Corte di cassazione
Sezione VI penale
Sentenza 30 marzo 2022, n. 35190
Presidente: Ricciarelli - Estensore: Silvestri
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di appello di Ancona ha confermato la sentenza con cui B.A. Saleh è stato condannato per i reati previsti dagli artt. 73, comma 5, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, 337 e 582 c.p.
2. Ha proposto ricorso per cassazione l'imputato articolando due motivi.
2.1. Con il primo si deduce violazione di legge processuale prevista a pena di nullità.
Si sostiene che:
- l'imputato, all'esito della convalida dell'arresto, era stato sottoposto alla misura cautelare dell'obbligo di dimora nel Comune di Martinsicuro, con prescrizione di non allontanarsi dal Comune in questione senza autorizzazione del giudice;
- il processo era stato rinviato all'udienza del 15 ottobre 2018 e l'imputato era stato autorizzato a raggiungere il Tribunale per quella udienza senza scorta e con mezzi propri;
- all'udienza del 15 ottobre 2018 - assente l'imputato, assistito da un sostituto d'ufficio - il processo fu rinviato al 5 novembre 2018, in cui, ancora assente l'imputato, il processo fu istruito, discusso, deciso.
Sul[l]a base di tale quadro di riferimento, sostiene il ricorrente che l'udienza del 5 novembre 2018 e la conseguente sentenza sarebbero nulli per la mancata partecipazione dell'imputato, il quale, non essendo stato autorizzato a raggiungere il Tribunale liberamente, avrebbe dovuto considerarsi legittimamente impedito; in particolare, sarebbe errato l'assunto della Corte di appello secondo cui, invece, l'imputato avrebbe dovuto chiedere l'autorizzazione a partecipare all'udienza, sicché, non avendolo fatto, non poteva considerarsi impedito.
Sostiene il ricorrente che quando il giudice abbia conoscenza del fatto che l'imputato è sottoposto a misura restrittiva della libertà personale che non gli consente di presenziare liberamente all'udienza, non può dichiararne l'assenza ma deve mettere l'imputato in condizioni di partecipare.
2.2. Con il secondo motivo si deduce violazione di legge processuale in relazione agli artt. 438-442 e 492 c.p.p.
Con l'atto di appello si era sostenuto che l'imputato fosse stato illegittimamente non ammesso al giudizio abbreviato perché il Tribunale aveva ritenuto che il dibattimento fosse stato aperto all'udienza del 15 ottobre 2018 e che la richiesta fosse stata invece formalizzata all'udienza del 5 novembre 2018 e, dunque, tardivamente.
Si osserva che all'udienza del 15 ottobre 2018: a) il Tribunale aveva ammesso le prove; b) successivamente il sostituto del difensore aveva chiesto un breve rinvio per formalizzare la richiesta di giudizio abbreviato; c) il Tribunale aveva rinviato il processo davanti ad altro giudice, secondo quanto previsto da una variazione tabellare.
Secondo il difensore il dibattimento non poteva considerarsi aperto all'udienza del 15 ottobre 2018, atteso che: a) la trattazione era stata differita davanti ad altro giudice; b) non vi fu nessuna dichiarazione di apertura del dibattimento, essendosi il giudice limitato ad ammettere il teste del Pubblico ministero, dopo la richiesta di questi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo di ricorso, che ha valenza assorbente, è fondato.
2. Dagli atti emerge che all'udienza del 19 luglio 2018 il processo fu rinviato all'udienza del 15 ottobre 2018 e l'imputato, sottoposto per i reati per cui [si] procede alla misura cautelare dell'obbligo di dimora nel Comune di Martinsicuro con divieto di allontanarsi dal Comune in questione senza autorizzazione del Giudice, fu autorizzato a recarsi per detta udienza a raggiungere il Tribunale senza scorta e con mezzi propri (cfr. verbale di udienza del 19 luglio 2018).
All'udienza del 15 ottobre 2018, assente l'imputato - il cui stato cautelare non era mutato - il Tribunale dispose il rinvio del processo all'udienza del 5 novembre 2018, senza nessun provvedimento volto ad assicurare la presenza dell'imputato per detta udienza.
All'udienza del 5 novembre 2018, assente l'imputato, assistito da un sostituto del suo difensore, il processo fu istruito, discusso e deciso.
