Consiglio di Stato
Sezione VI
Sentenza 4 ottobre 2022, n. 8503
Presidente: Volpe - Estensore: Toschei
FATTO E DIRITTO
1. La presente controversia, nella sede d'appello, muove dalla sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, Sez. I, 22 luglio 2021, n. 8817, con la quale è stato respinto il ricorso (n. R.g. 1691/2020) proposto dalle società Ivri s.p.a. e Biks Group s.p.a. nei confronti del provvedimento dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato (d'ora in poi, per brevità, Autorità o AGCM) n. 27993 del 12 novembre 2019 con il quale, a conclusione del procedimento I/821, l'AGCM: A) ha accertato che le società Allsystem s.p.a., Coopservice soc.coop.p.a., Italpol Vigilanza s.r.l. e MC Holding s.r.l., IVRI s.p.a., SKIBS s.r.l. e Biks Group s.p.a., Sicuritalia s.p.a. e Lomafin SGH s.p.a., hanno posto in essere un'intesa restrittiva della concorrenza contraria all'art. 101 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE), avente la finalità di condizionare gli esiti di talune gare per i servizi di vigilanza attraverso l'eliminazione del reciproco confronto concorrenziale e la spartizione dei lotti; B) ha ordinato alle parti di astenersi in futuro dal porre in essere comportamenti analoghi a quelli oggetto dell'infrazione accertata; C) ha inflitto a IVRI e a Biks (oltreché a Skibs s.r.l.), in solido tra di loro, un'ammenda di importo pari a euro 5.488.998. Insieme al provvedimento di cui sopra le società ricorrenti impugnavano anche tutti gli atti ad esso presupposti, connessi e/o conseguenziali e, in particolare: 1) il provvedimento dell'AGCM n. 27044 del 21 febbraio 2018, recante comunicazione di avvio del procedimento di infrazione; 2) il provvedimento dell'AGCM n. 27192 del 29 maggio 2018 di estensione oggettiva del procedimento; 3) la nota AGCM del 4 giugno 2019, recante comunicazione delle risultanze istruttorie.
Nei confronti della suindicata sentenza di primo grado propongono appello, per motivi sostanzialmente coincidenti e con due distinti mezzi di gravame, la società Biks Group s.p.a. (d'ora in poi, per brevità, Biks) e le società Sicuritalia s.p.a. (subentrata a Ivri s.p.a. a partire dal 1° febbraio 2021 a seguito di fusione per incorporazione della seconda nella prima) e Lomafin Sicuritalia Group Holding s.p.a.
2. In via preliminare e prima ancora di descrivere la vicenda fattuale, identica per i due ricorsi in appello, in quanto entrambi i gravami attengono alla medesima controversia e hanno quale bersaglio la stessa sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio (n. 8817/2021), deve disporsi fin d'ora (anche per motivi di logica espositiva) la riunione degli stessi.
Va a tal proposito rammentato, in via generale e per completezza espositiva, che nel processo amministrativo, con riferimento al grado di appello, sussiste l'obbligo per il giudice di disporre la riunione degli appelli allorquando questi siano proposti avverso la stessa sentenza (art. 96, comma 1, c.p.a.), mentre in tutte le altre ipotesi la riunione dei ricorsi connessi attiene ad una scelta facoltativa e discrezionale del giudice, come si desume dalla formulazione testuale dell'art. 70 c.p.a., con la conseguenza che i provvedimenti adottati al riguardo hanno carattere meramente ordinatorio, sono privi di valenza decisoria e restano conseguentemente insindacabili in sede di gravame con l'unica eccezione del caso in cui la medesima domanda sia proposta con due distinti ricorsi dinanzi al medesimo giudice (cfr., tra le ultime, C.d.S., Sez. V, 24 maggio 2018, n. 3109).
Al di là dell'obbligo di riunione dei due ricorsi in appello qui in esame, in quanto proposti nei confronti della medesima sentenza di primo grado, emerge poi, in tutta evidenza, la integrale connessione soggettiva ed oggettiva tra gli stessi, recando quali parti processuali le stesse già costituite nel giudizio di primo grado ed avendo ad oggetto la delibazione di motivi di appello dal contenuto pressoché sovrapponibile.
Deriva da quanto sopra che va disposta la riunione del ricorso in grado di appello n. R.g. 9945/2021 al ricorso in grado di appello n. R.g. 9307/2021, in quanto quest'ultimo ricorso (in appello) è stato proposto in epoca antecedente rispetto al precedente, perché siano decisi in un unico contesto processuale e ciò sia per evidenti ragioni di economicità e speditezza dei giudizi sia al fine di prevenire la possibilità (eventuale) di un contrasto tra giudicati (cfr., ancora, C.d.S., Sez. IV, 7 gennaio 2013, n. 22, e 23 luglio 2012, n. 4201).
3. Dalla documentazione versata dalle parti qui in controversia nei due gradi di giudizio con riferimento ai due contenziosi in decisione nonché dalla lettura della sentenza qui fatta oggetto di gravame, si può ricostruire la vicenda contenziosa che ha condotto a questo giudizio in sede di appello come segue:
- il 21 febbraio 2018, l'Autorità avviava un procedimento istruttorio (n. 27044) ai sensi dell'art. 14, comma 1, della l. 10 ottobre 1990, n. 287 nei confronti delle società Allsystem s.p.a. (Allsystem), Coopservice soc.coop.p.a. (Coopservice), Italpol Vigilanza s.r.l. (Italpol) e la sua controllante MC Holding s.r.l., Sicuritalia s.p.a. (Sicuritalia) e la sua controllante Lomafin SGH s.p.a., nonché l'IVRI e le sue controllanti Skibs s.r.l. e Biks Group s.p.a., per accertare eventuali violazioni dell'art. 2 l. n. 287/1990 e/o dell'art. 101 TFUE. In particolare, l'oggetto dell'indagine avviata con la suindicata comunicazione di avvio del procedimento di infrazione - successivamente estesa (ad altre procedure ad evidenza pubblica) con provvedimento dell'AGCM n. 27192 del 29 maggio 2018 - si compendiava nel verificare l'esistenza di un possibile coordinamento tra le società volto a limitare il confronto concorrenziale nella partecipazione a talune gare pubbliche per l'affidamento dei servizi di vigilanza;
- l'AGCM quindi, in data 4 giugno 2019, trasmetteva alle parti la comunicazione delle risultanze istruttorie nella quale si contestava la realizzazione di "un'intesa unica, continuata e complessa, di natura segreta e restrittiva per oggetto, che si [sarebbe] sostanziata nella partecipazione coordinata ad un rilevante numero di gare pubbliche bandite, tra il 2013 e il 2018, da stazioni appaltanti localizzate in Lombardia, Emilia Romagna e Lazio per l'affidamento di servizi di vigilanza e di servizi a questi connessi";
- nello specifico l'AGCM contestava alle suddette imprese di avere posto in essere il suindicato comportamento distorsivo della concorrenza in riferimento ai seguenti eventi: 1) cinque gare connesse all'evento Expo Milano 2015: a) la "gara Expo cantieri" del 2013, b) la "gara Expo evento" del 2015, articolatasi in due gare; c) la "gara Expo post-evento" del 2016; 2) due gare bandite dall'Azienda regionale centrale acquisti s.p.a. della Regione Lombardia ("ARCA") nel 2016 e nel 2017 per l'affidamento della fornitura del servizio di vigilanza armata in favore della Giunta regionale e degli Enti del sistema regionale, nonché in favore degli enti del Servizio sanitario regionale (gare "ARCA 1" e "ARCA 2"); 3) due gare bandite da Trenord s.r.l., rispettivamente nel 2014 per l'affidamento del servizio di vigilanza armata, fornitura kit rendi resto e raccolta incassi da impianti, biglietterie e da self service (gara "Trenord 1") e nel 2017 per la stipula di un accordo quadro per servizio di vigilanza dinamica a bordo treno ed in ambiti di stazione (gara "Trenord 2"); 4) due gare bandite dall'Azienda Intercent-ER, rispettivamente nel 2013 per l'affidamento dei servizi di vigilanza armata, portierato, manutenzione impianti antincendio e di sicurezza e controllo accessi per immobili a prevalente uso sanitario e uso ufficio e nel 2015 per l'affidamento dei servizi integrati di vigilanza armata, portierato e altri servizi per tutte le amministrazioni della Regione Emilia-Romagna e trasporto valori e contazione denaro per le Aziende Sanitarie della Regione (gare "Intercent-ER 1" e "Intercent-ER 2"); 5) gara bandita da ATAC s.p.a. di Roma nel 2015 per l'affidamento dei servizi di vigilanza armata e portierato nelle sedi ATAC;
- nello specifico, da quanto emerge dagli atti dell'istruttoria e dalla motivazione del provvedimento sanzionatorio, l'intesa in questione "si è realizzata attraverso la sistematica partecipazione in raggruppamenti temporanei di imprese (...) strumentali alla ripartizione del mercato e scollegati da motivazioni di efficienza nella fornitura del servizio. Tali RTI sono stati accompagnati in diversi casi da accordi 'collaterali' (...) di ripartizione dei lotti, nonché da accordi di subappalto";
- il procedimento I-821 si concludeva, dunque, con l'adozione del provvedimento n. 27993 del 12 novembre 2019, con il quale l'Autorità, dopo avere ritenuto che le contestazioni inerenti alla pretesa concertazione nelle gare Expo cantieri e post-evento dovessero essere abbandonate per mancanza di prove, confermava gli esiti istruttori con riferimento alle altre procedure e la relativa presenza di concertazione anticoncorrenziale, irrogando a IVRI, in solido con Biks, un'ammenda di euro 5.488.998,00;
- nei confronti del suddetto provvedimento insorgevano dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio (per quanto riguarda il contenzioso qui in esame) sia IVRI che Biks contestando numerose illegittimità relativamente allo svolgimento della procedura e alla sussistenza dei presupposti per l'adozione del provvedimento sanzionatorio nei loro confronti e chiedendone l'integrale annullamento ovvero, in subordine, la riduzione della sanzione inflitta;
- il T.A.R. per il Lazio, con la sentenza n. 8817/2021, ha respinto integralmente il ricorso confermando nella sua interezza il provvedimento impugnato.
