Corte di cassazione
Sezione V penale
Sentenza 6 ottobre 2022, n. 209

Presidente: Vessichelli - Estensore: Morosini

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Torino ha confermato la condanna di C. Francesco per il reato [di] lesioni personali aggravate di cui agli artt. 582-585 c.p., commesso il 30 aprile 2015 e consistito nel colpire T. Nicholas con un bicchiere di vetro, cagionandogli una ferita sulla arcata zigomatica sinistra, guarita in otto giorni; con la medesima sentenza la pena è stata ridotta da mesi nove a mesi tre di reclusione.

2. Avverso l'indicata sentenza ricorre l'imputato, tramite il difensore, sviluppando due motivi.

2.1. Con il primo denuncia vizio di motivazione in punto di ritenuta responsabilità dell'imputato.

Il giudice di merito avrebbe travisato le risultanze istruttorie, non tenendo conto che il testimone S. Michael ha riferito di un "bisticcio" tra imputato e persona offesa e che l'imputato, nella immediatezza del fatto, ha riferito ai carabinieri, da lui stesso chiamati, di essersi difeso.

Tali elementi erano stati rappresentati anche al giudice di appello, che, però, avrebbe omesso di fornire una risposta al riguardo.

2.2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce violazione del divieto di reformatio in peius.

Nella determinazione del trattamento sanzionatorio, il Tribunale muove dalla pena-base di mesi nove di reclusione, che poi riduce a mesi sei ex art. 62-bis c.p.; la Corte di appello, invece, fissa la pena-base in mesi tre e giorni quindici di reclusione, che riduce di solo quindici giorni ex art. 62-bis c.p., così operando una diminuzione "proporzionalmente inferiore" rispetto a quella applicata dal primo giudice.

3. Il ricorso è stato trattato, senza intervento delle parti, nelle forme di cui all'art. 23, comma 8, l. n. 176 del 2020 e successive modifiche.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato.

2. Il primo motivo è inammissibile per un duplice ordine di ragioni.

2.1. La doglianza è affetta da genericità intrinseca, poiché non specifica quale sia il "punto" della decisione cui si riferisce l'impugnazione.

In particolare non viene chiarito se il vizio di motivazione incida sul punto della sussistenza della condotta lesiva, su quello (diverso) dell'attribuibilità del fatto all'imputato o su quello, ancora diverso, dell'omesso riconoscimento di una esimente (si intuisce una ipotetica legittima difesa).

Ne consegue che il motivo è inammissibile ai sensi degli artt. 591, comma 1, lett. c), e 581, comma 1, lett. a), c.p.p.

2.2. In secondo luogo la censura esula dal novero dei vizi deducibili ex art. 606, comma 1, c.p.p.

2.2.1. Il ricorso denuncia il vizio di travisamento della prova: «nel corso del dibattimento sono emersi alcuni indizi che, se esaminati nella loro globalità, confermano l'ipotesi ricostruttiva avanza dalla difesa».

Lamenta inoltre il mancato vaglio degli ulteriori indizi (c.d. travisamento per omissione) che deporrebbero a favore della prospettazione alternativa fornita dalla difesa in merito al verificarsi di un "bisticcio" tra imputato e persona offesa e alla reazione di "difesa" che l'imputato avrebbe riferito alle forze dell'ordine nella immediatezza del fatto.

La deduzione non risponde ai criteri che delimitano il vizio denunciato: contrasto immediatamente percepibile di una specifica risultanza istruttoria; autosufficienza del ricorso; decisività.

2.2.2. Il vizio di "travisamento della prova" (detto anche di "contraddittorietà processuale") non ricomprende il travisamento del fatto, stante la preclusione per il giudice di legittimità di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito. Il "travisamento della prova" vede circoscritta la cognizione della Corte di cassazione alla verifica dell'esatta trasposizione nel ragionamento del giudice del dato probatorio nei termini di una "fotografia", neutra e a-valutativa, del "significante", ma non del "significato", fermo il divieto di rilettura e di re-interpretazione nel merito dell'elemento di prova (Sez. 1, n. 25117 del 14 luglio 2006, Stojanovic, Rv. 234167; Sez. 5, n. 36764 del 24 maggio 2006, Bevilacqua, Rv. 234605; Sez. 5, n. 26455 del 9 giugno 2022, Dos Santos Silva, Rv. 283370).

