Corte dei conti
Sezione II centrale d'appello
Sentenza 5 agosto 2022, n. 358

Presidente ed Estensore: Acanfora

FATTO

Con la sentenza oggetto del gravame la Sezione giurisdizionale regionale calabrese di questa Corte dei conti ha accolto integralmente la domanda risarcitoria azionata dalla Procura regionale nei confronti della sig.ra Maria C., nella sua qualità di titolare della omonima azienda agricola, per il danno quantificato complessivamente in euro 227.047,58 (duecentoventissemilaquarantasette/58) in favore dell'ARCEA (Azienda Regione Calabria Erogazioni in Agricoltura) a titolo di indebita percezione di fondi comunitari per il sostegno all'agricoltura ed all'allevamento, oltre rivalutazione, secondo gli indici Istat e su base annuale, a decorrere dalla data del fatto illecito, ed agli interessi legali sulla somma rivalutata, dalla data di pubblicazione della sentenza, fino al soddisfo.

Il fatto illecito contestato scaturisce dalle indagini ispettive svolte dalla Guardia di Finanza che aveva segnalato, al termine di un'autonoma attività investigativa (denuncia di danno erariale trasmessa a mezzo pec in data 7 agosto 2019 alla Procura regionale) che la sig.ra C.:

a) aveva attestato falsamente di essere affittuaria dei terreni agricoli;

b) risultava coniuge convivente di persona sottoposta a misura di sicurezza personale e comproprietaria, col coniuge, di terreni oggetto di provvedimento di sequestro - prima - e di confisca - poi - da parte del giudice ordinario.

L'attività di indagine ha riguardato la disamina delle domande uniche di pagamento e delle domande di aiuto/pagamento relative alle campagne dal 2008 al 2017 e precisamente:

- domanda unica n. 80810254344 campagna 2008;

- domanda aiuto n. 847101117700 campagna 2008;

- domanda unica n. 90805382588 campagna 2009;

- domanda di aiuto n. 94710047302 campagna 2009;

- domanda unica n. 00807468681 campagna 2010;

- domanda aiuto n. 04710329634 campagna 2010;

- domanda unica n. 10802215540 campagna 2011;

- domanda unica n. 20805293600 campagna 2012;

- domanda unica n. 30801817567 campagna 2013;

- domanda unica n. 40806910556 campagna 2014;

- domanda di aiuto n. 44715298632 campagna 2014;

- domanda unica n. 50261997758 campagna 2015;

- domanda di aiuto n. 54715129893 campagna 2015;

- domanda unica n. 60262588076 campagna 2016;

- domanda di pagamento n. 64770120679 campagna 2016;

- domanda unica n. 70261365053 campagna 2017;

- domanda di pagamento n. 74770018112 campagna 2017.

In ordine al primo profilo di illecito - a) - l'organo requirente contabile, a fronte di anomalie riscontrate nei contratti di locazione dei terreni (n. 781 serie 3 del 13 aprile 2000, dal 20 ottobre 1999 al 20 ottobre 2007 e n. 1195 serie 3 dell'8 maggio 2008, dal 21 ottobre 2007 al 20 ottobre 2015), consistenti nella mancata rispondenza di talune firme dei proprietari ai nominativi inseriti nel testo dei contratti, provvedeva ad escutere al fine di rendere sommarie informazioni ex art. 351 c.p.p. i presunti locatari ([omissis], [omissis] marito della [omissis], [omissis], [omissis]) - verbali del 4 e 14 giugno 2019 - allegati da 12 A a 12 D alla denuncia di danno erariale).

Le sorelle [omissis] confermavano di non avere stipulato alcun contratto di affitto e/o locazione con la sig.ra Maria C. e non riconoscevano le firme apposte in calce ai contratti come proprie. La sig.ra [omissis] dichiarava finanche di non avere mai avuto rapporti di tale genere con la C. e di occuparsi personalmente del terreno con i suoi figli. Il solo coniuge della predetta [omissis], [omissis], riconosceva la firma apposta sui predetti contratti.

Sotto un altro profilo - b) - la Procura, all'esito dell'istruttoria, contestava che il Tribunale di Vibo Valentia - Sezione Misure di Prevenzione -, con provvedimenti n. 3/2011, del 7 giugno 2011 e n. 10/2012 del 20 marzo 2012, emessi nei confronti di [omissis], coniuge convivente dell'odierna appellante, aveva dapprima sequestrato e poi confiscato tutti i terreni, sia acquistati in regime di comunione dei beni tra i due coniugi, sia quelli acquistati nella misura del 50% da entrambi. La misura si estendeva anche all'azienda agricola intestata alla C., nonché a tutti i terreni a lei esclusivamente intestati, che costituivano l'omonima azienda agricola (con sede in Nicotera (VV), Contrada Gatto). Secondo il giudice penale, che recepiva il costante orientamento della Corte di cassazione, gli stessi erano da ritenersi - in quanto coniuge convivente - presuntivamente nella disponibilità di fatto del coniuge [omissis] e, quindi, acquistati coi proventi delle attività criminali dello stesso. Il sig. [omissis] era infatti gravato da numerosi procedimenti penali (uno dei quali conclusosi con sentenza emessa dalla Corte di appello di Catanzaro divenuta irrevocabile in data 1° ottobre 2009 per i reati di cui agli artt. 416-bis, commi 1, 2, 3 e 4, e artt. 110, 81, 629, commi 2 e 3, c.p. - associazione di tipo mafioso ed estorsione) e, per quanto d'interesse, della misura di prevenzione della sorveglianza speciale di P.S. per anni cinque con obbligo di soggiorno nel comune di residenza, irrogatagli con provvedimento del 14 giugno 2005, divenuto irrevocabile con sentenza del 26 novembre 2008.