4. Come si è già più sopra riferito, nei confronti della sentenza del T.A.R. per il Lazio n. 8817/2021 propongono ora appello sia la Biks sia le società Sicuritalia (che nel frattempo è subentrata a Ivri dal 1° febbraio 2021 a seguito di fusione per incorporazione) e Lomafin Sicuritalia Group Holding s.p.a.
Ad avviso del Collegio, per ragioni di logica espositiva, possono illustrarsi congiuntamente le censure dedotte nella sede di appello nei due giudizi, qui in esame e riuniti, da tutte le appellanti, anche per il noto principio della ragione più liquida, differenziandosi le posizioni delle richiamate appellanti solo con riferimento ad alcune delle contestazioni specificamente a loro rivolte dall'Autorità, ma non in modo tale da condizionare l'unitarietà di scrutinio del doppio contenzioso in esame.
Le società appellanti anzitutto richiamano il costante orientamento del Consiglio di Stato in virtù del quale gli atti delle Autorità amministrative indipendenti sono soggetti ad un controllo giudiziale forte ed incisivo, volto alla piena tutela delle situazioni giuridiche soggettive dedotte in controversia, in forza del quale il giudice ha "piena conoscenza del fatto e del percorso intellettivo e volitivo seguito dall'amministrazione" e ne invocano l'applicazione assumendo che il giudice di primo grado non abbia espresso la propria valutazione sul caso in esame in ossequio alla impostazione di giudizio sopra ricordata.
Nello specifico le appellanti propongono le traiettorie contestative così riassunte:
- la tardività delle contestazioni relative a due gare;
- l'erronea ricostruzione del quadro normativo e il conseguente travisamento delle dinamiche competitive del settore interessato;
- la non riconducibilità delle condotte addebitate ad un unico "piano d'insieme", con conseguente erronea applicazione dell'istituto della "intesa unica e complessa";
- il fraintendimento dei fatti e delle evidenze documentali poste alla base del provvedimento sanzionatorio adottato;
- la illogica e del tutto sproporzionata determinazione della sanzione.
5. In sintesi, i cinque motivi d'appello vengono sviluppati come segue:
- l'AGCM ha palesemente violato la disposizione di cui all'art. 14 l. 24 novembre 1981, n. 689, oltre a non avere tenuto conto nel caso di specie dei principi di ragionevolezza e di buon andamento dell'attività amministrativa, dal momento che la contestazione del presunto illecito con riguardo alle gare "Trenord 1" e EXPO è intervenuta solo il 21 febbraio 2018, sebbene l'AGCM fosse pienamente a conoscenza delle condotte oggetto d'istruttoria, nel primo caso, fin dall'8 aprile 2015 a seguito del ricevimento di una segnalazione molto circostanziata di TRENORD s.r.l. e, nel secondo, già il 13 maggio 2015 a seguito di una segnalazione del(l'allora) Presidente dell'ANAC. Il T.A.R. per il Lazio ha ritenuto infondata tale censura in quanto (così nel capo due della sentenza) "il termine decadenziale di cui all'art. 14 L. 689/1981 non trova diretta applicazione nei procedimenti antitrust (...) in quanto il richiamo operato dall'art. 31 della L. 287/1990, pur nei termini dell'applicabilità delle disposizioni del Capo I, Sez. I e II, L. 689/1981, vale ai soli fini delle sanzioni amministrative pecuniarie, ma non per la disciplina della fase istruttoria del procedimento, in relazione alla quale la fattispecie è distintamente e autonomamente regolata"; aggiungendo che, con riferimento alla fase preistruttoria, "né nell'art. 14 L. 287/1990 né nel Regolamento dell'Autorità in materia di procedure istruttorie viene individuato un termine massimo per la sua durata" e concludendo nel senso che, se è pur vero che l'Autorità ha iniziato le sue indagini a seguito delle segnalazioni (datate rispettivamente 8 aprile 2015 e 13 maggio 2015) riguardanti le gare "Trenord 1" ed "Expo 2013", tuttavia, "in tale momento i contorni dell'illecito antitrust non potevano certo considerarsi delineati, tanto che a tali segnalazioni seguivano ulteriori denunce pervenute nel mese di febbraio 2018 riguardanti la gara 'Arca' bandita nell'ottobre 2016". Le appellanti sul punto ribadiscono come, anche per un orientamento ormai costante del giudice amministrativo, la disposizione di cui all'art. 14 l. 689/1981 trova piena applicazione ai procedimenti antitrust e che, in particolare, il termine per la contestazione delle violazioni amministrative ha natura perentoria avendo la precisa funzione di garanzia di consentire un tempestivo esercizio del diritto di difesa;
- il T.A.R. per il Lazio, nella sentenza qui oggetto di appello (e segnatamente al capo 3), pur riconoscendo che il sistema delle licenze prefettizie su base territoriale caratterizzante il settore dei servizi di vigilanza nella normativa ante riforma non sia ancora del tutto superato, ha ritenuto che l'Autorità avesse correttamente concluso "con motivazione logica e coerente, che le limitazioni esistenti e le caratteristiche del mercato non erano idonee a spiegare razionalmente la condotta delle parti, tenuto conto da un lato dalla circostanza che il rilascio della licenza post riforma risultava molto più semplificato e non idoneo a giustificare la partecipazione associata alle gare e rilevando come le parti stesse avessero, in alcuni casi, partecipato alle gare in forma associata benché non possedessero la relativa licenza, presentando a tal fine esclusivamente una domanda di estensione della licenza". Le società oggi appellanti avevano sostenuto in primo grado e ribadiscono tuttora che: a) l'attività di vigilanza privata è disciplinata dal testo unico delle leggi di pubblica sicurezza 18 giugno 1931, n. 773 (t.u.l.p.s.) e all'art. 134 è sancita la regola secondo cui la prestazione dei servizi è riservata alle imprese autorizzate da un provvedimento prefettizio, che delimita l'ambito territoriale in cui gli istituti sono abilitati ad operare, nonché le tipologie di prestazioni che possono essere offerte; b) le modalità di presentazione della domanda per il rilascio della licenza sono dettate dal regolamento per l'esecuzione del t.u.l.p.s., approvato con r.d. n. 635 del 6 maggio 1940, il cui art. 257, comma 4, rinvia ulteriormente ad un decreto del Ministro dell'interno (1° dicembre 2010, n. 269); c) ai sensi del § 4.1.7 dell'All. A del decreto, "l'istituto che opera in ambito territoriale esteso (...) dovrà garantire un idoneo sistema di comunicazioni radio che consenta una reale comunicazione diretta tra la centrale operativa e il personale operativo impiegato nei servizi, con adeguato supporto planimetrico (c.d. geo-referenziazione)"; d) orbene, le sopra segnalate disposizioni (alle quali fanno seguito molte altre) disegnano un quadro di evidente onerosità e complessità della procedura per l'estensione delle licenze, tanto che ogni operatore economico del settore corre il rischio concreto di un (fatale) disallineamento tra i tempi necessari per ottenere l'estensione della licenza e i tempi di svolgimento di una procedura ad evidenza pubblica, in tutti i casi in cui l'estensione dell'area di operatività sia condizione per la partecipazione ad una gara e/o requisito per l'esecuzione del relativo contratto; e) pertanto il comportamento delle odierne appellanti non si è caratterizzato per quella contestata (dall'AGCM) e illecita operazione di spartizione del mercato, a livello geografico e per cliente storico, attraverso l'utilizzo di strumenti in sé leciti, quali il RTI e il subappalto, che venivano impropriamente adoperati con finalità distorsive della concorrenza, bensì si è sempre trattato di condotte lecite e pressoché "dovute" per consentire agli operatori di ottenere l'affidamento delle commesse pubbliche poste in gara, che per ottenere tale risultato (per le ragioni appena espresse e soprattutto per essere in possesso della licenza anche al di fuori del territorio di riferimento) non potevano non collegarsi e costituirsi in RTI, al di fuori di qualsivoglia illecita intesa, come erroneamente è stato contestato dall'Autorità;