Segnatamente, nel caso di prova dichiarativa, il dedotto travisamento deve avere un oggetto definito e non opinabile, tale da evidenziare la palese e non controvertibile difformità tra il senso intrinseco della singola dichiarazione assunta e quello che il giudice ne abbia inopinatamente tratto ed è pertanto da escludere che integri il suddetto vizio un presunto errore nella valutazione del significato probatorio della dichiarazione medesima (Sez. 5, n. 9338 del 12 dicembre 2012, dep. 2013, Maggio, Rv. 255087; Sez. 5, n. 8188 del 4 dicembre 2017, dep. 2018, Grancini, Rv. 272406).

Inoltre in tanto il travisamento del "significante" può integrare il vizio di motivazione, in quanto il dato travisato assuma rilievo decisivo nel compendio probatorio valorizzato nella sentenza di merito e nell'apparato argomentativo sviluppato sulla base di esso, sicché il riscontro del travisamento sia in grado di inficiare la tenuta complessiva del ragionamento sul quale si fonda la decisione, mettendo in luce una frattura nel nucleo essenziale della ratio decidendi della sentenza di merito.

Infine grava sul ricorrente l'onere di inequivoca individuazione e di specifica rappresentazione degli atti processuali che intende far valere, nelle forme di volta in volta più adeguate alla natura degli atti stessi, quali l'integrale esposizione e riproduzione nel ricorso, l'allegazione in copia, la precisa indicazione della collocazione dell'atto nel fascicolo del giudice, purché detti modi siano comunque tali da non costringere la Corte di cassazione ad una lettura totale degli atti.

2.2.3. Disattendendo i principi esposti, il ricorrente propone una non consentita rivalutazione delle prove raccolte; non illustra la decisività del dedotto travisamento; non adempie all'onere c.d. di autosufficienza.

La Corte di appello ha osservato che S. Michael, testimone oculare del fatto, ha riferito che l'imputato "ha preso un portacenere in vetro o un bicchiere, non ricordo, e l'ha dato in faccia a Nicholas"; la medesima Corte rileva la piena convergenza tra tale dichiarazione e le lesioni, riscontrate dal referto medico, che risultano perfettamente compatibili con la descritta dinamica dell'aggressione.

La sentenza impugnata spiega poi che nessuna emergenza processuale conferma la tesi difensiva della reazione a una aggressione; e, in tale ottica, giudica irrilevanti, ai fini della ricostruzione del fatto, alcuni accadimenti successivi (cfr. pag. 3).

A fronte di tanto il ricorso:

- propone una non consentita lettura alternativa del materiale probatorio;

- omette di chiarire la portata decisiva del dato asseritamente travisato, considerato che la teorica esistenza di un "bisticcio" e di una asserita "difesa" non sono in grado, nella loro genericità, né di escludere la sussistenza del reato e l'attribuibilità all'imputato, né di integrare l'esimente della legittima difesa che postula il pericolo attuale di un'offesa ingiusta, non altrimenti neutralizzabile se non con la condotta difensiva attuata (cfr. tra le ultime Sez. 5, n. 22040 del 21 febbraio 2020, Rondanini, Rv. 279356);

- cita gli atti processuali in modo frammentario e parziale in violazione dell'onere di inequivoca individuazione e di specifica rappresentazione degli stessi.

3. Il secondo motivo è infondato.

3.1. Il Tribunale - disapplicando l'art. 69 c.p., operando diminuzioni e aumenti in maniera caotica e incorrendo, oltretutto, nella violazione dei limiti massimi ex art. 99, comma primo, c.p. - ha calcolato la pena come segue:

- pena-base: mesi otto di reclusione;

- aumentata a mesi nove di reclusione ex art. 585 c.p.;

- diminuita per le circostanze attenuanti generiche a mesi sei di reclusione;

- ulteriormente aumentata a mesi nove per la recidiva di cui all'art. 99, comma primo, c.p.