Il provvedimento di confisca veniva successivamente revocato dalla Corte di appello di Catanzaro con decreto n. 74/2015, pubblicato in data 26 maggio 2015, a seguito di giudizio di appello facente seguito al rinvio disposto dalla Corte di cassazione con la sentenza n. 651 del 26 febbraio 2014.

La sig.ra C., nella memoria di costituzione, eccepiva anzitutto la prescrizione dell'azione risarcitoria, mancando, a suo avviso, qualsivoglia doloso occultamento nella condotta a lei ascritta.

Nel merito della domanda risarcitoria, come riportato nella sentenza, sosteneva, in ordine alla condotta sub a), che la stessa sig. [omissis] "in data 14.06.2019 aveva invece riferito che gli eredi [omissis] avevano affidato la gestione dei terreni ereditati al fratello maggiore, sig. [omissis], il quale aveva ricevuto mandato orale dai propri fratelli per concedere in locazione i terreni oggetto delle locazioni n. 781 serie 3 del 13.04.2000 e n. 1195 del 08.05.2008; b) che dello stesso tenore sono le dichiarazioni di [omissis], sempre il 14.06.2019 e del sig. [omissis], marito della [omissis]". Quest'ultimo in particolare, come riportato nella sentenza, "ha confermato di aver concesso in locazione all'azienda agricola C. Maria un terreno di proprietà sua e della moglie in data 13.04.2000 e poi in data 08.05.2008, riconoscendo come propria la firma apposta sull'atto" (pag. 15 della sentenza).

Pertanto, la sig.ra C. affermava che nessuna condotta di falso era a lei imputabile, avendo stipulato i contratti col defunto [omissis].

Inoltre, per la condotta sub b), eccepiva l'inefficacia nei suoi confronti dei provvedimenti interdittivi e decadenziali antimafia che avevano colpito il marito ex art. 67, comma 4, del d.lgs. n. 159/2011; quand'anche ritenuti operanti, comunque solo da quando era divenuto irrevocabile il provvedimento di applicazione della misura di prevenzione personale (25 novembre 2008), sicché comunque sarebbero legittimi i contributi pubblici relativi all'anno 2008; quanto ai decreti di sequestro e di successiva confisca emessi dal Tribunale di Vibo Valentia in ordine ad alcuni dei terreni oggetto di contribuzione, la misura di prevenzione si era conclusa con la revoca del provvedimento di confisca per cui la mancata disponibilità dei terreni le poteva essere al più contestata limitatamente alle campagne relative agli anni dal 2012 al 2014, lasciando invece impregiudicati gli anni dal 2008 al 2011 e quelli dal 2015 al 2017; relativamente ai contributi per gli anni dal 2008 al 2011, contestava la mancanza dell'occultamento doloso, con conseguente prescrizione dell'azione erariale.

Per le annualità dal 2012 al 2014 i contributi ricevuti - sosteneva sempre la sig.ra C. - erano stati materialmente gestiti dagli amministratori giudiziali nominati dal Tribunale di Vibo Valentia all'atto del sequestro, nell'ambito dell'amministrazione dell'intero compendio patrimoniale oggetto di vincolo reale, ivi compresa l'azienda agricola.

Nel corso del giudizio, la Sezione giudicante calabrese, con ordinanza istruttoria (n. 74/2020), disponeva incombenti a carico della Banca MPS filiale di Nicotera (attestare quali conti correnti fossero intestati alla convenuta e alla ditta Maria C. nel periodo compreso tra il 20 marzo 2012 - giorno di decorrenza degli effetti del provvedimento di confisca e il 26 maggio 2015 - giorno di decorrenza degli effetti del provvedimento di revoca della confisca - e chi ne avesse avuto, nel medesimo periodo, la materiale disponibilità); alla DIA di Catanzaro (quale soggetto delegato per l'esecuzione del provvedimento di confisca del Tribunale di Vibo Valentia, accertare se corrispondesse al vero che i terreni oggetto di confisca nei confronti di Maria C., nel periodo tra il 2012 e il 2015, fossero stati concretamente gestiti e da chi).

La DIA dava riscontro (nota del 12 gennaio 2021) confermando che il provvedimento di sequestro era stato emesso il 6 giugno 2011 e revocato con il d.m. n. 74/2015 del 26 maggio 2015 per cui dal 2011 al 2015 i terreni erano stati gestiti dagli amministratori giudiziari.

La Banca MPS filiale di Nicotera eseguiva l'ordinanza con nota datata 8 marzo 2021 dichiarando che era stato intestato al Fondo unico di garanzia un deposito a risparmio nominale acceso il 9 novembre 2001 a decorrere dal 17 giugno 2011 e poi re-intestato alla C. in data 28 gennaio 2016 e che il conto corrente (n. 11177.85) alla stessa intestato era stato vincolato alla confisca ed affidato anch'esso alla gestione degli amministratori giudiziari.

Il Collegio di prime cure ha anzitutto respinto l'eccezione di prescrizione dell'azione risarcitoria, rilevando che la condotta della sig.ra C. è "consistita in una serie di artifizi concretatisi in falsi contratti di locazione, in domande di aiuto comunitario su terreni a loro volta oggetto di provvedimenti di sequestro prima e di confisca poi, e dunque in assenza di disponibilità di fatto e di diritto al momento delle domande di aiuto e di contribuzione" (pag. 22) dunque sostanziante il presupposto del doloso occultamento, dal momento che ciò che in questo caso si mira ad occultare "non è il documento falsificato ma il fatto stesso della falsificazione che di per sé concretizza l'occultamento doloso del danno" (pag. 23). Pertanto, ha ancorato il dies a quo alla scoperta (art. 1, comma 2, l. n. 20/1994), vale a dire alla data della relazione finale della Guardia di Finanza, trasmessa alla Procura il 7 agosto 2019.

