Corte dei conti
Sezione giurisdizionale per la Liguria
Sentenza 4 maggio 2022, n. 42

Presidente: Rosati - Estensore: Esposito

RITENUTO IN FATTO

1. Con atto di citazione, ritualmente depositato e notificato, la Procura regionale ha chiamato in giudizio i convenuti come generalizzati in epigrafe, nella qualità di amministratori e dirigenti che a vario titolo ed in concorso hanno consentito l'adozione all'unanimità di due deliberazioni del Consiglio di amministrazione dell'Ente Ospedaliero con sede in Genova "Ospedali Galliera", n. 18 del 3 luglio 2015 e n. 12 del 12 maggio 2017, concernenti l'acquisto ed il comodato in uso gratuito alla medesima parte venditrice, di un immobile sito in Genova, Corso Aurelio Saffi nn. 50-51, destinato a pubblico esercizio (bar), chiedendone la condanna al pagamento della complessiva somma di euro 158.800,00, con le variazioni relative alle circostanze medio tempore emerse o altra somma risultante in corso di causa, nelle quote indicate o diversa misura ritenuta corretta, oltre accessori e spese, per il danno erariale che sarebbe stato cagionato dal sovrapprezzo versato nella compravendita e per la successiva gestione diseconomica del medesimo cespite patrimoniale (tramite comodato d'uso gratuito), nell'ambito del progetto di realizzazione del nuovo Ospedale. Oggetto di contestazione è l'illiceità delle decisioni gestorie assunte dagli odierni convenuti, nel lasso temporale individuato dal Requirente, addebitate a titolo di colpa grave e con responsabilità parziaria, secondo una quantificazione ed attribuzione delle quote differentemente gradata a seconda delle funzioni svolte. Esponeva l'istante Procura, al riguardo, che:

a) a seguito di un "esposto/segnalazione" di danno (ricevuto il 12 aprile 2018), sottoscritto da un Consigliere regionale della Liguria in relazione ad una serie di fatti relativi alla complessiva sopra citata vicenda progettuale, tra cui quello per cui è causa, aveva delegato l'espletamento degli adempimenti istruttori al Nucleo di polizia economico-finanziaria della G.d.F. di Genova (il 24 maggio 2018), cui seguivano la diffusione di notizie stampa ("Bar pagato a peso d'oro... Nuovi fulmini sul Galliera"); un'ulteriore segnalazione da parte di un privato cittadino (il 5 ottobre 2018) e la ricezione di tre rapporti d'indagine dei militari delegati (datati 15 ottobre 2018, 29 gennaio 2019 e 4 aprile 2019);

b) per quanto rileva in questa sede, a seguito di un contratto preliminare più volte prorogato (datato 25 febbraio 2011) ed elargizioni progressive di somme versate a titolo di caparra confirmatoria (per complessivi euro 85.000,00), sarebbero emerse plurime anomalie in sede di stipula del contratto definito di compravendita (datato 13 giugno 2017), relative alla quantificazione del corrispettivo pattuito (euro 289.000,00) ed alla determinazione dell'indennità per la cessazione anticipata dell'attività di esercizio del bar (euro 186.000,00, allo stato impagata), per complessivi euro 475.000,00, da spendere per l'acquisto del "piccolo locale, struttura che dovrà essere demolita dovendo sorgere - nel luogo in cui attualmente la stessa è ubicata - un'aiuola fronteggiante l'ingresso del futuro nuovo pronto soccorso", oltre che alla rinuncia ad un canone;

c) tale negoziazione sarebbe stata censurabile per essere avvenuta ad un prezzo da considerare palesemente eccessivo e fuori mercato, in quanto giustificata sulla base di una perizia redatta nel 2010, anno di picco al rialzo del mercato immobiliare di riferimento, che avrebbe dovuto considerarsi superata nel 2017 ed aggiornata alla successiva contrazione, oltre che per la grave imprudenza delle trattative, stante l'incertezza circa la realizzazione dell'opera pubblica;

d) la "scriteriatezza" del modus agendi sarebbe risultata anche evincibile dall'ingiustificabile inversione valutativa, attuata dai medesimi agenti nel 2015, in caso di vendita di beni non strumentali acquisiti con lasciti testamentari, ove veniva richiesta, a norma dell'art. 747 c.p.c., l'autorizzazione alla riduzione dei corrispettivi rispetto alle stime, per la discesa dei valori reali;

e) il danno erariale si sarebbe manifestato perché da riscontri oggettivi erano emersi differenziali di valori costituenti un danno al patrimonio pubblico ed essendosi verificata contestualmente una mancata entrata, volta l'assenza di redditività e di piena disponibilità del cespite acquisito;

f) in particolare, secondo un'analisi effettuata dagli Inquirenti sulla scorta dei dati pubblici dell'Osservatorio del Mercato Immobiliare (O.M.I.) dell'Agenzia delle entrate, lo stesso avrebbe dovuto valutarsi quale immobile "normale", al massimo, nella misura di euro 2.400,00 al mq., giungendo ad un valore di euro 158.400,00. Ovvero, ove si fosse ritenuto l'immobile valutabile nella fascia "ottimo", avrebbe dovuto assumersi la "forbice" di riferimento minima (euro 2.500,00 al mq.), con conseguente determinazione del valore in euro 165.000,00, somma inferiore di ben euro 124.000,00 rispetto all'importo pagato; inoltre, anche l'indennità per la cessazione dell'attività veniva ricalcolata, applicando i criteri di cui al d.P.R. 31 luglio 1996, n. 460, con un differenziale in eccesso di oltre il 60% per l'anno 2010 e di quasi cinque volte superiore per l'anno 2016;

g) con l'ausilio dei militari della G.d.F. delegati all'istruttoria, era stata acquisita apposita relazione di stima del valore del suddetto compendio immobiliare da parte di un tecnico dell'Agenzia delle entrate, ricorrendo ad una collocazione dell'immobile nell'ambito di una fascia di tipo "ottimo". Alla luce di tale prospettiva valutativa, ritenuta eccessivamente generosa, il cespite nel 2017 non avrebbe potuto avere un valore superiore ad euro 224.000,00, comunque inferiore per euro 65.000,00 rispetto al prezzo erogato;

h) il suddetto tecnico aveva anche determinato nella misura di euro 18,27 al mq./mese, ovvero pari ad euro 1.200,00 mensili, la corretta entità di un canone di locazione che avrebbe dovuto essere percepito per il locale, in considerazione del fatto che il comodato gratuito aveva avuto inizio in data 13 giugno 2017, con la previsione di un indennizzo meramente simbolico, forfettizzato in euro 500,00 mensili, consentendo di quantificare tale danno in misura pari all'intero importo del canone di locazione non incassato fino al deposito della citazione per euro 34.800,00 (1.200,00 x 29 mensilità), dovendosi aggiungere ulteriori euro 1.200,00 in ragione di ogni mese, fino al protrarsi della suddetta situazione;

i) sul presupposto della necessarietà dell'acquisizione del locale per la realizzazione dell'opera, con conseguente inclusione nel patrimonio indisponibile dell'Ente sanitario sulla scorta della disciplina di cui all'art. 5, comma 2, del d.lgs. n. 502/1992, sarebbe risultata censurabile la stessa decisione di acquisire il fabbricato con contratto di compravendita dal momento che il Galliera avrebbe potuto, rectius dovuto, procedere mediante l'utilizzo del procedimento espropriativo, corrispondendo al proprietario null'altro se non il valore venale alla data del provvedimento autoritativo;

l) neppure sarebbe risultata invocabile nella fattispecie, a fronte della rinuncia alle suddette prerogative, una ipotetica eccezionale urgenza posto che i lavori in questione "neppure oggi risultano essere stati ancora iniziati" e di tale evidenza erano perfettamente consapevoli gli amministratori visto che, nelle premesse, alla lettera n), del rogito di acquisto del 13 giugno 2017, avevano affermato che non erano "prevedibili tempi brevi per l'inizio dei lavori";

m) conseguentemente alla stipula considerata "prematura" del preliminare a fronte della "nebulosa" fase iniziale della progettazione, la complessiva situazione avrebbe dovuto essere più cautamente considerata per soprassedere dalla contestata operazione dannosa, sin dalla deliberazione n. 18/2015, evitando di prorogare ulteriormente i termini di adempimento del vincolo contrattuale con il versamento di ulteriori euro 30.000,00 a titolo di caparra confirmatoria, attraverso l'esercizio della prevista facoltà di recesso unilaterale per il mancato inizio dei lavori "per qualsivoglia motivo" ovvero considerando senz'altro risolto un contratto preliminare ancorato ad una valutazione risalente all'anno 2010, già molto più generosa per la parte privata rispetto a quella del 2008, al fine di rinegoziare un diverso prezzo più equilibrato ed adeguato;

n) inoltre, con la successiva deliberazione n. 12/2017, il c.d.a. aveva autorizzato la sottoscrizione del definitivo atto di acquisto al prezzo statuito nel preliminare, oltre che la gestione in comodato gratuito del bar compravenduto, in luogo di altra forma convenzionale a titolo oneroso (anche a mezzo di contratti stagionali o transitori ex art. 27 della l. n. 392/1978), irrazionalmente ed imprudentemente cedendo alle richieste della medesima parte privata, all'un tempo venditrice e comodataria, concretizzando con "assoluta evidenza, al limite dello sconcertante" il danno erariale;

o) in relazione alla deliberazione n. 18/2015, approvata all'unanimità, venivano ascritte le seguenti quote agli amministratori in concorso, in parte coincidenti con quelli della sequenza decisionale del 2010-2011 (per i convenuti R., Po., Z., L., G., T.): ai Consiglieri Be., I., Po., S., Se. e V. euro 3.500,00 cadauno; al Vicepresidente R., che introdusse la relazione, votò favorevolmente e stipulò l'atto per l'Ente, euro 4.000,00; al Direttore generale L., che effettuò la relazione ed espresse parere favorevole, euro 2.000,00; al Direttore amministrativo G. ed al Direttore sanitario T., che espressero il loro favorevole vaglio, euro 1.500,00 cadauno; per complessivi euro 30.000,00, ritenendo in toto dannoso l'esborso di tale incremento di caparra;

p) quanto alla deliberazione n. 12/2017, anch'essa approvata all'unanimità, considerato esclusivamente il danno da sovrapprezzo e da mancata redditività quantificato in euro 128.800,00 (289.000 - 165.000 - 30.000 = 94.000 + 1.200*29 = 34.800,00), fatti salvi ulteriori danni, le quote sono state così ascritte ai concorrenti: ai Consiglieri B., Be., La., P., R., S., Se., V. euro 10.700,00 (circa l'8,3% ciascuno); al Vicepresidente Z., che introdusse la relazione, votò favorevolmente e stipulò l'atto per l'Ente, euro 16.050,00 (circa il 12,5%); al Direttore generale L., che effettuò la relazione, espresse parere favorevole e stipulò altresì l'atto di compravendita con concessione in comodato dell'immobile, euro 11.750,00 (circa il 9,1%); al Direttore amministrativo Vi. ed al Direttore sanitario L.P., che espressero il loro parere favorevole, euro 7.700,00 (circa il 5,98% ciascuno);

q) all'esito delle indagini, venivano emessi in data 8 maggio 2019 gli inviti a fornire deduzioni, a riscontro dei quali pervenivano deduzioni difensive tese a respingere ogni addebito, senza richiedere l'audizione personale;

r) non avendo ritenuto satisfattivi i chiarimenti ed i documenti depositati, veniva ravvisata la sussistenza degli elementi costitutivi e probatori per la contestazione della responsabilità erariale in capo agli odierni convenuti, richiedendo alla Sezione, ove ritenesse non esaustivi gli elementi istruttori addotti, di disporre consulenza tecnica d'ufficio ex art. 97 c.g.c.

2. Con nota pervenuta a mezzo pec in data 27 febbraio 2020, l'avv. Alberto Marconi trasmetteva a questa Sezione istanza di rito abbreviato ex art. 130 del d.lgs. n. 174/2016 (c.g.c.) per il convenuto dr. Pietro Po., formulando un'offerta di pagamento dell'importo del 50% della somma capitale azionata dal P.M. (euro 1.750,00), per avere approvato, unitamente agli altri membri del c.d.a., la sola deliberazione n. 18/2015. La suddetta richiesta allegava l'acquisito parere favorevole della Procura regionale (espresso il 27 gennaio 2020).

3. Con decreto presidenziale del 16 marzo 2020, è stato disposto il rinvio della trattazione delle udienze a data da destinarsi in considerazione dell'emergenza sanitaria covid-19, per cui l'udienza pubblica calendarizzata per il 7 maggio è stata rinviata con decreto presidenziale del 29 aprile al ruolo del 5 novembre 2020, assegnando termine al 15 ottobre 2020 per la costituzione in giudizio.

4. Avendo reiterato l'avv. Marconi la sopra citata formale istanza in occasione della costituzione in giudizio (17 luglio 2020), la medesima veniva accolta con decreto n. 2 del 5 novembre 2020, determinando in complessivi euro 1.750,00 la somma che l'interessato avrebbe dovuto versare. Di seguito, con sentenza n. 111 del 14 dicembre 2020, risultata questa regolarmente incassata, il Collegio ha dichiarato l'estinzione del giudizio nei confronti del dr. Po.

5. Si costituivano in giudizio, con unica memoria dell'avv. prof. Carlo Emanuele Gallo, pervenuta il 12 ottobre 2020, quattro convenuti: L., quale D.G. in entrambe le deliberazioni contestate, con somma capitale complessivamente ascritta di euro 13.750,00; L.P., nel ruolo di Direttore sanitario esclusivamente per la deliberazione del 2017, per euro 7.700,00; T., quale D.S. per la deliberazione del 2015, con somma attribuita di euro 1.500,00; Z., nel ruolo di Vicepresidente per la deliberazione del 2017, per una rinvenuta quota capitale dannosa pari a euro 16.050,00.

Ritenendo l'infondatezza, oltre che la carenza di prova della pretesa attorea, nonché per dimostrare "l'assoluta correttezza del proprio operato, a tutela anche del proprio buon nome", depositavano un ulteriore rapporto estimativo, redatto il 22 settembre 2020 dal prof. arch. [omissis] del Politecnico di Milano.

Tale studio rilevava un errore nel calcolo della superficie commerciale del locale (66 mq.), affermando che il valore di stima più probabile al 2011 dello stesso sarebbe stato pari a euro 282.000,00 (per 93 mq.), con alea d'uso del 5%.

Per gli ulteriori argomenti esposti, si rinvia al successivo par. n. 8.

6. Con distinte memorie dell'avv. Alessandro Arvigo, pervenute tra il 14 ed il 15 ottobre 2020, si costituivano sette convenuti: Be., Se. e V., nella qualità di membri del c.d.a. che avevano espresso voto favorevole per entrambe le contestate deliberazioni, con somma capitale complessivamente ascritta di euro 14.200,00 cadauno; I., quale Consigliere votante la sola deliberazione n. 18/2015, per la somma di euro 3.500,00; La. e P., nel ruolo di Consiglieri votanti la sola deliberazione n. 12/2017, con somma attribuita euro 10.700,00 ciascuno; R., quale Vicepresidente per la decisione n. 18/2015 e Consigliere che espresse voto favorevole alla decisione del 2017, con somma capitale complessivamente ascritta euro 14.700,00.

Producevano in giudizio anche una consulenza tecnica di accertamento della consistenza commerciale dell'immobile, effettuata in data 12 ottobre 2020 dal geom. [omissis] di Genova, che in applicazione dei criteri di cui al d.P.R. n. 138/1998 - allegato C, misurava una complessiva superficie del locale non di mq. 66 bensì di mq. 88, deducendone la conseguenza che, moltiplicando per tale superficie ragguagliata la medesima stima utilizzata dal P.M., poteva essere individuato un reale valore dell'immobile ben superiore al prezzo pagato per l'acquisto nel corso del 2017 (euro 298.84,00 = 3.396,00*88).

Diversamente articolando l'esposizione e le allegazioni documentali, a seconda dell'effettivo coinvolgimento nelle decisioni contestate, rinviandone la disamina al par. n. 8, la difesa chiedeva sentenza assolutoria per l'insussistenza di una responsabilità amministrativa degli esponenti; in subordine, chiedeva la riduzione del quantum e, in ulteriore subordine, l'uso del potere riduttivo.

7. Con distinte memorie dell'avv. prof. Massimo Luciani e dell'avv. Roberto Damonte, pervenute tra il 14 ed il 15 ottobre 2020, si costituivano gli altri quattro convenuti: card. B., nella qualità di componente nonché Presidente del c.d.a. che aveva espresso voto favorevole per la contestata deliberazione n. 12/2017, con somma capitale ascritta di euro 10.700,00; G., quale Direttore amministrativo che espresse parere favorevole per la deliberazione n. 18/2015, per la somma di euro 1.500,00; S., nella qualità di membro del c.d.a. che aveva approvato entrambe le contestate deliberazioni, con somma capitale complessivamente ascritta di euro 14.200,00 e Vi., quale D.A. che espresse parere favorevole per la deliberazione n. 12/2017, per la somma di euro 7.700,00.

I Patroni, depositando ampio corredo istruttorio idoneo a ripercorrere la genesi dell'opera pubblica e delle connesse decisioni gestorie contestate dalla Procura (n. 56 allegati), chiedevano che la pretesa attorea fosse dichiarata inammissibile e, in subordine, infondata ovvero ridotta nel quantum alla luce delle difese (v. par. n. 8), "previa fissazione del nuovo termine per l'integrazione delle deduzioni difensive e del materiale istruttorio".

8. I difensori insistevano, più o meno profusamente e salve le specificità, su alcuni comuni argomenti fattuali e giuridici, lumeggiati sin dalle deduzioni a difesa, i cui contenuti possono essere riassunti nei termini seguenti.

a) In primis, è stato sostenuto che un corretto e documentato inquadramento sul piano storico amministrativo della procedura volta a realizzare il progetto della nuova "cittadella ospedaliera" su sedime di esclusiva proprietà dell'E.O. Galliera, salvo l'area prevista per l'accesso al nuovo Pronto Soccorso (da realizzare sullo snodo viario Saffi-Vannucci, su cui insiste il "Bar [omissis]"), sarebbe risultato idoneo a giustificare la progressione delle decisioni adottate dall'Organo amministrativo, ritenute coerenti e prudenti, oltre che degli atti conseguenti, posti in essere a tutela dell'interesse pubblico, risultando prossima (prevista per il mese di dicembre 2020) la pubblicazione del bando di gara per la realizzazione della progettazione definitiva dell'opera, come validata dalla Conferenza dei servizi decisoria (alla presenza degli attori istituzionali coinvolti, n. 19/2019, approvata con det. dir. Comune di Genova 27 maggio 2020, n. 62), a seguito dell'autorizzazione paesistica (det. dir. 21 febbraio 2020).

Vista la corrispondenza tra fatti di causa e motivate decisioni, venivano valorizzate condotte ritenute aderenti alla realtà del concreto iter progettuale.

Pertanto, si rilevavano sfornite di fondamento le contestazioni della Procura restando in toto insussistenti gli elementi oggettivo e soggettivo dell'incolpazione, nei termini scolpiti dalla stessa giurisprudenza contabile.

b) Veniva da tutti gli esponenti affermata l'insussistenza del danno, in considerazione della congruità del prezzo di acquisto dell'immobile, determinato non arbitrariamente dagli amministratori dell'Ente, bensì sulla base di tre valutazioni tecniche (del bene e dell'azienda), affidate a soggetti esterni "con riconosciuto bagaglio di competenze", non disponendo di appositi Uffici interni. In particolare, la perizia di stima dell'immobile era stata redatta "da un professionista conosciutissimo a Genova, trattandosi del [omissis] dell'Ordine degli ingegneri, che conosceva bene l'immobile, posto che l'aveva già valutato nel 2008, e che è stata presentata all'Ente una prima volta il 16 luglio 2010 e una seconda volta, identica il gennaio 2011, cosicché nel momento in cui il preliminare è stato stipulato era aggiornata e precisa", avendo l'E.O. proceduto prudentemente in base all'attendibilità di tale ultima valutazione, asseverata con giuramento in Tribunale "ottenuto il quale non vi erano ragioni per discostarsene", ritenendo la precedente "espressamente superata" e con "nessuna rilevanza né giuridica né causale" (avv. Gallo).

Inoltre, la diversa stima che era stata effettuata dall'Organo requirente, non poteva essere ritenuta probante, in quanto basata su una rielaborazione soggettiva dei valori O.M.I., difforme dalla stessa perizia effettuata su delega istruttoria dall'esperto dell'A.d.e., per il valore di euro 224.000,00.

Inoltre, i valori pubblici tratti dall'Osservatorio venivano considerati "mere presunzioni semplici" e strumenti di ausilio per l'estimo, sulla scorta della giurisprudenza di legittimità e di merito, non comprendendo la motivazione per la quale il Requirente considerasse "priva di rilievo", nel 2017, l'argomentazione relativa alla naturale rivalutazione (al 2011) del prezzo di acquisto versato nel 2002 (nell'ambito di un piano di dismissioni: avv. Arvigo).

Del resto, il medesimo professionista incaricato dall'E.O. delle valutazioni estimative, ing. [omissis], aveva trasmesso al Galliera in data 31 maggio 2019 una nota di chiarimenti, confermando il valore di euro 289.000,00 in base a diverse considerazioni giustificative del "più probabile valore di mercato" del cespite espresso nel 2010, anche rapportato all'anno 2017; che, infatti, era stato valutato "a corpo", ottenendo comunque dalla controparte uno sconto del 7% rispetto alle valutazioni acquisite (avv.ti Luciani-Damonte).

Inoltre, gli ulteriori elaborati peritali di parte versati in atti avrebbero evidenziato una sottovalutazione della superficie reale almeno del 25%.

c) I difensori contestavano anche le censure rivolte dal P.M. alla decisione di procedere all'acquisto del fabbricato con contratto di compravendita anziché mediante espropriazione, risultando incontestata la necessità dell'acquisizione di un titolo di disponibilità del medesimo (avv.ti Luciani-Damonte).

Al di là della cogenza del preliminare, veniva introdotto il tema dell'eventuale responsabilità da affidamento in cui sarebbe incorso l'E.O., in termini di violazione delle clausole di correttezza e buona fede, non individuando i difensori quale risparmio di spesa avrebbe comportato l'attivazione della procedura espropriativa atteso che l'indennità sarebbe restata commisurata al "valore venale" dell'immobile, stimato in euro 289.000,00 (avv. Gallo).

Inoltre, gli avv.ti Luciani e Damonte evidenziavano le motivazioni esplicitate nella delibera c.d.a. n. 15/2010 e nel prov. n. 819/2010, ritenute convincenti, facendo riferimento alla giurisprudenza che aveva condotto alle vigenti disposizioni degli artt. 36 e ss. del d.P.R. n. 327/2001, oltre che al favor per l'acquisizione consensuale "espresso direttamente dal legislatore" (art. 45).

Le censure attoree si sarebbero rilevate del tutto inammissibili ai sensi dell'art. 1, comma 1, della l. n. 20/1994, non potendo essere contestata la scelta di procedere alla stipula di un preliminare di vendita, considerata "l'insindacabilità nel merito delle scelte discrezionali", Inoltre, l'attivazione dell'iter espropriativo avrebbe presentato ulteriori costi e rallentamenti amministrativi per la determinazione dell'indennizzo e il rischio di contenziosi.