Il giudice di secondo grado, investito dell'appello del solo imputato, ha escluso la recidiva, ha operato il giudizio di bilanciamento ritenendo prevalenti le circostanze attenuanti generiche sulla residua aggravante di cui all'art. 585 c.p. e ha rideterminato la pena come segue:

- pena-base mesi tre e giorni quindici di reclusione;

- ridotta a mesi tre di reclusione ex art. 62-bis c.p.

In tal modo, nella prospettiva del ricorrente, il giudice di secondo grado ha sì ridotto l'entità della pena complessiva, tuttavia ha operato una diminuzione per le circostanze attenuanti generiche di "soli" quindici giorni, pari a 1/7 della base di calcolo, a fronte di una determinazione del Tribunale che aveva ridotto la pena, ex art. 62-bis c.p., di mesi tre (da mesi nove a mesi sei), quindi nella misura massima consentita, corrispondente a rapporto di "proporzione" pari a 1/3.

3.2. L'eccezione sollevata dal ricorrente - che denuncia la violazione del divieto di reformatio in peius per "mancanza di proporzionalità" della riduzione ex art. 62-bis c.p. - richiede un meditato approccio ermeneutico all'istituto disciplinato dall'art. 597, commi 3 e 4, c.p.p.

3.3. Anzitutto occorre chiarire che, sotto la rubrica "cognizione del giudice di appello", l'art. 597 si occupa, in realtà, vuoi del potere cognitivo del giudice di secondo grado (richiamato in rubrica) vuoi di quello decisorio.

Al potere di cognizione sono dedicati:

- il comma 1, che sancisce il principio (parzialmente) devolutivo dell'appello («L'appello attribuisce al giudice di secondo grado la cognizione del procedimento limitatamente ai punti della decisione ai quali si riferiscono i motivi proposti»);

- il comma 5, che prevede deroghe, di natura eccezionale (cfr. Sez. un., n. 12872 del 19 gennaio 2017, Punzo, Rv. 269125), a tale principio («Con la sentenza possono essere applicate anche di ufficio la sospensione condizionale della pena, la non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale e una o più circostanze attenuanti; può essere altresì effettuato, quando occorre, il giudizio di comparazione a norma dell'articolo 69 del codice penale»), cui si aggiungono i numerosi casi di intervento di ufficio disciplinati dal codice di rito (tra cui, ad esempio, le questioni processuali rilevabili di ufficio di giurisdizione, competenza per materia, nullità, inutilizzabilità; la dichiarazione immediata di cause di non punibilità ex art. 129 c.p.p., cfr. sul punto ampiamente Sez. un., n. 22533 del 25 ottobre 2018, dep. 2019, Salerno).

Il potere decisorio è regolato dai commi 2, 3 e 4 dell'art. 597 codice di rito:

- l'appello del Pubblico Ministero attribuisce al giudice ad quem gli ampi poteri delineati nel comma 2 c.p.p.;

- a norma del comma 3, invece, ove il gravame sia proposto solo dall'imputato, opera il divieto di reformatio in peius. In tal caso, infatti, il giudice non può irrogare una pena più grave per specie o quantità, né applicare una misura di sicurezza nuova o più grave, prosciogliere l'imputato con formula meno favorevole e revocare benefici, mentre può, in ossequio al tradizionale canone iura novit curia, dare al fatto una qualificazione giuridica diversa e più grave, purché non siano superati i limiti di competenza per materia del giudice di primo grado;

- il comma 4 stabilisce che se viene accolto l'appello dell'imputato, relativo a circostanze o a reati concorrenti, anche se unificati dalla continuazione, la pena complessiva irrogata deve essere "corrispondentemente" diminuita.

L'art. 597 c.p.p. traccia, dunque, i confini dei poteri cognitivi del giudice dell'impugnazione e, entro detti limiti, ne sagoma i poteri decisori.

Le Sezioni unite, in più occasioni, hanno avuto modo di ribadire che l'individuazione della cognizione del giudice di appello nell'ambito dei motivi proposti restringe il contenuto della decisione all'accoglimento o alla reiezione di tali motivi, non consentendo di operare su punti diversi da quelli toccati dall'impugnazione (Sez. un., n. 33752 del 18 aprile 2013, Papola; Sez. un., n. 40910 del 27 settembre 2005, Morales); ciò impone che, anche in materia di trattamento sanzionatorio, la cognizione del giudice di appello si eserciti unicamente sui punti relativi alle componenti di tale trattamento a cui si riferiscono specificamente i motivi di impugnazione proposti (Sez. un., n. 7578 del 17 dicembre 2020, Acquistapace, in motivazione).