Nel merito, ha accertato la sussistenza di entrambe le condotte illecite.

In ordine alla prima - a) -, ha rilevato l'omessa prova che le false sottoscrizioni sarebbero state direttamente riconducibili al defunto [omissis] con cui la convenuta avrebbe negoziato; comunque, non condivisibili le affermazioni che "non si sarebbe avveduta, al momento della firma, dell'assenza dell'altro contraente" in quanto "proprio l'apposizione della firma stessa da parte di altro soggetto comprova anche l'invalidità civilistica del contratto così sottoscritto" (pag. 26).

Con riferimento alla seconda condotta - b) - ha evidenziato anzitutto l'infondatezza delle difese in quanto "le domande di aiuto relative alle campagne dal 2008 al 2011, e così quelle dal 2015 al 2017, hanno riguardato tutti i terreni condotti dalla sig.ra C. (e non soltanto quelli in comproprietà col marito), con la conseguenza che l'intera contribuzione deve essere oggetto di restituzione in quanto indebita, poiché la domanda di aiuto segue l'annualità della campagna di contribuzione, senza che rilevi diversamente la circostanza che, in relazione alla singola annualità, una parte del contributo sia legittima e una parte non lo sia" (pag. 30).

Infine, ha respinto anche le ulteriori argomentazioni difensive in ordine alla circostanza che le somme sono state, per le annualità dal 2012 al 2014, materialmente gestite dagli amministratori giudiziali nominati dal Tribunale di Vibo Valentia all'atto del sequestro, nell'ambito dell'amministrazione dell'intero compendio patrimoniale oggetto di vincolo reale, ivi compresa l'azienda agricola; con riferimento a questi ultimi contributi, di non avere avuto la materiale disponibilità delle somme nel periodo considerato.

Infine, la sentenza ha affermato il connotato doloso della condotta, con riferimento ad entrambe le condotte contestate ed il nesso causale.

La sig.ra C., con l'odierno gravame, ritualmente notificato in data 20 maggio 2021 e poi depositato in data 10 giugno 2021, ha impugnato, col patrocinio defensionale dell'avv. Giuseppe Di Renzo, la sentenza, per i seguenti motivi.

1. Violazione e/o errata interpretazione dell'art. 1, comma 2, l. n. 20/1994 ed errata mancata declaratoria della prescrizione dell'azione contabile.

L'appellante deduce che la sentenza ha errato nel respingere l'eccezione dal momento che "non è stato in alcun modo provato, infatti, che la convenuta abbia apposto le sottoscrizioni risultate false per ottenere la locazione dei terreni, e neppure che la stessa fosse a conoscenza dell'apposizione delle firme di alcuni dei comproprietari da parte del defunto sig. [omissis]. Anche qualora sia stato quest'ultimo a sottoscrivere i contratti in luogo di alcuni degli altri proprietari dei terreni, infatti - conclusione alla quale si può logicamente pervenire in considerazione delle dichiarazioni dei soggetti interessati riportate dalla Procura nel proprio atto di citazione - una simile circostanza, per di più ignorata dalla convenuta, non è sufficiente a configurare una condotta della sig.ra C. connotata da dolo e, dunque, un occultamento doloso del presunto danno". Afferma, inoltre, che "detta condotta deve essere idonea ad ingenerare una situazione obiettiva che precluda al creditore stesso la possibilità di fare valere il proprio diritto, tale cioè da comportare per l'amministrazione erogatrice un impedimento non sormontabile con gli ordinari controlli (Corte conti, Sez. giur. Liguria, n. 146/2013; Cass. n. 9113/2007)". A tale proposito, è opportuno sottolineare che, in realtà, in tema di contributi comunitari all'agricoltura, la domanda unica è immediatamente soggetta ai poteri di controllo della Autorità erogante, ai sensi degli art. 23 e seguenti del reg. (CE) n. 796/2004 della Commissione, del 21 aprile 2004, nella concreta fattispecie di competenza dell'ARCEA (pagg. 15-16).

Con riferimento alle domande sui terreni oggetto di sequestro prima e di confisca poi, quindi in assenza di materiale disponibilità, ribadisce le tesi avanzate in prime cure in ordine alla circostanza che nessun doloso occultamento può esserle contestato per il periodo 2008-2011, anteriore al sequestro, per cui la prescrizione va ancora[ta] alla data di liquidazione dei contributi.

2. Errata valutazione dei fatti ed errata valutazione dell'entità del danno erariale.

La sig.ra C. riproduce anche per questo motivo le difese rassegnate in prime cure.

Ribadisce - condotta sub a) - anzitutto di non avere motivo di dubitare della validità dei contratti di affitto conclusi con il defunto sig. [omissis] - il quale dichiarava di agire anche per conto dei fratelli e con il loro consenso - dal momento che, in forza dei predetti contratti, aveva ottenuto il possesso e l'effettiva disponibilità dei terreni ivi indicati, senza che mai sia stata avanzata alcuna contestazione da parte degli altri proprietari. Inoltre, dal punto di vista della validità dei titoli, evidenzia che, in ogni caso, la locazione di un immobile non richiede il consenso totalitario dei comproprietari, configurandosi come un atto di ordinaria amministrazione se di durata inferiore ai nove anni (Cass., Sez. un., 4 luglio 2012, n. 11135) per cui "il contratto di locazione stipulato validamente da un singolo comproprietario dell'immobile - o da alcuni dei comproprietari, come nel caso di specie - produce pienamente i propri effetti anche quando il comproprietario/locatore abbia agito superando i limiti dei poteri che gli spetterebbero ai sensi dell'art. 1105 c.c. cosicché le violazioni, commesse dal gestore, delle regole di formazione della volontà all'interno della comunione, non sono opponibili al terzo di buona fede che resta vincolato, fino alla cessazione degli effetti del contratto, al regolamento d'interessi originario, mentre, naturalmente, nei rapporti interni tra comproprietari i dissenzienti possono agire in giudizio per l'ottenimento di un sentenza di condanna al risarcimento del danno nei confronti del comproprietario locatore, tanto più ove si configuri, come nella fattispecie, un'ipotesi di falsità in scrittura privata per l'apposizione di alcune sottoscrizioni false" (pag. 16).