3. Sulla base di tale quadro di riferimento si pone la questione del se possa considerarsi legittimamente impedito l'imputato che, sottoposto alla misura cautelare dell'obbligo di dimora in un Comune diverso da quello in cui si celebra il processo, non partecipi al suo processo per non avere richiesto al giudice di essere autorizzato a recarsi libero in udienza.
3.1. Secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale non sussiste il legittimo impedimento a comparire nel caso in cui l'imputato, sottoposto alla misura dell'obbligo di soggiorno in un Comune diverso da quello in cui si celebra il processo, non abbia chiesto l'autorizzazione al giudice competente per partecipare all'udienza; si ritiene necessario cioè che l'imputato manifesti la sua volontà di essere presente in udienza, attraverso specifica richiesta di autorizzazione.
In assenza di una specifica richiesta, si argomenta, l'Autorità Giudiziaria non può sostituirsi alla volontà dell'imputato con l'adozione di provvedimenti autorizzativi non espressamente richiesti da questi, non potendo essere interpretato il silenzio dell'interessato come una richiesta implicita a partecipare; si assume che "proprio l'ampiezza del diritto di difesa... contiene in sé, fisiologicamente, anche la facoltà dell'imputato di decidere di non essere presente ad una o più udienze, ben potendo egli rinunziare alla traduzione, nel caso in cui sia detenuto, pur avendo in precedenza dichiarato di volere essere presente, essendo detta decisione - che potrebbe essere dettata anche da specifiche strategie difensive, oltre che da personali motivazioni - del tutto insindacabile da parte dell'Autorità Giudiziaria" (così, testualmente, Sez. 5, n. 42749 del 4 luglio 2019, Fall. Società Deiulemar, Rv. 277537; nello stesso senso, tra le altre, Sez. 5, n. 20726 del 25 marzo 2014, Bevilacqua, Rv. 262823).
Secondo, dunque, l'indirizzo in esame, il diritto dell'imputato, sottoposto alla misura dell'obbligo di dimora in un Comune diverso da quello in cui si celebra il processo, di partecipare all'udienza del "suo" processo presupporrebbe una manifestazione di volontà espressa dell'interessato, in assenza della quale il Giudice, pur a conoscenza della esistenza di una situazione di obiettivo impedimento a partecipare al processo, non dovrebbe fare alcunché.
Un diritto di partecipare al processo esistente ma "assicurabile", "tutelabile" solo in presenza di una espressa richiesta di partecipazione da parte dell'interessato, il cui silenzio, invece, sarebbe sostanzialmente espressione della volontà di non partecipare all'udienza; una richiesta di partecipazione in assenza della quale dovrebbe inferirsi una sostanziale rinuncia a comparire o, comunque, una implicita manifestazione di disinteresse ad essere presente.
3.2. Si tratta di un indirizzo che non può essere condiviso.
La questione involge un diritto fondamentale.
Nell'ottica di un processo a carattere accusatorio, la partecipazione dell'imputato al "suo" processo è condizione indefettibile per il regolare esercizio della giurisdizione; essa afferisce al diritto di difesa e, perciò, non è "confiscabile", potendo al più essere oggetto di rinuncia da parte del titolare dello stesso, in presenza di una non equivoca manifestazione di volontà.
Al diritto dell'imputato di partecipare al processo è riconosciuto rango costituzionale (art. 111 Cost.): un giudizio senza imputato può essere celebrato solo a seguito di una sua chiara opzione, anche solo ragionevolmente presunta, cosciente e volontaria, cioè responsabile.
Non diversamente, è noto come sia sul versante delle norme pattizie internazionali che il principio in esame trova indefettibile affermazione [art. 6, comma 3, lett. c), d), e), della Convenzione europea dei diritti dell'uomo; art. 14, comma 3, del Patto internazionale sui diritti civili e politici, adottato a New York il 16 dicembre 1966, reso esecutivo con l. 25 ottobre 1977, n. 881, ed entrato in vigore per l'Italia il 15 dicembre 1978].