A fronte della disponibilità del proprietario di cedere l'edificio per un prezzo di stima oggettivo e con possibilità di proseguire nelle more l'esercizio del bar, dunque, non si vedeva quale rimprovero potesse muoversi agli amministratori, che avevano evitato rischi di rallentamento del grande progetto (avv. Gallo).

d) Gli esponenti affermavano il carattere "assolutamente vincolante" del contratto preliminare, essendosi limitati nelle due decisioni contestate ad adottare condotte vincolate, evitando gravi e ingiustificati danni, derivanti dalle statuizioni della legge (artt. 1351 e 2932 c.c.) e del contratto.

Con tali atti era stato solo correttamente adempiuto l'obbligo discendente da tale contratto sottoscritto in data 25 febbraio 2011, che non avrebbe potuto considerarsi "scaduto", dal momento che il decorso del termine di adempimento ivi pattuito significava "- non già che l'accordo stesso cessi di essere vincolante a quella data - ma, al contrario, che diventa efficace e cogente il diritto del promissario venditore ad ottenere dal promittente acquirente la stipula del definitivo, pena l'inadempimento degli obblighi assunti (con le ben note conseguenze risarcitorie)" (avv. Arvigo), dunque, quantomeno con l'aggravio delle "sanzioni civili" (avv. Gallo).

I chiamati nel presente giudizio contrastavano, inoltre, che il vincolo obbligatorio sorto con il contratto preliminare sarebbe stato sempre "condizionato all'effettivo inizio dei lavori". Tale riferimento contenuto nel preliminare (pag. 5), che non poteva costituire una "presupposizione" (avv. Gallo), consisteva in una facoltà di recesso unilaterale dal vincolo obbligatorio da esercitarsi entro il termine previsto per la stipula del contratto definitivo, il 30 giugno 2013, alla ricorrenza di due condizioni legittimanti e cioè nel caso in cui i lavori di costruzione non fossero iniziati "per qualsivoglia motivo" ovvero che l'area non fosse "più necessaria" (da interpretarsi in relazione a "fatti definitivi" e non meri ritardi), perdendo la caparra inizialmente versata.

Gli avv.ti Luciani, Damonte ed Arvigo evidenziavano che, in data 27 giugno 2013, le parti avevano espressamente convenuto di prorogare entrambi i termini, per la stipula del definitivo e per l'esercizio della facoltà di recesso, fissandoli al 30 giugno 2014, riqualificando in caparra l'acconto iniziale di euro 20.000,00 che, in caso di recesso, la proprietaria avrebbe "trattenuto" (pagg. 2-3); e che, in data 6 agosto 2015, convenivano una ulteriore proroga del preliminare, "differendo (solamente) il termine per la conclusione del definitivo al 30 giugno 2016" e prevedendo all'art. 4 che dovevano considerarsi "fermi ed invariati tutti i patti e le condizioni non in contrasto con quanto modificato con il presente atto". Sarebbe dunque caduto in errore il P.M. sostenendo che tale facoltà avrebbe "sempre" fatto "parte integrante dell'accordo anche in occasione della stipula delle successive proroghe", dal momento che doveva ritenersi la stessa "consumata al 30 giugno 2014, essendo stata tra l'altro espunta da ogni successiva pattuizione contrattuale" e, comunque, "certamente non più compatibile con il rinvio della stipula". Conseguentemente, le difese affermavano che al momento delle delibere non sussisteva alcun presupposto giuridico che accordasse all'E.O. una facoltà di negoziare nuovamente le condizioni economiche già oggetto del contratto preliminare, non convenendo con l'asserita possibilità di "concordare con la parte venditrice un diverso prezzo", in assenza di "spatium deliberandi per rimettere in gioco gli assetti negoziali".

Insistevano che la stipula del contratto definitivo perseguiva la migliore tutela dell'interesse pubblico, avendo evitato gravi danni derivanti: 1) dalla possibilità di patire una sentenza costitutiva in favore della promissaria venditrice ex art. 2932 c.c. per ottenere il ritenuto "favorevole" prezzo oltre al risarcimento del danno, non concordando con il P.M. che si trattasse di una mera eventualità "priva di riscontro probatorio"; 2) dalla perdita della caparra confirmatoria versata alla proprietà: nel 2015 per euro 55.000,00 e nel 2017 per euro 85.000,00 (cfr. artt. 1385 c.c. e 5 del contratto); 3) dai rischi di contenzioso relativi all'esercizio della facoltà di recesso; 4) dalla inutilità di tutte le attività presupposte e delle relative spese.

e) Le difese contestavano anche l'insussistenza dell'elemento oggettivo del danno derivante dalla mancata concessione in locazione, emergente nella prospettazione attorea per coloro che avevano adottato la delibera n. 12/2017.

Oltre alle valutazioni esplicitate nella antecedente deliberazione n. 19 dell'8 luglio 2016 e nel successivo provv. n. 973 del 24 dicembre 2019, i Patroni ribadivano insindacabile anche la scelta di merito relativa alla transitoria gestione "nelle more dell'avvio del cantiere di un immobile destinato alla demolizione", non potendo individuare "la data esatta di tale evento" e dovendo "mantenere la possibilità di rientrare nella piena disponibilità dell'immobile nel minor tempo possibile". Adducevano l'impraticabilità di un diverso regime d'impiego, dal momento che l'esercizio pubblico di bar-ristoro rientrava nell'alveo applicativo dell'art. 27 della l. n. 392 del 27 luglio 1978, che avrebbe imposto la rigidità contrattuale della durata inderogabile minima della locazione (secondo il meccanismo dei 6+6 anni), con l'incompatibile effetto di "immobilizzare" il bene, esponendo "l'Ente a rischi economici ed a responsabilità nei confronti di un eventuale conduttore".

Di contro, lo schema contrattuale del comodato ex artt. 1803 e ss. c.c., ad nutum recidibile con il solo vincolo del preavviso di 60 giorni (artt. 1810 c.c. e 6 del contratto), presentava il vantaggio di prevedere oneri e obblighi che sollevavano l'Ospedale da spese e responsabilità, evitando il degrado degli immobili "che rimangono chiusi e sprangati", avendo la "somministrazione al pubblico di alimenti e bevande una connotazione di pubblico interesse".

Inoltre, asserivano che a fronte delle "ipotetiche" affermazioni della Procura, nessun soggetto economico avrebbe accettato di avviare o continuare un'attività commerciale investendo su un immobile da demolire a breve, che dunque non poteva rispondere ad esigenze di "valorizzazione" e di "concessione" onerosa (avv.ti Luciani, Damonte, Gallo ed Arvigo).

Gli avv.ti Luciani e Damonte riferivano gli approdi delle Sezioni di controllo di questa Corte, che avevano ammesso la possibilità di concedere l'uso gratuito di beni pubblici (Sez. Liguria, 31 gennaio 2017, n. 2).

L'avv. Arvigo, inoltre, affermava che le forme contrattuali tipiche alternative richiamate dall'attore pubblico rimanevano estranee rispetto alla fattispecie: il contratto transitorio sarebbe stato applicabile esclusivamente ad ambiti oggettivi in cui esercizi commerciali agiscono per un breve lasso di tempo, ad esempio, per lanciare un nuovo prodotto sul mercato o un marchio (cfr. c.d. temporary shop); il contratto stagionale avrebbe dovuto essere concluso per attività legate ad uno specifico arco temporale e, in ogni caso, il locatore sarebbe restato obbligato a locare l'immobile, per la medesima stagione nell'anno successivo, allo stesso conduttore che ne avesse fatta richiesta per la durata massima di 6 anni consecutivi (art. 27, comma 6, l. n. 392 del 1978).

Ciò premesso, adduceva che a fronte della "manifesta illegittimità" dei suddetti schemi, il conduttore avrebbe potuto agire nei confronti dell'Ente medesimo per far accertare l'esistenza di una ordinaria locazione commerciale.

Venivano inoltre considerati inconferenti i richiami del P.M. al "patrimonio indisponibile dell'ente sanitario sulla scorta della disciplina di cui all'art. 5, comma 2, del d.lgs. 502/1992", considerando la natura dell'Ente ecclesiastico.

f) Le difese affermavano l'insussistenza dell'elemento soggettivo della condotta ritenuta dannosa, a fronte dell'assenza di inadempimento degli agenti ad un qualsivoglia dovere di servizio ed anzi al corretto adempimento di un contratto preliminare, per necessità funzionali al procedimento realizzativo del progetto costantemente vagliate all'esito di ampia istruttoria, indicando che l'intera gestione del procedimento sarebbe avvenuta con perizia, prudenza e diligenza, non potendosi ravvisare nei comportamenti degli esponenti alcuna colpa, né "protocollare" né "generica", tantomeno connotata da gravità.

Infatti, non vi sarebbe stata alternativa rispetto al prescelto "limpido percorso procedurale" e non poteva confrontarsi quella contestata "con un'ipotetica condotta alternativa artificiosamente costruita a tavolino", riportando giurisprudenza sulla nozione di colpa grave, per escludere la sussistenza di ogni leggerezza gestionale a fronte dell'assenza di "norme di condotta che non consentivano alcun ragionevole spazio di opinabilità interpretativa ed applicativa" (Sez. II app., 1° novembre 2018, n. 625, e III app., 13 maggio 2019, n. 83).

Veniva citata anche giurisprudenza di merito relativa all'assenza di "macroscopici errori di valutazione commessi nella stessa perizia di stima", che si sarebbe comunque collocata "perfettamente nell'ambito della fisiologica oscillazione" prevista per qualsiasi procedura valutativa (Sez. giur. Calabria, 15 novembre 2018, n. 359, e Sez. giur. Lazio, 21 novembre 2006, n. 2348), oltre che all'osservanza del canone di prossimità alla stipula espresso dalla stessa Sezione centrale di controllo (n. 88 del 10 luglio 1998: avv.ti Luciani e Damonte).

Le scelte sarebbero state adottate, inoltre, non in piena autonomia bensì nella costante soggezione "alle determinazioni degli enti territoriali competenti".

g) In via subordinata, i Patroni contestavano la quantificazione del danno effettuata dalla Procura, ritenendola errata per non avere tenuto in considerazione l'effetto conseguente dal versamento dell'intera caparra in favore della parte promittente venditrice nel suo complessivo ammontare pari ad euro 85.000,00, valutabile alla stregua di vantaggio comunque acquisito dalla pubblica amministrazione ex art. 1, comma 1-bis, della l. n. 20/1994 (che il P.M. quantificava, al limite massimo, in euro 55.000,00, avendo interamente contestato l'ultima tranche versata di euro 30.000,00), per cui, detraendo dal prezzo versato, euro 289.000,00, il prezzo ritenuto congruo per il 2017 dall'A.d.e., euro 224.000,00, e sottraendo ancora l'importo della complessiva caparra versata, il risultato che ne sarebbe derivato sarebbe stato di euro 20.000,00 (avv. Arvigo).

La compensatio lucri cum damno, sancita da tale norma, sarebbe stata invocabile per detrarre ulteriormente dalla domanda risarcitoria il costo delle perizie e di ogni altra spesa anche notarile (avv.ti Luciani e Damonte).

Veniva contestata, inoltre, alla Procura la contraddizione in cui sarebbe incorsa nella quantificazione, dovendosi comunque sottrarre dal canone di locazione determinato dall'A.d.e. (euro 1.200,00), il valore di quanto mensilmente percepito dall'Ente in virtù del comodato (cfr. nota G.d.F. prot. 19791 del 29 gennaio 2019).

9. Vista l'istanza di differimento pervenuta in data 3 novembre 2020 da parte dell'avv. prof. Gallo e le successive adesioni degli altri Patroni, rappresentanti della totalità dei convenuti, in considerazione della provenienza extra regionale e della possibilità di essere destinatari di limitazioni nei movimenti dettati dalla normativa anti covid, oltre che dalle disposizioni per lo svolgimento delle pubbliche udienze dettate con ordinanza presidenziale 29 ottobre 2020, in pari data, la trattazione del giudizio veniva rinviata all'udienza del 25 febbraio 2021, con decreto presidenziale, assegnando termini per eventuali ulteriori depositi.

In data 10 febbraio 2021, la Procura regionale ha versato in atti una comunicazione a mezzo p.e.c. ricevuta dal privato cittadino, autore della precedente segnalazione, contenente ulteriori informazioni.

In particolare, per quanto di interesse, è stato rappresentato che: "Il piccolo bar acquistato dall'E.O. Galliera risulta ancora in attività e in gestione da parte dei precedenti proprietari come dimostra la foto allegata, scattata ieri. Tale edificio, come mostra l'insegna, è stato costruito nel 1906 e pertanto avrebbe richiesto una valutazione di interesse culturale ai sensi del d.lgs. 42/2004. Tale verifica non è mai stata realizzata (...). Questo è solo uno dei numerosi motivi su cui si fonda un ricorso pendente al TAR Liguria (...). Oltre al citato ricorso promosso dagli abitanti contro l'approvazione del progetto definitivo da parte del Comune di Genova, si segnalano altri 3 ricorsi, due dei quali depositati al Consiglio di Stato, promossi dalle associazioni ambientaliste Italia Nostra e VAS (Verdi-Ambiente-Società) contro il progetto preliminare, contro il progetto definitivo e contro la violazione del Testo Unico dei Beni Culturali, per un totale di ben 4 contenziosi amministrativi pendenti".

Il prof. avv. Gallo, a sua volta, ha depositato la deliberazione di Giunta regionale 30 dicembre 2020, n. 13 di approvazione del progetto definitivo di realizzazione del nuovo Galliera - primo lotto, già validato dal Direttore generale del medesimo E.O. con deliberazione n. 846 del 23 dicembre 2020.

In data 19 febbraio 2021 il medesimo Legale ha depositato istanza di celebrazione dell'udienza da remoto, motivata in considerazione della residenza fuori Regione Liguria di due su tre dei difensori nella causa e della classificazione in zona arancione della Regione, tenuto conto delle modalità tecniche consentite dalla normativa emergenziale e disciplinate da appositi decreti del Presidente della Corte dei conti. L'avv. Arvigo, di contro, in nome dei propri patrocinati, con nota del 22 febbraio 2021, ha negato il consenso dei medesimi alla celebrazione dell'udienza "da remoto", nonché con la successiva comunicazione del 23 febbraio 2021 ha manifestato l'assenso alla celebrazione dell'udienza in forma "mista", ovvero, con presenza in aula del medesimo legale e collegamento da remoto degli altri difensori.

Vista l'indisponibilità alla trattazione del giudizio in tale modalità, espressa dagli avvocati Luciani e Damonte in data 23 febbraio 2021 per i convenuti dai medesimi assistiti, i quali hanno richiesto il rinvio del giudizio ad una successiva trattazione in presenza, non risultando altrimenti possibile conciliare le diverse esigenze dei difensori costituiti, il Presidente ha ritenuto necessario rinviare, a istanza di parte e con proprio decreto del 23 febbraio 2021, la trattazione del giudizio all'udienza dell'8 luglio 2021, assegnando a tutto il giorno 18 giugno 2021 il termine utile per ulteriori depositi.

In data 15 giugno 2021 perveniva una seconda memoria per i propri assistiti da parte del prof. avv. Gallo, che insisteva per la reiezione per infondatezza delle domande proposte nei loro confronti dalla Procura regionale, evidenziando la fattiva prosecuzione del procedimento per la realizzazione del nuovo Ospedale.

Infatti, il c.d.a. dell'E.O. con deliberazione 16 gennaio 2021, n. 3 aveva approvato il progetto definitivo, variante prima, primo lotto, con il relativo quadro economico e con atto in data 20 marzo 2021, n. 8 aveva approvato anche l'accordo quadro con la CEB. Pertanto, il Direttore generale, con determinazione 9 aprile 2021, n. 264, aveva indetto la gara per l'"affidamento unitario a Contraente generale", con termine per le offerte fissato al 21 giugno 2021.

Quanto agli interessi particolaristici contrastanti con la realizzazione del progetto e, in particolare, alla nota 9 febbraio 2021 prodotta dalla Procura, risultava evidente che la pendenza di contenziosi amministrativi era idonea in sé a giustificare la dilatazione dei tempi originariamente previsti, pur se i medesimi non avevano avuto al momento un esito favorevole ai ricorrenti.

Il Patrocinio ha contestato, altresì, la pretesa necessità di valutazione di interesse culturale ai sensi del d.lgs. n. 42 del 2004 per la demolizione del bar, avendo l'Ospedale ottenuto dal Ministero per i beni e le attività culturali per il turismo, Segretariato regionale per la Liguria, la dichiarazione relativa alla circostanza che l'edificio non presentasse i requisiti di interesse previsti da tale norma, come certificato dalla struttura preposta in data 18 dicembre 2020.

In data 17 giugno 2021 pervenivano anche separate memorie per i patrocinati dagli avv.ti Luciani e Damonte, che insistevano per le conclusioni rassegnate, riepilogando gli sviluppi amministrativi della vicenda che non avrebbero potuto verificarsi "ove l'Ente ospedaliero non avesse acquisito (e per tempo!) la piena disponibilità dell'immobile oggetto del presente giudizio" e, a loro volta, producendo la stima immobiliare del prof. [omissis], ritenuta "sovrapponibile" per le valutazioni finali espresse a quella dell'ing. [omissis]. Nella medesima data pervenivano anche separate memorie per i convenuti assistiti dall'avv. Arvigo che, richiamate le conclusioni già rassegnate, ha fatto presente che la gara pubblica per l'aggiudicazione era in corso e che: "L'Ente persegue quindi il proprio impegno - supportato da tutti i soggetti pubblici decisori da tempo coinvolti - di realizzare il Nuovo Ospedale (che sottende) un interesse (pubblico) che ha costituito il razionale oggettivo e soggettivo (quindi un interesse in concreto) degli atti negoziali di cui alla fattispecie".

Anche la Procura regionale, in data 21 giugno 2021, ha provveduto a depositare un'ulteriore nota proveniente dal medesimo privato cittadino.

Tale segnalazione, oltre a significare che la valutazione d'assenza d'interesse culturale dell'edificio sarebbe stata acquisita solo in sanatoria, quale conseguenza dell'annullamento da parte del Giudice amministrativo della delibera dirigenziale di approvazione del progetto definitivo, ha allegato anche la sentenza della Sezione VI del Consiglio di Stato, pubblicata il 17 giugno 2021, n. 4685, con cui era stato accolto il ricorso promosso da Italia Nostra per la riforma del decreto di vincolo indiretto a tutela dello storico complesso monumentale ospedaliero, per il che: "L'esecuzione di questa sentenza, con la prevista emanazione di un nuovo decreto di vincolo indiretto contenente più stringenti ed efficaci prescrizioni di tutela, dovrebbe ragionevolmente portare alla revisione del progetto del Nuovo Galliera che attualmente è previsto venga edificato a soli 10 metri dal complesso monumentale con pari altezza".

È stata, inoltre, confermata la pendenza di altri due ricorsi amministrativi contro il progetto preliminare promossi dall'associazione ambientalista VAS (Verdi-Ambiente-Società), innanzi al Consiglio di Stato ed al T.A.R. Liguria.

10. In sede di discussione orale, l'8 luglio 2021, il P.M. ha argomentato in maniera congiunta, nel merito, le difese dei convenuti, vista la sostanziale coincidenza nei contenuti delle comparse di costituzione, salvo alcune precisazioni, richiamandosi conclusivamente alle richieste contenute nell'atto introduttivo del giudizio.

Ha evidenziato, in particolare, la condotta gravemente colposa dei soggetti evocati in giudizio che, nelle rispettive funzioni, si erano determinati a prorogare i termini di adempimento del contratto preliminare, versando ulteriori somme a titolo di caparra confirmatoria nel 2015, per addivenire poi alla stipula del contratto definitivo di compravendita nel 2017 ad un prezzo assai più elevato rispetto a quello di mercato, per una differenza rilevantissima che avrebbe potuto legittimare la rescissione del contratto ed i rimedi civilistici.

Contestando le prospettazioni difensive che avevano tutte assunto come doveroso l'adempimento del contratto preliminare rogato nel 2011, ha rilevato poi che l'Ente avrebbe dovuto valutare i margini di scelta offerti dall'ordinamento rispetto all'utilità della stipula del contratto definitivo ad un prezzo eccessivo, sottraendosi al vincolo attraverso la facoltà di recesso unilaterale prevista sin dalla stipula del contratto preliminare nel caso di mancato inizio dei lavori, anche all'accettabile costo di perdere la caparra confirmatoria versata.

Quanto alla tesi della scadenza della suddetta facoltà, sostenuta dagli avv.ti Arvigo e Luciani-Damonte, ha ritenuto che tale potere di recesso unilaterale sarebbe sempre stato esercitabile, considerata l'intera serie di atti e contratti, condizionati all'effettività dell'inizio dei lavori, evidenziando, del pari, l'opportunità per l'Ente di procedere mediante l'utilizzo dei poteri espropriativi per la realizzazione dell'opera pubblica, al valore venale aggiornato del bene.

Infatti, a prescindere dalle particolari antiche origini, l'Ente era ormai normato alla stregua di una struttura pubblica, nell'ambito del circuito sanitario ligure.

In merito ai vantaggi "comunque" acquisiti, il Requirente ha convenuto con le difese che la somma versata a titolo di caparra confirmatoria, antecedentemente al 2015, possa essere assunta come base da detrarre al danno contestato in citazione, complessivamente per euro 55.000,00, differentemente dalla caparra versata nel 2015, per euro 30.000,00, costituente interamente danno.

Anche relativamente alla voce di danno oggetto di contestazione, concernente il mancato incasso di un canone di locazione, ne ha ridefinito la quantificazione convenendo con le difese che al canone mensile individuato dalla Procura di euro 1.200,00 andasse sottratto l'importo mensile già incassato di euro 500,00, previsto dal contratto a titolo di rimborso spese, anch'esso riconducibile ad un vantaggio, stabilendo perciò l'importo mensile del canone in euro 700,00.

Il P.M. ha quantificato, quindi, il danno concernente il mancato incasso dei canoni, alla data del 30 giugno 2021, per un totale di 49 mensilità, in euro 34.300,00, da ripartire secondo le quote indicate nell'atto di citazione.

Infine, ha insistito per la condanna con le precisazioni enunciate in termine di quantificazione dei vantaggi compensativi da detrarre alla misura del danno.

Il Presidente ha dato la parola all'avv. Luciani, per B., G., S. e Vi., il quale, innanzitutto, ha esplicitato di non ritenere rilevanti per l'oggetto del giudizio gli ultimi depositi documentali effettuati dalla Procura e precisamente una e-mail di un privato cittadino interessato alla vicenda e la recente pronuncia del Consiglio di Stato, riguardante altra amministrazione, considerata l'estraneità rispetto all'azione erariale di tali strategie di contrasto.

Ha richiamato le argomentazioni difensive di cui alle comparse di costituzione, soffermandosi, in particolare, sull'insussistenza dell'elemento oggettivo del danno erariale, dal momento che il P.M. non avrebbe contestato puntualmente le coincidenti perizie valutative dell'immobile, il cui prezzo sarebbe stato anche inferiore a quello ivi indicato, basandosi su argomenti presuntivi afferenti alle tendenze di mercato e tenuto conto che il contratto di comodato a favore di un esercizio utile ed aperto al pubblico sarebbe stata l'unica soluzione praticabile nella transitoria gestione, stante l'insindacabilità delle scelte di merito/gestorie, anche per i profili temporali; oltre che di quello soggettivo, non sussistendo alcuna colpa grave dei propri assistiti, concludendo come in atti. È intervenuto anche l'avv. Damonte, associandosi a quanto esplicitato.