Con riferimento alla condotta sub b), ha riproposto sostanzialmente anche per essa le difese del primo grado e precisamente:

- l'inefficacia dei provvedimenti interdittivi e decadenziali antimafia che hanno colpito il marito ex art. 67, comma 4, del d.lgs. n. 159/2011 (doc. 3) - che, quand'anche ritenuti operanti, esplicherebbero la loro efficacia dal giorno dell'irrevocabilità del provvedimento che ha applicato la misura di prevenzione personale (25 novembre 2008), con conseguente legittimità dei contributi pubblici relativi all'anno 2008; in ogni caso, la sentenza della Corte di cassazione del 26 febbraio 2014 (n. 651) ha ritenuto fondata la censura relativa alla "mancata inclusione dei contributi AGEA tra le risorse lecite del nucleo familiare [omissis]-C." (all. 4 all'appello); la misura di prevenzione si è conclusa con la revoca del provvedimento di confisca per cui la mancata disponibilità dei terreni le poteva essere al più contestata limitatamente alle campagne relative agli anni dal 2012 al 2014, lasciando invece impregiudicati gli anni dal 2008 al 2011 e quelli dal 2015 al 2017 che, per l'effetto, dovevano considerarsi leciti e legittimamente percepiti;

- per le annualità dal 2012 al 2014, i contributi ricevuti sono stati materialmente gestiti dagli amministratori giudiziali nominati dal Tribunale di Vibo Valentia all'atto del sequestro per cui non ha avuto la materiale disponibilità delle somme nel periodo considerato, e le somme medesime, pur continuate a confluire sul conto corrente a lei intestato, sono servite a pagare il Fondo Unico Giustizia (FUG) connesso al provvedimento disposto dal Tribunale di Vibo Valentia, tanto che, una volta cessato il vincolo reale, "sostanzialmente nulla è residuato sul conto" (pag. 19);

- infine, produce agli atti di causa (all. 5) la richiesta al GIP di sequestro preventivo diretto ovvero per equivalente ex artt. 321, comma 2 e ss., c.p.p., 640-quater e 322-ter c.p., 19 e 53 d.lgs. n. 231/2001, del 9 novembre 2020 in cui la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Vibo Valentia ha evidenziato come le condotte relative agli anni dal 2010 al 2013 si siano estinte per intervenuta prescrizione.

In definitiva, la sig.ra C. ha rassegnato le seguenti conclusioni:

- in via preliminare, dichiarare l'intervenuta prescrizione dell'azione di risarcimento del danno erariale con riferimento agli importi oggetto delle domande uniche di pagamento e di aiuto relative agli anni dal 2008 al 2014 o, in subordine, con riferimento ai predetti importi, decurtati delle somme ricevute per i contributi comunitari relativi ai terreni oggetto di confisca per gli anni dal 2012-2014;

- rigettare, in ogni caso, la domanda di condanna proposta dalla Procura erariale; in via gradata, ridurre la richiesta di condanna in esercizio del potere riduttivo nella sua massima estensione; il tutto, con ogni conseguenziale statuizione in ordine alle spese di lite.

La Procura generale ha depositato in data 23 giugno 2022 la memoria conclusionale in cui ha evidenziato, in via preliminare, l'infondatezza dell'eccezione di prescrizione in quanto, con riferimento ad entrambe le condotte, è palese il doloso occultamento per cui l'ARCEA, "ai sensi dell'art. 2935 del c.c., non avrebbe potuto conoscere né la falsità delle sottoscrizioni degli asseriti locatori, né la condizione soggettiva del coniuge dell'appellante, tutte situazioni ricostruite con pazienza dal Nucleo operativo locale della Guardia di finanza" (pag. 7).

Nel merito ha rilevato l'infondatezza di tutte le doglianze in particolare evidenziando che i contratti sono affetti da insanabile nullità e che del tutto inconferente è la sentenza delle Sezioni unite civili della Corte di cassazione n. 11135 del 2012 citata dall'appellante che "riguarda l'efficacia di un contratto di locazione stipulato da un comproprietario in proprio e in rappresentanza degli altri comproprietari e il diritto di costoro di esigere dal conduttore i canoni di locazione; al riguardo la Corte ha stabilito che l'ipotesi può essere inquadrata nella negotiorum gestio, essendo sufficiente che il comunista abbia la disponibilità della cosa locata" mentre "nella specie, invece, non si tratta affatto di gestione di affari altrui o di mandato senza rappresentanza - ossia dell'azione di un comproprietario da solo e nell'interesse comune o nell'impossibilità degli altri di amministrare un bene - ma di apposizione di firme apocrife per dimostrare un consenso degli altri comproprietari in realtà insussistente: tutti i comproprietari hanno negato di aver apposto le firme e di aver partecipato all'atto e, addirittura, la sig.ra [omissis] ha dichiarato di occuparsi personalmente della coltivazione dei terreni assieme ai figli" (pagg. 9-10).