Il diritto dell'imputato di partecipare fisicamente all'udienza rappresenta un requisito fondamentale dell'equo processo, ovvero una garanzia del principio della "parità delle armi"; si tratta di un diritto non assoluto, posto che se ne ammettono tanto limitazioni dettate dall'esigenza di salvaguardare la corretta amministrazione della giustizia - qualora essa sia minacciata dall'abuso dei diritti della difesa - quanto limitazioni dipendenti da una legittima e volontaria rinuncia a comparire dinanzi al tribunale giudicante.
Le Sezioni unite hanno da tempo affermato il diritto fondamentale dell'imputato di essere presente nel giudizio in cui si decide sulla sua responsabilità, chiarendo come l'impedimento dell'imputato si atteggi in modo diverso nel giudizio ordinario e nel giudizio camerale di appello.
Nel giudizio ordinario, si è spiegato testualmente, "deve sempre essere assicurata, in mancanza di un inequivoco rifiuto, la presenza dell'imputato e quindi, in virtù della norma generale fissata dall'art. 420-ter c.p.p., qualora l'imputato non si presenti e in qualunque modo risulti (o appaia probabile) che l'assenza è dovuta ad assoluta impossibilità di comparire per caso fortuito, forza maggiore o altro legittimo impedimento, spetta al giudice disporre, anche d'ufficio, il rinvio ad una nuova udienza, senza che sia necessaria una qualche richiesta dell'imputato in tal senso".
Si è aggiunto che "qualora l'imputato sia detenuto o agli arresti domiciliari o comunque sottoposto a limitazione della libertà personale che non gli consente la presenza in udienza, poiché in tali casi è in re ipsa la presenza di un legittimo impedimento, il giudice, in qualunque modo e in qualunque tempo venga a conoscenza dello stato di restrizione della libertà, anche senza una richiesta dell'imputato deve d'ufficio rinviare il processo ad una nuova udienza e disporre la traduzione dell'imputato, a meno che, ovviamente, non vi sia stato un rifiuto dell'imputato stesso di assistere all'udienza (art. 420-quinquies)" (così Sez. un., n. 35399 del 24 giugno 2010, F., Rv. 247835).
Si tratta di affermazioni riprese ed ulteriormente sviluppate dalle Sezioni unite che, seppur pronunciandosi in relazione ad altra questione, hanno tuttavia ribadito in modo chiaro che:
- "né il testo, né lo spirito dell'articolo 6 della Convenzione impediscono ad una persona di rinunciare spontaneamente alle garanzie di un processo equo in maniera espressa o tacita (Seliwiak c. Polonia 21 luglio 2009; Kwiatkowska c. Italia, 30 novembre 2000), ma, per essere considerata efficace, la rinuncia al diritto di partecipare all'udienza deve essere stabilita in modo non equivoco (Draca c. Croazia, 20 gennaio 2022; Huzuneanu c. Italia, 1° settembre 2016; Battisti c. Francia, 12 dicembre 2006; Poitrimol, cit.) e deve essere frutto di una scelta consapevole sulle conseguenze processuali di tale decisione (Murtazaliyeva c. Russia, 18 dicembre 2018; G.C. Dvroski c. Croazia, 20 ottobre 2015; Pishchalnikov c. Russia, 24 dicembre 2009; G.C. Salduz c. Turchia, 27 novembre 2008; G.C. Seydovic c. Italia, cit.)";
- ha natura ineludibile l'accertamento "della mancanza di qualsiasi impedimento alla partecipazione su cui il giudicante possa intervenire, attesa la natura subvalente dell'efficienza del processo rispetto alla necessità di tutela del diritto alla partecipazione";
- in tal senso si giustifica l'espressa previsione "di un obbligo per il giudice di valutare, anche in chiave probabilistica, la sussistenza di un impedimento alla partecipazione, riconducibile al caso fortuito o alla forza maggiore, imposto dall'art. 420-ter, comma 2, c.p.p. ove si equipara l'accertamento dell'impedimento al dubbio sulla sua sussistenza, al fine di imporre il rinvio del procedimento".
Sulla base di tali presupposti le Sezioni unite hanno spiegato "che la conoscenza da parte del giudicante della presenza di una limitazione alla libertà... su cui sia possibile intervenire, non può essere pretermessa, se non ignorando allo stesso tempo l'evidente discrasia logica che si verrebbe a creare tra la pretesa libertà di determinazione dell'interessato, presupposto di legittimità del giudizio in assenza, e la condizione di restrizione".