Di seguito, il Presidente ha dato la parola all'avv. Arvigo, per Be., I., La., P., R., Se. e V. Il Legale ha richiamato i contenuti delle memorie difensive, ulteriormente argomentate per i profili afferenti alla vincolatività del contratto preliminare (distinguendo il termine per l'adempimento da quello essenziale ex art. 1457 c.c.), alla scadenza della facoltà di recesso, alla necessarietà di quell'area di sedime, oltre alla sottovalutazione della metratura del locale ed alla considerazione del comodato quale unico strumento giuridico idoneo a consentire al concedente l'immediata disponibilità del bene, insistendo nelle conclusioni già rassegnate in atti.

Ha preso la parola l'avv. Gallo, per L., L.P., T. e Z., riportandosi alle argomentazioni svolte nei propri scritti difensivi.

Ha ribadito che la condotta dei convenuti risultava improntata ai canoni di correttezza e buona fede nei rapporti con la parte privata, nei termini imposti dalla legge, oltre che orientata al perseguimento dell'interesse pubblico correlato alla realizzazione del nuovo complesso ospedaliero, concretizzando la volontà negoziale in scrupolosa coerenza con l'evolversi dell'iter procedimentale, che non aveva cagionato alcun danno erariale, non potendosi compromettere la realizzazione dell'importante opera per un eventuale risparmio, versando comunque un prezzo congruo stimato dal [omissis] dell'Ordine degli ingegneri e non essendo suscettibile di valorizzazione un immobile da demolire; ha concluso chiedendo il rigetto delle domande attoree.

La Procura ha replicato che le produzioni versate in atti, seppur provenienti da segnalazioni di privati cittadini, si ritenevano rilevanti per la causa, evidenziando per il resto il proprio ruolo, al servizio della collettività, di salvaguardia dell'integrità delle pubbliche sostanze.

Esaurita la discussione, la causa è stata trattenuta in decisione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il giudizio è finalizzato all'accertamento della fondatezza della pretesa azionata dal Pubblico Ministero concernente un'ipotesi di danno erariale derivante dalle decisioni gestorie, asseritamente improprie, degli amministratori e dirigenti che a vario titolo ed in concorso hanno consentito l'adozione all'unanimità delle due deliberazioni dell'Organo amministrativo contestate, concernenti l'acquisto ed il comodato in uso gratuito, alla medesima parte venditrice, di un immobile sito in Genova, Corso Aurelio Saffi nn. 50-51, destinato a pubblico esercizio ("Bar [omissis]"), quale stralcio della più ampia inchiesta inerente alle procedure realizzatrici della nuova struttura ospedaliera di pubblica utilità, in sostituzione dell'originaria risalente alla metà del XIX Secolo, nell'ambito delle vigenti determinazioni urbanistiche e dei programmi di riqualificazione sanitaria, con conseguenti eventuali responsabilità temporalmente ascrivibili.

Il prospettato danno, per il sovrapprezzo versato nella compravendita e per la successiva gestione diseconomica del medesimo cespite patrimoniale, quantificato in citazione nella complessiva somma di euro 158.800,00, con le variazioni relative alle circostanze medio tempore emerse e rideterminato dall'attore pubblico nella pubblica udienza tenendo in considerazione, da un lato, i canoni esigibili sino alla data della discussione, e, dall'altro lato, la quantificazione dei vantaggi detraibili, aderendo in parte qua alle prospettazioni difensive, è stato addebitato ai convenuti a titolo di colpa grave e con responsabilità parziaria, secondo un'attribuzione delle quote gradata a seconda del livello di coinvolgimento nella partecipazione alle decisioni.

Il Collegio ritiene di dover scrutinare le questioni che seguono alla stregua del sistema declinato dall'art. 101, comma 2, c.g.c., nell'ordine rimesso al proprio prudente apprezzamento, secondo motivate ragioni di logica giuridica, coerenza e ragionevolezza (cfr. Corte conti, Sez. riun., sent. 2 ottobre 1991, n. 727; Corte cost., sent. 13 luglio 2007, n. 272; Cass., sent. 9 settembre 2008, n. 23113).

1. Giurisdizione contabile sul danno pubblico e suoi limiti

1.1. Restano incontroversi tra le parti la giurisdizione di questa Corte in relazione alla vicenda per cui è causa e la partecipazione dell'Ente Ospedaliero "Ospedali Galliera" all'erogazione dell'attività sanitaria nell'ambito del Servizio Sanitario della Regione Liguria, risultando contestati da una delle difese (avv. Arvigo) esclusivamente i riferimenti del P.M. alla disciplina del "patrimonio indisponibile dell'ente sanitario" ([art.] 5, comma 2, d.lgs. n. 502 del 1992).

Il Legale in particolare sostiene che la natura di "ente ecclesiastico che eroga assistenza sanitaria" escluderebbe il Galliera dall'alveo soggettivo d'applicazione della suddetta disciplina, che ricomprende, esclusivamente, le unità sanitarie locali e le aziende ospedaliere, ai sensi dell'art. 4, commi 12 e 13, del medesimo d.lgs. (richiamando Sez. contr. Liguria, del. n. 125/2018); di contro, il P.M. ha rimarcato, anche in udienza, quella di ente pubblico.

Peraltro, le difese hanno riferito in materia giurisprudenza contabile relativa alle attività peritali e di gestione dei beni di enti pubblici (avv.ti Luciani-Damonte).

Invero, avuto riguardo al petitum ed alla causa petendi sostanziali fatti valere con la domanda giudiziale, ove vi sia un danno erariale, in considerazione della natura pubblica dello scopo perseguito e delle risorse finanziarie utilizzate, non risulta dirimente individuare la natura del soggetto e del bene controverso.

Considerando che la Regione ha deciso di concentrare le proprie disponibilità finanziarie per l'intervento di riqualificazione dell'assistenza sanitaria riguardante il nuovo Ospedale "Galliera", unitamente a quelle statali, senz'altro, trattandosi di Ente a dotazione erariale ed a statuto legale, a carattere speciale, in capo ai soggetti chiamati a gestire le risorse del bilancio, si radica senza dubbio la giurisdizione della Corte dei conti sul danno pubblico.

Del pari, entro il quadro degli atti programmatori e per effetto dell'atto traslativo, l'immobile destinato a finalità istituzionali nell'area di realizzazione della nuova opera pubblica è transitato nel patrimonio indisponibile dell'Ente Ospedaliero.

Il danno erariale in fattispecie si configura quale lesione all'interesse pubblico finanziario arrecata dall'agente legato alla P.A. dal rapporto di servizio e collocato di fatto all'interno della fase decisionale del procedimento amministrativo, per la quale si radica la giurisdizione della Corte dei conti.

La fattispecie di danno contestata, sia per quanto concerne il prezzo incongruo (danno emergente), che per il mancato conseguimento dell'incremento patrimoniale ritraibile (lucro cessante), deriva da scelte gestorie incidenti negativamente sul programma imposto dalla pubblica amministrazione per la realizzazione di un nuovo Ospedale, tali da determinare uno sviamento di risorse collettive, versate o ritraibili, dalle finalità pubbliche perseguite.

In tale accezione, tale danno è senz'altro pubblico per il fatto che colpisce essenziali interessi della società e della collettività amministrata, con una lesione economica idonea a riverberarsi sulle modalità di finanziamento del grande progetto, a carico del bilancio dello Stato, della Regione e dell'E.O.

1.2. La condizione del Nosocomio, edificato nel 1877 dalla duchessa di Galliera ed attualmente tra i più grandi complessi specialistici della rete ospedaliera regionale, risulta diversamente connotata, per lo speciale regime giuridico, rispetto ai soggetti accreditati o convenzionati (v. art. 8-bis l. n. 502/1992).

Istituito quale Opera Pia De Ferrari Brignole Sale, costituito in ente morale con i rr.dd. 4 dicembre 1879 e 18 febbraio 1886 e poi "classificato" quale ospedale generale provinciale, esso è stato trasformato in Ente ospedaliero ai sensi della l. 12 febbraio 1968, n. 132, con d.P.R. 26 febbraio 1969, n. 392.

Né potrebbe venire qui ragionevolmente in discussione la natura di ente pubblico autonomo degli "Ospedali Galliera", o quantomeno prevalentemente pubblico per la normativa speciale cui risulta assoggettato, in quanto sussistente fin da tale legge istitutiva n. 132 del 1968 (detta Mariotti dall'allora Ministro della Sanità), con cui era stata riconosciuta una soggettività di diritto pubblico, nei termini recentemente affermati anche dal Consiglio di Stato, Sez. IV, sent. 10 dicembre 2020, n. 7878 e, comunque, in presenza di numerosi indici di riconoscimento della vocazione amministrativa, determinanti, quanto meno, l'applicazione dei corrispondenti segmenti disciplinari pubblicistici.

Al riguardo, si è già espressa in più occasioni la medesima giurisprudenza amministrativa, "riconoscendolo come ente pubblico rientrante tra le istituzioni sanitarie che esercitano l'assistenza pubblica, partecipando all'erogazione del servizio sanitario (...) sottoposto al potere di vigilanza della Regione Liguria (...)" (cfr. T.A.R. Liguria, Sez. II, 29 marzo 2017, n. 273; C.d.S., Sez. III, sent. 16 febbraio 2018, n. 1008, che rimanda alle antecedenti sentenze 8 febbraio 2013, n. 735, e 4 ottobre 2017, n. 4631).

Analoga considerazione si rinviene in numerose delibere della Sezione regionale di controllo per la Liguria della Corte dei conti, nei termini in cui al medesimo Ospedale viene ascritta la natura di "ente pubblico avente regime normativo speciale ai sensi dell'art. 41 della legge 23 dicembre 1978, n. 833, che pres[t]a attività sanitaria in convenzione, secondo le modalità previste dal citato art. 41 e dall'art. 8-quinq[u]ies, comma 2-quater, del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502" (v. del. n. 63/2020/PAR del 3 luglio 2020; del. n. 64/2020/PAR del 23 luglio 2020 e n. 70/2021/PAR del 22 luglio 2021, con riferimento ai par. n. 10 ss. relativi alla sostenibilità economico-finanziaria del progetto del nuovo Ospedale e per le prestazioni acquistate dagli E.O. Galliera ed Evangelico, "in quanto tali enti, in base alla normativa statale e regionale, non possono essere considerati alla stregua dei privati accreditati, ma come facenti parte a pieno titolo del servizio pubblico", dunque "assimilati a strutture pubbliche").

L'art. 41, comma 3, della legge istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale, n. 833 del 23 dicembre 1978, aveva previsto che: "I rapporti delle unità sanitarie locali competenti per territorio con gli istituti, enti ed ospedali di cui al primo comma che abbiano ottenuto la classificazione ai sensi della legge 12 febbraio 1968, n. 132, nonché [con] l'ospedale Galliera di Genova e con il Sovrano Ordine militare di Malta, sono regolati da apposite convenzioni" (conformi a schemi tipo approvati dal C.d.m.) e che le Regioni, nell'assicurare la dotazione finanziaria alle A.S.L., dovessero tenerne conto, statuendo che "nulla è innovato alla disciplina vigente per quanto concerne l'ospedale Galliera di Genova".

La successiva normativa di riordino (d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502) ha "regionalizzato" la materia sanitaria, di guisa che le diversità strutturali devono essere ricercate all'interno delle differenti legislazioni regionali attraverso le quali è stata riorganizzata la struttura operativa sanitaria locale.

Anche tale disciplina non ha innovato rispetto all'assetto normativo del Galliera (art. 4, comma 12), precisando che: "l'apporto dell'attività de(l) suddett(o) presidi(o) ospedalier(o) al Servizio sanitario nazionale è regolamentato con le modalità previste dal presente articolo". Tale norma, infatti, disciplina la costituzione e l'attività delle aziende e dei presidi ospedalieri, prevedendo, fra l'altro, che alle prime si applichino, salvo che sia diversamente stabilito, le disposizioni del medesimo decreto relative alle aziende sanitarie locali, fra le quali quella in base al[la] quale il bilancio deve chiudere in pareggio (comma 8).

Nonché ha disposto, all'art. 8-quinquies, [comma] 2-quater, che: "Le regioni stipulano altresì accordi con gli istituti, enti ed ospedali di cui agli articoli 41 e 43, secondo comma, della legge 23 dicembre 1978, n. 833, e successive modificazioni, che prevedano che l'attività assistenziale, attuata in coerenza con la programmazione sanitaria regionale, sia finanziata a prestazione in base ai tetti di spesa ed ai volumi di attività predeterminati annualmente dalla programmazione regionale nel rispetto dei vincoli di bilancio, nonché sulla base di funzioni riconosciute dalle regioni, tenendo conto nella remunerazione di eventuali risorse già attribuite per spese di investimento, ai sensi dell'articolo 4, comma 15, della legge 30 dicembre 1991, n. 412 e successive modificazioni ed integrazioni. Ai predetti accordi e ai predetti contratti si applicano le disposizioni di cui al comma 2, lettere a), b), c), e) ed e-bis)".

Inoltre, la riforma ha modificato anche lo schema organizzativo dei servizi sanitari, articolati in "azienda" unità sanitaria locale e, anche, in distinte "aziende" ospedaliere, costituite dagli "ospedali di rilievo nazionale e di alta specializzazione", secondo i criteri di individuazione e disciplina fissati dall'art. 1 della legge-delega (23 ottobre 1992, n. 421, "ai quali attribuire personalità giuridica e autonomia di bilancio, finanziaria, gestionale e tecnica e prevedere (...) che la relativa gestione sia informata al principio dell'autonomia economico-finanziaria...") e declinati dal citato art. 4.

Al riguardo, con d.P.C.m. 14 luglio 1995 l'E.O. Ospedali Galliera è stato riconosciuto "Ospedale di rilievo nazionale e di alta specializzazione" ai sensi dello stesso art. 4, comma 2, del d.lgs. n. 502 del 1992. Il medesimo, attua i principi sull'erogazione dei servizi pubblici di cui alla direttiva P.C.m. 27 gennaio 1994.

Invero, la nozione di "amministrazioni pubbliche" è fornita dall'art. 1, comma 2, del d.lgs. 20 marzo 2021, n. 165 (c.d. t.u.p.i.), che vi ricomprende anche "le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale".

Quanto agli "accordi", la convenzione vigente, di durata indeterminata, risulta sottoscritta il 29 dicembre 2017, su approvazione del relativo schema con deliberazione n. 1181 del 28 dicembre 2017 della Giunta regionale ed a seguito dell'accordo di programma sottoscritto in data 20 febbraio 2015, con remunerazione pubblica delle prestazioni, tariffate ed indistinte, erogate a favore del Servizio Sanitario Regionale, tra i cui Enti, il Galliera "assicura l'erogazione delle prestazioni contemplate dai livelli essenziali di assistenza (LEA) previsti dalla normativa vigente nel rispetto degli indirizzi e degli obiettivi fissati dalla programmazione sanitaria nazionale e regionale e dalla conseguente programmazione regionale", costituendo "insieme all'IRCCS 'Ospedale Policlinico San Martino' ed al presidio ospedaliero del Ponente metropolitano, il polo di riferimento cittadino e, in quanto sede di DEA di I Livello, garantisce le funzioni di emergenza e la funzione elettiva per acuti nelle discipline presenti", con vigilanza tecnico-sanitaria dell'A.s.l. Genovese.

Peraltro, con d.P.C.m. 24 maggio 2018, il Presidio è stato inserito nella tabella A allegata alla l. 29 ottobre 1984, n. 720, istitutiva del sistema di tesoreria unica "per gli enti ed organismi pubblici", proprio considerando che già a far tempo dal d.P.C.m. 14 luglio 1995 risultava individuato come "Ospedale di rilievo nazionale e di alta specializzazione" e, infine, che "l'ente ospedaliero Ospedali Galliera è un ente con personalità giuridica di diritto pubblico e riceve trasferimenti a carico del Bilancio dello Stato".

Al riguardo l'A.G.A. non ha ritenuto rilevante, per contrastare la natura giuridica pubblica, la mancata inclusione dell'Ente tra le amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato, individuate ai sensi dell'art. 1, comma 3, della l. 31 dicembre 2009, n. 196 e la presenza anche di entrate "proprie" (C.d.S., Sez. IV, sent. 10 dicembre 2020, n. 7878).

Inoltre, nell'esercizio della potestà concorrente di coordinamento della finanza pubblica attribuita dall'art. 117 Cost., la l.r. 7 dicembre 2006, n. 41 ("Riordino del Servizio Sanitario Regionale"), segnatamente, all'art. 2, lett. b), considera il "sistema sanitario pubblico allargato (...) costituito dalle Aziende sanitarie pubbliche, dagli altri soggetti erogatori pubblici o equiparati e dai soggetti erogatori privati accreditati"; definisce, all'art. 2, lett. c), il "Servizio Sanitario Regionale (come) il complesso delle funzioni e delle attività svolte per la tutela della salute dalla Regione e dal sistema sanitario pubblico allargato"; individua espressamente, all'art. 2, lett. c), ai fini delle conseguenze ex lege, che per "altri soggetti erogatori pubblici o equiparati" devono intendersi "gli Ospedali Galliera ed Evangelico (...) e altri enti indicati da disposizioni normative"; altresì precisa, agli artt. 26 e 29, che il Galliera, cui si estendono le disposizioni riguardanti le aziende sanitarie locali, svolge "L'attività ospedaliera del Servizio Sanitario Regionale".

La Regione Liguria esercita, nondimeno, il proprio potere di vigilanza anche sui documenti contabili (art. 9-ter e d.G.r. n. 958 del 30 luglio 2013), anche al fine di redigere il bilancio consolidato del sistema sanitario regionale.

Invero, la l.r. 8 febbraio 1995, n. 10 ("Finanziamento, gestione patrimoniale ed economico-finanziaria delle Unità Sanitarie Locali e delle altre aziende del Servizio Sanitario Regionale"), all'art. 50, rubricato "Istituzioni ed enti che erogano assistenza ospedaliera", inequivocabilmente sancisce che: "Le disposizioni contenute nella presente legge si applicano anche (...) all'Ente Ospedaliero Ospedali Galliera di Genova nell'ambito della convenzione stipulata ai sensi dell'articolo 41 della legge 23 dicembre 1978, n. 833 come richiamato dall'articolo 9, comma 1, della legge regionale n. 42/1994" (quest'ultima abrogata dall'art. 90 della l. 7 dicembre 2006, n. 41).

Inoltre, la l.r. 5 aprile 1995, n. 20 e ss.mm.ii., recante "Norme per l'attuazione dei programmi di investimento in sanità per l'ammodernamento del patrimonio immobiliare e tecnologico", all'art. 3, comma 2-bis, ha previsto a tal fine che: "Alle Aziende di servizi alla persona e all'ente ospedaliero Ospedali Galliera si applica la disciplina prevista per le A.S.L. e le A.O.".

Non può dimenticarsi, anche, che l'art. 24 della l.r. 24 gennaio 2006, n. 2 ha esteso espressamente le disposizioni ivi dettate in materia di patrimonio, dismissione e valorizzazione dei cespiti, "in quanto compatibili con i relativi ordinamenti", agli "Enti che erogano assistenza ospedaliera", riferendosi testualmente all'Ente Ospedaliero Ospedali Galliera di Genova, all'Ospedale Evangelico Internazionale di Genova e agli IRCCS "Istituto Giannina Gaslini" e all'Istituto Nazionale per la Ricerca sul Cancro (IST).

Al riguardo, l'art. 14 dello Statuto dell'Ospedale (approvato con d.m. salute 28 agosto 2002), prevede che: "Il patrimonio dell'Ente ospedaliero è quello risultante dai registri inventariali dei beni immobili e mobili, vidimati a sensi di legge. Per quanto concerne la tenuta dei predetti registri, si applica la disciplina regionale omologa vigente per le aziende ospedaliere della Regione Liguria. La disciplina relativa alle scritture contabili dell'Ente ospedaliero e della relativa contabilità è adottata con rinvio a quella vigente per le aziende ospedaliere regionali in quanto applicabile".

Analogo rinvio è operato in relazione allo stato giuridico del personale (anche dirigente) e del Direttore generale (artt. 10, comma 3, e 11), per il Collegio sindacale (art. 12) e per il Consiglio dei sanitari ed il Collegio di direzione (art. 13), seppure con le specificità previste relativamente alla composizione e nomina del Consiglio di amministrazione e del Presidente (artt. 4-7).

Inoltre, l'art. 4 del Regolamento (del. 23 del 6 ottobre 2017), quanto a "Patrimonio e contabilità dell'Ente ospedaliero", prevede che: "L'Ente ospedaliero dispone del proprio patrimonio secondo il regime della proprietà privata e persegue la valorizzazione dello stesso allo scopo di assicurare il potenziamento e la qualificazione strutturale e tecnologica dell'offerta di servizio".

Anche per quanto concerne la gestione dei beni, pertanto, non potrebbe disconoscersi una consustanziale assimilazione dell'Ente alle aziende ospedaliere, quanto meno funzionale, per la disponibilità di un patrimonio immobiliare adeguato e sufficiente a consentire lo svolgimento delle attività istituzionali di tutela della salute e di erogazione delle prestazioni sanitarie e, nella specie, vincolato alla realizzazione di un'opera di pubblico interesse.

Infatti, sulla scorta della medesima legislazione statale e regionale citata, se non pubblico, comunque il Nosocomio sarebbe, quanto meno, "equiparato" agli altri Ospedali pubblici, facendo parte del "sistema sanitario pubblico allargato", nei termini positivizzati dalla medesima legislazione regionale (art. 2 l.r. n. 41 del 2006) nonché del sistema della programmazione pubblica sanitaria nazionale ed assoggettato alle medesime regole dell'agere.

Sulla scorta del tenore dispositivo delle norme citate, può affermarsi con sufficiente certezza che i beni finanziati con il concorso del contributo statale e regionale, destinati alla realizzazione dell'opera pubblica ed al perseguimento dei fini istituzionali, restino assoggettati, quoad effectum, anche alla disciplina vincolistica del patrimonio indisponibile di cui agli artt. 828 ed 830, comma 2, c.c., al pari delle unità sanitarie locali e le aziende ospedaliere (art. 5 d.lgs. n. 502/1992; cfr. anche l. reg. cit. n. 41/2006, artt. 27-29; n. 20/1995, art. 3, comma 2-bis; n. 2/2006, art. 24), pur nell'autonomia gestoria e nella disponibilità del patrimonio da parte dell'E.O. secondo il regime della proprietà privata.

Infatti, al comma 2, la richiamata norma statale prevede che: "Le unità sanitarie locali e le aziende ospedaliere hanno disponibilità del patrimonio secondo il regime della proprietà privata, ferme restando le disposizioni di cui all'articolo 830, secondo comma, del codice civile. (...) I beni mobili e immobili che le unità sanitarie locali, le aziende ospedaliere e gli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico utilizzano per il perseguimento dei loro fini istituzionali costituiscono patrimonio indisponibile degli stessi, soggetti alla disciplina dell'articolo 828, secondo comma, del codice civile".

Per quel che qui rileva, indipendentemente dalla ritenuta applicabilità del regime delle aziende ospedaliere (art. 5 d.lgs. n. 502/1992), in quanto fabbricato strumentale all'esercizio dell'attività istituzionale, assoggettato ad un vincolo di destinazione, l'immobile de quo rientra, comunque, nella categoria dei beni pubblici del patrimonio indisponibile dell'ente sanitario, potendo formare oggetto di atti dispositivi nella permanenza del vincolo all'uso pubblico, finché previsto, in coerenza con il citato art. 828, comma 2, c.c., la cui ratio deve essere individuata nel salvaguardare la destinazione dei beni dalle aggressioni dei privati o da atti di mala gestio (cfr. Cass., Sez. un., n. 16 febbraio 2011, nn. 3813-3811; 14 febbraio 2011, n. 3665; del. SRC FVG, 27 maggio 2014, n. 94).