Con riferimento all'ulteriore condotta contestata la Procura generale conferma che per i terreni dei quali l'appellante è comproprietaria con il coniuge sig. [omissis], i contributi non avrebbero potuto essere concessi in quanto la normativa vigente (art. 67 del d.lgs. n. 159/2011) impedisce non solo al condannato per delitti di mafia ma anche al coniuge e ai parenti di usufruire di contributi pubblici, comunque denominati. Fa presente poi che "per il periodo dal 2011 al 2016, inoltre, mancava il possesso e, dopo la confisca, la proprietà dei beni, requisiti indispensabili per fruire dei contributi, che la C. ha continuato a chiedere per le relative campagne, approfittando sia del fatto che ne aveva già beneficiato, sia della dimensione complessiva dei terreni per i quali i contributi venivano richiesti" e che poi, con l'annullamento del provvedimento di confisca, sia i terreni che il conto corrente sono rientrati nella disponibilità della titolare odierna appellante, con la conseguenza che ella ha potuto trattenere i contributi medio tempore versati dall'ARCEA.

La Procura chiede, in via principale, la reiezione del gravame con la conferma della sentenza impugnata e l'addebito delle spese del presente grado di giudizio; in via subordinata, qualora non si ritenga accertata la restituzione delle somme di cui al conto corrente intestato all'appellante e gestito dagli amministratori giudiziari, chiede di emettere un'ordinanza istruttoria per chiarire detto punto.

Nella pubblica udienza odierna l'avv. Massimiliano Riga, comparso per delega dell'avv. Di Renzo per la sig.ra C., si è integralmente riportato all'atto di appello ribadendone tutte le argomentazioni ed insistendo, in particolare, sull'eccezione di prescrizione; ha concluso quindi affinché il gravame venga accolto.

La v.p.g. cons. Tomassini ha anzitutto prodotto agli atti di causa la richiesta di rinvio a giudizio della sig.ra C. emessa in data 19 febbraio 2021 dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Vibo Valentia per il reato di cui agli artt. 81 e 640-bis c.p. per avere, con artifici e raggiri, consistiti nell'allegare alle domande i due contratti "fittizi di locazione stipulati, tra gli altri, con [omissis], [omissis], [omissis], [omissis], risultati artefatti in quanto riportanti firme false, attestando quindi l'esistenza dei requisiti cui era subordinato il contributo" indotto in errore l'ente erogatore e procuratasi un ingiusto profitto, con riferimento alle somme erogatele negli anni 2015-2016-2017 e 2018.

Nel merito, ha ribadito l'infondatezza di tutti i motivi di gravame con riferimento ad entrambe le condotte tenute dalla sig.ra C. nella vicenda ed ha integralmente ribadito le conclusioni rassegnate nell'atto scritto.

La causa è, quindi, passata in decisione.

DIRITTO

Motivo n. 1.

L'appellante contesta la sentenza per avere respinto l'eccezione di prescrizione dell'azione, riproducendo le tesi illustrate nella memoria di costituzione in primo grado.

I canoni giuridici che attengono all'individuazione del termine d'esordio della prescrizione devono essere individuati coniugando la norma generale contenuta nell'art. 2935 c.c. (che ne fissa l'esordio nel "giorno in cui il diritto può essere fatto valere"), con quella speciale recata dall'art. 1, comma 2, della l. 14 gennaio 1994, n. 20 a tenore di cui, nei confronti dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti, "il diritto al risarcimento del danno si prescrive in ogni caso in cinque anni, decorrenti dalla data in cui si è verificato il fatto dannoso, ovvero, in caso di occultamento doloso del danno, dalla data della sua scoperta".

La giurisprudenza contabile (ex multis Sez. II app., n. 173/2018, n. 200/2020, n. 193/2021, n. 400/2021; Sez. III app., n. 203/2019) ha condiviso l'orientamento della Corte di cassazione (tra le tante, Cass., n. 1661/2020, n. 4899/2016, n. 21255/2013) che ha individuato nella percepibilità e "conoscibilità obiettiva" del danno da parte del danneggiato, secondo l'ordinaria diligenza, il dies a quo della prescrizione, mentre ha fatto riferimento al momento della "conoscenza effettiva" del danno nei casi in cui cause giuridiche - e non di mero fatto - ne abbiano impedito la conoscibilità, quale è, giustappunto, il "doloso occultamento".

In ordine all'individuazione di detto presupposto, con specifico riferimento a vicende di indebite erogazioni di contributi comunitari, i cui procedimenti sono connotati dalla sussistenza di stringenti obblighi di produzione di documentazione veritiera a corredo delle domande, in molti casi - come quello di cui è causa - aventi anche rilevanza penale, si è affermato che non è sufficiente la mera conoscibilità degli illeciti per far decorrere la prescrizione ma occorre che ne siano stati resi evidenti, attraverso apposita attività investigativa, gli elementi essenziali, in primis l'evento di danno e la sua ricollegabilità al soggetto beneficiario (Sez. I app., n. 114/2011, n. 196/2019, n. 342/2020; Sez. II app., n. 856/2017).

Orbene, nella concreta fattispecie la Sezione giurisdizionale di prime cure ha ravvisato, del tutto condivisibilmente, nella produzione, in allegato alle domande, di contratti di locazione contenenti firme disconosciute da alcuni soggetti locatori il sostanziarsi - in re ipsa - del "doloso occultamento", a nulla rilevando le difese che insistono, anche sotto il profilo prescrizionale, nella circostanza che l'appellata avrebbe stipulato i contratti con il fratello maggiore delle proprietarie (deceduto nel maggio 2019), per quanto si dirà nel prosieguo. Pertanto, prima dell'esito della complessa attività d'indagine della Guardia di Finanza, non era obiettivamente conoscibile da parte di ARCEA, nell'attività di espletamento degli ordinari controlli previsti dalla normativa comunitaria, il nocumento scaturente dall'erogazione di contributi per la quale non sussistevano le condizioni legittimanti.