- erra inoltre il primo giudice, sotto altro versante, a ritenere che l'AGCM abbia saputo dimostrare, nel corso dell'istruttoria e nel(la motivazione del) provvedimento sanzionatorio, come le società incolpate avessero saputo realizzare un'intesa unica, complessa e continuata, che si era sviluppata attraverso una serie di gare indette da stazioni appaltanti in Lombardia, Emilia-Romagna e Lazio, dal momento che dette società "erano unite da un medesimo disegno collusivo volto alla spartizione del mercato, a livello geografico e per cliente storico, attraverso l'utilizzo di strumenti in sé leciti, quali il RTI e il subappalto, che sono stati impropriamente adoperati con finalità distorsive della concorrenza. Il ruolo di «collante» delle condotte rivolte al comune obiettivo anticoncorrenziale è stato assegnato anche a un sistema di compensazioni reciproche e di scambio di clienti" (così nella sentenza qui oggetto di appello). Il T.A.R., a parte avere semplicisticamente riprodotto quanto assiomaticamente contenuto nel provvedimento sanzionatorio impugnato, ha mancato di verificare la presenza effettiva dei tre presupposti al cospetto dei quali la giurisprudenza, anche unionale, ritiene dimostrata la configurazione di una intesa illecita e restrittiva del mercato [vale a dire quando risultino soddisfatte le tre condizioni "tipiche": a) la dimostrazione dell'esistenza di un «piano d'insieme», avente un identico oggetto di distorsione della concorrenza; b) la prova del contributo intenzionale dell'impresa alla realizzazione degli obiettivi perseguiti da tutti i partecipanti a detto piano; c) la circostanza che l'impresa sia al corrente di tutti i comportamenti illeciti previsti o attuati dagli altri partecipanti]. Nella specie non vi è stato un "piano d'insieme", visto che le imprese in questione erano coinvolte "in differenti aggregazioni, talvolta tra loro contrapposte - avevano fatto ricorso solo nei casi in cui risultava impossibile una partecipazione individuale in quanto le gare si caratterizzavano per la particolare ampiezza dell'oggetto dell'affidamento e/o per una accentuata eterogeneità dei servizi affidati - che si rifletteva sul contenuto delle licenze prefettizie di cui dovevano essere titolari - ovvero per l'estensione del territorio, comprendente intere Regioni o ambiti ultraregionali (...)" (così, testualmente, a pag. 17 dell'atto di appello). Nell'esaminare analiticamente il ruolo ricoperto da ciascuna impresa nelle 10 gare oggetto di contestazione, è facile poi verificare come gli assunti spartitori e il collante che avrebbe caratterizzato il rapporto tra le imprese medesime, anche con riferimento al sospetto frequente ricorso al metodo del raggruppamento di imprese ovvero all'utilizzo dell'istituto del subappalto, lungi dal poter dimostrare l'accordo collusivo tra di loro, costituisce il frutto di una ricostruzione estemporanea realizzata da AGCM e spesso fondata su elementi avulsi da un reale ed effettivo collegamento e ingiustificatamente collegati tra di loro, al fine di creare una trama di rapporti deviati che in realtà trovavano una reale e lecita giustificazione nelle singole esigenze partecipative collegate alle peculiarità di ciascuna gara e di ciascun contratto da eseguire, anche in virtù dell'area geografica di riferimento;
- sotto un quarto profilo si contesta che l'Autorità abbia saputo dimostrare il carattere restrittivo "per oggetto" dell'intesa, atteso che nella specie l'istruttoria di AGCM, che avrebbe dovuto caratterizzarsi per una indagine penetrante che nella realtà è mancata, non si è mostrata idonea a valutare opportunamente se la concertazione fosse effettivamente capace - alla luce del contesto di riferimento - di consentire alle imprese di spartirsi le gare per l'affidamento dei servizi di vigilanza oggetto dell'istruttoria, così trascurando non solo la normativa unionale in materia ma anche gli orientamenti giurisprudenziali specifici in argomento;
- la motivazione che ha accompagnato la decisione del primo giudice di non accogliere la censura avente a oggetto "la carenza dei presupposti per configurare un'intesa restrittiva della concorrenza in relazione alle singole gare, con motivazione anche in questo caso molto sbrigativa, se non apparente, (...) si limita a constatare la correttezza dell'accertamento effettuato da AGCM, senza rispondere alle censure formulate in sede di ricorso" (così, testualmente, a pag. 24 dell'atto di appello). Se si esamina nello specifico la posizione delle imprese oggi appellanti con riferimento alle contestazioni svolte nei loro confronti da AGCM con riguardo a ciascuna gara, ci si accorge che la valutazione dell'Autorità è stata verosimilmente condizionata da un assiomatico e generalizzato disegno concertativo che, ad avviso della stessa, ha caratterizzato il ruolo delle imprese coinvolte con riferimento alle singole procedure a evidenza pubblica. L'errore nel quale è incorso anche il primo giudice si compendia nell'avere trascurato di considerare, con riferimento a ciascuna gara, la complessità dei servizi, la dimensione dell'appalto e i requisiti di partecipazione che risultavano essere, obiettivamente, particolarmente stringenti. Ad accrescere le difficoltà si aggiungeva la circostanza che le gare erano indette a ridosso degli eventi che avrebbero dovuto rappresentare l'oggetto del contratto di appalto da eseguirsi. Ciò contribuiva a favorire l'aggregazione degli operatori al fine di presentare, nei brevi termini fissati, un'offerta rispondente alle caratteristiche del servizio richiesto. Se, dunque, la costituzione del RTI trovava indiscutibile fondamento nella complessità dell'affidamento, diventa del tutto irrilevante ai sensi dell'art. 101 TFUE la ripartizione interna della commessa tra i componenti del RTI, come pure la sua corrispondenza a quella per la fornitura dei servizi aggiuntivi - dunque eventuali - con quelli caratterizzanti altre gare, precedenti o successive. Tutto ciò esclude che nella relazione tra imprese e gare, nell'ambito del perimetro di indagine scelto nel caso di specie dall'Autorità, possa rinvenirsi effettivamente il contestato coordinamento partecipativo in ragione di un intento spartitorio e il controllo illecito del mercato "di riferimento";
- da ultimo viene contestata l'entità della sanzione inflitta, in solido, a carico delle società appellanti, in quanto "Le condotte contestate non presentano, dunque, il carattere di segretezza previsto dal § 12 delle Linee Guida per il calcolo della sanzione (Delibera AGCM 22-10-2014, n. 25152 - le "Linee guida"), idoneo ad influire sul livello di gravità della infrazione ai sensi dell'art. 15 della l. 287/90" (così, testualmente, a pag. 46 dell'atto di appello). E ciò anche perché, "alla luce delle stesse risultanze istruttorie, le condotte controverse non hanno avuto un impatto economico 'effettivo' e non hanno prodotto 'effetti pregiudizievoli sul mercato e/o sui consumatori'. Come risulta dalle Tabelle del Provvedimento (infatti), le offerte presentate dalle Parti hanno determinato importanti risparmi per le stazioni appaltanti, che hanno ottenuto la fornitura di servizi di elevata qualità a fronte di esborsi contenuti", sicché "le condotte non hanno in alcun modo alterato le dinamiche competitive del mercato, caratterizzato da una elevatissima pressione concorrenziale" (così, testualmente, a pag. 47 dell'atto di appello). Oltre a ciò l'Autorità ha male individuato i parametri rispetto ai quali individuare l'entità della sanzione, quale ad esempio il "valore delle vendite", finendo per renderla sproporzionata, anche con riferimento al reale effetto dissuasivo che deve caratterizzare l'irrogazione della sanzione, non evidenziandosi peraltro (come invece è stato ritenuto dell'Autorità), nel caso di specie, una violazione hardcore, non assumendo nel concreto le caratteristiche che vengono assegnate generalmente a detti gravi comportamenti.