1.3. Le difese censurano il teorema accusatorio, in quanto la relativa prospettazione resterebbe del tutto inammissibile ai sensi dell'art. 1, comma 1, della l. n. 20 del 14 gennaio 1994, non potendo essere contestata la scelta di procedere alla stipula di un preliminare di vendita, al pari di quella di un contratto di comodato per la transitoria gestione, rispetto ad altre possibili alternative, considerata "l'insindacabilità nel merito delle scelte discrezionali".

Come si approfondirà, nel giudizio non sono in contestazione né le scelte gestorie effettuate "a monte", relative alla necessità dell'acquisizione di un titolo di disponibilità dell'immobile in questione, da parte dell'E.O., né quelle a "valle" per la predilezione dell'iter privatistico rispetto a quello pubblicistico nella relativa vicenda traslativa e gestionale, di cui non si discute l'an, attraverso un controllo volto a sindacarne il "merito" o l'utilità, bensì, unicamente, la verifica della conformità a legge degli atti posti in essere, quindi il quomodo e, in particolare, la congruità del prezzo d'acquisto, rispetto al valore del bene, nonché i termini dell'accordo con l'ex proprietaria per la gestione in comodato d'uso nelle more della realizzazione del nuovo Ospedale.

Occorre premettere che l'insindacabilità nel merito delle scelte discrezionali compiute dai soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti non comporta che esse siano sottratte ad ogni possibilità di controllo, e segnatamente a quello della conformità alla legge che regola l'attività amministrativa, potendo e dovendosi verificare in questa sede la compatibilità delle scelte amministrative con i fini pubblici dell'Ente, rilevanti sul piano non della mera opportunità bensì della legittimità dell'azione amministrativa.

Infatti, il vaglio di condotte eventualmente illecite, per accertare la sussistenza della responsabilità per danno erariale alla stregua dei criteri enunciati dall'art. 1 della l. n. 241 del 1990, configura una valutazione in iure (ed ex ante), come tale pienamente spettante al Giudice contabile nell'ambito della sua giurisdizione (Cass., Sez. un., sent. n. 22811 del 20 ottobre 2020 e giur. ivi cit.)

1.4. Quanto al tema dei limiti del sindacato della Corte dei conti sulle scelte gestorie dell'amministrazione, che rievoca la regola della c.d. business judgement rule, propria del diritto commerciale, oltre che la questione della demarcazione del sindacato del Giudice amministrativo sull'eccesso di potere, occorre considerare che la giurisprudenza contabile ha applicato per l'accertamento delle condotte pregiudizievoli degli agenti pubblici canoni di giuridicità sostanziale, quali parametri legali di buon andamento ed imparzialità dell'agere, secondo approdi condivisi dalla Corte regolatrice.

Tale sindacato, pertanto, si svolge attraverso una attenta comparazione tra i costi sostenuti ed i risultati conseguiti o perseguiti, tra idoneità dei mezzi rispetto ai fini, nei termini di un controllo di ragionevolezza sulle scelte della pubblica amministrazione, onde evitare la deviazione di queste ultime dai fini istituzionali dell'ente e permettere la verifica della completezza dell'istruttoria, della non arbitrarietà e proporzionalità nella ponderazione e scelta degli interessi, nonché della logicità ed adeguatezza della decisione finale rispetto allo scopo da raggiungere, con il limite dell'impossibilità di sostituirsi all'amministrazione nel compimento delle scelte di opportunità e convenienza.

Poiché ciò che distingue l'attività discrezionale da quella vincolata è la possibilità di scelta tra più comportamenti leciti, in questi casi il Giudice contabile è chiamato a verificare, con giudizio ex ante, se la scelta operata corrisponda a criteri generali di economicità ed efficacia, oltre che di logica e ragionevolezza (v. Corte conti, Sez. riun., n. 904/A del 30 settembre 1993 e n. 30/A del 3 giugno 1996; Cass., Sez. un., n. 14488 del 29 settembre 2003; n. 21660 del 13 ottobre 2009; n. 4283 del 21 febbraio 2013; n. 6820 del 15 marzo 2017; n. 30419 del 23 novembre 2018; n. 3159 del 1° febbraio 2019; n. 9680 del 5 aprile 2019; n. 30527 del 22 novembre 2019; nn. 5589 e 5590 del 28 febbraio 2020; n. 6462 del 6 marzo 2020; n. 7645 del 1° aprile 2020; n. 19085 del 14 settembre 2020; n. 28975 del 17 dicembre 2020 e n. 2157 del 1° febbraio 2021).

La regola settoriale, pertanto, attua il principio di separazione fra i poteri dello Stato in funzione della tutela dell'erario oltre che del buon andamento (artt. 81 e 97 Cost.), ancorando il sindacato giurisdizionale ai parametri legislativi della legalità e della compatibilità rispetto ai fini istituzionali, secondo canoni di competenza, inerenza, ragionevolezza e proporzionalità, senza alcuna ingerenza nel merito, per cui è prevista l'esimente dell'insindacabilità.

Per il che, la giurisdizione contabile è chiamata a individuare nei casi concreti il punto di equilibrio tra tutela delle risorse collettive ed autonomia degli apparati amministrativi, "come organo posto al servizio dello Stato-comunità, e non già soltanto dello Stato-governo (...) garante imparziale dell'equilibrio economico-finanziario del settore pubblico e, in particolare, della corretta gestione delle risorse collettive sotto il profilo dell'efficacia, dell'efficienza e della economicità" (Corte cost., sent. n. 29 del 19 gennaio 1995).

Invero, nel contesto di una rinnovata accezione di trasparenza e legalità finanziaria, propria del processo di armonizzazione contabile e della revisione costituzionale attuata con la l. cost. n. 1 del 20 aprile 2012, la specificità dei compiti cointestati nella Corte dei conti è stata intesa nell'accezione dell'unitarietà teleologica della funzione di garanzia ordinamentale di un "controllo esterno, rigorosamente neutrale e disinteressato", "preordinato a tutela del diritto oggettivo" e volto ad assicurare la necessaria tutela ai principi costituzionali che presidiano l'equilibrio e la sana gestione del bilancio, quale "bene pubblico" teso al soddisfacimento degli ulteriori diritti, nell'accountability democratica imposta dal mandato conferito agli amministratori dal corpo elettorale, in una visione unitaria della finanza pubblica (v. Corte cost., sent. n. 384 del 17 ottobre 1991, n. 60 del 5 aprile 2013, n. 39 del 6 marzo 2014, n. 184 del 20 luglio 2016, n. 18 del 14 febbraio 2019, n. 4 del 28 gennaio 2020, n. 189 del 31 luglio 2020, n. 80 del 29 aprile 2021 e, anche, sent. 7 dicembre 2021, n. 235, nelle more pubblicata).

Tali indirizzi confermano l'intensità del suddetto sindacato, anche a fronte della c.d. riserva di amministrazione, sulla scorta della considerazione che le scelte discrezionali possono evidentemente estrinsecarsi sia nell'agere autoritativo provvedimentale delle amministrazioni, che privatistico nei termini in cui esso presuppone una scelta amministrativa discrezionale (come nell'attività contrattuale), nelle modalità consentite ed anzi valorizzate dall'art. 1, comma 1-bis, della l. n. 241 del 7 agosto 1990 che dispone: "La pubblica amministrazione, nell'adozione di atti di natura non autoritativa, agisce secondo le norme di diritto privato salvo che la legge disponga diversamente".

2. Merito e contesto di riferimento

2.1. In assenza di altre questioni preliminari, può passarsi all'esame del merito.

Nel contesto dispositivo del Piano Urbanistico Comunale di Genova (P.U.C.), approvato con d.G.r. n. 44 del 10 marzo 2000, l'immobile per cui si controverte è inserito nell'Ambito Speciale di Riqualificazione 74 "Nuovo Ospedale Galliera", che, nei cinque settori d'intervento individuati per l'area, prevede la realizzazione di un nuovo Nosocomio in sostituzione di alcuni padiglioni ritenuti non più funzionali e, comunque, non facenti parte del complesso monumentale "a pettine", con riconversione degli edifici non più adeguati. Nell'ambito di tale trasformazione, è prevista la demolizione del locale oggetto della causa per la realizzazione di un nuovo accesso al Pronto Soccorso.

La complessa vicenda, posta all'attenzione del Collegio, richiede la preliminare ricostruzione in termini temporali ed amministrativi della genesi dell'opera pubblica de qua agitur, in relazione alle contestate decisioni gestorie.

2.2. Dai primi anni 2000, l'E.O. aveva avviato gli studi per la realizzazione di una nuova struttura, secondo linee programmatiche condivise sin dal 2006 da parte di tutti i soggetti pubblici decisori, ed in particolare, dalla Regione Liguria e dal Comune di Genova. In data 12 ottobre 2006, infatti, era stato sottoscritto con la Regione un Protocollo d'intesa, approvato con d.G.r. n. 1056/2006, per la definizione delle linee programmatiche di sviluppo del progetto.

L'iniziativa era mossa dalla considerazione che le caratteristiche costruttive e tecnologiche del complesso esistente (realizzato nel 1880 ed in situazione di obsolescenza, oltre che di soggezione a vincoli della Soprintendenza) non avrebbero consentito di ipotizzare interventi di ristrutturazione o adeguamento, capaci di garantire moderni standard funzionali di edilizia sanitaria, l'ottimizzazione dei costi di gestione e adeguati livelli di assistenza.

Pertanto, salvaguardando i padiglioni "storici" e nel centro della "cittadella" ospedaliera, è stata progettata l'edificazione di una nuova struttura moderna.

A seguito dall'adozione della deliberazione n. 34 del 1° agosto 2007 del Consiglio regionale, che aveva fissato il "Programma strategico di modernizzazione del parco ospedaliero regionale" e sin dalla redazione dello Studio di fattibilità 30 settembre 2007, approvato dall'E.O. con delibera n. 15 del 4 aprile 2008, era stato individuato, tra le "piastre funzionali" da realizzare a piano terra, il "nodo cruciale" del Pronto soccorso-D.E.A., quale "cerniera" tra necessità del territorio e capacità di risposta dell'organizzazione, prevedendone la localizzazione (pagg. 169 ss. e tavole pagg. 330 ss.), confermato "rispondente alle esigenze rappresentate dalla programmazione sanitaria regionale" dal Protocollo d'intesa, sottoscritto il 7 luglio 2008, tra Regione, Comune ed E.O.

Nell'ambito del suddetto Protocollo, era stata costituita una Commissione tecnica che proponeva una variante urbanistica (al citato P.U.C.) relativa alle aree dell'Ente ed all'avvio della progettazione preliminare della nuova struttura, che veniva approvata nel maggio 2009 con delibera del Consiglio Comunale di Genova (n. 34 del 2009), prevedendo la necessità "per favorire i flussi di traffico" di "privilegiare un unico accesso al pronto soccorso" e, comunque, l'opportunità che "l'accesso principale venga localizzato in prossimità di Corso Aurelio Saffi". Detta variante, seppure non strettamente necessaria per la costruzione del nuovo Ospedale, inseriva una serie di "prescrizioni a livello architettonico per indirizzare la progettazione al fine di ottenere un organismo a basso impatto ambientale". Stanti tali criteri urbanistici, nonché l'avvenuta dichiarazione di interesse storico-artistico particolarmente importante dell'edificio storico (padiglioni da B a B8), ai sensi dell'art. 10, comma 1, del d.lgs. n. 42 del 22 gennaio 2004 (il 7 febbraio 2009), emergeva l'indicazione dell'accesso al Pronto Soccorso attraverso il sedime occupato dall'immobile per cui è causa, posto al di fuori del perimetro proprietario.

Nel corso del 2010, veniva rilevata sin dall'atto dirigenziale 23 giugno 2010, n. 819, "l'opportunità di transare l'acquisto con il proprietario dell'esercizio commerciale", orientamento che veniva confermato nella deliberazione dell'Ente n. 15 del 6 agosto 2010, con cui veniva dato mandato al Vicepresidente di formalizzare l'accordo sulla base del valore di perizia del fabbricato, aggiornato al 16 luglio 2010 dall'ing. [omissis], asseverato nel corso del 2011, oltre che del valore di stima dell'esercizio commerciale, calcolato e trasmesso il 5 luglio 2010 dall'Agenzia [omissis], appositamente incaricata, tenuto conto dell'avviamento, degli arredi, delle autorizzazioni, della posizione e dei bilanci degli ultimi tre anni dell'attività, per complessivi euro 509.000,00.

Sulla base di tali atti, veniva sottoscritto in data 16 luglio 2010 lo scambio di proposta (dell'E.O. in persona del D.G.) ed accettazione (della proprietaria sig. [omissis]) d'acquisto dell'immobile, per un prezzo complessivo di euro 475.000,00, inferiore di circa il 7% rispetto alla somma delle valutazioni espresse dalle suddette perizie, di cui veniva preso atto nel decreto n. 5 del 2 settembre 2010, demandando gli adempimenti conseguenti al D.G.

Sempre in data 16 luglio 2010 l'ospedale formulava al Comune di Genova istanza di indizione della Conferenza di servizi, allegando tale proposta d'acquisto.

Seguivano le riunioni di tale Conferenza, in sede referente, con comunicazione di avvio del procedimento ex artt. 7 ed 8 della l. n. 241 del 1990 estesa anche alla proprietaria del bar (nota del 14 ottobre 2010), nel corso delle quali non si esprimevano contestazioni circa gli aspetti patrimoniali di tale acquisizione (cfr. verbale del 25 ottobre 2010); e che, in sede deliberante, approvava il progetto preliminare della struttura (il 24 agosto 2011), che veniva validato con deliberazione n. 15 del 23 settembre 2011 del c.d.a. dell'E.O., pur dando atto delle problematiche relative alla definizione del Piano Economico Finanziario da parte dell'Advisor, definendo il Comune il procedimento (il 20 ottobre 2011).

Il preliminare di vendita era stato sottoscritto tra le parti con rogito notarile il 25 febbraio 2011, prevedendo il versamento di euro 35.000,00 a titolo di caparra confirmatoria e di euro 20.000,00 di acconto, oltre ad una facoltà di recesso unilaterale per l'Ente, esercitabile entro il 30 giugno 2013.

L'iniziativa, nel mentre, aveva sollevato aspre opposizioni espresse soprattutto da parte dei residenti del quartiere, che si sostanziavano, tra l'altro, nell'avvio nel corso del 2011 di numerose azioni giudiziali in sede amministrativa che ritardavano l'iter di approvazione, che, ove accolte in prime cure, venivano respinte a vario titolo dai giudici di secondo grado (anni 2012 e 2013).

In particolare, contestata la suddetta variante urbanistica per violazione della legge urbanistica regionale (n. 36 del 4 settembre 1997), il T.A.R. Liguria ne ha affermato l'illegittimità per la "mancanza di un preciso vincolo giuridico discendente dal P.U.C.", in assenza di titolo edilizio convenzionato legittimante l'edificazione, in luogo di titolo abilitativo diretto (sent. n. 516-517/2012).

Tali censure, unitamente a quelle relative al mancato assoggettamento della progettazione a procedura di V.I.A., venivano dichiarate inammissibili per difetto di interesse in capo agli istanti (cfr. C.d.S., sent. n. 6082/2013).

Inoltre, l'art. 15 del d.l. 6 luglio 2012, n. 95 (conv. nella l. 7 agosto 2012, n. 15) fissava in 3,7/1000 posti letto/abitanti il numero massimo di posti convenzionati, conseguentemente dovendo l'E.O. adeguare la progettazione ad un dimensionamento complessivo di circa 400 posti letto (rispetto a 560).

In data 27 giugno 2013 veniva consensualmente modificato il contratto preliminare, convenendo la "riqualificazione" in caparra confirmatoria dell'acconto già versato (per complessivi euro 55.000,00), prorogando la stipula del definitivo e la facoltà di recesso unilaterale al 30 giugno 2014, nei termini approvati con ordinanza d'urgenza e ratificati dall'E.O. con delibera del c.d.a. n. 9 del 5 luglio 2013.

In data 20 febbraio 2015 veniva stipulato tra Ministero della salute, Regione ed E.O. un "Accordo per la definizione delle risorse per la costruzione del nuovo presidio ospedaliero dell'Ospedale Galliera di Genova".

Conseguentemente, la Giunta regionale con deliberazione n. 286 del 13 marzo 2015, approvava il nuovo Studio di fattibilità della struttura ospedaliera.

Le previsioni urbanistiche oggetto della richiamata variante erano state, poi, confermate nel Piano Urbanistico di coordinamento Comunale (P.U.C.) del marzo 2015, mentre veniva riavviata la progettazione mediante la riedizione del progetto preliminare, alla luce dei nuovi indirizzi regionali del luglio 2015.

2.3. Con la contestata deliberazione del c.d.a. n. 18 del 3 luglio 2015, tenuto conto delle sollecitazioni della proprietà a fronte dello scadere del termine assegnato, l'Organo amministrativo aderiva alla proroga al 30 giugno 2016, autorizzando il versamento di ulteriori euro 30.000,00 di caparra.

Su istanza dell'E.O., nel mese di dicembre del 2015, veniva indetta nuovamente la Conferenza dei servizi, a seguito della riprogrammazione, allegando la suddetta proroga del contratto preliminare d'acquisto, ove non veniva posta in dubbio la progettata localizzazione dell'area di accesso al P.S., "che garantisce una buona dotazione infrastrutturale (...) si protende verso il mare con un volume aggettante che offre riparo, fisico e simbolico, a coloro che arrivano al Pronto Soccorso" (verbale del 19 febbraio 2016), bensì l'insufficienza dei posti auto e, successivamente, l'eventuale impatto del Codice dei contratti (d.lgs. n. 50 del 2016), con coinvolgimento dell'A.N.A.C.

Con deliberazione n. 19 dell'8 luglio 2016, nuovamente scaduti i termini della stipula in assenza della definizione dell'iter autorizzativo, il c.d.a. prendeva atto della disponibilità della parte venditrice ad una ulteriore proroga ed alla stipula di un contratto di comodato "prevedendo la corresponsione mensile del comodatario al comodante di euro 500,00 a titolo di rimborso spese per una durata limitata che meglio verrà precisata congiuntamente, nel prosieguo". Un'ulteriore proroga al 28 febbraio 2017 veniva assentita alle medesime condizioni, in base alla delibera n. 29 del 12 dicembre 2016, e poi, di seguito, al 30 aprile 2017.

Mentre l'E.O. continuava ad allegare, nei moduli di coordinamento organizzativo, le suddette proroghe del contratto preliminare, la Conferenza dei servizi deliberante approvava, in data 11 aprile 2017, il nuovo progetto preliminare (variante I, 1° e 2° Lotto), fatto oggetto dell'Accordo di programma sottoscritto in data 13 aprile 2017 con il Comune di Genova (del. di Giunta del 6 aprile 2017) e validato con determinazione dirigenziale del 10 maggio 2017 di conclusione positiva della Conferenza, con importo del quadro economico maggiorato a seguito delle prescrizioni della Soprintendenza.

Tali atti progettuali confermavano, nuovamente, l'ingresso del Pronto Soccorso del nuovo Ospedale nella zona, posta su uno dei principali assi viari cittadini di Corso Aurelio Saffi, baricentrica ed accessibile rispetto all'utenza proveniente sia dal levante che dal ponente cittadino, ritenendola ottimale per la funzionalità della struttura e per il transito dei mezzi di soccorso.

2.4. Conseguentemente il c.d.a. dell'Ente, con la contestata deliberazione n. 12 del 12 maggio 2017, premesso che gli ulteriori differimenti del termine di stipula formalizzati tra le parti a seguito della proroga del 6 agosto 2015 erano stati "senza ulteriori esborsi", affermava la sussistenza di "tutti i presupposti per procedere alla sottoscrizione del definitivo atto di acquisto dell'esercizio commerciale", autorizzando il versamento della residua somma di euro 204.000,00 e, "su richiesta dell'attuale proprietà", il comodato gratuito in uso del locale verso il rimborso forfettario di euro 500,00 mensili, in conto oneri e spese dell'Ente, con durata limitata al 31 dicembre 2017 e prorogabile, "con riserva di liquidare i pattuiti euro 186.000,00 a titolo di indennità per la cessazione dell'attività solo nel momento in cui, venuto meno il comodato d'uso gratuito per recesso anticipato e/o scadenza naturale senza rinnovo, controparte abbia effettivamente dismesso il proprio esercizio". Il contratto definitivo di compravendita veniva stipulato tra le parti (D.G., Vicepresidente dell'Ente e parte venditrice) con atto pubblico del 13 giugno 2017, registrato il 10 luglio 2017, adottando l'E.O. i provvedimenti conseguenti (atto D.G. 28 luglio 2017, n. 585).

2.5. Il 31 luglio 2017 veniva indetta la gara con procedura aperta per l'affidamento del servizio di progettazione definitiva, che veniva aggiudicato ad una R.T.I. (con sottoscrizione del contratto, all'esito di contenzioso, solo il 7 dicembre 2018), che curava la predisposizione un nuovo piano di fattibilità e sostenibilità finanziaria dell'opera, approvato in sede di Conferenza dei servizi (n. 19/2019 in seduta referente e deliberante del 17 aprile 2020).

Inoltre, con deliberazione del Consiglio regionale n. 21 del 5 dicembre 2017, si stabiliva che "il panorama del rinnovo del parco ospedaliero regionale è completato dalla costruzione del nuovo ospedale Galliera".

Successivamente, con deliberazione n. 14 del 13 novembre 2020, il c.d.a. dell'Ente approvava il "Piano di Fattibilità Strategico di Sviluppo dell'Ente ospedaliero" e il "Piano di Fattibilità Economico-Finanziario" del progetto per la realizzazione del Nuovo Ospedale Galliera - Variante 1 - 1° Lotto.

In seguito, il progetto definitivo variante prima - primo lotto è stato approvato con atto del Direttore generale n. 846 del 23 dicembre 2020, confermando anche il progetto preliminare del secondo lotto, per complessivi 404 posti letto.

Nella prosecuzione dell'iter amministrativo, con deliberazione di Giunta regionale del 30 dicembre 2020, n. 13 è stato approvato il suddetto progetto definitivo di realizzazione del nuovo Ospedale Galliera, dando atto che l'intero intervento risultava coerente con la programmazione sanitaria regionale, la cui copertura finanziaria per euro 154.000.000,00 veniva prevista ed assicurata:

"- per euro 40.992.731,46 a valere sul finanziamento statale ex programma art. 71 l. 448/1998 (dGr n. 56/2011), - per euro 1.877.071,85 fondo statale programma AIDS (ex l. 135/1990) impegnato con dGr n. 1282 del 15 maggio 1998 impegno n. 801089, di cui euro 90.156,04 già liquidati all'Ente, - per la differenza di euro 111.130.196,69 con risorse proprie dell'E.O. Ospedali Galliera e attraverso la permuta del proprio patrimonio e con finanziamento di euro 74.594.209,00 approvato da CEB - Banca di Sviluppo del Consiglio d'Europa in data 3 luglio 2020 (in atti dell'Ente con prot. gen. n. 20336/20 del 10 luglio 2020)", per cui "ai fini della classificazione del rating dell'operazione, CEB ha rappresentato la rilevanza, anziché di una operazione di cessione di credito, quale prefigurata dall'art. 11, comma 2, della convenzione del 2017, di disciplinare il rapporto mediante la previsione di una delegazione pura di pagamento ai sensi dell'art. 1269 c.c. da parte del Galliera nei confronti di Regione Liguria, avente ad oggetto le somme previste quali corrispettivi delle funzioni e dell'attività prestata in regime convenzionale, a favore di CEB ai fini del rimborso dei ratei del mutuo" (v. SRC Liguria, 3 luglio 2020, del. n. 63). Tale delibera, inoltre, ha preso atto del progetto preliminare del secondo lotto, approvato con deliberazione del c.d.a. dell'Ente n. 18 del 7 luglio 2017 e confermato con il citato atto del Direttore generale n. 846 del 2020, per un costo di euro 17.200.000,00, con copertura a carico dell'Ente, per un onere complessivo per l'opera allo stato previsto di 171,2 milioni di euro.