Con riferimento alla seconda condotta contestata, va rilevato che le domande per ottenere l'erogazione dei contributi sono state unitarie e hanno ricompreso tutti i terreni asseritamente nella disponibilità della sig.ra C. per cui non può che l'occultamento doloso riferirsi - in termini altrettanto unitari - sia al danno scaturente dalla produzione di contratti di locazione invalidi, che a quello per le contribuzioni ottenute per terreni oggetto delle misure cautelari (sequestro e confisca) previste dalla normativa antimafia. Pertanto, è infondata l'eccepita prescrizione anche con riferimento al periodo, dal 2008 al 2011, precedente l'adozione del provvedimento di sequestro, allorquando la C. fa presente che era ancora nella disponibilità dei terreni in questione, come anche per quello successivo alla revoca giudiziale del provvedimento di confisca, intervenuta nel maggio 2015.

Né a diverse conclusioni può pervenirsi - il che è di palmare evidenza - in considerazione delle valutazioni espresse dal p.m. penale in ordine all'intervenuta prescrizione della condotta per le somme incassate fino al 2013 (come risulta dalla richiesta di sequestro preventivo diretto ovvero per equivalente datata 9 novembre 2020 e dalla richiesta di rinvio a giudizio datata 19 febbraio 2021, entrambe acquisite agli atti), stante l'assoluta autonomia dei giudizi, penale e contabile, nell'ambito dei quali operano plessi normativi differenti per la disciplina dell'istituto prescrizionale.

Pertanto, il dies a quo va ancorato alla data della relazione della Guardia di Finanza con cui, al termine dell'attività di polizia giudiziaria, ha esposto la vicenda (7 agosto 2019) a fini di dare la notizia [sic] damni; quindi l'azione è tempestiva, considerando la data di notifica dell'invito a dedurre (5 marzo 2020), primo atto cui la prescrizione è stata validamente interrotta.

Motivo n. 2.

L'appellante contesta, sulla scorta anche in tal caso delle argomentazioni difensive già esposte nel giudizio di primo grado, la sussistenza del fatto illecito, anzitutto con riferimento alla prima condotta consistita nella produzione dei contratti di locazione fittiziamente redatti.

Il quadro normativo entro cui si colloca la fattispecie è dato, a livello di normativa comunitaria, come si evince dall'esame analitico delle domande e delle relative schede di validazione, acquisite agli atti del fascicolo di primo grado, è costituito da diversi regolamenti (reg. CE n. 1782/2003; reg. CE n. 73/2009 - Regimi di sostegno diretto a favore degli agricoltori -) e dell'allevamento (reg. CE n. 1305/2013 - Misure agroalimentari e benessere degli animali - ex reg. CE n. 1698/2005 - Misura F ex reg. CE n. 1257/99 - ex reg. CE 2078/92).

Il presupposto comune per l'ammissibilità degli aiuti è la disponibilità delle particelle agricole nonché l'assunzione dei cosiddetti "impegni di condizionalità" (artt. 85-unvicies e 103-septivicies del reg. CE n. 1234/2007 e da 3 a 7 del regolamento CE n. 1782/2003), in ordine a criteri obbligatori di gestione atti ad assicurare sanità pubblica, salute delle piante e degli animali, nonché buone condizioni agronomiche ed ambientali.

La Corte di giustizia europea ha riconosciuto che gli Stati membri possono prevedere obblighi di produzione dei titoli legittimanti la disponibilità dei terreni nel rispetto dei principi del diritto comunitario e che comunque devono garantire che le particelle agricole siano "identificate in modo attendibile, esigendo, in particolare, che le domande di aiuto per superfici siano corredate dagli elementi e dai documenti definiti dalle Autorità", onde evitare che i premi siano corrisposti a soggetti che abbiano "creato artificialmente le condizioni necessarie" (Corte di giustizia, 24 giugno 2010, Luigi Pontini ed altri).

Il quadro normativo nazionale di riferimento in materia di aiuti all'agricoltura, è rinvenibile nella disciplina del "Fascicolo aziendale" (istituito dall'art. 9 del d.P.R. 1° dicembre 1999, n. 503, nell'ambito della "Anagrafe delle aziende agricole" regolamentata dai primi sei articoli del citato d.P.R. n. 503 del 1999), con particolare riferimento, per quanto rileva nel presente giudizio, alle informazioni concernenti la consistenza territoriale e il titolo di conduzione (art. 3, comma 1, lett. f), d.P.R. n. 503/1999, cit.).

La l. 23 dicembre 1986, n. 898 oltre alle sanzioni penali (art. 2) in caso di contributi ottenuti indebitamente mediante l'esposizione di dati o notizie falsi, nell'ambito di applicazione delle misure finanziate dal Fondo europeo agricolo di garanzia (FEAGA) e dal Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR), prevede che il percettore è tenuto in ogni caso alla restituzione dell'indebito ed al pagamento di sanzioni amministrative pecuniarie (art. 3).

Come già puntualmente chiarito dalla giurisprudenza delle sezioni di appello in materia «... l'assunto per cui il diritto alle erogazioni sussiste anche in assenza di un titolo giuridico valido secondo le norme nazionali condurrebbe a "conseguenze aberranti"» atteso che «anche un'occupazione abusiva di terreni, purché "effettiva", darebbe dunque diritto ad ottenere i contributi comunitari» (Sez. II app., n. 412/2017; Sez. I app., n. 281/2013, richiamate da Sez. II app., n. 154/2020).

Orbene, venendo alla concreta fattispecie, è provato per tabulas che le sig.re [omissis], [omissis] e [omissis] hanno disconosciuto le firme apposte sui contratti allegati alle domande (n. 781 serie 3 del 13 aprile 2000 e n. 1195 serie 3 dell'8 maggio 2008), in termini assolutamente univoci e concordanti; la [omissis] ha dichiarato anche di occuparsi direttamente da sempre coi figli dei terreni.

