di responsabilità davanti al giudice contabile (incidente, dunque, sui soli limiti interni della sua giurisdizione) e non una questione di giurisdizione, posto che ad incardinare la giurisdizione della Corte dei conti è necessaria e sufficiente l'allegazione di una fattispecie oggettivamente riconducibile allo schema del rapporto d'impiego o di servizio del suo preteso autore, mentre afferisce al merito ogni problema relativo alla sua effettiva esistenza" (Corte di cassazione, sentt. n. 13248/2019, n. 22081/2017, n. 25042/2016).
Come correttamente affermato dal Giudice di primo grado, costituisce, inoltre, espressione della discrezionalità del legislatore attribuire la giurisdizione contabile in determinate materie. Al riguardo, la Corte costituzionale ha già avuto modo di precisare che: "le questioni sul riparto della giurisdizione involgono scelte in ordine a diversi regimi della responsabilità e del giudizio, tali da comportare effetti diversi nei riguardi tanto dei responsabili che dei soggetti danneggiati: sicché soltanto al potere legislativo può spettare di valutare se e quali siano le soluzioni più idonee alla salvaguardia dei pubblici interessi" (Corte costituzionale, sent. n. 773/1988).
Infatti, secondo il dettato dell'art. 103, comma 2, della Costituzione: "La Corte dei conti ha giurisdizione nelle materie di contabilità pubblica e nelle altre specificate dalla legge".
Tale discrezionalità legislativa, contrariamente a quanto eccepito dall'appellante, non determina un allungamento non strettamente necessario dei tempi del giudizio, ma, come rilevato dal Procuratore generale, fonda la propria ratio in evidenti finalità di garanzia potendo l'azione contabile prendere avvio soltanto in seguito ad una sentenza del Giudice penale passata in giudicato.
La sentenza definitiva emessa dal Giudice penale costituisce, dunque, condizione di procedibilità dell'azione del Giudice contabile per danno all'immagine e lungi dall'esporre il convenuto ad un "processo infinito" garantisce l'esercizio dell'azione contabile solo in presenza di tale presupposto essendo, peraltro, sanzionati con la nullità eventuali atti istruttori o processuali posti in essere in violazione della predetta normativa.
Il sistema delineato dal legislatore e che ha già superato il vaglio del Giudice delle leggi (pronunce n. 335/2010, n. 219/2011, n. 220/2011, n. 286/2011) e con il quale viene delimitato l'ambito applicativo dell'azione risarcitoria per danno all'immagine è, peraltro, volto ad assicurare il rispetto del pubblico interesse al buon andamento ed all'imparzialità dell'amministrazione tutelati dall'art. 97 della Costituzione e non presentando caratteri di assoluta arbitrarietà o irragionevolezza non appare al Collegio censurabile non ravvisandosi alcun vulnus ai principi richiamati dall'appellante. Anzi l'affermazione dell'appellante secondo cui "la discrezionalità del legislatore trova il limite dei parametri costituzionali" conferma la logicità della scelta legislativa della sospensione del decorso del termine prescrizionale sino alla conclusione del giudizio penale proprio in conformità ai parametri costituzionali consacrati dagli artt. 24 e 111 della Costituzione posto che l'azione contabile può prendere avvio solo in seguito alla commissione di delitti accertati con sentenza irrevocabile e deve essere suffragata da idonei elementi di prova atti ad integrare l'avvenuta lesione dell'immagine e del prestigio dell'amministrazione ed a determinarne la quantificazione, secondo comprovati parametri.
Pertanto, come già chiarito da questa Sezione, il dies a quo del termine di prescrizione deve, dunque, "essere individuato, in applicazione del principio di presunzione d'innocenza che costituisce principio di civiltà giuridica fondamentale nel nostro ordinamento e per espressa previsione di legge, nella data della sentenza irrevocabile di condanna" (I Sezione giurisdizionale centrale di appello, sent. n. 527/2022).
Inoltre, la natura processuale della disposizione, nella parte che richiede la condanna penale definitiva per agire in giudizio, ne comporta, quale logico corollario, l'applicabilità immediata anche ai giudizi riferiti a fatti commessi prima della novella legislativa e per i quali, al sopraggiungere della nuova disciplina, non era stata attivata alcuna istruttoria (II Sezione giurisdizionale centrale di appello, sent. n. 3/2023).