Il Consiglio di amministrazione, a sua volta, con deliberazione 16 gennaio 2021, n. 3, ha approvato il progetto definitivo, variante prima, primo lotto, con il relativo quadro economico, dando mandato al Vicepresidente e al Direttore generale di procedere alla definizione dell'accordo con la Banca di Sviluppo del Consiglio d'Europa (CEB) per il finanziamento di parte dell'intervento. Acquisita la determinazione del Comune di Genova di approvazione dell'analisi del rischio (il 9 febbraio 2021), il medesimo c.d.a. del Galliera con atto in data 20 marzo 2021, n. 8 ha approvato l'accordo quadro con la CEB.

Con provvedimento n. 264 del 9 aprile 2021 la Direzione generale dell'Ente Ospedaliero ha indetto, ai sensi degli artt. 194 e ss. del d.lgs. n. 50 del 2016 (c.c.p.), la "gara con procedura aperta per l'affidamento unitario a Contraente Generale della Progettazione Esecutiva e della realizzazione del Nuovo Ospedale Galliera, Variante 1, Primo Lotto".

In sede di trattazione, è emerso che la suddetta procedura di gara è andata deserta. Nella pendenza di ricorsi amministrativi avverso il progetto (descritti in fatto, nei termini rappresentati dal P.M.), sul sito dell'E.O., risulta nelle more bandita una ulteriore procedura aperta per "l'affidamento con Appalto Integrato della Progettazione esecutiva e della realizzazione del nuovo Ospedale Galliera, Variante 1, Primo lotto - Manutenzione per anni otto", con termine al 10 giugno 2022 per la presentazione delle offerte e con alcune modifiche al paradigma contrattuale prescelto (appalto integrato, in luogo del contraente generale) e differenti modalità di finanziamento.

Relativamente all'asserita necessità di valutazione di interesse culturale, ai sensi del d.lgs. n. 42 del 2004, per la demolizione del bar, le difese hanno allegato il certificato della competente struttura ministeriale, acquis[i]to dall'E.O. in data 18 dicembre 2020, contenente la dichiarazione che l'edificio "non presenta i requisiti di interesse" previsti dalle norme di tutela.

Per quanto concerne il valore dei beni alienabili, nonché l'individuazione di questi ultimi, l'E.O. Galliera e la Regione dovranno recepire eventuali aggiornate determinazioni, da parte della competente Sovraintendenza del Ministero per i beni e le attività culturali, in ordine ai vincoli diretti e indiretti apponibili all'attuale complesso ospedaliero (cfr. C.d.S., sent. n. 4685/2021 versata in atti e SRC Liguria, del. cit. n. 70/2021/PAR).

Sono stati depositati dalle parti private i provvedimenti autorizzativi ed i contratti di ulteriore proroga del regime di comodato d'uso gratuito del locale, almeno fino al 30 giugno 2020, a firma del Direttore del dipartimento giuridico ed economico su provvedimento autorizzativo del Direttore generale con pareri favorevoli del D.A. e del D.S., considerando la delibera del medesimo c.d.a. n. 22 del 29 novembre 2019 che aveva dato mandato congiunto al D.G. ed al Vicepresidente per ogni atto attuativo (prov. n. 973 del 24 dicembre 2019).

Il protrarsi del suddetto regime, almeno fino alla data dell'udienza di trattazione, è stato affermato dal P.M. e non contestato dalle parti private.

3. Sussistenza e fonti di danno erariale

3.1. Le difese negano, in primis, l'esistenza dell'elemento oggettivo.

Invero, la sussistenza di un danno erariale diretto, subito dall'E.O., derivante dall'adozione delle suddette soluzioni gestorie, risulta convincentemente provata dall'Organo requirente e confermata dagli atti delle medesime difese.

Nonostante i Patroni sovrappongano i rispettivi profili, il P.M. non addebita ai convenuti l'esorbitanza in sé del prezzo dell'immobile compravenduto nei termini degli accordi iniziali (scambio di proposta del Direttore generale dr. L. ed accettazione della sig.ra [omissis], del 16 luglio 2010; decreto di presa d'atto del medesimo a firma del Vicepresidente dr. R. n. 5 del 2 settembre 2010; deliberazione del c.d.a. n. 15 del 6 agosto 2010; contratto preliminare sottoscritto il 25 febbraio 2011), bensì la stipula del contratto definito di compravendita (datato 13 giugno 2017) per il corrispettivo inizialmente pattuito per l'immobile (euro 289.000,00), nonostante tale ampia sfasatura temporale, unitamente alla rinuncia ad ogni valorizzazione economica dello stesso.

Sussistono, pertanto, due fattispecie di gestione patrimoniale dannosa.

Il Collegio, al riguardo, non ritiene di disporre consulenza tecnica d'ufficio, a norma dell'art. 97 c.g.c., potendosi senz'altro pervenire ad una documentata e definitiva valutazione del danno differenziale, ancorata ad elementi oggettivi.

Infatti, l'art. 95 c.g.c. rende obbligatoria la valutazione delle prove offerte, le quali devono essere poste a base del meccanismo di formazione del libero convincimento del giudice, quando siano assai sufficienti e nel complesso chiare (come nella fattispecie) nell'evidenziazione di una responsabilità, non potendosi ricercare ad libitum ulteriori pareri tecnici e prove divergenti.

3.2. Quanto al danno da sovrapprezzo, la negoziazione resta censurabile per le condizioni assentite in sede di proroga dei termini, nonché per la cristallizzazione dell'acquisto, all'atto della sottoscrizione del contratto definitivo di compravendita, ad un prezzo da considerare palesemente eccessivo, fuori mercato e ben sovrastante il range di "fisiologica oscillazione" immanente ad ogni procedura valutativa (+/-5%), oltre che la soglia di tolleranza dell'errore per lo più assentita dalla dottrina estimale (+/-10%). Infatti, l'esborso è stato giustificato sulla base di una perizia redatta nel corso del 2010 (a corpo), anno di picco al rialzo del mercato immobiliare di riferimento, che avrebbe dovuto senz'altro essere aggiornata alla successiva contrazione dei prezzi, nel corso del 2017 e nell'osservanza del canone di "prossimità alla stipula" predicato dalla giurisprudenza citata dalle stesse difese, costituendo il crollo dei relativi valori fatto notorio, con una flessione massima della svalutazione a Genova, nel decennio 2007-2017, rispetto alle grandi città italiane, per ben il -53,3% (cfr. pubblicazione, doc. n. 39 P.M.).

Infatti, da riscontri oggettivi sono emersi differenziali di valori, costituenti un danno al patrimonio pubblico, risultando versato dall'E.O. un corrispettivo ingiustificato rispetto ai parametri reali di riferimento (al 13 giugno 2017).

Gli elaborati peritali depositati, per alcuni aspetti, risultano discordanti, rilevandosi in primis una discrasia nella misurazione delle superfici commerciali utili del locale, diversamente valorizzate dagli esperti incaricati, contestando le difese la reale consistenza dell'immobile, rispetto all'ordito accusatorio, per una sottovalutazione della superficie reale almeno del 25%.

3.3. Innanzitutto, risultano versate in atti due perizie a firma dell'ing. [omissis], la prima, datata 18 dicembre 2008 (prot. il 24 dicembre 2008) e la seconda, datata 12 luglio 2010 (prot. il 16 luglio 2010, medesimo giorno dello scambio di proposta ed accettazione tra le parti), asseverata il 10 gennaio 2011 (prot. 17 gennaio 2011), unitamente ad una nota di chiarimenti del 25 marzo 2019 e ad una relazione esplicativa del 31 maggio 2019, indirizzate all'Ente "Ospedali Galliera".

Secondo il primo elaborato del 2008, "a seguito della visita in loco", "i locali oggetto di stima hanno una superficie commerciale di circa mq. 40", cui risultano "annessi" i seguenti dati geometrici: "locali cantina" (mq. 40), "terrazzo di copertura" (mq. 40), "piccola corte, sita sul lato nord est" (mq. 16), per mq. 136 totali, allegando una planimetria in scala 1:200.

Secondo la perizia del 2010 (asseverata), con l'allegazione di piante elaborate in scala 1:100, i dati geometrici ricavati a seguito di "visita in loco" risultano essere: "locale bar piano terreno" (mq. 62), comprensivo della piccola corte annessa (come si evince dalla relazione del 25 marzo 2019), "locali deposito" (mq. 43) e "terrazzo di copertura" (mq. 40,00), per mq. 145 totali, ritenendo che "i locali al piano terra, oggetto di stima, hanno una superficie commerciale di circa mq. 62", cui risultano "annessi" deposito e terrazzo.

In entrambe le perizie, la stima viene proposta "a valore venale" ed "a corpo" ("e non a misura", come ribadito nella proposta di acquisto del 16 luglio 2010), secondo una "stima sintetico comparativa" rispetto ad immobili in simili condizioni di zona e caratteristiche, non rappresentando il prezzo di vendita del bene, bensì il "più probabile valore di mercato" (cfr. rel. 31 maggio 2019).

Nel lasso temporale che distanzia la stesura delle due perizie, la stima del valore del locale è stata aggiornata da euro 178.000,00 ad euro 289.000,00, con notevole valorizzazione (per euro 111.000,00), giustificata considerando l'incremento dei prezzi del mercato (0,5%-0,6% tra il 2009 e il 2010), nonché le migliorie manutentive e la riqualificazione del piano rialzato, distinguendo gli importi per euro 3.200,00/mq. per il locale piano terra, euro 1.000,00/mq. per il locale deposito ed euro 1.200,00/mq. per il terrazzo (cfr. verbale G.d.F. dell'1 aprile 2019).

Con nota del 25 marzo 2019, è stato precisato che: "le consistenze dei vari locali costituenti il bene nel suo complesso ed esplicitate nelle due perizie avevano lo scopo di indicare sommariamente la loro entità e non dovevano indicare la specifica valorizzazione di ciascuna destinazione d'uso, e comunque il loro valore geometrico è stato ricavato dalla lettura di una copia della planimetria catastale in scale 1:200.00. Ciò a dimostrazione che il valore di stima va ed andava esplicitato a corpo e non a misura".

È stato puntualizzato, altresì, che: "Il valore espresso è stato dedotto comparando i prezzi noti di mercato (...) con il bene oggetto di stima", secondo un giudizio comparativo basato sull'expertise del professionista.

Del resto, nella relazione del 31 maggio 2019, egli ha confermato la congruità del valore di acquisto (euro 289.000,00) in base a diverse considerazioni: 1) applicazione della mera rivalutazione dal 2002 al 2010 al 21% (fonte AITEC) del prezzo di acquisto per euro 227.000,00 (nell'ambito di un programma di dismissione); 2) evidenza di errori nella stima dell'Agenzia delle entrate, calcolando una superficie commerciale di mq. 58 per il locale bar, mq. 36 per il locale cantina e mq. 56 per il terrazzo di copertura, per mq. 150 totali, ragguagliata per mq. 89,75, per cui applicando lo stesso prezzo unitario calcolato dall'A.d.e. al dato catastale o a tale differente consistenza, si giungeva rispettivamente ai valori di euro 268.284,00 ed euro 304.791,00; 3) conferma col metodo della capitalizzazione diretta, in base allo stesso valore locativo indicato dall'A.d.e., che conduceva alla stima di euro 288.000,00.

Il professionista ha concluso, pertanto, affermando che il valore stimato nel 2010 dovesse ritenersi corretto, anche rapportato al 2017.

Con l'ausilio dei militari della G.d.F. delegati all'istruttoria, è stata acquisita anche una relazione di stima del valore del suddetto compendio immobiliare da parte di un tecnico dell'Agenzia delle entrate, svolta secondo il "criterio comparativo diretto" ricorrendo ad un[a] collocazione dell'immobile nell'ambito di una fascia di tipo "ottimo" delle compravendite, recante la conclusione che "Il bene in oggetto risulta decentrato rispetto alle posizioni di maggior rilievo commerciale della zona OMI di appartenenza" (B02, quartiere di Carignano) e che "presenta tuttavia una discreta appetibilità commerciale, dovuta principalmente al complesso ospedaliero ed alla Circonvallazione a Mare".

All'esito del sopralluogo svolto il 5 dicembre 2018, il perito dell'Organo tecnico ha computato e ragguagliato la superficie di riferimento omogeneizzata a 66 mq., secondo i criteri previsti dal d.P.R. 23 marzo 1998, n. 138, allegato C, individuando 41 mq. al piano terreno per il locale uso bar, con altezza interna di m. 3,50, oltre ad una cantina al piano interrato di 42 mq. ed una terrazza praticabile al piano di copertura di 43 mq.

Utilizzando la banca dati di riferimento O.M.I., redatta dall'A.d.e., Direzione provinciale di Genova, con riferimento alla zona BO2 (Carignano), è stato individuato il campione omogeneizzato dei negozi categoria C1 ritenuti direttamente raffrontabili al cespite, per effettuare la valutazione di mercato con applicazione del procedimento comparativo pluriparametrico c.d. "MCA - Market Comparison Approach", alla data della compravendita del 13 giugno 20017, secondo test di ammissibilità, attribuzione di punteggi per singole caratteristiche (prezzi marginali dei comparables, appetibilità commerciale, consistenza, ingressi e vetrine, distribuzione degli spazi interni, stato manutentivo dell'unità immobiliare) e tabelle di comparazione dei dati a "prezzi corretti", pervenendo al calcolo finale di un valore di mercato stimato, per la superficie di mq. 66*euro 3.396/mq., arrotondato ad euro 224.000,00.

Si precisa, inoltre, che il suddetto valore unitario/mq. "risulta leggermente inferiore al valore medio dell'intervallo O.M.I. per i negozi in stato ottimo siti nella zona BO2 di riferimento, in virtù delle caratteristiche posizionali".

Sulla scorta di tale prospettiva valutativa, ritenuta eccessivamente generosa dal P.M., il cespite nel 2017 non avrebbe comunque potuto avere un valore superiore ad euro 224.000,00, comunque inferiore per euro 65.000,00 rispetto al prezzo erogato dall'Ente (per un sovrapprezzo di circa il 23%).

Nella relazione datata 15 ottobre 2018, la Guardia di Finanza aveva svolto un'analisi del calcolo del valore dell'immobile sulla base delle quotazioni O.M.I., dati pubblici aggiornati ogni semestre, in relazione alla zona centrale "BO2", sulla cui base al secondo semestre dell'anno 2010, il cespite avrebbe dovuto allocarsi nel range del valore di mercato, tra un minimo di euro 1.800,00 al mq. ed un massimo di euro 3.400,00 al mq., in relazione alla superficie.

Di contro, raffrontando i valori, è emerso che nel primo semestre del 2017 era stata operata una suddivisione in base alle condizioni conservative ed alla posizione dell'immobile in "scadente", "normale" e "ottimo".

Secondo gli Inquirenti e la contestualizzazione della suddetta indagine svolta dal medesimo P.M., sulla scorta delle risultanze dei valori di stima offerti dall'A.d.e., per l'"estensione in mq. rilevanti altresì catastalmente in complessivi 66 mq. (...) in forza della disciplina di cui al d.P.R. 23 marzo 1998, n. 138", tenuto conto del deperimento determinato dal tempo e dall'uso per cui "lo stato attuale dell'esercizio commerciale" veniva ritenuto "obsoleto", lo stesso avrebbe dovuto valutarsi quale immobile "normale", al massimo, nella misura di euro 2.400,00 al mq., risultando collocato in una posizione decentrata. Ovvero, secondo la parte pubblica, ove anche si fosse ritenuto il negozio valutabile nella fascia "ottimo" ("con evidente forzatura"), avrebbe dovuto assumersi la "forbice" di riferimento minima (euro 2.500,00 al mq.), con conseguente determinazione del valore in euro 165.000,00, somma inferiore di ben euro 124.000,00 rispetto all'importo pagato (per un sovrapprezzo di circa il 43%).

Gli assistiti dall'avv. Arvigo hanno prodotto in giudizio anche una consulenza tecnica di accertamento della consistenza commerciale dell'immobile, effettuata in data 12 ottobre 2020 dal geom. [omissis] di Genova, che in applicazione dei medesimi criteri di cui al d.P.R. n. 138 del 1998 - allegato C, misurava una complessiva superficie del locale non di mq. 66 bensì di mq. 88 (principale mq. 62,50; accessoria mq. 20,62; terrazzo mq. 5,00), deducendone la conseguenza che moltiplicando per tale dato la medesima stima utilizzata dal P.M., poteva essere individuato un reale valore dell'immobile superiore al prezzo pagato per l'acquisto nel corso del 2017 (euro 298.84,00 = 3.396,00*88).

Gli assistiti dagli avv.ti prof.ri Gallo e Luciani, infine, depositavano un "Rapporto di valutazione sintetico parametrica sul più probabile valore di mercato" dell'immobile, redatto il 22 settembre 2020 dal prof. arch. [omissis].

Tale studio, premettendo la metodologia del procedimento estimativo adottato in base alle linee-guida internazionali ed europee (IVS, EVS), agli standard professionali ed alle norme Uni di riferimento, oltre ai codici e manuali della Banca centrale europea e dell'Agenzia delle entrate, rilevava "a monte" un errore nel calcolo delle consistenze, date "le planimetrie fornite dalla Committente e sommariamente verificate mediante rilievo metrico sul campo", "pari a circa 93 mq." (terra mq. 62, interrato mq. 20, terrazza mq. 12).

Il suddetto professionista, applicando il metodo diretto di mercato (market approach), ha individuato valori di negozi in stato conservativo "normale" allineati ai dati O.M.I. (secondo semestre 2019), zone B02 ("microzona 52, Carignano") e C11 ("microzona 53, Foce Mare"), parametrando al 2011 il valore determinato al 2020 ("Vm = 93 mq x 1.808 al mq = 168.579,55 euro"), con l'applicazione dei coefficienti di rivalutazione annuali desunti dall'O.M.I. (zona C11), concludendo che il valore di stima più probabile al 2011 sarebbe stato pari a euro 282.000,00, con alea d'uso del 5%, in eccesso o difetto.

Invero, secondo la medesima tabella di calcolo ivi utilizzata, nell'ambito della regressione ai valori degli anni antecedenti al 2019, risulta chiaramente che il valore di mercato del bene, aggiornato al 2017, per una superficie di 93 mq., sarebbe stato di euro 180.766,02 (con importo unitario di euro 1.943,72/mq., definito tra un valore minimo di euro 1.500/mq., massimo di euro 2.950/mq. e medio di euro 2.225/mq.; inferiore di euro 108.233,98, rispetto al prezzo versato nel 2017 di euro 289.000,00), per un sovrapprezzo versato, comunque, di oltre il 37%.

3.4. Nel vigente ordinamento, dominato dal principio del libero convincimento del Giudice, egli è chiamato a valutare le prove fornite dalle parti, nel loro complesso, secondo il proprio prudente apprezzamento (art. 95 c.g.c.).

Risultando intuitivo che la stima di un immobile possa essere suscettibile di divergenze di apprezzamento, nella dinamicità del mercato e nella varietà dei "moventi" soggettivi sottesi all'incontro tra domanda ed offerta, per gli individuali, anche simbolici, valori d'uso e d'investimento dei beni, nella specie compete al Giudice contabile ancorare il vaglio di congruità del prezzo versato a parametri certi ed oggettivi, per l'anno della compravendita (2017).

Al riguardo, il Collegio può affermare con certezza che il valore di mercato del cespite immobiliare a tale data era nettamente inferiore a quanto pagato.

Infatti, il P.M. non contesta la valutazione asseverata dell'ing. [omissis] del 12 luglio 2010, pur ritenuta "già di per sé all'epoca decisamente generosa per la parte privata venditrice", bensì l'inattualità della medesima dopo ben sette anni ed in una congiuntura oggettivamente assai diversa, di forte depressione dei prezzi e di ribasso della domanda, nel contesto della grave "crisi del mattone" che ha colpito il territorio genovese, ben più delle altre grandi città.

Peraltro, la forte svalutazione dell'immobile è stata ulteriormente confermata dal calcolo dal prof. [omissis], allegato dalle medesime parti private, a far tempo dal 2011 e sino al 2020 (con variazione addirittura del 67%).

La giurisprudenza della Corte di legittimità, in materia espropriativa, è ferma nel ritenere che la determinazione del valore possa avvenire tanto con metodi sintetico-comparativi, volti ad individuare il prezzo di mercato dell'immobile attraverso il confronto con i prezzi di beni aventi caratteristiche omogenee, quanto con metodi analitico-ricostruttivi, tesi ad accertarne il valore di trasferimento o ancora con metodi diversi da questi, restando rimessa al Giudice la scelta di un metodo improntato, per quanto possibile, a canoni di effettività (Cass., Sez. I, 22 marzo 2013, n. 7288, e Sez. VI, 31 marzo 2016, n. 6243).

Nella specie, sono state versate in atti perizie "a corpo", "sintetico comparative" e secondo il metodo della capitalizzazione, in relazione a diversi calcoli di consistenza, anche svolti dal medesimo professionista e nell'ambito di una stima "a corpo", per il che il Collegio dispone di tutti gli elementi per pervenire ad una effettiva valutazione al 2017 dello stabile.

L'immobile per cui si controverte è ubicato a margine del quartiere di Carignano, confinante a ponente con il Molo (via della Marina e via del Colle), a levante con la Foce (corso Podestà, le Mura delle Cappuccine e via Vannucci), a nord con Portoria (piazza Dante e via Porta degli Archi), a sud con l'area portuale (Circonvallazione a mare, corso Saffi e corso Quadrio).

Quanto alla superficie complessiva utile, il Collegio intende prendere a riferimento la misurazione svolta all'esito del sopralluogo dal perito dell'Organo tecnico delegato, secondo i criteri previsti dal d.P.R. 23 marzo 1998, n. 138, allegato C e le istruzioni diramate dalla medesima Agenzia (per mq. 66, risultando 41 mq. uso bar, 42 mq. cantina al piano interrato e 43 mq. terrazzo).

Invero, nell'atto pubblico di "compravendita e comodato d'uso" del 13 giugno 2017, art. 1, risulta compiutamente descritto il locale commerciale a due livelli compravenduto: "Il tutto risulta iscritto al Catasto Fabbricati del Comune di: Genova (GE), alla sezione GEA, foglio 100, mappale 30, zona censuaria 1, categoria C/1, classe 5, consistenza metri quadrati 79, superficie catastale metri quadrati 66, rendita catastale Euro =1.742,16= (...) la parte venditrice dichiara, e la parte acquirente, come sopra rappresentata, ne prende atto, che i dati catastali e la planimetria sono conformi allo stato di fatto, e in particolare che non sussistono difformità rilevanti (...)".

Pertanto, la suddetta estensione è sia rilevante catastalmente (e ben specificata nelle visure), che coincidente con la "misura" del bene che le parti hanno inteso compravendere a quel dato prezzo, in quanto riportata anche nell'atto definitivo di compravendita e fatta oggetto delle dichiarazioni vincolanti tra le parti ex lege, che, infine, superficie ragguagliata e ponderata con le pertinenze secondo il calcolo svolto dalla medesima Agenzia incaricata, all'esito di sopralluogo e nel più ampio insieme quantitativo misurato della metratura della consistenza.