6. Si è costituita in entrambi i giudizi di appello l'AGCM (e in uno anche l'ANAC), contestando analiticamente le avverse prospettazioni perché prive di fondamento fattuale e giuridico. Nel confermare la piena legittimità della procedura sanzionatoria svolta e del provvedimento conclusivo impugnato, anche con riferimento all'entità della sanzione con esso irrogata, l'Autorità chiedeva la reiezione di ciascun mezzo di gravame proposto e la conferma della sentenza di primo grado.
Le società appellanti hanno controdedotto alla memoria "cumulativa" depositata dall'Autorità, specificando puntualmente le ragioni che rendevano i contenuti della stessa incapaci di scalfire le contestazioni mosse in sede di appello alla procedura e al provvedimento sanzionatorio nonché alla sentenza del giudice di primo grado, reiterando quindi le conclusioni già rassegnate con i precedenti atti processuali depositati.
7. Il primo motivo di appello si concentra sull'applicabilità (o meno) alle procedure sanzionatorie sviluppate dall'AGCM, con riferimento a (illecite) intese restrittive del mercato in occasione di partecipazione di operatori economici a procedure selettive per l'affidamento di commesse pubbliche, dell'art. 14 l. 689/1981, nonché in ordine al tardivo avvio, nel caso di specie, della procedura rispetto all'epoca di conoscenza dei fatti da contestarsi.
Sul punto, anche in epoca recentissima (cfr. C.d.S., Sez. VI, 9 maggio 2022, nn. 3570, 3571, 3572, i cui contenuti saranno riprodotti per ampi stralci nel prosieguo, nonché, ancora in argomento, C.d.S., Sez. VI, 8 febbraio 2022, n. 878, e 25 gennaio 2021, n. 738), la Sezione ha tracciato la linea interpretativa che ritiene più aderente al dettato normativo in materia, proprio dell'ordinamento interno e di quello eurounitario, e il Collegio ritiene di aderire convintamente a tale orientamento, al quale non vi è ragione di non confermare continuità.
In particolare:
- va premesso che le norme di principio contenute nel Capo I della l. 689/1981, tendenzialmente, sono di applicazione generale, dal momento che, in base all'art. 12, devono essere osservate con riguardo a tutte le violazioni aventi natura amministrativa per le quali è comminata la sanzione del pagamento di una somma di danaro;
- l'intento del legislatore è stato quello di assoggettare ad uno statuto unico ed esaustivo (e con un medesimo livello di prerogative e garanzie procedimentali per il soggetto inciso) tutte le ipotesi di sanzioni amministrative, sia che siano attinenti a reati depenalizzati, sia che conseguano ad illeciti qualificati ab origine come amministrativi, con la sola eccezione delle violazioni disciplinari e di quelle comportanti sanzioni non pecuniarie;
- la preventiva comunicazione e descrizione sommaria del fatto contestato con l'indicazione delle circostanze di tempo e di luogo - idonee ad assicurare, già nella fase del procedimento amministrativo anteriore all'emissione dell'ordinanza-ingiunzione, la difesa dell'interessato - attengono ai principi del contraddittorio che è garantito dalla l. 689/1981 attraverso la prescrizione di una tempestiva contestazione (ai sensi dell'art. 14, ove non si proceda alla contestazione immediata dell'addebito, "gli estremi della violazione debbono essere notificati agli interessati residenti nel territorio della Repubblica entro il termine di novanta giorni e a quelli residenti all'estero entro il termine di trecentosessanta giorni dall'accertamento");
- il su richiamato termine per la contestazione delle violazioni amministrative ha natura perentoria, avendo la precisa funzione di garantire un tempestivo esercizio del diritto di difesa;
- l'ampia portata precettiva è esclusa soltanto alla presenza di una diversa regolamentazione da parte di una fonte normativa, pari ordinata, che per il suo carattere di specialità si configuri idonea ad introdurre una deroga alla norma generale e di principio;
- ed infatti, al riguardo, l'art. 31 l. 287/1990 prevede l'applicazione delle norme generali di cui alla l. 689/1981 "in quanto applicabili";
- a propria volta il regolamento in materia di procedure istruttorie dell'Autorità (d.P.R. 30 aprile 1998, n. 217) non reca l'indicazione di alcun termine per la contestazione degli addebiti, e quindi non può far ritenere "diversamente stabilita" la scansione procedimentale e, quindi, inapplicabile il termine di cui all'art. 14 l. 689/1981 (cfr. C.d.S., Sez. VI, 10 luglio 2018, n. 4211);
- il Collegio non ignora che sovente il giudice di primo grado (e nella specie la competente Sezione del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio) ha, anche in epoca recente, offerto una diversa valutazione interpretativa del termine di cui all'art. 14 l. 689/1981 (escludendone il carattere perentorio, talvolta) e soprattutto dell'applicabilità di tale norma alla fase istruttoria della complessa operazione procedimentale che si conclude con l'adozione del provvedimento sanzionatorio da parte dell'AGCM;
- tuttavia l'esposta interpretazione, fatta propria dal Consiglio di Stato e, nella specie, da questa Sezione, deve ritenersi preferibile rispetto a quella sposata dal T.A.R., in quanto anche orientata dalla sicura ascendenza costituzionale del principio di tempestività della contestazione, posto a tutela del diritto di difesa, atteso che la soluzione proposta (oltre che rispondente al canone ermeneutico di tipo sistematico) si impone anche alla luce dell'obbligo di interpretazione conforme, quale corollario della natura sostanzialmente penale delle sanzioni antitrust e della conseguente applicabilità alla presente fattispecie dei principi fondamentali del diritto punitivo.
8. Con riferimento a tale ultimo profilo merita, per completezza, osservare sinteticamente quanto segue:
- l'art. 6 CEDU prevede che, per aversi equo processo, "ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un Tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge". Tale disposizione si applica anche in presenza di sanzioni amministrative di natura afflittiva, alle quali deve essere riconosciuta natura sostanzialmente penale (al ricorrere dei criteri a suo tempo stabiliti dalla nota sentenza Engel dell'8 giugno 1976);
- a ciò si aggiunga ancora - a confortare l'inevitabile parallelo giuridico tra sanzione penale e sanzione amministrativa - che, secondo la costante giurisprudenza europea, il principio della presunzione d'innocenza, sancito dall'art. 48, par. 1, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, si applica alle procedure che possono concludersi con pesanti sanzioni afflittive (cfr. Corte di giustizia UE, 10 novembre 2017, T-180/15);
- la presunzione di innocenza risulta, del resto, anche dall'art. 6, par. 2, della CEDU che, come è noto, contiene principi generali del diritto dell'Unione. La natura "penale" in senso convenzionale delle sanzioni irrogate dall'Autorità antitrust quindi è indubbia, tenuto conto delle finalità repressive e preventive perseguite e del fatto che l'accertamento di antitrust infringement determina, oltre all'irrogazione di pesanti sanzioni amministrative pecuniarie e alla condanna al risarcimento del danno eventualmente cagionato, anche un significativo danno reputazionale [sulla natura sostanzialmente penale delle responsabilità per violazioni delle norme sulla concorrenza cfr., ancora, Corte EDU, sentenza 27 settembre 2011, caso Menarini-Diagnostics s.r.l. c. Italia; in generale sulla nozione di pena in senso convenzionale cfr. Corte EDU, (ancora) Engel e altri contro Paesi Bassi, caso n. 5100/71, Grande Stevens e altri c. Italia, casi 18640/10, 18647/10, 18663/10, 18668/10 e 18698/10];
- non va dimenticato che proprio nella sentenza 14 marzo 2014, Grande Stevens c. Italia, la stessa Corte Edu ha ritenuto, in tema di market abuse, che la conformità con l'art. 6 CEDU non viene meno nel caso in cui una sanzione di natura penale sia inflitta da un'Autorità amministrativa, la cui decisione non soddisfi le condizioni di cui al par. 1 della norma, laddove sul provvedimento adottato sia previsto un controllo a posteriori da parte di un organo indipendente e imparziale avente giurisdizione piena. Sul punto è intervenuta anche la Corte di cassazione affermando che "in tema di sanzioni che, pur qualificate come amministrative, abbiano natura sostanzialmente penale, la garanzia del giusto processo, ex art. 6 Cedu, può essere realizzata, alternativamente, nella fase amministrativa - nel qual caso, una successiva fase giurisdizionale non sarebbe necessaria - ovvero mediante l'assoggettamento del provvedimento sanzionatorio - adottato in assenza di tali garanzie - ad un sindacato giurisdizionale pieno, di natura tendenzialmente sostitutiva ed attuato attraverso un procedimento conforme alle richiamate prescrizioni della convenzione, il quale non ha l'effetto di sanare alcuna illegittimità originaria della fase amministrativa giacché la stessa, sebbene non connotata dalle garanzie di cui al citato art. 6, è comunque rispettosa delle relative prescrizioni, per essere destinata a concludersi con un provvedimento suscettibile di controllo giurisdizionale" (cfr., in termini, Cass. civ., Sez. II, 13 gennaio 2017, n. 770, in merito a una fattispecie in tema di sanzioni applicate dalla Consob all'esito del procedimento amministrativo previsto dal d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58. Cfr., in argomento e più di recente, Cass. civ., Sez. II, 28 aprile 2022, n. 13345);