Il chiarimento offre un valido strumento per distinguere a monte, facilitandone la risoluzione, le questioni attinenti ai limiti cognitivi da quelle afferenti ai limiti decisori.

3.4. Sul tema del divieto di reformatio in peius si agita da decenni un dibattito mai sopito: «il caleidoscopio attraverso il quale si snodano le varie prospettive ermeneutiche secondo le quali si è mossa la giurisprudenza di legittimità, genera una gamma multiforme di approdi, che neppure i diversi interventi delle Sezioni unite sono valsi a ricondurre ad effettiva unità, malgrado la sostanziale assenza di contrasti espressamente dichiarati» (così Sez. un., n. 16208 del 27 marzo 2014, C., in motivazione).

La difficoltà risiede principalmente nei caratteri delle fattispecie concrete che, nella loro estrema varietà e specificità, sembrano sfuggire a una sistematizzazione organica.

Per rinvenire i capisaldi della elaborazione giurisprudenziale occorre muovere dalle pronunce delle Sezioni unite.

3.4.1. La sentenza William Morales (Sez. un., n. 40910 del 27 settembre 2005, Rv. 232066) - ponendosi espressamente in linea con le sentenze Sez. un., n. 4460 del 19 gennaio 1994, Cellerini, Rv. 196894, e Sez. un., n. 5978 del 12 maggio 1995, Pellizzoni, Rv. 201034 - ha stabilito che il divieto di reformatio in peius si riferisce non solo alla pena complessiva, ma anche ai singoli elementi che la compongono.

Secondo questa pronuncia il comma 3 dell'art. 597 c.p.p. deve essere letto in uno al successivo comma 4, che costituisce una disposizione innovativa volta a «rafforzare il divieto della reformatio in peius che, con il codice abrogato, veniva sostanzialmente eluso dalla giurisprudenza allorché lo considerava riferibile solo alla pena complessivamente inflitta, consentendo di lasciare privo di conseguenze il riconoscimento di attenuanti, l'esclusione di aggravanti o il proscioglimento da alcune delle imputazioni contestate come concorrenti».

Secondo le Sezioni unite William Morales questa lettura congiunta dei commi 3 e 4 porta ad affermare che:

- il comma 4 individua, quali elementi autonomi, pur nell'ambito della pena complessiva, sia gli aumenti o le diminuzioni apportati alla pena-base per le circostanze, sia l'aumento conseguente al riconoscimento del vincolo della continuazione;

- da tale autonomia deriva l'impossibilità di elevare la pena comminata per detti singoli elementi (circostanze e reati concorrenti anche se unificati per la continuazione), pur risultando diminuita quella complessiva a seguito dell'accoglimento dell'appello proposto con riferimento non alle circostanze o al concorso di reati, ma per altri motivi.

Nel caso esaminato dalle Sezioni unite William Morales era accaduto che la Corte di appello, investita dell'impugnazione del solo imputato, aveva escluso la circostanza aggravante di cui all'art. 80 d.P.R. n. 309 del 1990 e, pur infliggendo una pena nel complesso inferiore a quella irrogata dal Tribunale, aveva elevato l'entità della pena-base. In tale modo di procedere, alla luce del principio espresso, le Sezioni unite hanno ravvisato una violazione sia del principio del divieto della reformatio in peius, sancito dall'art. 597, commi 3 e 4, c.p.p., sia del principio devolutivo di cui al comma 1 della stessa norma di legge.

3.4.2. La sentenza Papola (Sez. un., n. 33752 del 18 aprile 2013, Rv. 255660) ha affermato che il giudice di appello, dopo aver escluso una circostanza aggravante o riconosciuto un'ulteriore circostanza attenuante in accoglimento dei motivi proposti dall'imputato, può, senza incorrere nel divieto di reformatio in peius, confermare la pena applicata in primo grado, ribadendo il giudizio di equivalenza tra le circostanze, purché questo sia accompagnato da adeguata motivazione.