Quanto al valore unitario al mq. da prendere a riferimento per la determinazione del valore del cespite nel pertinente semestre dell'anno 2017, sulla scorta dei medesimi criteri estimativi seguiti dal tecnico dell'A.d.e., delegato dalla parte pubblica, posti a raffronto con la metodologia seguita dai periti delle parti private, la Sezione conviene con il Requirente sulla circostanza che l'importo di euro 3.396/mq., individuato dalla medesima Agenzia, seppur sempre idoneo a rilevare un cospicuo sovrapprezzo versato, risulti eccessivamente generoso, in considerazione delle caratteristiche del bene.

Tale prospettiva estimale, infatti, pur considerando l'immobile collocato in una posizione "decentrata rispetto alle posizioni di maggior rilievo commerciale della zona OMI di appartenenza (asse viario via Corsica, piazza Carignano, via Fieschi)" ed ipotizzandone comunque una "discreta appetibilità", individua un valore unitario "leggermente inferiore al valore medio dell'intervallo O.M.I. per i negozi in stato ottimo siti nella zone B02".

Invero, tenuto conto del deperimento determinato dal tempo e dall'uso, i medesimi Inquirenti avevano rilevato lo "stato attuale dell'esercizio commerciale... obsoleto", mentre il perito dell'A.d.e. aveva descritto l'immobile come "un edificio di una vecchia costruzione... versante in normali condizioni generali e con ordinaria dotazione di impianti e finiture".

In effetti, il posizionamento del locale risulta all'estremità del quartiere di Carignano, censito nelle quotazioni della zona O.M.I. BO2, che si spande tra la zona centralissima di via XX Settembre, Piccapietra ed il Centro Storico (nonostante la facilità di raggiungimento pedonale e con mezzi pubblici del centro cittadino), con la conseguenza che qualunque valutazione sintetico-comparativa del mercato delle compravendite della medesima zona finirebbe per scontare una sensibile alea di stima in eccesso, ove la selezione del campione dei beni a raffronto (c.d. comparables), per l'omogeneizzazione delle caratteristiche, includesse parametri differenti ovvero che scontino una diversa e più centrale localizzazione di dettaglio, rispetto a quelle dell'immobile oggetto di stima (c.d. subject), dovendosi valorizzare correlati coefficienti.

Invero, in una diversa e meno generosa prospettiva valutativa, la stessa stima di parte del prof. [omissis] ha individuato il più probabile valore di mercato del cespite nel 2017, in euro 180.766,02, con riferimento ad una diversa superfice ragguagliata (93 mq.), ai dati O.M.I. per la categoria negozi in "normale stato conservativo" e ponendo a raffronto diversi comparables nell'analisi di mercato per individuare il valore unitario di offerta, dal 2020 fino al 2011.

Nella specie, peraltro, può essere esclusa la rilevanza di altre metodologie, quali ad esempio la mera rivalutazione del prezzo di acquisto (euro 227.000,00 nell'anno 2002), in riferimento ad una notoria ed accertata tendenza pluriennale svalutativa degli immobili, che nel 2017 ha raggiunto il picco (negativo).

Quanto all'argomento relativo al "valore di acquisizione inferiore alla stima valutativa" (avv. Luciani), esso del pari non rileva, essendo lo "sconto" del 7% applicato dalla proprietà relativo al solo valore dell'azienda (e non dell'immobile), che esonda dal petitum di causa, anche come vantaggio (infra).

Al riguardo, il P.M. ha qualificato il suddetto importo (euro 186.000,00), nella pubblica udienza, quale ipotesi di "danno futuro", perché non ancora versato.

Quanto al metodo analitico per la capitalizzazione dei redditi, proposto nella relazione dell'ing. [omissis] del 31 maggio 2019, a conferma della bontà del valore stimato d'acquisto (per euro 288.000,00, che si ricaverebbe dal medesimo valore di affitto calcolato dall'A.d.e. per il 2017: euro 1.200,00/mese), tanto nel 2010 quanto nel 2017, in disparte la considerazione che le medesime difese che hanno depositato tale relazione hanno negato nella specie la retraibilità di un reddito, in ogni caso, ove si prediliga un metodo comparativo diretto allineato ai parametri di riferimento delle quotazioni O.M.I., non risulta necessario indagare, ad ulteriore raffronto, i plausibili epiloghi di metodi di stima indiretti.

Nondimeno, per determinare il suddetto valore, importanza fondamentale assumono le variabili del reddito netto e, soprattutto, il saggio di capitalizzazione, che costituisce il prezzo d'uso di un'unità di risparmio non in forma monetaria, come nel caso del saggio di interesse, bensì in capitale.

Nella specie, oltre all'indimostrata selezione del saggio di capitalizzazione da applicare (0,04), in ogni caso si ritiene metodologicamente improprio l'utilizzo di una forfetizzazione di spese generali teoriche (per "manutenzione", "assicurazione", "servizi", "amministrazione" e "imposte"), da sottrarre al reddito lordo nella misura del 20%, in presenza di un rimborso spese effettivamente versato dalla comodataria, quindi di spese dimostrabili ed effettive, seppur solo parziali (a fronte della suddetta ben più lata elencazione delle "voci indicative di costo riferibili al reddito lordo" e degli accordi inter partes in cui si fa riferimento a spese ed imposte e non ad ulteriori oneri).

Ebbene, come si vedrà, quantificando il reddito netto effettivo nella specie retraibile, attraverso la sottrazione dal canone del vantaggio costituito dal (parziale) rimborso spese versato ed applicando la medesima formula utilizzata dal professionista (valore immobile = reddito netto/saggio di capitalizzazione), si perviene ad un valore prossimo a quello stimato (euro 165.000,00, v. infra).

In una compravendita, comunque, rispetto ai metodi orientati al reddito o al costo, risulta più rilevante individuare il (più probabile) valore di mercato (market value), che secondo gli IVS, è così definito: "L'importo stimato per il quale un'attività o una passività dovrebbero scambiarsi (...) in normali condizioni di mercato, dopo un'adeguata strategia di vendita e in cui le parti hanno agito con cognizione di causa, con prudenza e senza costrizioni".

L'Osservatorio del mercato immobiliare (O.M.I.), come noto, è stato istituito con il d.lgs. n. 300 del 30 luglio 1999, art. 64, comma 3. La banca dati delle quotazioni immobiliari "BDQ OMI" fornisce con cadenza semestrale, per ogni delimitata zona territoriale, un intervallo minimo-massimo dei valori di mercato e di locazione, per unità di superficie, per tipologia immobiliare e stato di manutenzione e conservazione (attrattività commerciale per i negozi).

L'Osservatorio è divenuto, obbiettivamente, una fonte di informazione economica vieppiù riconosciuta ed autorevole nel panorama italiano, permettendo di individuare con ragionevole certezza e livello di dettaglio i fenomeni statisticamente osservati, oltre che per la stabile collaborazione con l'I.S.T.A.T., nonché con Banca d'Italia e Tecnoborsa, nelle rilevazioni e nei listini.

Tali valori, individuando un intervallo di quotazioni in cui più probabilmente ricade il valor medio di unità immobiliari in condizioni ordinarie, restano di ausilio per verificare e conformare l'attendibilità delle stime, costituendo lo strumento in genere utilizzato per riallineare e omogeneizzare il campione prescelto dei beni a raffronto (limitatamente ai comparables disomogenei fra loro e rispetto al subject, per epoca di riferimento e localizzazione generale).

Nella specie, al fine di riallineare il suddetto margine di alea (in eccesso) della perizia resa dall'Organo delegato, per l'omogeneizzazione delle caratteristiche e mantenendo la superficie ragguagliata, il Collegio ritiene opportuno rideterminare il valore unitario attribuito all'interno del medesimo intervallo O.M.I. della zona BO2 e fascia (min. euro 2.500,00 e max. euro 4.800,00), applicato alla stima, sulla scorta delle indagini della G.d.F., versate in atti dal P.M., e, principalmente, delle medesime quotazioni O.M.I. di dettaglio.

Infatti, nelle aree urbane il "fattore posizionale" rappresenta, notoriamente, una indiscussa guida nella spiegazione dei prezzi delle unità immobiliari, dovendosi valorizzare il corretto segmento di mercato nella microzona scelta.

Per il che, considerando la collocazione decentrata del cespite rispetto al contesto preminente della zona di appartenenza, nonché le caratteristiche del locale, intrinseche ed estrinseche, si ritiene di mantenere la stima valutativa dell'immobile nella fascia "ottimo" delle pertinenti quotazioni semestrali O.M.I., come ha ritenuto all'esito della comparazione di mercato il perito dell'A.d.e. (e non quella "normale" preferibilmente applicata dagli Inquirenti, nonché da una perizia di parte), ma allineando la rilevazione alla (più probabile) valorizzazione del pertinente segmento di mercato, che si ottiene assumendo la forbice minima consentita di euro 2.500,00 mq., con la conseguente determinazione del valore dell'immobile al 13 giugno 2017 in euro 165.000,00 per 66 mq., anche in coerenza con una delle analisi elaborate dal P.M.

La suddetta stima, effettuata dall'Organo requirente, è stata contestata dalle difese, sulla scorta dell'orientamento della giurisprudenza di legittimità e di merito che configura le quotazioni O.M.I. "mere presunzioni semplici" e strumenti di ausilio ed indirizzo per l'estimo, nel caso in cui le rettifiche dell'A.d.e. abbiano utilizzato i soli valori del mercato immobiliare (cfr. avv. Arvigo, cit. Cass., Sez. V trib., sent. 7 settembre 2018, n. 21813, e Trib. Reggio Emilia, Sez. II civ., sent. 1° dicembre 2014, n. 1622 sull'ammissibilità delle prove atipiche).

Anche il suddetto indirizzo della giurisprudenza tributaria, relativo per lo più ai procedimenti di rettifica dell'imposizione di registro, comunque pacificamente consente il proficuo ricorso alle medesime quotazioni, ove supportato dalla sussistenza di ulteriori elementi indiziari gravi, precisi e concordanti (v. Cass., Sez. V, 17 febbraio 2021, n. 414), nella specie acquisiti.

Pertanto, l'importo stimato sulla base della perizia di un Organo tecnico, raffrontato con gli altri rapporti valutativi di parte e riconsiderato in dettaglio alla luce dei medesimi dati pubblici dell'O.M.I., ritenuti più pertinenti alle caratteristiche, quindi ancorato a dati concreti e imparziali, oltre che attuali, attendibili ed affidabili come parametro significativo e fortemente rappresentativo di un notevole numero di rilevazioni dei trasferimenti (a qualsiasi titolo verificatisi ed aventi per oggetto gli stessi o analoghi beni), rappresenta un valore oggettivo, ed è, quindi, idoneo ad esprimere il valore venale in commercio dell'immobile (al primo semestre del 2017).

3.5. Quanto al danno da mancata locazione o, comunque, da gestione diseconomica del bene, la negoziazione resta del pari censurabile per le condizioni assentite in sede di cristallizzazione dell'acquisto, nel collegamento negoziale individuato tra "compravendita e comodato d'uso", come titola l'atto pubblico del 13 giugno 2017 e per le successive proroghe del medesimo regime.

Premesso il generale principio di redditività dei beni pubblici e rinviando al prosieguo la disamina dell'antigiuridicità delle condotte, può affermarsi la sussistenza di un danno pari alla mancata entrata retraibile dal cespite.

Tale danno, infatti, deve essere calcolato in misura pari al reddito perduto per il godimento gratuito del bene, quindi ragguagliato al suo valore locativo di mercato, ingiustificatamente fatto oggetto di rinuncia abdicativa.

La suprema Corte, anche nelle ipotesi di occupazione abusiva, ha affermato la sussistenza del diritto al c.d. danno "figurativo", e cioè al valore locativo del cespite, desunto in via equitativa e presuntiva dai canoni di contratti di locazione di immobili analoghi nella stessa zona, in quanto, in tali ipotesi, "il danno subito dal proprietario è in re ipsa, discendendo dalla perdita della disponibilità del bene, la cui natura è normalmente fruttifera, e dalla impossibilità di conseguire l'utilità da esso ricavabile, sicché costituisce una presunzione iuris tantum e la liquidazione può essere operata dal giudice sulla base di presunzioni semplici, con riferimento al c.d. danno figurativo, quale il valore locativo del bene" (v. Cass. 21 novembre 2011, n. 24510; 7 agosto 2012, n. 14222; 9 agosto 2016, n. 16670; 12 luglio 2019, n. 18740; Sez. VI civ., ord. 26 novembre 2020-15 gennaio 2021, n. 659; Corte conti, Sez. I app., 28 novembre 2018, n. 461).

La stima acquisita dall'Agenzia delle entrate riporta, anche in questo caso, un procedimento valutativo basato sulla comparazione diretta, con riferimento a campioni di mercato formati da beni con caratteristiche ritenute similari, ubicati nella medesima zona O.M.I. (B02, Carignano), all'esito di sopralluogo.

Anche in questo caso, nell'ambito dell'intervallo delle quotazioni dell'Osservatorio, al primo semestre 2017, relativamente ai negozi in stato di "ottimo", all'esito dell'analisi c.d. "MCA", è stata determinata nella misura di euro 18,27 al mq/mese*66mq., ovvero pari ad euro 1.200,00 mensili, la corretta entità di un canone di locazione che avrebbe dovuto essere percepito per il locale, in considerazione del fatto che il comodato gratuito aveva avuto inizio in data 13 giugno 2017, consentendo di quantificare il danno in questione in misura pari all'intero importo del canone di locazione non incassato fino al deposito della citazione per euro 34.800,00 (1.200,00*29 mensilità), dovendosi aggiungere ulteriori euro 1.200,00 in ragione di ogni mese fino al protrarsi della situazione nel termine di definizione del giudizio, per il che, risultandone incontestato il protrarsi fino all'udienza di discussione ed ogni ulteriore circostanza, per complessivi euro 58.800,00 (1.200,00*49 mensilità).

Invero, le difese non hanno contestato il suddetto importo, salvo ritenere "impraticabile" un regime oneroso, anzi ponendolo a base del calcolo col metodo della capitalizzazione al 4% per confermare il corrispettivo pagato.

Esclusivamente la valutazione estimativa del prof. [omissis] lumeggia la scorrettezza metodologica che resterebbe intrinseca all'assimilare una locazione ad un diritto transitorio ovvero ad una "(incerta) concessione d'uso", oltre all'uso di comparables non omogenei rispetto al subject oggetto di stima.

Peraltro, doverosamente si osserva che ove il suddetto valore locativo unitario fosse applicato alle diverse superfici commerciali ponderate del locale, individuate dagli esperti incaricati dalle medesime difese per giustificare il prezzo d'acquisto (per 88 mq., ovvero 89,75 mq. e 93 mq., in luogo di 66 mq.), il canone mensile retraibile resterebbe molto più elevato (fino ad euro 1.700,00).

Il Collegio, per l'anzidetto, aderisce alla prospettiva valutativa dell'Organo tecnico, considerando l'andamento specifico del mercato degli affitti rispetto a quello delle vendite, nel calo generalizzato dei prezzi, la diversa composizione del campione di confronto per consistenza e composizione dei cespiti, costituito dal perito dell'A.d.e., nonché l'avvenuto scarto di diversi comparables in sede di svolgimento dei test di ammissibilità e di omogeneizzazione delle caratteristiche (tra cui quelli indicati dal prof. [omissis]), ritenendo che l'alea valutativa nella specie possa risultare appropriata, rientrando nella soglia di tolleranza estimale per prassi consentita (+/-10%).

4. Condotte antigiuridiche

4.1. L'azione della Procura regionale è fondata e va accolta per entrambe le concorrenti rationes decidendi relative all'illecita gestione dell'immobile acquistato, consistenti, rispettivamente, nell'ingiustificata eccessività del prezzo pagato e nella carenza di alcuna proficua utilizzazione.

Infatti, proprio in considerazione della (assai prevedibile) genesi faticosa di un intervento pubblico di così grande respiro e della strategica collocazione dell'area per la realizzazione del progetto, risultano evidenti le condotte alternative lecite che i convenuti avrebbero dovuto porre in essere, alcune indicate in modo puntuale dal medesimo attore pubblico, altre ipotizzabili sul mero piano ordinamentale e del tutto inesplorate, evitando così l'altrettanto evidente spreco di risorse collettive, nei fatti verificatosi.

Pur confermando vietata ogni ingerenza nell'attività di ponderazione comparata degli interessi connessi, pubblici e privati (nella specie riconducibili agli artt. 2, 3, 32, 41, 42, 44, 81, 119, 120 Cost.), tuttavia, una volta operata la scelta, è, però, consentito al Giudice contabile di procedere a una valutazione dell'operato dell'amministratore in punto di legittimità, alla stregua delle regole c.d. interne di gestione (previste anche dall'art. 1 della l. n. 241/1990), al fine di appurare il rispetto dei principi di economicità, efficacia, congruità, logicità, ragionevolezza, che devono presiedere all'agere.

Questi appaiono senz'altro scalfiti, nella specie, dalle concrete scelte gestorie, che rimarcano una significativa devianza ed un consistente allontanamento dalle ordinarie regole di gestione economica dei beni.

Infatti, il principio di insindacabilità delle scelte discrezionali presuppone che il decisore pubblico compia una scelta tra più soluzioni possibili, tutte legittime, e non comprende, al contrario, scelte funzionalmente deviate rispetto al superiore principio del buon andamento, che impone una gestione redditizia del patrimonio immobiliare (v. Sez. I app., 27 luglio 2021, n. 323).

Ebbene, pur nella confermata necessarietà dell'area di sedime occupata dal bar, almeno a livello progettuale, la congruità del prezzo concordato nel preliminare sarebbe stata, senz'altro, da verificare e rapportare scrupolosamente alla progressiva crisi svalutativa degli immobili (almeno -53%), a fronte dei (prevedibili ed anche previsti) ritardi nell'esecuzione, determinati da ragioni dimostratesi in corso di causa oggettive, relative al diverso esprimersi nel tempo della potestà urbanistica e sanitaria, oltre che al radicamento ed allo sviluppo di numerosi contenziosi.

Invero, si osserva che lo scambio di proposta ed accettazione d'acquisto, sottoscritto dalle parti in data 16 luglio 2010, appena protocollata la seconda perizia dell'ing. [omissis] (al prezzo di euro 475.000,00) e solo successivamente validato dall'Organo consiliare, aveva addirittura preceduto l'indizione della Conferenza di servizi per la redazione del progetto, come anche la stipula dello stesso contratto preliminare (25 febbraio 2011) anticipava l'approvazione del medesimo progetto preliminare, validato solo con deliberazione n. 15/2011.

Le motivazioni sottese a tale accelerazione della dinamica acquisitiva, sin dall'atto 23 giugno 2010, n. 819, evidenziavano "l'opportunità di transare l'acquisto con il proprietario dell'esercizio commerciale, poiché una pratica di esproprio richiederebbe una tempistica maggiore stante la necessità di dare avvio, nel minor tempo possibile, alle successive fasi di progettazione e costruzione del Nuovo ospedale, vista l'importanza del progetto, l'entità e la complessità degli incombenti da affrontare"; orientamenti che venivano confermati e ribaditi nella deliberazione dell'Ente n. 15 del 6 agosto 2010, puntualizzando anche che "per l'avvio della conferenza di servizi si è(ra) resa necessaria l'acquisizione della proprietà dell'area in tempi brevi, allo scopo di evitare qualsiasi situazione che potesse, a vario titolo, impedire l'avanzamento delle fasi procedimentali in atto".

Nondimeno, non intendendosi la ragione per la quale l'accordo dovesse perfezionarsi anteriormente all'indizione della Conferenza, senza potersi definire nei successivi stadi della progettazione, in ogni caso non risulta provata la circostanza che la proprietà dell'area occorresse sin dall'immediatezza di quell'iniziale frangente, risultando anzi chiara la piena consapevolezza da parte dei convenuti dell'incognita temporale relativa all'avvio dei lavori.

Permanendo tale situazione di indeterminatezza, anche nelle fasi successive, la condotta degli esponenti dell'Ente è risultata, ancor di più, caratterizzata dall'intendimento di evitare qualsivoglia ostacolo o problema nell'acquisizione dell'area di sedime, così aderendo alle pressanti richieste della parte privata in una negoziazione oltremodo sbilanciata a scapito del pubblico interesse.

L'incertezza dell'evoluzione dell'iter progettuale resta, peraltro, anche esplicitata nella relazione del Direttore generale, in occasione dell'adozione della deliberazione n. 18/2015, secondo cui lo "scenario" dell'ulteriore proroga alle condizioni richieste dalla proprietà sarebbe risultato senz'altro preferibile a quello alternativo dell'immediata stipula del contratto definitivo, che avrebbe comportato il saldo integrale di quanto ancora dovuto (euro 420.000,00) a fronte della "fase (ancora) iniziale" della realizzazione dell'opera e, conseguentemente, dell'opportunità di un "margine di certezza più elevato", per procedere all'acquisto, a seguito delle determinazioni della Giunta.

E ancora, nel contratto definitivo di compravendita del 2017, espressamente le parti per giustificare il regime di comodato hanno indicato la circostanza che non risultavano neppure allora "prevedibili tempi brevi per l'inizio dei lavori".

Tale modus agendi risulta intrinsecamente illogico ed irrazionale, rispetto alla gestione del caso concreto, tenuto anche conto dell'inversione valutativa, attuata dai medesimi rappresentanti dell'Ente nel corso del 2015, in caso di vendita di beni non strumentali, in cui è stata richiesta, a norma dell'art. 747 c.p.c., l'autorizzazione alla riduzione del corrispettivo da esigere rispetto al valore peritale, circostanza allegata dal P.M. e non contestata.

Ebbene, nella specie, l'acquisto definitivo è stato deliberato al prezzo indicato come congruo da una sola ipotesi valutativa, aggiornata al 2010, peraltro neppure suffragata da una tabella esplicativa del calcolo, in assenza di rivalutazioni o verifiche in prossimità della stipula, sette anni dopo.

Invero, vertendosi nell'ambito dei programmi pubblici di investimento in sanità per l'ammodernamento del patrimonio immobiliare, a beneficio di un Ente erogatore "pubblico o equiparato", rientrante nel "sistema sanitario pubblico allargato" (cfr. ante: art. 2 l. r. n. 41 del 2006 e art. 3 l. r. n. 20 del 1995), la Sezione ritiene che i convenuti avrebbero dovuto contrastate le pretese della parte privata opponendovi il modello di riferimento per le vicende acquisitive di immobili ratione temporis imposto nell'ambito delle norme statali in materia di contenimenti di spesa, generalmente previsto per tutti gli Enti del Servizio Sanitario Nazionale, a decorrere dall'1 gennaio 2014.

Infatti, l'art. 12, comma 1-ter, del d.l. 6 luglio 2011, n. 98, convertito con modificazioni nella l. 15 luglio 2011, n. 111, "al fine di pervenire a risparmi di spesa ulteriori rispetto a quelli previsti dal patto di stabilità interno", oltre all'attestazione relativa all'indispensabilità e l'indilazionabilità dell'acquisto, ha imposto agli "enti territoriali e gli enti del Servizio sanitario nazionale" che la congruità del prezzo restasse "attestata dall'Agenzia del demanio, previo rimborso delle spese" (limitazione dell'autonomia negoziale venuta meno, dal 2020, per effetto dell'art. 57, comma 2, lett. f), del d.l. 26 ottobre 2019, n. 124).

Stante l'inequivoco tenore letterale della sopravvenienza normativa, oltre alle condivisibili sottese esigenze di contenimento e di verificabilità oggettiva della spesa, gli amministratori dell'Ente ben avrebbero potuto avvalersene per arrestare la "trazione privata" dei negoziati, al fine di edificare l'Ospedale.