- ancor più in particolare, secondo la giurisprudenza della Corte europea, il fair trial non ha ad oggetto unicamente il processo, ma anche il procedimento amministrativo, e segnatamente: per "tribunale" deve intendersi qualunque Autorità che, pur attraverso un procedimento non formalmente qualificato come "processo" nell'ordinamento interno, adotti atti modificativi della realtà giuridica, incidenti significativamente nella sfera soggettiva di un soggetto privato, anche se tale funzione viene esercitata al di fuori di una organizzazione giurisdizionale (cfr. C.d.S., Sez. VI, 2 settembre 2019, n. 6030);
- la sanzione dell'AGCM, avuto riguardo al particolare grado di severità della stessa, può in astratto assumere natura afflittiva e sostanzialmente penale alla stregua dei criteri individuati dalla giurisprudenza;
- questa Sezione (cfr. C.d.S., Sez. VI, 26 marzo 2015, n. 1596) ha già avuto modo di affermare come, in applicazione dei principi posti dalla Corte EDU, all'interno della più ampia categoria di "accusa penale" occorre distinguere tra un diritto penale in senso stretto (hard core of criminal law) e casi non strettamente appartenenti alle categorie tradizionali del diritto penale. Deve pertanto ritenersi compatibile con l'art. 6, par. 1, della Convenzione che sanzioni "penali" siano imposte in prima istanza da un organo amministrativo - anche a conclusione di una procedura priva di carattere giudiziale, vale a dire che non offra garanzie procedurali piene di effettività del contraddittorio - purché sia assicurata una possibilità di ricorso dinnanzi ad un giudice munito di poteri di "piena giurisdizione" e, quindi, le garanzie previste dalla disposizione in questione possano attuarsi compiutamente quanto meno in sede giurisdizionale;
- la Sezione (cfr. C.d.S., Sez. VI, 15 luglio 2019, n. 4990) ha già avuto modo di approfondire la questione (tenuto anche conto delle innovazioni apportate dall'art. 7, primo comma, del d.lgs. 19 gennaio 2017, n. 3, in attuazione della direttiva 2014/104/UE), confermando per il Giudice amministrativo "il dovere di accertamento 'diretto' di tutti i fatti rilevanti ai fini del decidere, senza in alcun modo esentarlo dal contemporaneo dovere di accertamento 'critico' degli elementi valutativi lasciati indeterminati dalla fattispecie sanzionatoria";
- la conferma della compatibilità con l'art. 6, par. 1, della Convenzione di un sistema che imponga sanzioni penali in prima istanza attraverso un organo amministrativo - anche a conclusione di una procedura che non offra garanzie procedurali piene di effettività del contraddittorio alla stregua di un processo penale - purché sia assicurata una possibilità di ricorso dinnanzi ad un giudice munito di poteri di "piena giurisdizione", è stata di recente confermata dalla stessa Corte europea (Corte EDU, sentenza 10 dicembre 2020, ric. n. 68957/14-70495/13) secondo la quale: "Nel caso dei ricorsi giurisdizionali contro le sanzioni pecuniarie inflitte dall'AGCom, aventi natura penale, il giudizio del T.A.R. e del Consiglio di Stato non risulta limitato a un semplice controllo di legalità, dal momento che tali autorità possono verificare se, con riguardo alle circostanze particolari della causa, l'AGCom abbia fatto un uso appropriato dei suoi poteri, e possono esaminare la fondatezza e la proporzionalità delle scelte dell'AGCom; di conseguenza va ribadito che T.A.R. e Consiglio di Stato rispettano i requisiti di indipendenza e di imparzialità che il giudice deve possedere ai sensi dell'articolo 6 della CEDU").
9. Su queste basi, deve però precisarsi che il decorso dei novanta giorni, nella disposizione recata dall'art. 14 l. 689/1981, è ricollegato non già alla data di commissione della violazione, bensì al tempo di accertamento dell'infrazione.
Si fa riferimento non alla mera notizia del fatto ipoteticamente sanzionabile nella sua materialità, ma all'acquisizione della piena conoscenza della condotta illecita, implicante il riscontro (allo scopo di una corretta formulazione della contestazione) della sussistenza e della consistenza dell'infrazione e dei suoi effetti. Ne discende la non computabilità del periodo ragionevolmente occorso, in relazione alla complessità delle singole fattispecie, ai fini dell'acquisizione e della delibazione degli elementi necessari per una matura e legittima formulazione della contestazione (cfr. Cass. civ., Sez. II, 13 dicembre 2011, n. 26734, e 21 aprile 2009, n. 9454).
Più in dettaglio, la giurisprudenza ha affermato, in relazione al momento dal quale decorre il termine di 90 giorni stabilito all'art. 14 l. 689/1981, che:
- "i limiti temporali entro i quali, a pena di estinzione dell'obbligazione di pagamento, l'amministrazione procedente è tenuta a provvedere alla notifica della contestazione, devono ritenersi collegati all'esito del procedimento di accertamento, mentre la legittimità della durata di quest'ultimo va valutata in relazione al caso concreto e alla complessità delle indagini, e non anche alla data di commissione della violazione, dalla quale decorre il solo termine iniziale di prescrizione di cui all'art. 28 della legge 24 novembre 1981, n. 689" (così Cass. civ., Sez. VI, ord. n. 18574 del 3 settembre 2014);
- "il termine entro il quale la P.A. ha l'onere di contestare l'infrazione decorre non da quando sia venuta a conoscenza dei fatti ascritti all'incolpato, ma dal diverso e successivo termine in cui abbia acquisito tutti gli elementi oggettivi e soggettivi necessari per valutare la sussistenza di una condotta sanzionabile. Sulla individuazione di tale momento, che è rimessa al giudice del merito, non può tuttavia incidere la condotta negligente o arbitraria della stessa p.a., sicché il tardivo compimento di atti che quest'ultima avrebbe dovuto o potuto compiere tempestivamente non vale a spostare in avanti il dies a quo di decorrenza del termine di 90 giorni per la contestazione differita dell'infrazione (nella specie la p.a. aveva contestato a più soggetti la violazione delle norme in tema di misure antiriciclaggio, notificando loro il relativo verbale di accertamento a distanza di quattro mesi dal compimento delle relative operazioni; a fronte dell'impugnazione degli incolpati fondata sulla tardività della contestazione, la p.a. si era difesa allegando di avere avuto la necessità di compiere ricerche anagrafiche per accertare l'esatta residenza degli incolpati. La S.C., cassando la sentenza di merito, ha ritenuto non giustificato il ritardo)" (così Cass. civ., Sez. V, 29 febbraio 2008, n. 5467);
- e, ancora, il termine per la contestazione degli illeciti decorre "dalla data in cui l'autorità amministrativa ha completato l'attività intesa a verificare la sussistenza degli elementi oggettivi e soggettivi della violazione; compete al giudice di merito valutare la congruità del tempo utilizzato per accertamento, in relazione alla maggiore o minore difficoltà del caso, con apprezzamento incensurabile in sede di legittimità, se correttamente motivato" (così Cass. civ., Sez. II, 13 dicembre 2011, n. 26734).
Con riferimento (poi) alla natura del sindacato giurisdizionale suscitato dalla eccepita tardività della contestazione di una sanzione amministrativa, la giurisprudenza ha avuto modo di osservare che:
- "In tema di sanzioni irrogate dalla Consob, deve riconoscersi al giudice, che sia chiamato a pronunciarsi sulla tempestività della contestazione dell'illecito, la possibilità di sindacare la necessità o l'opportunità della protrazione dell'attività istruttoria, da parte dell'Amministrazione, con il compimento di atti di indagine collegati a quelli già effettuati, ove questi ultimi risultino già esaustivi ai fini dell'accertamento dell'illecito, con l'avvertenza che tale sindacato deve essere svolto ex ante - in relazione all'utilità potenziale delle ulteriori iniziative istruttorie e non già ai concreti esiti che tali iniziative abbiano effettivamente prodotto - e tenendo conto dell'interesse pubblico ad un accertamento unitario di vicende complesse e coinvolgenti plurime responsabilità, quando l'efficacia delle indagini dell'Autorità di vigilanza venga posta a repentaglio da una discovery prematura, che consegua alla parcellizzazione dei risultati dell'indagine stessa" (così Cass. civ., Sez. II, 31 maggio 2022, n. 17673);
- "Ne consegue che occorre individuare, secondo le caratteristiche e la complessità della situazione concreta, il momento in cui ragionevolmente la contestazione avrebbe potuto essere tradotta in accertamento, momento dal quale deve farsi decorrere il termine per la contestazione stessa" (così Cass. civ., Sez. II, 16 aprile 2018, n. 9254).