La pronuncia, pur riferendosi al giudizio di bilanciamento, offre una argomentata riflessione su profili di rilievo:

- «l'obbligo di corrispondente diminuzione della pena di cui al comma 4 dell'art. 597 c.p.p. è limitato all'accoglimento dell'appello dell'imputato relativo a circostanze o reati concorrenti, ossia solo - come è lecito desumere dalla stretta correlazione tra la locuzione finale («la pena complessiva irrogata è corrispondentemente diminuita») ed il precedente riferimento ai motivi accolti («se è accolto l'appello dell'imputato relativo a circostanze o a reati concorrenti, anche se unificati per la continuazione») - ad ipotesi interessate da un metodo di calcolo comportante mere operazioni di aggiunta od eliminazione di entità autonome di pena rispetto alla pena-base»;

- «la innegabile autonomia e discrezionalità del giudizio di comparazione non sempre conduce ad attribuire un peso quantitativamente apprezzabile ad ogni elemento considerato (sicché una "alterazione" dei termini in comparazione non comporta necessariamente una "alterazione" altresì del giudizio precedentemente espresso)»;

- «una logica rigidamente ed esclusivamente matematica, comportante l'automatica riduzione della pena inflitta in primo grado, porterebbe a snaturare il giudizio di appello ed il potere di valutazione della gravità del fatto attribuito al relativo giudice».

3.4.3. La sentenza delle Sezioni unite n. 16208 del 27 marzo 2014, C., ha affermato che non viola il divieto di reformatio in peius previsto dall'art. 597 c.p.p. il giudice dell'impugnazione che, quando muta la struttura del reato continuato (come avviene quando la regiudicanda satellite diventa quella più grave o quando cambia la qualificazione giuridica), apporta per uno dei fatti unificati dall'identità del disegno criminoso un aumento maggiore rispetto a quello ritenuto dal primo giudice, pur non irrogando una pena complessivamente maggiore (Rv. 258653).

La pronuncia non si pone in contrasto con la sentenza William Morales, tuttavia ne chiarisce i presupposti di operatività e i conseguenti limiti, evidenziando, tra l'altro, che la regola dettata dalla William Morales presuppone l'identità dei parametri di raffronto.

«Se muta uno dei termini (vale a dire, una o più delle regiudicande cumulate o il relativo "bagaglio" circostanziale) oppure l'ordine di quella sequenza (la regiudicanda-satellite diviene la più grave o muta la qualificazione giuridica di quella più grave), sarà lo stesso meccanismo di unificazione a subire una "novazione" di carattere strutturale, non permettendo più di sovrapporre la nuova dimensione strutturale a quella oggetto del precedente giudizio, giacché, ove così fosse, si introdurrebbe una regola di invarianza priva di qualsiasi logica giustificazione» (Sez. un., n. 16208 del 27 marzo 2014, C., in motivazione).

«In tali casi, pertanto, l'unico elemento di confronto non può che essere rappresentato dalla pena finale, dal momento che è solo questa che "non deve essere superata" dal giudice del gravame: esattamente come non potrebbe comunque essere superata una pena determinata dal primo giudice in mitius, anche se contra legem» (Sez. un., n. 16208 del 27 marzo 2014, C., in motivazione).

3.5. Alla luce degli interventi delle Sezioni unite nel 2013 e nel 2014 si fa strada una più meditata consapevolezza:

- la regola delle Sezioni unite William Morales non è universale, essa riguarda tutte le ipotesi in cui i parametri e la sequenza di raffronto rimangano identici, in questo caso e a queste condizioni il divieto di reformatio in peius si riferisce non solo alla pena complessiva, ma anche ai singoli elementi che la compongono (vi rientra, tra gli ultimi, il caso deciso da Sez. 4, n. 34342 del 24 giugno 2021, Bovati, Rv. 281829);

- quando invece mutano i parametri e/o la sequenza, il mero raffronto "matematico" tra le componenti della pena non riesce più a fornire un adeguato criterio di verifica di una eventuale reformatio in peius, poiché, modificandosi i reciproci rapporti ponderali dei singoli elementi, salta il presupposto stesso per effettuare un utile confronto; in questo caso l'unico riferimento possibile è quello fornito dalla entità della pena complessiva (cfr. Sez. 5, n. 19366 dell'8 giugno 2020, Finizio, Rv. 279107).