Secondo le Sezioni unite "l'assenza può costituire, quindi, chiara espressione della abdicazione del diritto a partecipare solo ove non risulti in alcun modo la presenza di un impedimento e possa essere ricondotta univocamente ad una libera rinuncia dell'imputato ad esercitare il suo diritto. Tale condizione non sussiste in tutte le ipotesi nelle quali il giudice che procede ha conoscenza dell'esistenza di un impedimento dell'imputato a partecipare al processo a causa della limitazione della libertà personale e non sia stata manifestata da parte dell'interessato, in maniera inequivoca, la volontà di rinunciare a presenziare. In tal caso incombe al giudice procedente l'obbligo di esercitare, di ufficio e senza ulteriori sollecitazioni da parte dell'imputato, tutti i poteri che l'ordinamento gli conferisce al fine di assicurare la partecipazione dell'imputato non rinunciante. La difforme interpretazione si fonda sul disconoscimento della natura assoluta dell'impedimento, in quanto superabile da una manifestazione di interesse da parte dell'imputato, ma omette di considerare che tale attività, sicuramente possibile, non è però imposta dalla legge, che non pone a carico dell'imputato, citato in condizioni di libertà, e ristretto per altra causa, di attivarsi presso il giudice della cautela, o il magistrato di sorveglianza competente sulla restrizione in atto. Il dato normativo impone di escludere la legittimità di una interpretazione che appare fondata sulla configurazione della partecipazione dell'imputato come un interesse perseguibile su sua iniziativa, e non un diritto, e su esigenze di funzionalità e celerità del processo, più che sul rispetto della sua ritualità, secondo le precise scansioni dettate dalle disposizioni sul punto" (Sez. un., n. 7635 del 30 settembre 2021, dep. 2022, Costantino, Rv. 282806 e, soprattutto, in motivazione).
3.3. Si tratta di principi scolpiti chiaramente, che sembrano prescindere dalla specifica fattispecie su cui le Sezioni unite sono intervenute (ambito dell'impedimento dell'imputato agli arresti domiciliari per altra causa).
Non può essere configurata una rinuncia nei casi in cui il giudice, come nel caso di specie, abbia conoscenza dell'esistenza di un impedimento dell'imputato a partecipare al processo a causa della limitazione della libertà personale e non sia stata manifestata da parte dell'interessato, in maniera inequivoca, la volontà di non presenziare.
L'impedimento dell'imputato, sottoposto ad una misura cautelare che di fatto gli impedisce di partecipare al processo, non cessa di essere assoluto in ragione della mancata espressa attivazione dell'interessato e, dunque, della mancata espressa manifestazione di interesse a partecipare.
La situazione di diritto fondamentale dell'imputato di partecipare al "suo" processo non degrada ad interesse perseguibile a sua iniziativa, non essendo detta iniziativa imposta dalla legge.
Né è obiettivamente chiaro perché i principi affermati dalle Sezioni unite non dovrebbero applicarsi anche all'imputato sottoposto alla misura dell'obbligo di dimora in un Comune diverso da quello in cui si celebra il suo processo.
4. Il Tribunale e la Corte di appello non hanno fatto corretta applicazione di detti principi.
L'imputato era in una situazione di impedimento legittimo a comparire e detta situazione era nota al Giudice; la circostanza che l'imputato non avesse chiesto di essere autorizzato a recarsi in udienza non poteva essere ritenuta come una indiretta manifestazione di disinteresse a presenziare ovvero come una rinuncia a partecipare, e, dunque, il Giudice, era tenuto ad assicurare la presenza dell'imputato.
All'udienza del 5 novembre 2018, in cui il processo fu istruito e deciso, l'imputato doveva considerarsi legittimamente impedito; ne deriva che le sentenze emesse all'esito del giudizio di primo grado e di quello di appello, in quanto nulle, devono essere annullate con rinvio per nuovo giudizio.
Va dunque disposta la trasmissione degli atti al Tribunale di Ancona per il giudizio.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata e quella del Tribunale di Ascoli Piceno del 5 novembre 2018 e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Ascoli Piceno.
Depositata il 21 settembre 2022.