Il giudice avanti al quale è eccepita la tardività della contestazione, dunque, ha il potere/dovere di sindacare la congruità del tempo impiegato dall'amministrazione procedente per pervenire all'accertamento dell'illecito, sia sotto il profilo della effettiva utilità degli atti istruttori compiuti ai fini dell'accertamento, sia sotto il profilo della diligenza osservata al fine di assicurare la tempestività dell'accertamento.
Tali principi debbono trovare applicazione anche nei giudizi devoluti alla giurisdizione del giudice amministrativo, non venendo in considerazione profili di attività che costituiscano manifestazione di discrezionalità amministrativa.
Peraltro, con riferimento ai procedimenti finalizzati a sanzionare gli illeciti antitrust, i principi sopra richiamati debbono essere applicati tenendo presente la particolare articolazione di tali procedimenti, i quali sono caratterizzati dal fatto che l'AGCM ha il potere di esercitare specifici poteri istruttori, particolarmente invasivi, solo dopo aver adottato un provvedimento di formale avvio del procedimento, il quale deve già contenere una contestazione dell'illecito.
10. Come è noto, l'istruttoria dei procedimenti antitrust è regolata dagli artt. 12 e segg. l. 287/1990 nonché dal d.P.R. n. 217 del 30 aprile 1998, recante il "Regolamento in materia di procedure istruttorie di competenza dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato". Vengono in considerazione, in particolare:
- l'art. 14, comma 1, l. 287/1990, il quale stabilisce che "L'Autorità, nei casi di presunta infrazione degli articoli 101 o 102 del TFUE ovvero degli articoli 2 o 3 della presente legge, svolge l'istruttoria in tempi ragionevoli e ne notifica l'apertura alle imprese e agli enti interessati. I titolari o legali rappresentanti delle imprese ed enti hanno diritto di essere sentiti, personalmente o a mezzo di procuratore speciale, nel termine fissato contestualmente alla notifica ed hanno facoltà di presentare deduzioni e pareri in ogni stadio dell'istruttoria, nonché di essere nuovamente sentiti prima della chiusura della stessa";
- l'art. 6, commi 1 e 3, d.P.R. 217/1998, secondo cui "Il collegio, nei casi di presunta infrazione agli articoli 2, comma 2, 3 e 6, comma 1, della legge, valutate le proposte degli uffici, delibera sull'avvio dell'istruttoria di cui all'articolo 14 della legge (...). Il provvedimento di avvio dell'istruttoria deve indicare gli elementi essenziali in merito alle presunte infrazioni, il termine di conclusione del procedimento, il responsabile del procedimento, l'ufficio dove si può prendere visione degli atti del procedimento, nonché il termine entro il quale le imprese e gli enti interessati possono esercitare il diritto di essere sentiti di cui all'articolo 14, comma 1, della legge";
- l'art. 8, comma 1, d.P.R. 217/1998, secondo cui "I poteri istruttori di cui all'articolo 14, comma 2, della legge, sono esercitati a decorrere dalla notifica del provvedimento di avvio dell'istruttoria alle imprese e agli enti interessati, anche contestualmente alla notifica stessa. Nel caso che l'apertura dell'istruttoria sia stata notificata ad una pluralità di soggetti, i relativi poteri possono essere esercitati nei confronti di ciascuno di essi dal ricevimento della notifica loro indirizzata";
- l'art. 14 d.P.R. 217/1998, il quale disciplina la fase della chiusura della istruttoria prevedendo che "1. Il collegio, verificata la non manifesta infondatezza delle proposte formulate dagli uffici in relazione agli elementi probatori acquisiti, autorizza l'invio della comunicazione delle risultanze istruttorie alle imprese (...). I soggetti di cui al comma 2 possono presentare memorie scritte e documenti sino a cinque giorni prima del termine di chiusura dell'istruttoria indicato nella suddetta comunicazione (...). 5. Le imprese e gli enti interessati hanno diritto di essere sentiti dinanzi al collegio. A tal fine, essi devono far pervenire apposita richiesta entro cinque giorni dal ricevimento della comunicazione delle risultanze istruttorie. A seguito di detta richiesta, il collegio fissa la data della audizione, che è comunicata alle imprese. 6. Il collegio può inoltre sentire gli altri soggetti che hanno preso parte al procedimento, e ne facciano motivata richiesta. 7. Il collegio può sentire le imprese ed enti interessati separatamente o congiuntamente. In quest'ultimo caso si deve tenere conto dell'interesse delle imprese a che non vengano divulgati i segreti commerciali relativi alla propria attività. 8. Dell'audizione è redatto processo verbale, contenente le principali dichiarazioni rilasciate dalle parti, secondo le modalità di cui all'articolo 9. Completata l'istruttoria, il collegio adotta il provvedimento finale".
Reputa il Collegio che l'atto rispetto al quale deve essere verificata l'osservanza del termine indicato all'art. 14 l. 689/1981 deve essere identificato, nei procedimenti istruttori antitrust, con l'atto di avvio della istruttoria indicato dall'art. 14 l. 287/1990 e dall'art. 6 d.P.R. 217/1998 e ciò per la ragione che tale atto, dovendo contenere "gli elementi essenziali in merito alle presunte infrazioni" e dovendo porre i destinatari in grado di presentare, in ogni stadio dell'istruttoria, difese, da esporre in audizione o in memorie scritte o pareri, deve necessariamente enunciare anche la contestazione dell'illecito.
Va in proposito rilevato che nel disegno della l. 689/1981 il rispetto del termine di 90 giorni di cui all'art. 14 (della medesima legge) deve essere verificato con riferimento al primo atto con cui l'amministrazione effettua la contestazione, che può avvenire in vari modi. È stato affermato, ad esempio, che "In tema di sanzioni amministrative, la comunicazione della positività delle analisi, prevista dall'art. 15 della legge 24 novembre 1981, n. 689, costituisce valida ed efficace contestazione della violazione commessa, anche se non contenga l'indicazione relativa alla facoltà del trasgressore di procedere al pagamento in misura ridotta, trattandosi di una facoltà espressamente prevista dalla legge" (così Cass. civ., Sez. II, 4 marzo 2011, n. 5250). Nei procedimenti istruttori antitrust, però, l'avvio della istruttoria costituisce una tappa obbligata e ineliminabile sicché, contenendo l'enunciazione dell'illecito per cui si procede, è ad essa - e non alla comunicazione delle risultanze istruttorie - che deve farsi riferimento per verificare il rispetto del termine indicato all'art. 14 l. 689/1981.
Premesso quanto sopra, è evidente che l'accertamento dei fatti sotteso all'avvio della istruttoria, ex art. 14 l. 287/1990, non può compendiarsi in attività estremamente complesse, per la semplice ragione che l'attività istruttoria vera e propria - id est: le richieste di informazioni e documenti, le ispezioni, le perizie, le analisi statistiche ed economiche, le consultazioni di esperti, di cui agli artt. 9 e segg. d.P.R. 217/1998 - può essere posta in essere solo dopo la notifica alle parti interessate del provvedimento che dà avvio alla istruttoria (art. 14, comma 1, l. 287/1990; art. 8, comma 1, d.P.R. 217/1998).
Si inferisce da ciò che: a) prima di tale momento l'Autorità può porre in essere solo indagini di "pre-istruttoria", comunque di natura diversa da quelle indicate agli artt. 8 e segg. d.P.R. 217/1990; b) l'accertamento dei fatti sotteso alla contestazione dell'illecito, contenuto nell'avvio della istruttoria, è solo quello che si traduce nella acquisizione degli elementi necessari e sufficienti per ipotizzare, a livello di fumus, l'esistenza di una infrazione agli artt. 101 e 102 TFUE e di individuare i possibili responsabili.
Ciò significa che, in sostanza, nei procedimenti antitrust, in ragione della idoneità lesiva delle intese anticoncorrenziali e della afflittività delle sanzioni connesse alla violazione degli artt. 101 e 102 TFUE, il momento della contestazione è anticipato, rispetto a quanto può accadere nei procedimenti ordinari governati dalla l. 689/1981, (e ciò anche) al fine di vanificare l'attività del sodalizio illecito e di garantire la tempestiva instaurazione del contraddittorio; ciò ridonda anche sul sindacato finalizzato alla verifica del rispetto del termine di 90 giorni di cui all'art. 14 l. 689/1981, non potendosi giustificare la postergazione della contestazione dell'illecito con la necessità di compiere una istruttoria complessa.