3.6. Il caso oggetto del presente processo rende chiaro come non sia possibile fare ricorso alla regola delle Sezioni unite William Morales, quando mutino i parametri di raffronto; e ciò non solo nel caso di reato continuato (oggetto della sentenza Sez. un., n. 16208 del 27 marzo 2014, cit.) ma anche nel caso di unico reato interessato da vari interventi sulla pena da parte del giudice di appello (nella specie riduzione della pena-base, esclusione della recidiva, ricorso al bilanciamento, in precedenza omesso, con giudizio di prevalenza delle già concesse attenuanti sulla residua aggravante).

3.6.1. Invero la rigida applicazione del principio delle Sezioni unite William Morales (il divieto di reformatio in peius si riferisce anche ai singoli elementi che compongono la pena) condurrebbe ad applicare, sulla pena-base di mesi tre e giorni quindici di reclusione, una riduzione di pena, in valore assoluto, di mesi due pari cioè a quella indicata dal Tribunale (o addirittura di mesi tre se si volesse includere l'erroneo aumento operato dal Tribunale ex art. 585 c.p.); riduzione che, riferita alla pena-base di mesi tre e giorni quindici, supererebbe di gran lunga la riduzione massima consentita dalla legge ("fino un terzo").

Non restano allora che due opzioni:

- ipotizzare l'obbligo di mantenere la riduzione nella medesima proporzione, declinando così il principio della sentenza William Morales; in tal senso si è espressa Sez. 1, n. 45236 del 22 ottobre 2013, Stralaj, Rv. 257775, che ha ritenuto violato il divieto di reformatio in peius nel caso in cui "pur riducendo la pena-base e riconoscendo una attenuante prima non prevista, la provocazione, non di meno il giudice di appello ha errato riducendo la pena risultante, anni 18 di reclusione, non di un terzo per le attenuanti generiche come in primo grado, ma in misura inferiore";

- ritenere, invece, che quando mutino completamente i parametri e la sequenza di raffronto non valga più la regola delle Sezioni unite William Morales ma residui soltanto l'obbligo di diminuire l'entità della pena complessiva irrogata.

3.6.2. Il collegio opta per la seconda soluzione.

Non risulta percorribile la prospettiva di rispettare il rapporto di proporzione di diminuzioni (o aumenti) della pena tra le decisioni di primo e secondo grado.

Un simile approccio non trova un aggancio normativo «e men che mai un simile corollario può reputarsi derivante dal divieto che viene qui in discorso» (Sez. un., n. 16208 del 2014, in motivazione).

Se l'appello comporta un nuovo giudizio su qualche punto che si riflette sulla determinazione della pena - allo stesso modo di come il nuovo giudizio di comparazione tra circostanze, al lume delle Sezioni unite Papola (n. 33752 del 18 aprile 2013), non soffre condizionamenti in ragione di quello condotto in primo grado anche in ipotesi di eliminazione di una aggravante o di riconoscimento di una attenuante - anche il nuovo giudizio sulla entità delle diminuzioni per le circostanze attenuanti non è vincolato, né nel valore assoluto né in quello relativo (o proporzionale), dalle determinazioni assunte al riguardo dal giudice precedente.

Invero «il legislatore ha preso in considerazione, come termine di riferimento e vincolo per il nuovo giudice, soltanto la pena complessiva e non certo i singoli segmenti - o passaggi di giudizio - che hanno concorso a determinare quella pena; in tal modo finendo per accreditare la logica che il nuovo giudizio sul punto, conta solo, agli effetti che qui interessano, nel suo approdo conclusivo» (così Sez. un., n. 16208 del 2014, in motivazione).