L'unico a riconoscere la propria firma è stato il sig. [omissis] ma la sua dichiarazione è inidonea a superare il connotato di antigiuridicità della condotta della C. essendo gli atti stati fittiziamente sottoscritti anche dalle predette ed essendo stata resa con allegazione di circostanze, in particolare quella di essere solo al momento della stipula, assolutamente confliggenti con quanto riportato negli atti stessi.

Senonché l'appellante, al fine di provare la validità degli atti, sostiene di avere concluso i contratti di affitto con il defunto sig. [omissis], fratello di [omissis] e [omissis], il quale, oltre a comparire in proprio tra i sottoscrittori, avrebbe agito anche per conto dei fratelli e con il loro consenso.

Orbene, premesso che il preteso mandato orale conferito al predetto è stato oggetto di una dichiarazione resa, peraltro in termini affatto circostanziati, da una soltanto delle proprietarie ([omissis]) in sede di sommarie informazioni (verbale in data 14 giugno 2019 allegato 12-C alla denuncia di danno), rimasta comunque priva di ulteriori riscontri, resta sempre il medesimo, incontestabile dato di fatto che le firme apposte da talune controparti sono state disconosciute e quindi nessun vincolo obbligatorio si è potuto validamente instaurare con le predette.

Al riguardo, non coglie infatti nel segno la tesi difensiva che invoca l'orientamento della Corte di cassazione in materia di negotiorum gestio per cui la locazione di un immobile non richiede il consenso totalitario dei comproprietari, configurandosi come un atto di ordinaria amministrazione se di durata inferiore ai nove anni, essendo sufficiente che il singolo comproprietario abbia la disponibilità della cosa. Ne consegue che "eventuali violazioni di regole di formazione della volontà, commesse da un comproprietario all'insaputa dell'altro, devono essere ricondotte al negozio gestorio senza che siano opponibili al terzo di buona fede" (Cass., Sez. un., n. 11131/2012).

Nella fattispecie, i contratti risultano sottoscritti infatti non solo dal defunto [omissis] - presunto mandatario - ma anche dalle sorelle con firme risultate apocrife, per cui, essendo affetti da nullità insanabile, in virtù del combinato disposto degli artt. 1325 e 1418 c.c., non possono produrre alcun effetto tra le parti e/o nei confronti di terzi.

È evidente che la sig.ra C., secondo questa ricostruzione dei fatti, non avrebbe ovviamente potuto non essere consapevole dell'assenza di tutte le controparti al momento della sottoscrizione del contratto e della - quand'anche fosse per ipotesi stata provata - apposizione di alcune firme false da parte del defunto [omissis] e - di conseguenza - di utilizzare tale documento non veritiero per dimostrare il possesso dei terreni, in quanto condizione indispensabile per ottenere il rilascio dei finanziamenti richiesti.

Con riferimento alla seconda condotta illecita contesta[ta]le, la sig.ra C. ribadisce anzitutto l'inefficacia automatica nei suoi confronti dei provvedimenti interdittivi e decadenziali antimafia che hanno colpito il marito. L'art. 67, comma 4, del d.lgs. n. 159/2011 prevede che "Il tribunale, salvo quanto previsto all'articolo 68, dispone che i divieti e le decadenze previsti dai commi 1 e 2 operino anche nei confronti di chiunque conviva con la persona sottoposta alla misura di prevenzione nonché nei confronti di imprese, associazioni, società e consorzi di cui la persona sottoposta a misura di prevenzione sia amministratore o determini in qualsiasi modo scelte e indirizzi. In tal caso i divieti sono efficaci per un periodo di cinque anni".

I richiamati commi 1 e 2 dispongono che le persone alle quali sia stata applicata con provvedimento definitivo una delle misure di prevenzione non possono ottenere, decadendo dal relativo diritto "contributi, finanziamenti o mutui agevolati ed altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati da parte dello Stato, di altri enti pubblici o delle Comunità europee, per lo svolgimento di attività imprenditoriali" - lett. g).

La difesa della C. invoca la mancata applicazione da parte del giudice ordinario del successivo art. 68 (che prevede che "Il tribunale, prima di adottare alcuno dei provvedimenti di cui al comma 4 dell'articolo 67, chiama, con decreto motivato, ad intervenire nel procedimento le parti interessate, le quali possono, anche con l'assistenza di un difensore, svolgere in camera di consiglio, le loro deduzioni e chiedere l'acquisizione di ogni elemento utile ai fini della decisione" il che non sarebbe avvenuto nel suo caso, per cui sarebbero ammissibili le domande di contribuzione presentate allorquando era divenuta irrevocabile la misura di prevenzione personale adottata nei confronti del coniuge.

La sig.ra C. sostiene, inoltre, che sarebbero assolutamente leciti i contributi percepiti dal 2008 al 2011 (qualora non caduti in prescrizione in mancanza di doloso occultamento) e 2015-2017 - prima del provvedimento di sequestro e dopo la sua revoca - in quanto aveva la disponibilità dei terreni.

Al riguardo, per quanto soltanto interessa ai fini del presente giudizio, è assolutamente da condividere quanto affermato nella sentenza nel senso che l'unitarietà delle domande di contributo, sia per i terreni condotti in locazione che per quelli in proprietà, comunione o comproprietà col coniuge, come già evidenziato in precedenza in punto di prescrizione, rende unica e non scindibile la condotta illecita tenuta della sig.ra C. consistente nell'avere prodotto documentazione non veritiera, violando le disposizioni regolanti la materia.

Pertanto, la questione dell'efficacia dei provvedimenti cautelari antimafia nei confronti dell'odierna appellante è irrilevante e questo senza considerare - peraltro - che dal tenore letterale del provvedimento del 6 giugno 2011 risulta che il Tribunale di Vibo Valentia ha espressamente invitato anche lei (unitamente ad altri terzi) "ad intervenire nella discussione in camera di consiglio" (pag. 41), nel pieno rispetto della richiamata normativa.