Con specifico riferimento ai casi in cui un procedimento istruttorio sia avviato a seguito di una segnalazione pervenuta all'AGCM, si può desumere, dall'art. 13 l. 287/1990, che, tendenzialmente, dal momento in cui la segnalazione perviene all'AGCM decorre il termine per la contestazione dell'illecito/avvio dell'istruttoria, salvo che la segnalazione sia "incompleta" o "non veritiera". La completezza e l'attendibilità di una segnalazione, pertanto, fungono da criteri che il giudice deve applicare al fine di stabilire se una comunicazione di avvio di istruttoria sia tempestiva e pare arduo sostenere l'incompletezza o la non veridicità di una segnalazione quando l'AGCM non faccia seguire la segnalazione da alcuna attività conoscitiva, a maggior ragione quando la contestazione contenuta nell'avvio dell'istruttoria rispecchi il contenuto della segnalazione.
11. Nel caso di specie, a differenza di molti altri casi esaminati dalla Sezione caratterizzati dalla circostanza che una parte consistente del lasso temporale successivo alla acquisizione della notizia era impiegata per il completamento, da parte dell'Autorità, delle indagini intese a riscontrare la sussistenza di tutti gli elementi (oggettivi e soggettivi) della fattispecie, nella procedura qui in esame si è assistito alla seguente sequenza fatto-atto-temporale.
Nella seconda Sezione del provvedimento sanzionatorio impugnato in primo grado si legge testualmente:
- (al punto 6) che "In data 21 febbraio 2018 l'Autorità ha deliberato l'avvio di un procedimento istruttorio nei confronti delle società Coopservice S.Coop.p.A. (Coopservice), Allsystem S.p.A. (Allsystem), Istituti di Vigilanza Riuniti S.p.A. (IVRI) e le sue controllanti Skibs s.r.l. e Gruppo Biks S.p.A., Italpol Vigilanza s.r.l. (Italpol) e la sua controllante MC Holding s.r.l., Sicuritalia S.p.A. (Sicuritalia) e la sua controllante Lomafin SGH S.p.A., per accertare se tali imprese avessero posto in essere una o più intese, in violazione dell'art. 2 della legge n. 287/90 e/o art. 101 del TFUE, in occasione di alcune procedure pubbliche di affidamento del servizio di vigilanza privata (...)" e che (al punto 7) "Il procedimento, considerate in particolare le evidenze acquisite nel corso degli accertamenti ispettivi effettuati, è stato successivamente esteso oggettivamente con delibera n. 27192 del 29 maggio 2018, al fine di ricomprendere anche l'attività di coordinamento nell'offerta di servizi a soggetti pubblici e privati, nonché agli accordi aventi ad oggetto affidamenti reciproci tra le Parti";
- al successivo punto 8 del richiamato provvedimento sanzionatorio, l'AGCM chiarisce che "L'indagine ha avuto origine da varie segnalazioni in merito allo svolgimento di gare pubbliche relative all'affidamento di servizi di vigilanza. In particolare le denunce di ANIVP e ASSIV e una denuncia anonima rilevavano che la gara bandita dall'Azienda Regionale Centrale Acquisti S.p.A. (di seguito ARCA), suddivisa in 12 lotti per un totale di oltre 47 milioni di euro, era stata aggiudicata quasi nella sua totalità (11 lotti su 12) ad un Raggruppamento Temporaneo di Imprese (RTI) composto dalle principali imprese attive sul mercato: Sicuritalia, Allsystem, Italpol, IVRI. I segnalanti, in merito, hanno evidenziato la sovrabbondanza del RTI e l'anomalia derivante dal fatto che le società si sono aggiudicate la quasi totalità dei lotti messi a gara";
- poco dopo la stessa Autorità precisa che "Rilevano altresì le segnalazioni pervenute da Trenord s.r.l. (Trenord), con riferimento alla gara dalla stessa bandita nel 2014, e dall'ANAC, in relazione alla gara bandita da Expo 2015 S.p.A. nel 2013, nelle quali si evidenziavano analoghe criticità nelle modalità partecipative e negli esiti di gara, cui hanno preso parte anche le quattro imprese sopra citate, nonché, nel caso di Trenord, anche un altro tra i maggiori operatori del mercato, Coopservice. Nel corso del procedimento sono pervenute altre due segnalazioni: una anonima che segnala possibili effetti distorsivi di una futura concentrazione tra Sicuritalia e IVRI, e l'altra dell'Azienda Lombardia per l'Edilizia residenziale (ALER), che segnala un contratto per un cambio d'appalto intestato ad Italservizi 2007 che è stato firmato da Italpol";
- tuttavia nella parte "in premessa" del provvedimento sanzionatorio si legge che il relativo procedimento è sorto per effetto delle "segnalazioni dell'Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC), pervenuta il 14 maggio 2015, di Trenord s.r.l., pervenuta in data 8 aprile 2015, dell'Associazione Nazionale Istituti di Vigilanza privata e servizi fiduciari di sicurezza (ANIVP) e dell'Associazione Italiana Vigilanza e Servizi fiduciari (ASSIV) del 2 febbraio 2018, nonché la denuncia anonima del 7 febbraio 2018";
- la stessa Autorità, nelle difese prodotte in entrambi i gradi di giudizio, nonché nello stesso provvedimento sanzionatorio, fa esplicito riferimento a gare che "rientrano tra le più importanti procedure di affidamento pubblico bandite in Lombardia, Emilia Romagna e Lazio tra il 2013 e il 2017".
12. In particolare nell'esposto presentato da Trenord all'AGCM si legge, significativamente, che:
- detta società controllata (pariteticamente al 50% da Trenitalia s.p.a. e al 50% da FNM s.p.a.), che gestisce, in forza di contratto di servizio stipulato con la Regione Lombardia l'intera attività di trasporto ferroviario passeggeri suburbano e regionale della Lombardia, oltre ad alcuni collegamenti in parte esterni alla stessa Regione, riferiva di avere indetto una procedura di gara ristretta per l'affidamento per un periodo di 24 mesi del "servizio di vigilanza armata, fornitura kit rendi resto e raccolta incassi da impianti, biglietterie e da self service" per un importo complessivo a base di gara di euro 9.968.270,00 e di avere escluso Sicuritalia s.p.a., (quale mandataria di costituenda a.t.i. nonché, quali mandanti, Ivri s.p.a.; Italpol Vigilanza s.r.l.; Allsystem s.p.a.; Coopservice soc.coop.p.a.; Civis s.p.a.; Istituto di Vigilanza di Sondrio e Provincia s.r.l.; Vedetta 2 Mondialpol s.p.a.; Rangers s.r.l.; Btv s.p.a. e Mondialpol Milano s.p.a.);
- essendo stato proposto dinanzi al T.A.R. per la Lombardia ricorso giurisdizionale avverso la suddetta esclusione, Trenord trasferiva all'ANAC tutti i propri dubbi, che l'avevano condotta ad assumere il suddetto provvedimento espulsivo, circa l'esistenza di una intesa anticoncorrenziale;
- il corpo dell'esposto era caratterizzato da una puntualissima e dettagliata ricostruzione degli "elementi probatori", segnatamente con riferimento: a) all'incidenza dell'intesa su una parte rilevante del mercato nazionale; b) all'idoneità dell'intesa a restringere la concorrenza in maniera consistente; c) al fatturato (valore della produzione) per il solo 2013 e per la sola attività di vigilanza delle imprese della costituenda a.t.i. Sicuritalia (che risultava pari a circa 847 milioni di euro); d) alla circostanza che la costituenda a.t.i. facente capo a Sicuritalia rappresenta da sola, in termini di fatturato, una quota pari al 49,8% delle imprese italiane astrattamente in grado di partecipare alla gara; e) alla ulteriore circostanza che tra le ditte partecipanti alla costituenda a.t.i. Sicuritalia, in base ai dati desumibili dai bilanci 2013 e da alcune visure estratte da Trenord, risulta che vi siano almeno 5, o più probabilmente 6, delle 10 imprese italiane del settore vigilanza privata aventi oltre 1.000 dipendenti.
L'ANAC, egualmente, con significativa dovizia di particolari segnalava all'AGCM la partecipazione sospetta delle imprese qui coinvolte alla procedura per l'affidamento del servizio di vigilanza di Expo 2015.
13. Orbene, pare evidente da quanto sopra che fin dal 2015 l'Autorità era stata resa edotta, con riferimento a più di un episodio rilevante, come il mercato della vigilanza presso enti era percorso da potenziali interventi distorsivi coagulati in intese tra player leader del settore, capaci di condizionare il mercato degli appalti a loro favore tramite intese che venivano ripetute nel tempo.
