Consiglio di Stato
Sezione VI
Sentenza 27 dicembre 2022, n. 11317
Presidente: Tarantino - Estensore: Simeoli
FATTO E DIRITTO
1. I fatti principali, utili ai fini del decidere, sono così riassumibili:
- la signora Stefania P. è proprietaria di un appartamento sito nel territorio comunale di Latina, in via [omissis], ubicato alla scala F, piano quarto, interno n. 15, con accesso dal suo interno ad un locale tecnico di 13 mq, situato al piano superiore;
- a seguito del sopralluogo effettuato dalla Polizia locale l'11 marzo 2009 e della seguente comunicazione di avvio del procedimento dell'1 aprile 2009, in data 3 giugno 2009, veniva notificata alla signora P. l'ordinanza n. 14836/5197 del 22 maggio 2009, con cui il Comune di Latina ingiungeva la demolizione delle opere eseguite in difetto di titolo edilizio, consistenti nel cambio di destinazione d'uso, da volume tecnico a residenza, del locale posto al piano quinto, con variazione dell'altezza interna da 2,40 a circa 2,70 metri ed ampliamento da 13 mq sino a ricavarne una superficie utile complessiva di 42 mq;
- il 3 settembre 2009, l'interessata presentava l'istanza di accertamento di conformità ai sensi dell'art. 36 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, contestualmente dichiarando la corrispondenza all'attualità del medesimo stato di fatto e di diritto dell'immobile esistente al momento del rogito notarile datato 29 marzo 2007;
- ritenendo tuttavia illegittima l'ordinanza demolitoria del 22 maggio 2009, la signora P. proponeva ricorso dinanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, ponendo a fondamento dell'impugnativa le seguenti censure:
i) violazione dell'art. 3 della l. 7 agosto 1990, n. 241, per mancanza degli elementi identificativi dei presupposti di fatto e di diritto del provvedimento sanzionatorio;
ii) violazione e falsa applicazione dell'art. 33 del d.P.R. n. 380 del 2001, per avere l'Amministrazione comunale indirizzato l'ordine demolitorio a soggetto diverso dal responsabile dell'abuso;
iii) eccesso di potere per difetto di istruttoria, per non avere il Comune rilevato la conformità dell'immobile ai titoli abilitativi originariamente rilasciati;
- sennonché, in data 1° ottobre 2009, l'Amministrazione comunale riscontrava la non conformità degli interventi edilizi in questione alla disciplina urbanistica - atteso l'avvenuto incremento di volumetria -, e pertanto dichiarava improcedibile, e comunque non accoglibile, l'istanza di sanatoria presentata il 3 settembre 2009, con ordinanza prot. n. 106192 che la ricorrente impugnava con motivi aggiunti (depositati il 10 dicembre 2009), sotto i seguenti ulteriori profili:
i) violazione degli artt. 7 e 8 della l. n. 241 del 1990, per l'omessa comunicazione di avvio del procedimento;
ii) violazione dell'art. 10-bis della l. n. 241 del 1990, per il mancato preavviso di rigetto;
iii) violazione dell'art. 3 della l. n. 241 del 1990, per difetto di motivazione;
- successivamente, con provvedimento prot. n. 2315 del 12 gennaio 2010, il Comune annullava in autotutela la predetta ordinanza dell'1 ottobre 2009, gravata con motivi aggiunti, «accertato che effettivamente l'Ufficio non ha preliminarmente, alla suddetta improcedibilità, comunicato all'istante, ai sensi dell'art. 10/bis della Legge 241/1990 l'avvio del procedimento con le motivazioni ostative all'accoglimento della domanda»;
- con nota prot. n. 156612 del 20 novembre 2014, l'Amministrazione comunale dava comunicazione alla signora P. di «avvio del procedimento amministrativo finalizzato alla determinazione di improcedibilità e rigetto dell'istanza» di accertamento di conformità;
- seguiva poi l'ordinanza prot. n. 138727 del 16 ottobre 2015, recante il rigetto della domanda di sanatoria, sul fondamento che: «il fabbricato [...] sviluppa una volumetria assentita di mc 33125,08 contro i mc 33126,60 realizzabili da P.P.E. R7, pertanto non è consentito alcun incremento di volume»;
- da ultimo, con nota prot. n. 164823 del 2 dicembre 2015, l'Amministrazione comunale comunicava all'istante la riapertura del procedimento finalizzato alla demolizione delle opere abusive, concedendo il termine di quindici giorni per comprovare l'avvenuta ottemperanza all'ordinanza n. 14836/5197 del 22 maggio 2009;
- con nuovi motivi aggiunti depositati il 21 dicembre 2015, l'odierna appellante si determinava quindi ad impugnare anche tali ulteriori determinazioni del Comune di Latina, formulando censure di violazione di legge sotto diversi profili, ed in particolare impugnava:
a) l'ordinanza prot. n. 138727 del 16 ottobre 2015, lamentando: i) la violazione delle garanzie procedimentali di cui agli artt. 3, 7, 8 e 10-bis della l. n. 241 del 1990; ii) l'omesso rilievo del requisito della c.d. doppia conformità di cui all'art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001 e all'art. 22 della l.r. Lazio n. 15 del 2008;
b) la nota prot. n. 164823 del 2 dicembre 2015, deducendo: i) l'illegittimità derivata; ii) la violazione dell'art. 34 del d.P.R. n. 380 del 2001 e dell'art. 18 della l.r. Lazio n. 15 del 2008, in ambito di interventi eseguiti in parziale difformità dal titolo edilizio; iii) la violazione dell'art. 31, comma 3, del d.P.R. n. 380 del 2001 e dell'art. 15 della l.r. Lazio n. 15 del 2008, sul termine per l'adempimento spontaneo all'ordine demolitorio.
2. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, con sentenza n. 551 del 2016, ha così statuito: ha respinto il ricorso introduttivo; ha dichiarato improcedibili i motivi aggiunti depositati il 10 dicembre 2009, per sopravvenuto difetto di interesse; ha accolto i motivi aggiunti del 21 dicembre 2015, proposti avverso la nota prot. n. 164823 del 2 dicembre 2015, nella parte relativa alla mancata concessione del termine di legge per l'esecuzione dell'ordine demolitorio; ha respinto per il resto i motivi aggiunti; ha parzialmente compensato le spese del giudizio.
In particolare, il giudice di prime cure ha:
i) respinto il ricorso introduttivo, rilevando che:
«- il provvedimento è sufficientemente ed esaustivamente motivato con il richiamo ai lavori di ampliamento e di cambio di destinazione d'uso del locale tecnico ubicato al piano quinto trasformato in abitazione;
- la ricorrente ha acquistato l'immobile con atto in data 23.7.2007 comprendente di "b) locale tecnico, avente accesso dalla scala F, posto al piano quinto, distinto dal numero diciassette, con annesso terrazzo a servizio di proprietà esclusiva"; è evidente, quindi, che le opere sono state realizzate quanto essa era già proprietaria del compendio in via [omissis];
- contrariamente a quanto affermato, i lavori di ampliamento e di cambio di destinazione d'uso del locale tecnico del quinto piano non sono stati autorizzati dall'Amministrazione»;
ii) dichiarato improcedibili i motivi aggiunti depositati il 10 dicembre 2009, per sopravvenuto difetto di interesse «posto che, come spiegato nella memoria dell'11 gennaio 2016, l'Amministrazione con provvedimento prot. n. 2315 del 12.1.2010 ha annullato in autotutela la determinazione in argomento»;
iii) accolto, in quanto fondata, la censura di cui ai motivi aggiunti del 21 dicembre 2015, proposta contro la nota prot. n. 164823 del 2 dicembre 2015, «nella parte in cui concede il termine di 15 giorni dal ricevimento per la trasmissione della prova dell'avvenuta ottemperanza all'ordinanza di demolizione del 22.5.2009. Ciò in quanto, in caso di rigetto della domanda di permesso in sanatoria il termine per l'esecuzione spontanea del precedente ordine di demolizione decorre dalla conoscenza del diniego di sanatoria, nella specie coincidente con il giorno 19 ottobre 2015. Pertanto il ricorrente aveva a disposizione novanta giorni dal 19 ottobre 2015, con scadenza il 17 gennaio 2016 per la spontanea esecuzione»;
iv) rigettato per il resto i motivi aggiunti proposti nei confronti del successivo diniego dell'istanza presentata dalla ricorrente ai sensi dell'art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001, rilevando che:
«- contrariamente a quanto affermato dalla ricorrente, l'Amministrazione con nota prot. 156612 del 20.11.2014 ha comunicato l'avvio del procedimento amministrativo finalizzato alla determinazione di improcedibilità e di rigetto dell'istanza in epigrafe;
- la motivazione del provvedimento è affatto sufficiente ed esaustiva in quanto spiega con chiarezza che l'istanza non può essere accolta per mancanza dell'imprescindibile requisito della doppia conformità, posto che la volumetria realizzata in ampliamento supera il limite massimo previsto per quell'area dal P.P.E. R7;
- la dedotta violazione dell'art. 34 del D.P.R. 380/01 è inconsistente perché l'ampliamento e la trasformazione del locale tecnico posto al quinto piano è stata effettuata senza alcun titolo edilizio per cui non può argomentarsi di difformità da un titolo che non esiste»;
v) parzialmente compensato le spese del giudizio in ragione della parziale soccombenza, condannando la ricorrente alle spese e competenze del giudizio, liquidate in complessivi euro 1.500,00.
3. Avverso la predetta sentenza ha dunque proposto appello la signora Stefania P., riproponendo nella sostanza i motivi di impugnazione sollevati in primo grado e chiedendo:
a) in via principale, di accogliere il ricorso ed i motivi aggiunti proposti;
b) in via subordinata, di compensare le spese del primo grado di giudizio.
4. Si è costituito in giudizio il Comune di Latina, chiedendo che il ricorso venga dichiarato improcedibile o, comunque, respinto nel merito.
5. All'odierna udienza del 19 dicembre 2022, la causa è stata trattenuta in decisione.
6. Il primo mezzo di gravame, con il quale si chiede di accogliere il ricorso ed i motivi aggiunti proposti in primo grado, è inammissibile.