In senso contrario al mantenimento del rapporto di proporzionalità, pur nella varietà dei casi esaminati, si sono espresse:

- Sez. 3, n. 1124 del 25 novembre 2020, dep. 2021, Marascio, Rv. 280893-01, secondo cui «Non viola il divieto di reformatio in peius la decisione del giudice di appello che, dopo aver ridotto la pena-base, operi, con riguardo all'applicazione di una circostanza aggravante già riconosciuta in primo grado, un aumento di pena inferiore, in termini assoluti, rispetto a quello calcolato in primo grado, sebbene in misura percentualmente maggiore»;

- Sez. 4, n. 20383 del 17 marzo 2021, A, Rv. 281400, secondo cui: «Non viola il divieto di reformatio in peius il giudice di appello che, a seguito di annullamento con rinvio da parte della Corte di cassazione, nel rideterminare la pena per effetto della esclusione di una circostanza aggravante indipendente, non riduca, proporzionalmente alla diminuzione della pena-base, l'aumento di pena applicato in primo grado per una circostanza comune;

- Sez. 2, n. 49208 del 30 ottobre 2019, Caggiano, Rv. 277714-01, secondo cui: «Non viola il divieto di reformatio in peius il giudice di appello che, a seguito di annullamento con rinvio da parte della Corte di cassazione, nel rideterminare la pena per effetto della esclusione di una circostanza aggravante, la riduca per un'attenuante speciale nella medesima misura (nella specie di un terzo) applicata in primo grado ancorché essa, computata proporzionalmente sulla pena-base, sia inferiore in termini assoluti a quella irrogata in primo grado».

3.6.3. La conclusione cui perviene questo collegio risponde, peraltro, a un principio generale di cui si trova eco nelle decisioni delle Sezioni unite che si sono occupate del caso in cui interviene la dichiarazione d'illegittimità costituzionale di una norma penale diversa da quella incriminatrice, incidente sulla commisurazione del trattamento sanzionatorio.

In tali ipotesi il criterio oggettivo di tipo matematico-proporzionale è stato bandito (cfr. Sez. un., n. 37107 del 26 febbraio 2015, Marcon).

Osservano le Sezioni unite Marcon che: «La necessaria "individualizzazione del trattamento sanzionatorio" dovrebbe portare ad escludere ogni automatismo, atteso che, diversamente, vi sarebbe un concreto rischio di applicazione di una pena sganciata dall'accertamento del fatto».

Le medesime Sezioni unite bocciano la tesi, coltivata in alcune decisioni delle sezioni semplici, per cui la rideterminazione della pena (in quel caso da parte del giudice dell'esecuzione) «possa avvenire in base al criterio matematico-proporzionale, realizzando una sorta di automatismo nell'individuazione della sanzione».

«Il giudice dovrà invece procedere alla rideterminazione della pena utilizzando i criteri di cui agli artt. 132 e 133 c.p., secondo i canoni dell'adeguatezza e della proporzionalità che tengano conto della nuova perimetrazione edittale» (Sez. un., n. 37107 del 26 febbraio 2015, Marcon, in motivazione).

3.7. In definitiva va affermato il seguente principio di diritto: «Nel caso di impugnazione proposta dal solo imputato, non viola il divieto di reformatio in peius la decisione del giudice di appello che, avendo mutato tutti i componenti del computo della pena per il reato ascritto (diminuito la misura della pena-base, escluso la recidiva, operato il bilanciamento, in precedenza omesso, delle attenuanti generiche sulla residua aggravante) operi, per le già applicate attenuanti generiche, una riduzione minore - sia in termini assoluti sia in termini di rapporto proporzionale - rispetto alla diminuzione operata dal primo giudice in ordine a tale componente».

Alla stregua del principio enunciato, la Corte distrettuale si è mantenuta entro i confini dei poteri decisori che competono al giudice di appello e la denunciata violazione del divieto di reformatio in peius non sussiste.

La soluzione adottata non si pone in contrasto con la sentenza delle Sezioni unite William Morales, ma si limita a tracciarne i contorni alla luce dei successivi interventi delle Sezioni unite stesse.

4. Consegue il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Alla data odierna non è ancora maturato il termine prescrizionale del reato (commesso il 30 aprile 2015) che sarebbe spirato a breve, in data 2 gennaio 2023, tenuto conto di 64 giorni di sospensione c.d. Covid per rinvio udienza del 19 marzo 2020 (cfr. Sez. un., n. 5292 del 26 novembre 2020, dep. 2021, Rv. 280432-02).

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Depositata il 5 gennaio 2023.