Pare altrettanto evidente che tale situazione conoscitiva imponeva all'Autorità un pronto intervento istruttorio, non solo volto al fine di sanzionare i protagonisti dei comportamenti anticoncorrenziali ma, soprattutto, a tutela del mercato di riferimento e degli altri operatori economici esclusi dall'asserito collegamento illecito, nonché a tutela delle stazioni appaltanti.
Ciò, per come è documentato in atti, non è avvenuto se non dopo l'esposto anonimo (ma estremamente circostanziato e predisposto con linguaggio giuridico-economico assolutamente appropriato e denso di informazioni rilevanti): si constata, dunque, nella vicenda qui in esame, che sono trascorsi circa tre anni tra il ricevimento delle prime segnalazioni e la comunicazione dell'atto di contestazione, senza che nel frattempo l'Autorità abbia svolto alcuna attività istruttoria finalizzata a stabilirne la verità e completezza. A ciò si aggiunga che il contenuto della contestazione confluita nell'avvio della istruttoria del 21 febbraio 2018 sostanzialmente rispecchia il contenuto della segnalazione di Trenord: è vero che nell'avvio di istruttoria si fa riferimento anche alle gare ARCA, EXPO e Intercert.ER, ma questo non implica una diversa qualificazione del fatto, ma solo una maggiore estensione dell'illecito già prospettato da Trenord nella segnalazione del 2015.
Il Collegio, dunque, ritiene che - quantomeno - al fine di sanzionare la possibile intesa nelle gare bandite da Trenord, la segnalazione fosse completa e attendibile già nel 2015 e che pertanto l'atto di avvio di procedimento dovesse essere notificato entro i successivi 90 giorni, anche perché ciò non avrebbe impedito all'AGCM di estendere il procedimento ad altri soggetti o ad altre gare, sulla base della rituale acquisizione di ulteriori informazioni nel corso del procedimento.
14. Ancor più nello specifico, pure considerando "l'interesse pubblico ad un accertamento unitario di vicende complesse e coinvolgenti plurime responsabilità, quando l'efficacia delle indagini dell'Autorità di vigilanza venga posta a repentaglio da una discovery prematura, che consegua alla parcellizzazione dei risultati dell'indagine stessa", occorre sottolineare come non vi sia alcuna giustificazione plausibile del comportamento assunto nella vicenda in esame dall'Autorità che, ragionevolmente, avrebbe dovuto comunque avviare nel 2015 (fin da subito) una attività istruttoria (adottando i necessari atti consequenziali), per verificare la possibile interferenza della presunta intesa in altre gare, proprio perché aveva ricevuto le due segnalazioni da soggetti qualificati come Trenord e ANAC.
Si è detto infatti che l'AGCM, con nota n. 46749 del 20 luglio 2015, aveva chiesto ad ANAC informazioni sulle procedure ad evidenza pubblica cui avevano partecipato taluni operatori economici, primi fra essi quelli segnalati da Trenord. Analoga richiesta di informazioni era stata inviata dall'AGCM a Expo s.p.a. Tuttavia, dopo che l'ANAC aveva risposto con nota del 10 agosto 2015, AGCM non ritenne (ingiustificatamente) di svolgere alcuna ulteriore attività istruttoria.
A tutto voler concedere, per riepilogare e in conclusione, quantomeno dal 10 agosto 2015 è decorso il termine di 90 giorni ex art. 14 l. 689/1981 per contestare l'intesa nella gara Trenord. Peraltro, il fatto stesso che l'AGCM abbia chiesto informazioni anche con riferimento ad altri operatori economici e altre stazioni appaltanti, indica che essa dubitava (in senso favorevole all'ipotesi che tali fatti costituissero spie di comportamenti più estesi) della possibilità che la presunta intesa avesse condizionato altre gare oltre a quella di Trenord.
Non avendo l'AGCM allegato in giudizio alcuna spiegazione logica circa la decisione di non avviare l'istruttoria nel 2015 e quindi rimanendo incognite le ragioni di una simile decisione - che, tra l'altro, l'Autorità avrebbe dovuto far constare quantomeno in un documento interno - l'inerzia mantenuta nell'avvio del procedimento non è giustificabile.
In altri termini, leggendo gli atti dell'istruttoria e collegando tra loro eventi e tempi, il Collegio valuta che il comportamento procedimentale assunto nella specie dall'Autorità abbia "tradito" le coordinate normative recate dall'art. 14 l. 689/1981, non potendosi in alcun modo giustificare - sia nell'ottica di garantire il rispetto dei diritti difensivi, sia nell'ottica di tutelare l'interesse pubblico al sollecito ripristino del corretto assetto del mercato - il decorso di un lasso di tempo così lungo, che non risulta sia stato utilizzato dall'Autorità per approfondire le segnalazioni originarie. L'intrinseca completezza e genuinità di queste ultime risulta, così, indirettamente confermata, e ciò determina l'illegittimità della procedura poi svolta, in quanto avviata tardivamente rispetto alla piena cognizione degli elementi utili ad avviare, in modo palese, la procedura istruttoria a carico delle imprese coinvolte nell'indagine (e che si ritiene si sia realizzata dal 2015), senza che l'Autorità sia stata in grado di motivare adeguatamente le obiettive ragioni che le avrebbero imposto di non intervenire per ben un triennio dalla piena conoscenza dei fatti asseritamente illeciti, non riuscendo ad evitare l'emergere della significativa patologia istruttoria capace di compromettere anche la legittimità del provvedimento sanzionatorio conclusivo.
La rilevanza di tale patologia e la primarietà della censura dedotta in sede di appello (dopo essere stata già avanzata in primo grado), relativa al sopra segnalato rilevante deficit comportamentale, è di per sé sola in grado di travolgere l'intero procedimento e provvedimento impugnati.
15. Fermo quanto sopra e ribadito che gli appelli, siccome qui riuniti, vanno accolti in ragione della ritenuta fondatezza del motivo incentrato sulla corretta applicazione dell'art. 14 l. 689/1981 alla procedura oggetto del contenzioso qui in esame, il Collegio ritiene che, nondimeno, possa darsi qui conto anche della fondatezza del ridetto appello "nel merito" (in applicazione del noto principio giurisprudenziale della "ragione più liquida", corollario del principio di economia processuale sul quale si rimanda a: C.d.S., Ad. plen., 5 gennaio 2015, n. 5, nonché Cass., Sez. un., 12 dicembre 2014, n. 26242, e C.d.S., Sez. VI, 2 settembre 2021, n. 6209), tenuto conto che, del tutto evidentemente, il massimo soddisfacimento dell'interesse di parte appellante si persegue, nel caso di specie, anche con l'esame delle censure finalizzate a mettere in discussione la legittimità del provvedimento impugnato per motivi di "merito" e non solo procedurali.
A tal proposito il Collegio rileva che l'illegittimità del provvedimento sanzionatorio impugnato è già stata acclarata dalla Sezione con le sentenze nn. 8399 e 8400 del 30 settembre 2022, la motivazione delle quali, cui si rinvia, giustifica, in parte, la declaratoria di fondatezza dei motivi formulati sub III, IV e V (secondo l'elencazione degli stessi più sopra sintetizzata) negli atti introduttivi del presente giudizio, comportando l'annullamento del provvedimento impugnato in primo grado anche nei confronti delle odierne società appellanti; restando, quindi, assorbiti gli ulteriori motivi dedotti e, in particolare, quelli attinenti alla individuazione dell'entità della sanzione pecuniaria inflitta.
16. In ragione di tutto quanto si è sopra esposto con riferimento ai due appelli qui in esame, per come riuniti, essi vanno entrambi accolti, con conseguente riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, Sez. I, 22 luglio 2021, n. 8817, con la quale è stato respinto il ricorso (n. R.g. 1691/2020) proposto dalle società Ivri s.p.a. e Biks Group s.p.a., sicché il provvedimento dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato n. 27993 del 12 novembre 2019 va annullato per quanto di ragione.
Le spese del doppio grado di giudizio possono compensarsi tra tutte le parti in lite, con riferimento agli appelli riuniti, sussistendo i presupposti di cui all'art. 92 c.p.c., per come espressamente richiamato dall'art. 26, comma 1, c.p.a., stante la peculiarità e la complessità, sia in punto di fatto che di diritto, delle questioni oggetto di contenzioso.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sugli appelli, come in epigrafe indicati:
1) dispone la riunione del ricorso in grado di appello n. R.g. 9945/2021 al ricorso in grado di appello n. R.g. 9307/2021;
2) accoglie entrambi gli appelli e, per l'effetto, in riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, Sez. I, 22 luglio 2021, n. 8817, dispone l'annullamento per quanto di ragione del provvedimento dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato n. 27993 del 12 novembre 2019;
3) spese del doppio grado di giudizio, per i due giudizi riuniti, compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.