La sig.ra C. inoltre, per le annualità dal 2012 al 2014, ha evidenziato che i contributi ricevuti sono stati materialmente gestiti dagli amministratori giudiziali nominati dal Tribunale di Vibo Valentia all'atto del sequestro, nell'ambito della gestione dell'intero compendio patrimoniale oggetto di vincolo reale, ivi compresa l'azienda agricola di sua proprietà.

Orbene, se è vero che il rapporto di conto corrente a lei intestato, come comunicato dall'Istituto di credito, è stato gestito dagli amministratori giudiziali nominati dall'autorità giudiziaria, in ogni caso è rimasta priva di riscontri, all'esito dell'incombente istruttorio disposto dalla Sezione giurisdizionale calabrese, l'affermazione della C. secondo cui, alla cessazione del vincolo reale, "sostanzialmente nulla è residuato" (pag. 19 appello).

Tuttavia, ad avviso di questo Collegio non sono necessari ulteriori approfondimenti istruttori sul punto in quanto anzitutto la prova di detta circostanza avrebbe dovuto essere fornita dalla stessa C. in quanto trattasi di fatto diretto a contrastare la domanda risarcitoria (onus probandi incumbit ei cui [sic] dicit), mentre si è limitata ad una generica ed apodittica affermazione.

In ogni caso, va rilevato che le somme indebitamente erogate da ARCEA su detto conto sono state, unitamente alle altre disponibilità eventualmente affluenti sul medesimo, utilizzate dagli amministratori esclusivamente per la gestione dei beni del compendio patrimoniale, oggetto di confisca, gestione che deve formare oggetto di relazione al giudice delegato ex art. 2-septies della l. n. 575 del 1965 vigente alla data del provvedimento di sequestro, espressamente richiamato nel provvedimento di sequestro (poi abrogata dall'art. 120, comma 1, lett. b), del d.lgs. n. 159/2011). A conferma di quanto detto depone il successivo art. 2-octies [il quale] prevede che "Le spese necessarie o utili per la conservazione e l'amministrazione dei beni sono sostenute dall'amministratore o dall'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata mediante prelevamento dalle somme riscosse a qualunque titolo ovvero sequestrate o comunque nella disponibilità del procedimento. 2. Se dalla gestione dei beni sequestrati non è ricavabile denaro sufficiente per il pagamento delle spese di cui al comma 1, le stesse sono anticipate dallo Stato, con diritto al recupero nei confronti del titolare del bene in caso di revoca del sequestro".

Per quanto concerne la questione della destinazione delle somme al Fondo unico giustizia, va precisato, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa, che con la nota dell'8 marzo 2021 l'Istituto di credito ha evidenziato che era stato intestato al medesimo un deposito a risparmio nominale acceso il 9 novembre 2001, a decorrere dal 17 giugno 2011 (poi re-intestato alla C. in data 28 gennaio 2016), e non il conto corrente bancario su cui sono stati accreditati i contributi da ARCEA.

In ogni caso, va precisato, per mera completezza, che si tratta comunque di un fondo (istituito dall'art. 61, comma 23, del d.l. n. 112/2008, conv. dalla l. n. 133/2008) destinato ad accentrare ed ottimizzare, in maniera fruttifera per l'Erario, la gestione dei rapporti finanziari ed assicurativi sottoposti a sequestro penale o amministrativo oppure a confisca di prevenzione e dunque concerne esclusivamente le modalità esecutive delle misure cautelari antimafia.

In ordine poi alla sentenza della Corte di cassazione del 26 febbraio 2014, n. 651 che ha ritenuto fondata la censura relativa alla "mancata inclusione dei contributi AGEA tra le risorse lecite del nucleo familiare [omissis]-C.", va osservato che la decisione ha investito esclusivamente la legittimità o meno del provvedimento di confisca dei predetti terreni (esclusa per la mancanza di prova della sproporzione tra i beni presumibilmente acquistati con il frutto delle attività delinquenziali del [omissis] e i redditi dichiarati dal medesimo e dai suoi familiari conviventi). Pertanto essa è assolutamente irrilevante nel presente giudizio in cui si controverte della liceità della condotta tenuta dalla sig.ra C. nella presentazione della documentazione a supporto delle domande, quale elemento costitutivo della responsabilità erariale.

In ordine alla domanda, avanzata in via gradata, peraltro in termini assolutamente generici, di esercizio del potere riduttivo ex art. 52, comma 2, t.u. n. 1214/1934 e art. 83 r.d. n. 2440/192[3], va rilevato che il connotato doloso della condotta, secondo la granitica giurisprudenza costituisce condizione ostativa all'accoglimento della richiesta (ex multis, Sez. III app., n. 142/2019; Sez. I app., n. 432/2017; Sez. II app., n. 469/2019, n. 263/2017, n. 522/2017). Invero, trattasi di istituto finalizzato a ridurre il danno da imputare al responsabile in presenza di condizioni, oggettive o soggettive, che consentano che una quota di esso resti irrisarcita, il che collide col particolare disvalore della condotta dolosa.

Per i suesposti motivi l'appello è respinto, in quanto giuridicamente infondato, con conseguente integrale conferma della condanna della sig.ra C. al risarcimento del danno in favore di ARCEA, nei termini statuiti dalla sentenza di primo grado.

Alla soccombenza segue la condanna alle spese di questo grado di giudizio, come liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

la Corte dei conti, Sezione seconda giurisdizionale centrale d'appello definitivamente pronunciando, contrariis reiectis, nei termini di cui in motivazione:

- respinge l'appello;

- condanna l'appellante alle spese di questo grado di giudizio che liquida in euro 160,00 (centosessanta/00).