La circostanza, poi, che l'amministrazione possa agire, in sede penale, per il risarcimento del danno mediante costituzione di parte civile non appare dirimente ai fini dell'ipotizzata questione di legittimità costituzionale posto che la giurisdizione civile e penale, da un lato, e la giurisdizione contabile, dall'altro, sono reciprocamente indipendenti nei loro profili istituzionali, anche quando investono un medesimo fatto materiale stante l'autonomia dell'azione del Pubblico ministero contabile che riveste carattere necessario e non può essere condizionata, in senso positivo o negativo, dalle singole amministrazioni danneggiate (Corte di cassazione, Sez. un., n. 16722/2020, n. 1515/2016), rilevando l'eventuale duplicazione delle azioni in diversi sedi, ai soli fini esecutivi.
La prospettata questione di legittimità costituzionale risulta, ad avviso del Collegio, manifestamente infondata anche con riferimento ai parametri CEDU rilevato che la Corte europea dei diritti dell'uomo ha affermato non solo che la responsabilità per danno erariale non è equiparabile a quella penale, ma ha anche confermato la natura risarcitoria della responsabilità azionata dinanzi alla giurisdizione contabile (sentenza "Rigolio c. Italia" del 13 maggio 2014).
Correttamente, quindi, il Giudice di prime cure ha ritenuto infondata la questione di legittimità costituzionale della disciplina del danno all'immagine per violazione della Convenzione europea dei diritti dell'uomo precisando che «il giudizio di responsabilità amministrativa ha una funzione risarcitoria, essendo finalizzato a ristorare un pregiudizio di natura finanziaria subito dall'Amministrazione e non a tutelare interessi generali né a comminare una pena. Pertanto, detta responsabilità, non avendo natura sanzionatorio-punitiva, non è assimilabile al concetto di "sanzione penale" e, dunque, l'esercizio dell'azione contabile per gli stessi fatti per i quali è stata esercitata l'azione penale non configura alcuna violazione del principio del ne bis in idem».
Parimenti infondata risulta, ad avviso del Collegio, la tesi prospettata dall'appellante secondo cui l'attribuzione al Giudice contabile della giurisdizione in materia di danno all'immagine della pubblica amministrazione risulterebbe "foriera di irragionevole durata del giudizio". Deve, infatti, rilevarsi che non si tratta del "medesimo giudizio" ma di due distinti ed autonomi giudizi: quello penale concluso con sentenza definitiva del Giudice ordinario e quello contabile assoggettato ad un autonomo regime probatorio ed al termine di prescrizione quinquennale decorrente dalla data di passaggio in giudicato della sentenza penale. Peraltro, tali giudizi, come efficacemente rilevato dal Procuratore generale, restano distinti anche ai fini della equa riparazione per la violazione del termine ragionevole del processo, secondo la l. n. 89/2001.
Né dalla vicenda all'esame è possibile trarre specifici elementi comprovanti un'irragionevole durata processuale emergendo dagli atti che: il giudizio penale si è svolto nell'arco di circa un triennio (2016-2019); il ricorso per Cassazione proposto dal dott. D. avverso la sentenza della Corte di appello di L'Aquila veniva dichiarato inammissibile con sentenza n. 16852, depositata il 17 aprile 2019; l'invito a fornire deduzioni veniva notificato in data 21 maggio 2020, l'atto di citazione è stato depositato il 1° ottobre 2020 e la sentenza di primo grado è stata pubblicata il 18 maggio 2021, così escludendosi, in concreto, ogni eventuale doglianza circa un notevole protrarsi del giudizio penale e del giudizio contabile.
Il Collegio non reputa, inoltre, condivisibili le doglianze dell'appellante circa "la natura esclusivamente sanzionatoria del pagamento" secondo cui si tratterebbe non di un risarcimento che ripristini un patrimonio leso, ma di "una reazione configurata a mo' di contrappasso" risultando immune da censure il ragionamento logico-giuridico seguito dal Giudice di prime cure sia ai fini dell'analisi dell'antigiuridicità delle condotte tenute dall'appellante anche mediante espresso richiamo all'art. 651 c.p., sia in sede di quantificazione del danno effettuata con ricorso alla valutazione equitativa debitamente motivata con riferimento all'applicazione di criteri di natura oggettiva (inerenti alla natura del fatto, alle modalità di perpetrazione dell'evento pregiudizievole, alla eventuale reiterazione dello stesso, all'entità dell'eventuale arricchimento), di natura soggettiva (legati al ruolo rivestito dal pubblico dipendente nell'ambito della Pubblica Amministrazione) e di natura sociale (legati alla negativa impressione suscitata nell'opinione pubblica locale e anche all'interno della stessa Amministrazione, all'eventuale clamor fori e alla diffusione ed amplificazione del fatto operata dai mass-media).