Invero, l'alveo applicativo soggettivo della norma appare significativamente diverso da quello degli altri commi (cfr. ad es. 1 e 1-quater), riguardanti le "amministrazioni inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall'Istituto nazionale di statistica (I.S.T.A.T.) ai sensi del comma 3 dell'articolo 1 della legge 31 dicembre 2009, n. 196", pertanto non dubitandosi dell'invocabilità della disciplina in favore dell'E.O.

Tale regime vincolato, dettato per gli acquisti di immobili da parte delle amministrazioni pubbliche o assimilate, territoriali e sanitarie, è stato autorevolmente qualificato quale peculiare fattispecie di impossibilità giuridica dell'oggetto, per factum principis, del tutto preclusivo della possibilità di stipulare contratti traslativi attuativi di precedenti obblighi negoziali, mediante strumenti privatistici (contratto preliminare) o pubblicistici (accordi di programma). Quanto all'indispensabilità ed all'indilazionabilità dell'acquisto, è stata convincentemente ritenuta una condicio iuris, ostativa all'acquisto di immobili in caso di assenza (cfr. Corte conti, Sez. contr. Liguria, del. 1° febbraio 2013, n. 9; 27 febbraio 2015, n. 10; 22 settembre 2016, n. 79).

In ogni caso, il sopra declinato modello normativo appare idoneo a caratterizzare un parametro di adeguato e ineccepibile sviluppo istruttorio, investendo della garanzia dell'aggiornamento peritale un Organo dello Stato.

Di tal che, pur venuta meno dal 2020 l'obbligatorietà dell'applicazione della richiamata normativa di spending review, l'esigenza di una adeguata istruttoria, oltre che di un'attenta, recente e puntale valutazione della congruità del prezzo per ogni ente pubblico, comunque, resta imposta alla stregua del vigente sistema normativo (Corte conti, Sez. contr. Campania, del. 31 marzo 2021, n. 52).

Peraltro, nell'ambito delle attività di dismissione e di valorizzazione patrimoniale degli enti sanitari, già la stessa cit. l.r. n. 2/2006, prevedeva l'avvalimento delle Aziende Regionali Territoriali per l'Edilizia (ARTE) per la determinazione del valore degli immobili, come anche confermato dall'art. 22 della l.r. 24 dicembre 2010, n. 22, per gli enti del settore regionale allargato.

Comunque, per i medesimi enti, resta anche possibile avvalersi dei servizi estimativi del competente Ufficio provinciale del territorio dell'Agenzia delle entrate, oltre che dei parametri pubblici elaborati semestralmente dall'O.M.I.

La ratio di tali interventi normativi, infatti, riposa nella constatazione che è coessenziale alla gestione razionale e proficua di un qualsiasi portafoglio immobiliare l'attività tecnica di estimo immobiliare, con particolare riferimento alle modalità di validazione dell'aggiornamento della stima.

Invero, nell'individuare i rapporti fra la disciplina prevista dal d.l. 6 luglio 2011, n. 98 e il codice dei contratti, il Consiglio di Stato ha rammentato che, secondo un orientamento costante della giurisprudenza amministrativa, "l'art. 4 del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 (...), letto in combinato disposto con l'art. 17, lett. a), comporta che, in riferimento ai contratti 'aventi ad oggetto l'acquisto o la locazione, quali che siano le relative modalità finanziarie, di terreni, fabbricati esistenti o altri beni immobili o riguardanti diritti su tali beni', vadano rispettati i principi 'di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità, pubblicità, tutela dell'ambiente ed efficienza energetica' previsti dall'art. 4 per tutti i contratti pubblici anche esclusi, in tutto o in parte, dall'ambito di applicazione del codice (cfr. Com. spec. pareri 11 aprile 2018, n. 1241; 1° aprile 2016, n. 855; Ad. plen., 1° agosto 2011, n. 16).

Ciò rammentando quanto previsto sin dal r.d. n. 2440 del 18 novembre 1923 (artt. 3 e 6), che impone il procedimento di evidenza sia per i contratti dai quali derivi un'entrata (c.d. attivi), che per quelli dai quali derivi una spesa (c.d. passivi).

Pertanto, tutti i contratti riferibili ad un'amministrazione sono stati ex lege sottoposti ad un regime "minimo" di obblighi volti a tutelare i suddetti fondamentali principi di cui già alla l. n. 241/1990, oltre a quello di concorrenza, che costituisce un elemento essenziale dell'integrazione europea.

Dunque, in caso di impossibilità di avvalersi delle risorse interne, è chiaro che, se la soluzione di una stima congruita da un Organo pubblico tecnico risulta senz'altro più conveniente sotto il profilo economico rispetto al ricorso a professionalità esterne, oltre che più garantista in termini di trasparenza ed oggettività della valutazione, essa comunque si impone all'Ente procedente, stante la necessità che la sottoscrizione dei contratti avvenga nel rispetto dei principi di buon andamento e dell'equilibrio dei bilanci (art. 97 Cost.), al fine di impiegare nel modo più efficiente possibile le risorse, anche immobiliari.

L'autonomia negoziale soggiace sempre, infatti, al limite funzionale della compatibilità con lo scopo pubblico affidato alla cura dell'ente e non può determinare maggiori costi rispetto all'attività autoritativa.

Pertanto, stupisce, nella specie, il mancato interpello di un Organo tecnico preposto a tali relazioni, per la validazione tecnica della stima, che alla luce di una nitida specificazione metodologica avrebbe cristallizzato un valore oggettivo al tempo della compravendita, ben opponibile alle (crescenti) istanze della parte privata, rispetto alle quali gli esponenti dell'Ente si sono limitati a restare acquiescenti, pur di realizzare senza impedimenti l'operazione.

L'utilizzo acritico nella compravendita di una così remota valutazione, seppure al tempo asseverata, attiene alla ragionevolezza ed alla logicità della decisione, assunta in assenza di verifiche sulle conseguenze del crollo dei valori immobiliari nel contesto genovese, costituente fatto notorio, e difformemente assunta, altresì, rispetto ai parametri di mercato ben disponibili alla data dell'acquisto del cespite.

Sarebbe stato necessario, dunque, che l'E.O. svolgesse e desse atto di un'approfondita istruttoria, documentando il permanere della congruità del prezzo ed i costi e benefici dell'operazione, ponendo a raffronto anche ipotesi alternative di sviluppo procedurale, sempre nell'ipotesi in cui l'utilità e l'indilazionabilità dell'acquisto restassero provate e confermate.

Dello svolgimento di una siffatta istruttoria non v'è traccia negli scarni passaggi motivazionali delle deliberazioni contestate, redatti per relationem ad antecedenti atti e mediante asserzioni di sussistenza dei presupposti giuridici.

Di contro, attraverso il deposito dell'intera sequenza procedimentale di atti e contratti relativi alla vicenda, il Collegio ha potuto verificare come le contestate decisioni di (ulteriore) proroga e di definizione dell'acquisto siano state senz'altro precipitose, poco istruite e ponderate, potendosi affermare che i convenuti abbiano concorso a realizzare un imprudente malgoverno gestionale delle sopravvenienze, fattuali e normative, in pregiudizio dell'Ente ed in spregio di circostanze ed elementi di comune percezione.

Quanto al preteso ineludibile obbligo di contrarre ad un dato prezzo, scaturente dal contratto preliminare, rinviando alle considerazioni che seguono, in ogni caso sorprende che, a fronte del coacervo di spese complessivamente sostenute per il detto acquisto, di contro, non sia stata sentita da alcuno degli amministratori l'esigenza di acquisire una preventiva consulenza legale per chiarire l'effettività del suddetto vincolo e gli spazi d'intervento dell'E.O., anche tenendo conto dell'ambito delle esperienze e competenze degli stessi.

Meraviglia, altresì, nel contesto dell'avvenuta rinegoziazione dei termini dell'accordo di compravendita, attraverso la previsione di un collegamento negoziale con un contratto di comodato gratuito, che nessuno degli agenti pubblici abbia sollevato il tema della palese incongruità del prezzo fissato.

Di tal che, mentre l'acquisizione di un parere legale pro veritate avrebbe potuto individuare la normativa applicabile e schiudere gli orizzonti delle alternative giuridicamente esistenti e percorribili, a tutela dell'interesse pubblico, nella corrispondenza intercorsa tra le parti avrebbe dovuto, quanto meno, rinvenirsi traccia di una comunicazione stragiudiziale, antecedente l'adempimento, contenente la richiesta di aggiornamento del valore pattuito, espressa dall'E.O., palesando le sopravvenute condizioni di eccessiva onerosità, opzione da ritenersi doverosa in quanto neppure connotata da conoscenze richiedenti elevato tecnicismo giuridico ed economico.

E, comunque, non è dato comprendere (né, al riguardo, è stato comunque versato in atti alcun utile elemento di prova) perché mai richiedere un'aggiornata perizia di stima, nonché avviare una rinegoziazione anche del prezzo e/o l'iter espropriativo dovessero essere considerate condotte alternative rispetto al corretto svolgimento delle progettualità, tali da compromettere la posizione dell'Ente nell'ambito della Conferenza di servizi per l'approvazione dei vari stadi della progettazione, sussistendo invece ampi margini per confermare il titolo di disponibilità dell'immobile.

Infatti, nell'ambito della serie procedimentale degli atti di approvazione di un progetto per la realizzazione di un'opera pubblica, esclusivamente il progetto definitivo possiede i caratteri complessivi non più modificabili dell'opera (nella specie, approvato solo con del.ni G.r. 30 dicembre 2020, n. 13 e c.d.a. 16 gennaio 2021, n. 3), recante implicitamente la dichiarazione di pubblica utilità ai sensi dell'art. 12 del d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, al punto che sulla base di esso può essere emesso il decreto di esproprio, a prescindere dal successivo livello di progettazione esecutiva (v. C.d.S., Sez. IV, sent. 26 ottobre 2020, n. 6514). A tale stregua, l'essersi limitati a richiamare precedenti atti gestori e lo stato dello sviluppo progettuale, per assentire alla controparte, si pone in patente contrasto, non solo con i principi di economicità ed efficienza, ma anche con uno dei canoni fondamentali della scelta gestionale amministrativa, quello del c.d. "conoscere per decidere", univocamente predicato dalla giurisprudenza amministrativa e che esprime una regola di prudenza a contenuto cautelare, rendendo prevedibile ed evitabile la conseguenza dannosa per l'erario con una semplice e completa istruttoria, peraltro non constando circostanze anomale o eccezionali dell'agire che ne impedissero un ordinario svolgimento (v. artt. 4, 5 e 6 l. n. 241 del 1990; nonché cfr. C.d.S., Sez. VI, 9 marzo 2011, n. 1476).

L'Ente ospedaliero de quo non ha la disponibilità della funzione pubblica esercitata, sottraendosi all'obbligo che ha di agire secondo le regole generali e settoriali di riferimento, dovendo invero operare senza creare posizioni di indebito vantaggio in favore del contraente privato.

Quanto, poi, al danno da mancata entrata, divenuto pressoché permanente nel perpetrarsi delle proroghe del contratto di comodato d'uso del locale, l'Ente aveva il dovere di rispettare principi di evidenza pubblica e di economicità. Pertanto, in entrambe le fattispecie, non è rinvenibile alcuna contrapposizione tra modalità gestorie dell'operatore pubblico e di quello privato, rimarcata da alcune difese in udienza (avv. Gallo), in quanto qualunque operatore privato, per una gestione proficua e razionale dei beni, avrebbe adottato diverse garanzie e procedure, nell'interesse della propria integrità patrimoniale.

Infatti, ogni homo oeconomicus cura profittevolmente i propri interessi, anche ove le scelte non restino normate da leggi, regolamenti o prassi, ma dettate dall'andamento del mercato, dalla capacità e dalla forza contrattuale delle parti.

E, nella specie, l'E.O. avrebbe potuto (rectius dovuto) giovarsi dell'applicazione di norme settoriali e della spendita di prerogative autoritative per la realizzazione dei fini pubblici attraverso soluzioni gestorie consentite.

Non colgono nel segno, pertanto, tutte le numerose argomentazioni difensive di questo contenuto spese dai legali. I Patroni hanno sostenuto in particolare a difesa il carattere "assolutamente vincolante" del contratto preliminare e la circostanza che la facoltà di recesso unilaterale dal vincolo obbligatorio dovesse ritenersi ormai "consumata al 30 giugno 2014".

Le questioni controverse ineriscono a problematiche interconnesse: quelle dei vizi genetici o funzionali del c.d. sinallagma; nonché quella dei correlati rimedi di natura legale e convenzionale, esperibili nel caso concreto.

Nel contratto preliminare, se una delle parti non adempia all'obbligo contrattuale, e quindi non presti il consenso per la stipula del definitivo, l'altra parte fedele al programma contrattuale, oltre ad esperire l'azione di risoluzione contrattuale ed a richiedere il risarcimento del danno (art. 1453 c.c.), "qualora sia possibile e non sia escluso dal titolo" può avvalersi del rimedio dell'esecuzione in forma specifica, domandando al giudice una sentenza (costitutiva: art. 2932 c.c.).

Tale vincolo prenegoziale e preparatorio svolge, proprio, la funzione ordinamentale di controllo delle sopravvenienze, in quanto consente alle parti di valutare l'incidenza dei fattori sopravvenuti prima di realizzare, definitivamente, l'assetto di interessi programmato con il preliminare.

Per il che, superato il risalente orientamento (dottrinario e giurisprudenziale) che ha ricostruito il contratto definitivo quale mero atto di adempimento dovuto, in funzione sostanzialmente riproduttiva del contratto preliminare e condizione della piena efficacia del medesimo, l'indirizzo dominante e più condivisibile postula la piena autonomia del contratto definitivo, enfatizzando la fattispecie anche in termini di formazione progressiva del consenso.

Contrariamente agli assunti difensivi, nella specie, il preliminare stipulato nel 2011 non poteva assumersi quale vincolo ineludibile nel 2017 e, anzi, neppure i convenuti lo hanno così considerato, procedendo a diverse rinegoziazioni degli impegni assunti, senza però riconsiderare il corrispettivo, attraverso una sequenza di atti di "parziale modifica" e "proroga" del medesimo (nelle forme dall'atto pubblico, nelle date del 27 giugno 2013 e 6 agosto 2015, oltre che con numerosi differimenti concordati a mezzo p.e.c.), aderendo alle pretese della proprietà "per la rinnovata disponibilità allo slittamento della vendita", altresì esplicitando, nella contestata delibera n. 18/2015, l'"opportunità di mantenere in essere le trattative volte all'acquisto dell'immobile (bar)".

Infatti, il preliminare di vendita e le successive proroghe sono stati stipulati per consentire un tempestivo avvio del cantiere, però ammettendo lo scioglimento dal vincolo, nell'ipotesi in cui i lavori di costruzione non iniziassero "per qualsivoglia motivo" ovvero l'area non risultasse "più necessaria".

Del resto, proprio perché il preliminare è sempre stato condizionato all'effettivo avvio dei lavori di costruzione, circostanza non verificatasi nel 2017 e neppure oggi, nel senso che il legittimo esercizio del diritto di recesso da parte dell'E.O. era subordinato espressamente al verificarsi delle suddette "condizioni", senz'altro sussisteva la possibilità di risolvere il vincolo, per via stragiudiziale o giudiziale, oltre che di rideterminare il prezzo iniquo.

L'avv. Gallo ha fatto riferimento all'insussistenza, nella specie, di una presupposizione relativa all'avvio della costruzione, dal momento che "la volontà di realizzare l'ospedale in quel luogo è stata sempre confermata non solo dall'ospedale Galliera ma da tutte le autorità pubbliche competenti".

Tale rimedio caducatorio, di conio pretorio, potrebbe definirsi quale condizione non apposta in modo esplicito, tuttavia conosciuta, determinante del consenso e del permanere del vincolo, in quanto comune ad entrambe le parti (Cass., Sez. III, 24 luglio 2007, n. 16315, 25 maggio 2007, n. 12235, e Sez. II, 31 ottobre 1989, n. 4554).

Nella specie, a fronte delle esplicite pattuizioni contrattuali ed in mancanza di un criterio univoco cui attingere, ragione per la quale gli operatori giuridici non hanno mai dato soverchia importanza all'istituto, si ritiene che già gli strumenti codicistici avrebbero offerto adeguata tutela. Inoltre, era stata versata alla stipula del preliminare ed ancora incrementata in occasione delle proroghe l'estremamente sostanziosa caparra confirmatoria di euro 85.000,00 (cfr. artt. 1385 c.c. e 5 del contratto), pari ad oltre il 30% del corrispettivo previsto, legittimando così i contraenti ad esercitare il diritto di recesso in caso di inadempimento della controparte.

Invero, il Collegio osserva che le stesse circostanze di contesto alla base delle menzionate "trattative" avrebbero imposto l'adozione di regole di cautela e prudenza nei negoziati, per ispirare l'attività censurata, non potendo essere sottovalutato il fatto che, quanto meno, la suddetta caparra avrebbe dovuto mantenersi nei limiti della prassi commerciale, in misura oscillante tra il 10 ed il 20% del prezzo concordato, risultandone immotivata l'effettiva misura, facendo riferimento la delibera n. 18/2015, che autorizzava il versamento di ulteriori euro 30.000,00, alla "copertura del periodo pregresso".

Peraltro, conseguendosi attraverso tale caparra un anticipo di esecuzione della prestazione, con funzione di liquidazione anticipata e convenzionale del danno, neppure si comprende esattamente il senso della previsione.

A parere del Collegio sarebbe stata utilmente esercitabile dall'E.O. la facoltà di recesso convenzionale, quale diritto potestativo di sciogliersi dal vincolo contrattuale mediante una dichiarazione di volontà unilaterale e recettizia, risultando essa necessariamente compatibile con l'assetto contrattuale via via prorogato.

Infatti, sin dallo scambio di proposta e accettazione, poi per effetto della deliberazione dell'Ente n. 15 del 6 agosto 2010 e del decreto in ratifica n. 5 del 2 settembre 2010, unitamente alle limpide disposizioni del contratto preliminare, l'intera serie contrattuale è risultata ancorata ad una dimensione temporale ragionevole e definita, comunque condizionata all'effettivo avvio del cantiere.

In data 27 giugno 2013, le parti avevano espressamente convenuto di prorogare il termine per la stipula del definitivo e per l'esercizio della facoltà di recesso, fissandolo al 30 giugno 2014, "dal momento che i lavori non (erano) ancora iniziati ma l'Ente Ospedaliero intende(va) portare avanti il progetto del Nuovo ospedale Galliera", riqualificando in caparra l'acconto iniziale di euro 20.000,00 che, in caso di recesso, la proprietaria avrebbe "trattenuto" (pagg. 2-3).

In seguito, a fronte di ulteriori richieste di elargizioni di somme a titolo di caparra da parte della medesima proprietaria, con deliberazione n. 17 del 27 giugno 2014, i convenuti evidenziavano "il persistere della convenienza a procedere ad un ulteriore proroga del preliminare di vendita pur nelle more delle decisioni che verranno prese a livello regionale"; per il che, alla data del 6 agosto 2015, sulla base di identiche premesse motivazionali, veniva assentita un'ulteriore proroga del contratto preliminare, specificando l'ulteriore dazione di una tranche di caparra (per euro 30.000,00) e che "il termine per il pagamento del saldo prezzo è(ra) prorogato al 30 giugno 2016" (artt. 2 e 3), all'art. 4 disponendo che dovevano considerarsi "fermi ed invariati tutti i patti e le condizioni non in contrasto con quanto modificato con il presente atto".

Con deliberazione n. 19 dell'8 luglio 2016, il c.d.a. prendeva atto della disponibilità della parte venditrice ad una ulteriore proroga "nel caso in cui effettivamente la vendita vada a perfezionarsi, (ed) a sottoscrivere un contratto di comodato d'uso gratuito dei locali... prevedendo la corresponsione mensile del comodatario al comodante di euro 500,00 a titolo di rimborso spese". Un'ulteriore proroga al 28 febbraio 2017 veniva assentita alle medesime condizioni, in base alla successiva delibera n. 29 del 12 dicembre 2016, e poi, di seguito, al 30 aprile 2017, nella "tolleranza" della parte venditrice.

Nella suddetta sequenza, conclusasi con il contratto definitivo del 13 giugno 2017, risulta chiaro che sono stati prorogati e/o differiti dalle parti i termini via via previsti "per atto e/o recesso unilaterale" (cfr. pagg. 5 preliminare e 3 atto del 27 giugno 2013), evidentemente non ritenuti "essenziali" a norma dell'art. 1457 c.c. (avv. Arvigo), dal momento che permaneva l'incertezza dell'avvio dei lavori e del perfezionamento della vendita, per cui le due attività restavano senz'altro speculari ed alternative, costituenti un indissolubile binomio ed in assenza di ogni plausibile contrasto con il tenore dispositivo delle modifiche.

Ciò può essere pacificamente affermato alla luce delle regole vigenti per l'ermeneutica contrattuale, costituenti attività legale vincolata e, in particolare, secondo i canoni enunciati dal codice civile di interpretazione complessiva e sistematica, oltre che "funzionale" e secondo buona fede delle clausole.

Nella specie, il diritto di recesso avrebbe avuto anche fonte legale, oltre che convenzionale, per effetto del versamento della stessa caparra confirmatoria.

Non va dimenticato, poi, che i contratti di durata, ossia i contratti che possono dar luogo a sopravvenienze, ammettono ex lege la facoltà di recesso ex nunc, dal momento che la libertà contrattuale non tollera vincoli obbligatori perpetui o dall'orizzonte temporale indefinito (cfr. art. 1373, comma 2, c.c.).

L'esercizio del diritto potestativo di recesso, di fonte sia convenzionale che legale, quale rimedio stragiudiziale senz'altro esperibile dall'E.O., avrebbe comunque comportato la perdita della caparra confirmatoria, che l'accipiens sarebbe stato legittimato a trattenere. Infatti, il quid pluris della risoluzione per eccessiva onerosità, rispetto al recesso, è dato proprio dalla natura della sentenza costitutiva di risoluzione, che, invece, retroagisce ex tunc.

Negli allegati documentali versati in atti dalle parti non è dato rinvenire traccia di un qualche vaglio, da parte dei decisori, rispetto ad alternative diverse dall'espropriazione per pubblica utilità, modalità acquisitiva comunque esclusa sin dalla citata delibera c.d.a. n. 15/2010, sulla scorta dell'affermazione che la stessa avrebbe richiesto una "tempistica maggiore".

Inoltre, i difensori hanno contestato la circostanza che alcun risparmio di spesa sarebbe stato retraibile atteso che il "valore venale" dell'immobile sarebbe rimasto coincidente con quello della perizia asseverata, facendo riferimento all'evoluzione giurisprudenziale che aveva condotto alle vigenti disposizioni del d.P.R. n. 327 dell'8 giugno 2001 (t.u.e.), nel dialogo tra Consulta e Corte EDU (richiamando, tra le altre, le note sentenze Corte cost. nn. 181 del 10 giugno 2011, 187 del 2 luglio 2014 e 90 del 22 aprile 2016; CEDU 6 marzo 2007, Scordino c. Italia n. 3, 14 aprile 2015, Chinnici c. Italia), oltre che al favor per l'acquisizione consensuale (art. 45 t.u.e.). Inoltre, "nell'interesse primario della tutela della salute", l'attivazione dell'iter espropriativo avrebbe determinato rallentamenti per la determinazione definitiva dell'indennizzo (art. 21 t.u.e.) e, di seguito, il rischio di contenziosi innanzi alla Corte d'appello (art. 53 t.u.e.).

Invero, le scelte gestorie dei convenuti, restandone indimostrata l'indilazionabilità, non hanno affatto impedito i rallentamenti verificatisi.