6.1. Il principio di specificità dei motivi di impugnazione posto dall'art. 101, comma 1, del c.p.a. impone che sia rivolta una critica puntuale alle ragioni poste a fondamento della sentenza impugnata.
Il fatto che l'appello sia un mezzo di gravame ad effetto devolutivo non esclude l'obbligo dell'appellante di indicare i motivi per i quali le conclusioni del primo giudice non sono condivisibili, non potendo l'impugnazione limitarsi ad una generica riproposizione degli argomenti dedotti in primo grado.
Il giudizio di appello dinanzi al giudice amministrativo è infatti una revisio prioris instantiae, i cui limiti oggettivi sono segnati dai motivi di impugnazione (si tratta di consolidati principi giurisprudenziali: cfr., ex plurimis, C.d.S., Sez. VI, 23 marzo 2022, n. 2124; Sez. II, 17 marzo 2022, n. 1947; Sez. V, 8 aprile 2021, n. 2843; Sez. V, 26 agosto 2020, n. 5208; Sez. II, 20 febbraio 2020, n. 1308).
6.2. Nel caso in esame, l'atto di appello:
i) da pagina 1 a 4, riassume la vicenda in fatto;
ii) da pagina 5 a 12, riproduce pedissequamente i motivi formulati in primo grado con il ricorso principale e i successivi motivi aggiunti;
iii) a pagina 13, nel paragrafo intitolato "Motivi di Gravame", dopo avere richiamato il contenuto dispositivo della sentenza di primo grado, si limita a dedurre che:
«[...] Restano da vagliare le statuizioni relative al ricorso principale ed alla prima parte del secondo atto di motivi aggiunti, con la quale era stata impugnato il diniego di rilascio del permesso di costruire ex art. 36 D.P.R. n. 380/01.
Sul punto la sentenza si limita a recepire la prospettazione operata dall'amministrazione resistente, rigettando apoditticamente quella proposta dalla ricorrente.
In tal senso, la presente impugnazione si traduce nella mera riproposizione dei motivi di ricorso già addotti in primo e ritenuti infondati, risolvendosi la censura avverso la sentenza nella mera censura di error in iudicando sul punto.
In tal senso si chiede dunque la riforma della sentenza con il conseguente accoglimento del ricorso e dei motivi aggiunti respinti, come sopra».
6.3. Con tutta evidenza, tale scarno impianto argomentativo non è idoneo ad assolvere l'onere di specifica impugnazione dei capi della sentenza gravata, tenuto conto che l'appellante non si propone di contrastare, né singolarmente, né complessivamente gli accertamenti e le argomentazioni sulla cui base il primo giudice ha concluso per il rigetto del ricorso.
7. Secondo l'appellante il capo della pronuncia sulle spese della sentenza impugnata sarebbe irragionevole, in quanto: «l'amministrazione è rimasta soccombente in merito al gravame inerente al secondo degli atti impugnati con il secondo atto di motivi aggiunti. Inoltre, sul piano della soccombenza virtuale, l'amministrazione è del pari rimasta soccombente con riferimento al primo atto di motivi aggiunti, divenuto improcedibile sol perché l'amministrazione ha annullato in autotutela il provvedimento impugnato. A fronte della reciproca soccombenza delle parti, il primo giudice avrebbe dovuto compensare le spese del primo grado».
La censura non può essere accolta.
7.1. Va ricordato che il giudice di primo grado esercita ampi poteri discrezionali in ordine alla statuizione sulle spese di lite, sia ai fini della condanna, sia ai fini della compensazione, con il solo limite dell'abnormità o della manifesta ingiustizia (cfr.: C.d.S., Ad. plen., 24 maggio 2007, n. 8; Sez. IV, 9 ottobre 2019, n. 6887; Sez. IV, 8 ottobre 2019, n. 6797; Sez. IV, 23 settembre 2019, n. 6352; Sez. III, 13 dicembre 2018, n. 7039).
La "manifesta abnormità", secondo l'indirizzo esegetico in commento, ricorre solo in situazioni eccezionali, identificate dalla giurisprudenza nell'erronea condanna alle spese della parte vittoriosa e nella manifesta e macroscopica eccessività o sproporzione della condanna.
Nella fattispecie in esame, la statuizione del giudice di prime cure - per cui: «[l]e spese del giudizio vengono parzialmente compensate in ragione della parziale soccombenza» - non rientra nell'anzidetta ipotesi di "manifesta abnormità", in quanto valorizza in modo ragionevole l'esito del giudizio che ha visto l'Amministrazione soccombere soltanto in relazione a profili sostanzialmente ancillari.
8. Le spese di lite del presente grado di giudizio vanno interamente compensate tra le parti, in considerazione del carattere risalente della controversia e della prevalente definizione in rito del presente giudizio di appello.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello n. 2578 del 2017, come in epigrafe proposto, lo dichiara in parte inammissibile e in parte infondato, nei termini di cui in motivazione.
Compensa interamente tra le parti le spese del secondo grado di lite.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.