Parimenti non fondato, è il motivo di gravame per vizio di ultrapetizione della sentenza impugnata. Deduce l'appellante che il Pubblico ministero contabile, con la domanda introduttiva del giudizio, aveva individuato l'amministrazione danneggiata nella Regione Abruzzo, mentre la Sezione territoriale ha disposto la condanna in favore dell'ente regionale per il servizio idrico integrato (ERSI Abruzzo) precisando di poter emendare l'originaria prospettazione sul punto senza che ciò potesse invalidare l'azione erariale.
Osserva il Collegio che, nella fattispecie in esame, non vi è stata un'erronea indicazione dell'ente che aveva subito il danno posto che il Procuratore regionale, già in sede di atto di citazione, chiariva di individuare quale amministrazione danneggiata la Regione Abruzzo poiché l'Ambito Territoriale Ottimale 4 (ATO 4) di Pescara era stato posto in liquidazione e confluito nell'Ente unico regionale ERSI Abruzzo-Ente Regionale Servizio Idrico Integrato, che, come correttamente rilevato dal Procuratore generale, è poi succeduto nei rapporti che facevano capo a detto ATO.
Come affermato dalla consolidata giurisprudenza, "l'erronea indicazione dell'Amministrazione danneggiata, quando la stessa sia univocamente individuabile dal contesto, e l'errore non incida sulla individuazione del danno erariale dedotto a fondamento della domanda risarcitoria, costituisce una falsa demonstratio che (...) non nocet, risolvendosi in un'indicazione suscettibile di essere rettificata ex officio dal giudice con la pronuncia. Ben diversa sarebbe l'ipotesi in cui venisse indicata un'amministrazione totalmente estranea alla fattispecie" (Sezione giurisdizionale d'appello per la Regione siciliana, sent. n. 156/A/2022; I Sezione giurisdizionale centrale d'appello, sent. n. 304/2013).
Al riguardo, appare evidente il nesso tra la Regione Abruzzo individuata dalla Procura regionale quale amministrazione danneggiata e l'ente regionale per il servizio idrico integrato (ERSI) costituito, con apposita legge della Regione Abruzzo (art. 1, comma 6, della l.r. 12 aprile 2011, n. 9), e volto a delimitare un ambito territoriale unico regionale coincidente con l'intero territorio regionale.
Peraltro, secondo l'impostazione degli artt. 86 e 87 del codice di giustizia contabile, l'individuazione dell'amministrazione danneggiata [art. 86, comma 2, lett. d)] non rientra tra gli elementi essenziali dell'atto introduttivo del giudizio richiesti a pena di nullità e pertanto l'erronea indicazione da parte del Pubblico ministero contabile dell'amministrazione danneggiata non si traduce in un vizio della citazione.
Inoltre, l'art. 1, comma 4, della l. 20/1994 prevede espressamente l'azione di responsabilità amministrativa anche nel caso in cui il danno sia stato cagionato ad amministrazioni o enti pubblici diversi da quelli di appartenenza (cosiddetto "danno obliquo") così confermandosi il generale principio posto a salvaguardia delle finanze pubbliche.
Anche la domanda proposta in via subordinata dall'appellante e finalizzata ad una riduzione della pretesa risarcitoria non può trovare accoglimento alla luce delle condotte dolose definitivamente accertate e del percorso motivazionale immune da censure del Giudice di primo grado che lo ha condannato al pagamento di 10.000 euro, a fronte dell'importo di 30.000 euro contestato dal Procuratore regionale per l'Abruzzo.
Conclusivamente, alla luce delle considerazioni svolte, il Collegio, assorbita ogni altra istanza, richiesta, eccezione e deduzione, definendo il giudizio, respinge l'appello proposto dal dott. Giorgio D., con conferma integrale della sentenza di primo grado. Le spese di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dei conti, Sezione prima giurisdizionale centrale d'appello, definitivamente pronunciando sul giudizio iscritto al n. 59260 del ruolo generale, respinge l'appello e, per l'effetto, conferma integralmente la sentenza impugnata.
Le spese di giudizio, a carico dell'appellante, si liquidano in euro 96,00 (novantasei/00).
Manda alla Segreteria per gli adempimenti di competenza.