Corte di cassazione
Sezione VI penale
Sentenza 23 marzo 2022, n. 17131

Presidente: Petruzzellis - Estensore: Amoroso

RITENUTO IN FATTO

1. Con il provvedimento in epigrafe indicato, la Corte d'appello di Palermo ha confermato la sentenza dell'11 febbraio 2018 del Tribunale di Agrigento, con la quale il ricorrente è stato condannato alla pena di mesi dieci di reclusione per i reati di cui agli artt. 336, 341-bis, 337 c.p., ascritti ai capi a), b) e c), commessi all'interno della Casa circondariale di Agrigento in cui il ricorrente si trovava detenuto, rispettivamente nei giorni 4, 9 settembre 2016 e 2 maggio 2016, con il vincolo della continuazione e riconosciute le circostanze attenuanti generiche equivalenti alla contestata aggravante della recidiva specifica, reiterata e infraquinquennale.

2. Nel ricorso a firma del difensore di fiducia, Maurizio P. chiede l'annullamento del provvedimento deducendo due motivi.

Con il primo motivo denuncia violazione di legge in relazione all'art. 341-bis c.p., per avere i giudici della cognizione riconosciuto la penale responsabilità dell'imputato nonostante la mancanza del requisito della pubblicità dell'offesa che richiede la presenza di più soggetti oltre alle persone offese che devono essere estranei alla Pubblica Amministrazione.

Al riguardo si censura la motivazione della Corte di appello che ha ravvisato il requisito delle più persone conteggiando anche i due pubblici ufficiali destinatari delle offese, avvenute alla presenza di una sola altra persona, ovvero l'altro detenuto che occupava la stessa cella.

2.1. Con il secondo motivo deduce violazione di legge e vizio della motivazione in relazione all'art. 337 c.p. poiché per la configurabilità del reato di resistenza occorre che la minaccia o la violenza abbiano costituito un impedimento effettivo per l'esercizio del pubblico ufficio, mentre nel caso di specie si è trattato della reazione ad un atto di ufficio già compiuto, esauritosi con il trattenimento della corrispondenza.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato limitatamente al primo motivo in relazione all'art. 341-bis c.p.

Quanto all'eccepita insussistenza del requisito della pubblicità della condotta di oltraggio a pubblico ufficiale, la Corte distrettuale ha evidenziato che nella specie risultava avere assistito ai fatti un altro detenuto, sicché il fatto si era svolto «in presenza di più persone», perché due erano stati gli agenti destinatari delle offese.

La Corte di merito ha quindi ritenuto integrato l'elemento della presenza di più persone in virtù del fatto commesso ai danni di due agenti della polizia penitenziaria in presenza di un altro detenuto, computando quindi gli stessi agenti attinti dall'offesa, laddove la presenza di una sola altra persona diversa dall'autore del reato e dai soggetti passivi esclude la sussistenza di tale elemento.

In tema di oltraggio, infatti, secondo la più recente e condivisibile giurisprudenza di legittimità, l'offesa all'onore ed al prestigio del pubblico ufficiale deve avvenire alla presenza di almeno due persone, tra le quali non possono computarsi quei soggetti che, pur non direttamente attinti dall'offesa, assistano alla stessa nello svolgimento delle loro funzioni (Sez. 6, n. 30136 del 9 giugno 2021, Leocata, Rv. 281838).

È stato, infatti, affermato che il reato in esame punisce le offese verbali non soltanto all'«onore», ma anche al «prestigio del pubblico ufficiale», il che postula che l'azione si svolga in presenza di chi, in quel contesto, non sia deputato allo svolgimento della propria pubblica funzione.

Ciò non esclude che l'oltraggio a pubblico ufficiale possa perfezionarsi anche in presenza di altri pubblici ufficiali non destinatari diretti dell'offesa, ma è necessario che si tratti di pubblici ufficiali non impegnati nel compimento dell'atto d'ufficio che ha generato la condotta oltraggiosa, diversamente da come avvenuto nel caso di specie in cui entrambi gli agenti non solo si stavano occupando dell'accompagnamento del detenuto all'interno della sua cella, ma sono stati entrambi destinatari delle stesse frasi oltraggiose.

2. Il secondo motivo è manifestamente infondato.

Contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente, nel giudizio di merito è stato spiegato che la minaccia è avvenuta al fine di indurre l'agente della polizia penitenziaria a non portare a compimento il ritiro della corrispondenza, essendo la minaccia avvenuta contestualmente alla comunicazione da parte degli agenti del trattenimento della sua corrispondenza, e quindi per indurli a comp[i]ere un atto contrario al loro ufficio.

3. In accoglimento del primo motivo, la sentenza impugnata deve essere pertanto annullata senza rinvio per il reato di cui al capo a) con la conseguente eliminazione della relativa pena di due mesi di reclusione, lasciando immutata la pena determinata nel giudizio di merito per i residui capi, secondo il seguente calcolo: p.b. undici mesi di reclusione, aumentata di due mesi per la continuazione, con la riduzione di un terzo per il rito, pari a mesi otto e giorni venti di reclusione.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata senza rinvio limitatamente al capo a) perché il fatto non sussiste. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso. Ridetermina la pena per le residue imputazioni in mesi otto e giorni venti di reclusione.

Depositata il 2 maggio 2022.