Che l'espropriazione della proprietà privata debba comportare un ristoro del sacrificio subito dall'espropriato è assunto incontroverso e desumibile da basilari fonti normative, che restano inequivoche al riguardo (artt. 42, comma 3, Cost. e 834 c.c.); del pari incontroverso, nella specie, il tema della determinazione quantitativa dell'indennità spettante all'espropriato dell'area edificata, pari al valore venale del bene, consistente nel giusto prezzo che, secondo una valutazione estimale aggiornata ed oggettiva, avrebbe avuto l'immobile in una libera contrattazione di compravendita (artt. 36-38 t.u.e.).

All'esito della vicenda, ciò che non trova giustificazione è il rilevante esborso a carico dell'E.O., che assume i connotati di danno erariale proprio perché sganciato da una puntuale valutazione del bene, al tempo della compravendita.

Peraltro, si osserva, che se il bene fosse stato acquisito con procedimento ablativo, successivamente al 2017, la sua svalutazione per la determinazione dell'indennizzo sarebbe risultata ancora maggiore, come si evince anche dai rapporti valutativi dei periti delle difese (euro 1.808,00/mq. al 2020).

Le argomentazioni svolte dai convenuti denotano, invero, una distorta concezione del procedimento espropriativo per pubblica utilità, istituto giuridico in virtù del quale la P.A. o un soggetto equiparato può acquisire, per esigenze di interesse pubblico, la proprietà o altro diritto reale su un bene indipendentemente dalla volontà del proprietario, versando l'indennità ex lege.

Le difficoltà rappresentate dalle difese sono state individuate nelle resistenze che la proprietaria dell'immobile avrebbe verosimilmente opposto ove non si fossero mantenuti gli esborsi pattuiti nel preliminare ed i conseguenti contenziosi, oltre ai tempi non compatibili con l'avanzamento dell'opera.

Trattasi, tuttavia, di una prospettazione, non solo connotata da eventualità, ma che si pone in radicale contrasto con la possibilità di utilizzare legittimamente, in alternativa all'acquisto diretto degli immobili, tale strumento giuridico.

Diversamente opinando, l'amministrazione sarebbe pressoché costantemente costretta a rinunciare alle proprie prerogative ogni qual volta si presenti l'eventualità di dover ricorrere ad uno strumento ablativo finalizzato proprio alla legittima acquisizione di beni ritenuti essenziali.

Bisogna infatti ricordare che esiste un dovere generale della pubblica amministrazione di attivarsi per procedere alla revisione/rinegoziazione dei propri contratti di approvvigionamento, in relazione al principio di buon andamento di cui all'art. 97 Cost., assicurandosi condizioni più eque ed efficienti, se le condizioni di mercato lo consentono e nel contemperamento degli interessi ulteriori (Sez. riun. controllo, 7/SSRRCO/QMIG, 17 maggio 2021).

Inoltre, a tutela della libertà delle trattative e come lumeggiato dal P.M., la giurisprudenza ha ammesso che la rescindibilità del contratto preliminare, non fatta valere in via d'azione, possa essere anche chiesta nel giudizio con la domanda di esecuzione specifica dell'obbligo di concludere il contratto definitivo, poiché il pregiudizio derivante dallo squilibrio delle prestazioni, che è allo stato potenziale nel contratto preliminare, diviene attuale solo quando la parte che vi abbia interesse chiede che sia concluso alle medesime condizioni il contratto definitivo (Cass., Sez. III, sent. n. 15139 del 23 novembre 2000).

Al "verificarsi di avvenimenti straordinari ed imprevedibili", cioè fattori esterni al contratto che, pur non rendendo impossibile l'esecuzione di una delle prestazioni, siano tali da determinare un sacrificio sproporzionato di una parte a vantaggio dell'altra, nondimeno, la parte in cui danno si verifica la sperequazione può sempre domandare la risoluzione del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta (1467 c.c.: v. Cass., 16 marzo 1981, n. 1465; 14 dicembre 1982, n. 6867; 7 maggio 1992, n. 5443; 5 novembre 1992, n. 11992; 23 giugno 1995, n. 7145; 11 agosto 1997, n. 7460; 19 ottobre 2006, n. 22396; 26 gennaio 2018, n. 2047).

Tra gli esempi più ricorrenti, nella giurisprudenza, si rinvengono vari fenomeni di svalutazione o rivalutazione monetaria, ovvero gli aumenti ed i decrementi dei prezzi di mercato dei beni e degli immobili, di particolare eccezionalità, che valichino le normali e prevedibili oscillazioni.

Tale rimedio risulta pacificamente esperibile anche nell'ipotesi di significative fluttuazioni dei valori delle contrapposte attribuzioni patrimoniali, sopravvenute nel collegamento tra il contratto preliminare ed il definitivo, comparando il valore di entrambe al momento in cui è stato assunto il vincolo ed al tempo dell'esecuzione del contratto definitivo (cfr. Cass. civ., 11 aprile 2017, n. 9314; 4 marzo 2004, n. 4423; 29 maggio 1998, n. 5302; 20 giugno 1996, n. 5690; 13 febbraio 1995, n. 1559; 5 agosto 1990, n. 7833; 31 ottobre 1989, n. 4554).

Nella specie, la Sezione ritiene che il crollo dei valori immobiliari verificatosi a Genova nel decennio di riferimento (almeno -53%), il cui picco negativo si registrava proprio nel 2017, avrebbe potuto configurare un'ipotesi di eccessiva onerosità sopravvenuta, in quanto la sproporzione tra il corrispettivo pattuito ed il valore di mercato dell'immobile compravenduto non rientrava nell'alea normale del contratto, dunque, configurando un rischio non prevedibile né specificamente assunto, incidente sul sinallagma e connaturato alla causa concreta del contratto, al quale ciascuna parte implicitamente si sottopone.

Peraltro, la giurisprudenza della Suprema Corte, confermata l'ontologica incompatibilità strutturale e funzionale tra recesso (stragiudiziale) con ritenzione della caparra e azione di risoluzione, ha ritenuto ben possibile in tale sede giudiziale ottenere la restituzione della caparra che abbia perso la propria causa giustificativa, quale "effetto inevitabile della risoluzione" in quanto ricollegabile agli effetti restitutori conseguenza dello scioglimento del rapporto, nonché della cessazione degli effetti del contratto, ex art. 1458 c.c. (cfr. Cass., Sez. un., sent. n. 553/2009 cit.; Cass. n. 20965/2017 cit.; Sez. VI, ord. 8 maggio 2018, n. 11012; Sez. II, 27 marzo 2019, n. 8571).

Nella specie, ove anche la parte promittente venditrice avesse ritenuto sussistenti i presupposti per la pronuncia costitutiva ex art. 2932 c.c., adendo l'autorità giudiziaria, sulla scorta della svalutazione dell'immobile, eccedente l'alea contrattuale, sarebbe risultata anche legittimata la domanda riconvenzionale di risoluzione per eccessiva onerosità, con il medesimo effetto restitutorio della caparra versata (cfr. Cass., Sez. II, sent. 11 aprile 2017, n. 9314).

Risulta consolidato, altresì, l'orientamento nomofilattico che legittima l'amministrazione ad opporre un giustificato rifiuto per sopravvenienze alla stipula dell'accordo definitivo (cfr. Cass., Sez. un., n. 12309 del 18 novembre 1992), restando ammessa la possibilità da parte della medesima sentenza costitutiva di modificare il contenuto del contratto preliminare con un intervento riequilibrativo delle contrapposte prestazioni (v. Cass., Sez. II, 12 febbraio 1993, n. 1782; 23 febbraio 2001, n. 2661; 26 febbraio 2016, n. 3855; 23 novembre 2021, n. 36241).

4.2. Le difese hanno evidenziato, anche in udienza, la necessità di correttezza dei rapporti tra soggetti pubblici e privati, esclusivamente nell'accezione secondo la quale l'Ente avrebbe dovuto onorare il contratto sottoscritto, senza intentare iniziative scorrette e piratesche, finalizzate ad un limitato risparmio rispetto al valore dell'opera e che avrebbero esposto ad ulteriori responsabilità da lesione dell'affidamento ingenerato (avv. Gallo).

L'art. 1 della l. n. 241 del 7 agosto 1990 rinvia precettivamente per il governo dell'azione amministrativa ai "principi dell'ordinamento comunitario", che comprendono la tutela dei legittimi reciproci affidamenti.

Il comma 2-bis della norma, aggiunto dall'art. 12, comma 1, lett. a), del d.l. 16 luglio 2020, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla l. 11 settembre 2020, n. 120, invero, ha esplicitato quanto già immanente al sistema ed al formante giurisprudenziale, codificando e rimarcando un rinnovato assetto valoriale, statuendo che: "I rapporti tra il cittadino e la pubblica amministrazione sono improntati ai princìpi della collaborazione e della buona fede" (cfr. anche sent. Ad. plen. C.d.S., 4 maggio 2018, n. 5; 29 novembre 2021, nn. 20 e 2[1], nelle more pubblicate; cfr. Cass., Sez. un., ord. 28 aprile 2020, n. 8236).

Nella specie, le medesime clausole avrebbero dovuto evidentemente operare a tutela dell'Ente danneggiato.

4.3. Quanto al danno da mancata locazione, si ribadisce che la gestione profittevole dei beni costituisce non solo naturale espressione del principio di buon andamento, ma anche basilare canone orientativo per l'agente economico.

Nella specie, dalle lineari risultanze versate in atti risulta che, a valle della sopra descritta sbilanciata negoziazione, è stata assentita un'ulteriore concessione alle richieste della parte privata, evidentemente intenzionata a proseguire l'esercizio dell'attività commerciale in ragione del profitto ritraibile.

Infatti, "senza che alcun corrispettivo sia dovuto dalla parte comodataria alla parte comodante" (parte seconda del contratto 13 giugno 2017) ed a fronte di un mero rimborso spese mensile forfetizzato (euro 500,00), di contro, l'Ente ha autorizzato il pieno e produttivo utilizzo del locale commerciale, in capo alla medesima ex proprietaria, secondo uno schema nei fatti assimilabile a quello del costituto possessorio, nei termini rimarcati dal P.M. in udienza.

Il comodato (quasi commodo datum), come noto, è un contratto reale essenzialmente gratuito (art. 1803, comma 2, c.c.), dal momento che, se fosse previsto un corrispettivo, si avrebbe locazione (art. 1571 c.c.).

Tale essenziale gratuità non viene meno se a carico del comodatario, come nella specie, siano poste prestazioni accessorie, come meri rimborsi delle spese ovvero oneri di manutenzione, dal momento che difetta in ogni caso un nesso sinallagmatico tra le prestazioni (cfr., ex multis, Cass. n. 485 del 15 gennaio 2003).

Al riguardo, è risultato in sede di determinazione dell'indennità di avviamento per la cessione dell'azienda (per euro 220.000,00, in riferimento al triennio antecedente la valutazione), a prescindere dalla singolare gestione delle modalità della sua corresponsione, estranea al perimetro della causa, che l'esercente ha realizzato un ricavo medio annuale di euro 186.464,00, secondo un dato confermato dagli Inquirenti mediante accesso all'Anagrafe tributaria.

Neppure tentata l'attivazione di un confronto concorrenziale tra aspiranti fruitori, tale regime è stato considerato soluzione unica e sostanzialmente obbligata, anche in questo caso senza alcun previo approfondimento legale ed istruttorio delle ipotesi alternative, di contro esistenti e (doverosamente) percorribili, con un conseguente deficit motivazionale, a fronte dell'evidente beneficio economico conseguito dalla medesima parte privata venditrice.

Ed il suddetto danno pubblico resta comprovato attraverso l'automatica valutazione di disutilità della rinuncia all'entrata altrimenti ritraibile dal bene, secondo un modello contrattuale affatto pretendibile e, invece, autorizzato.

A fronte dei robusti elementi di riscontro degli effetti sostanziali ed economici delle determinazioni adottate dai convenuti, allegati dal P.M. a sostegno delle contestazioni sollevate, di contro, è rimasta del tutto indimostrata l'asserzione delle difese relativa alla circostanza che nessun soggetto economico avrebbe accettato di avviare o continuare un'attività commerciale investendo su un immobile da demolire, circostanza incerta se non altro nel quando.

4.4. Contrariamente alle prospettazioni difensive, in realtà, sussistono eccezioni ex lege in cui è possibile stipulare contratti di locazione aventi ad oggetto immobili non destinati a fini residenziali per un periodo diverso dalla durata minima di sei anni, tra cui, oltre ai contratti stagionali, principalmente i contratti transitori di cui agli artt. 27 e 35 l.e.c. (l. 27 luglio 1978, n. 392). Nella specie, in cui vi è stata una vendita dell'immobile per destinazione a finalità pubbliche, con mantenimento in via transitoria dell'esercizio di un'attività commerciale, ben avrebbe potuto darsi luogo ad una formula contrattuale con diversa individuazione del termine temporale, essendo indubbiamente l'attività in re ipsa destinata a cessare con l'abbattimento del fabbricato, ma con la previsione di un canone di mercato, locativo o di altra natura equipollente, senza sacrificio dell'interesse finanziario dell'E.O.

Invero, se tale durata minima è presidiata dalla legge, la transitorietà (a differenza della stagionalità) non costituisce una "categoria ontologica" di contratti di locazione, restando semplicemente legata a ragioni obiettive, ricorrenti al momento della conclusione del contratto e non sopravvenute (secondo un giudizio ex ante affidato ad un criterio di normale prevedibilità), in presenza di "oggettive caratteristiche di transitorietà dell'attività dipendenti dalla sua essenza o dal suo collegamento con specifici eventi", che per loro natura siano destinati ad esaurirsi in un arco di tempo relativamente breve, da enunciarsi nel contratto (Cass., 23 ottobre 1989, n. 4291; Sez. III, 18 aprile 1996, n. 3663; 31 gennaio 2006, n. 2147, e 16 luglio 2019, n. 18942), nella specie sussistenti.

In ogni caso, a fronte di eventuali contestazioni del privato, l'E.O. avrebbe ben potuto avvalersi per la corretta esecuzione dei lavori anche delle prerogative pubblicistiche, a mezzo di provvedimenti ablativi di urgente necessità.

Circa il comodato gratuito va anche rammentato che il Consiglio di Stato ha statuito più in generale che: "si realizza la corretta fattispecie della gratuità, vale a dire un aumento patrimoniale di un soggetto, in questo caso la collettività, cui corrisponde una sola e mera diminuzione patrimoniale di altro soggetto, cioè il depauperamento del capitale lavoro o del patrimonio del prestatore. Per questa linea, la effettiva gratuità si risolve contenutisticamente in non economicità del servizio poiché gestito, sotto un profilo di comparazione di costi e benefici, necessariamente in perdita per il prestatore. Di conseguenza, esso non è reso dal mercato, anzi è fuori del mercato".

L'amministrazione procedente, pertanto, è chiamata sempre a giustificare perché, in un potenziale mercato, abbia prescelto di ricorrere ad un affidamento di beni-servizi di tipo gratuito, creando così "un vulnus al meccanismo del libero mercato ove operano imprenditori che forniscono i medesimi servizi a scopo di lucro e dunque in maniera economica mirando al profitto. La motivazione della scelta quindi non solo è opportuna, ma deve considerarsi condicio sine qua non per l'esercizio di un tale potere" (cfr. C.d.S., Ad. comm. spec., parere n. 2052 del 20 agosto 2018; Sez. V, sent. n. 6232 del 7 settembre 2021).

Il declinato concetto di gratuità, legittimante l'esonero dall'applicazione della normativa pro-concorrenziale euro-unitaria, implica che deve escludersi qualsiasi forma di remunerazione, anche indiretta, dei fattori produttivi (lavoro, capitale), da parte di chi fruisce della concessione o dell'affidamento, in via gratuita ed in assenza di previa procedura comparativa, aperta al mercato.

Nella specie, è evidente che l'esercizio di un bar, assentito a titolo gratuito, realizzi un'attività commerciale, non potendosi motivatamente ritenere che essa meriti di essere favorita in ragione dell'interesse che presenta per la collettività, dal momento che le finalità lucrative del privato non possono in alcun modo coincidere con gli obiettivi prefissati dall'amministrazione.

Peraltro, l'asserito scopo sociale perseguito dal bar della comodataria risulta contraddetto dalle stesse consistenze reddituali dalla medesima ricavate.

5. Rilevanza causale delle condotte illecite

5.1. Non è revocabile in dubbio, per quanto detto, la sussistenza del nesso eziologico tra le condotte antigiuridiche e il danno erariale, trovando pacifica applicazione anche nel giudizio contabile i criteri di cui agli artt. 40 e 41 c.p.

Sulla scorta di tali principi, appare evidente come le condotte contestate dalla Procura regionale nell'atto di citazione, a ciascuno dei convenuti, abbiano assunto un ruolo causale determinante nel verificarsi dell'evento dannoso, in quanto contrarie agli obblighi di servizio, esigibili in concreto, in assenza di cause sopravvenute idonee ad interrompere tale legame eziologico.

5.2. Quanto alla considerazione svolta dalle difese relativa alla circostanza che le contestate soluzioni gestorie sarebbero state adottate nella costante soggezione "alle determinazioni degli enti territoriali competenti", di contro, il Collegio ritiene che alcun coinvolgimento causale nella produzione del danno possa essere ascritto a soggetti estranei al presente processo, dal momento che le decisioni illecite restano riferibili esclusivamente ai convenuti.

Inoltre, l'eventuale concorso di ulteriori cause preesistenti, simultanee o sopravvenute non esclude il nesso di causalità, tranne che si accerti l'esclusiva efficienza causale di una di esse, ipotesi che nella specie non si rileva.

6. Elemento soggettivo

6.1. Quanto all'elemento psicologico, la colpa grave va individuata nella difformità dalla condotta tenuta rispetto a quella doverosa ed esigibile in concreto, in base alla posizione ricoperta ed ai conseguenti doveri di ufficio, attingendo alla consolidata giurisprudenza di questa Corte, laddove rintraccia tale coefficiente nel non intelligere quod omnes intelligunt, con riferimento alla platea degli homines eiusdem professionis et condicionis.

Nella presente vicenda resta ravvisabile una oggettiva e consistente deviazione dagli standard di condotta che devono essere osservati da soggetti che rivestano cariche quali quelle ricoperte dai convenuti, nonché una grave negligenza dei medesimi rispetto al comportamento che sarebbe stato tenuto ove gli stessi avessero agito secondo i canoni del loro modello di agente.

Tale negligenza si estrinseca nel coinvolgimento, a vario titolo, nella produzione di atti gravemente difformi, sia quanto alla scansione procedimentale che quanto al loro contenuto, dalle conferenti prescrizioni normative e anche di ragionevolezza obiettiva, per ingiustificabile superficialità, frettolosità, approssimazione manageriale e noncuranza delle regole di prudenza che avrebbero imposto un adeguato approfondimento delle criticità riscontrate, peraltro, di percezione estremamente agevole, ed una visione lucida e sistematica per la soluzione dei problemi verificatisi.

7. Determinazione del danno e regola dei vantaggi compensativi

7.1. Le parti, pubblica e private, hanno chiesto di considerare l'utilità conseguita dall'E.O., ai sensi dell'art. 1, comma 1-bis, della l. 14 gennaio 1994, n. 20.

In particolare, quanto alla quantificazione del danno (petitum), era stata formulata espressa riserva nell'atto introduttivo del giudizio, da parte del P.M., di incrementarne la misura nel tempo, in ragione di ogni mese e secondo i medesimi criteri di calcolo, unitariamente alla possibile valutazione del "vantaggio" per la caparra versata, nel "limite massimo" di euro 55.000,00.

Ritenendo senz'altro ammissibile la precisazione dell'oggetto della domanda, espressa in udienza dal P.M., in conformità alle prospettazioni difensive e, comunque, non contestata, il Collegio ritiene di computare i vantaggi fruiti dall'Ente nei limiti condivisi tra le parti nella trattazione della causa.

7.2. Com'è noto, nella norma sopra richiamata, si rinviene la basilare regola dei c.d. "vantaggi", la quale assurge, nella ratio legis, a vero e proprio criterio conformativo del danno erariale arrecato, in quanto l'utilitas attiene, una volta accertatone l'an, alla concreta quantificazione del nocumento.

In realtà, individuata la norma di settore specificamente applicabile, seppur riferibile ai generali principi ordinamentali di cui all'art. 1223 c.c. (per la quantificazione del danno) ed all'art. 2041 c.c. (per il divieto generale di arricchimento senza causa), la giurisprudenza unanime del giudice contabile, con l'autorevole avallo anche della giurisprudenza di legittimità ed amministrativa, ha delineato i punti fermi dell'istituto (ex multis: cfr. Corte conti, Sez. riun., sent. 24 gennaio 1997, n. 5; 12 ottobre 2020, n. 24/QM; 11 ottobre 2021, n. 13/QM; Sez. app. Sicilia, 5 gennaio 2018, n. 3; Sez. I, 13 novembre 1997, n. 327; 12 settembre 2001, n. 261/A, 15 settembre 2020, n. 241, e 16 novembre 2020, n. 317; Sez. II, 5 maggio 2014, n. 310, e 22 novembre 2019, n. 409; Sez. III, 10 aprile 2000, n. 133, e 26 giugno 2020, n. 4028; Sez. Emilia-Romagna, 19 marzo 2002, n. 874; Sez. Lombardia, 7 ottobre 2001, n. 1464; Sez. Molise, 18 giugno 1998, n. 183, e 1° luglio 2020, n. 10; Sez. Lazio, 10 maggio 2016, n. 164; Cass., Sez. un., 22 maggio 2018, nn. 12564-12567, e Sez. III, 6 maggio 2020, n. 8532; C.d.S., Ad. plen., 23 febbraio 2018, n. 1, e Sez. III, 24 giugno 2020, n. 4028).

Infatti, lucrum et damnum possono compensarsi esclusivamente ove siano conseguenza diretta ed immediata dello stesso fatto generatore dell'addebito contestato, in termini di identità soggettiva ed oggettiva, oltre che di unicità causale, non potendosi computare in detrazione un beneficio allorché esso trovi altrove la sua fonte e nell'illecito solo un coefficiente causale.

Inoltre, l'utilitas deve tradursi in concreti ed accertabili benefici economici per l'amministrazione che se ne appropria o per la collettività, in termini di effettività nonché di corrispondenza ai fini istituzionali.

7.3. In relazione alle spese forfettariamente e mensilmente rimborsate dalla comodataria all'E.O. (euro 500,00) ed anche a prescindere dalla rideterminazione del danno assentita dal P.M., senz'altro si rinvengono tutti i cennati presupposti per operarne il diffalco dall'importo mensile del canone stimato congruo, che dunque si conferma in euro 700,00*49 mensilità, per complessivi euro 34.300,00.

Quanto alla caparra confirmatoria versata dall'E.O., le parti private (per euro 85.000,00) ed il P.M. (per euro 55.000,00), vi individuano un'utilitas detraibile.

Al riguardo, il Collegio ritiene di svolgere alcune doverose precisazioni.

Risulta evidente, infatti, che la caparra versata in conto prezzo (art. 1385 c.c.), in sé considerata, non possa arrecare alcun vantaggio alla collettività o allo stesso Ospedale, che ormai ha acquisito la proprietà del bene, discutendosi in questo processo esclusivamente dell'esistenza e della quantificazione del soprapprezzo e delle modalità gestionali successive alla compravendita.

Di contro, può piuttosto accedersi alla prospettazione accusatoria secondo la quale, "stante l'assoluta eventualità di un'azione ex art. 2932 c.c., la proprietaria avrebbe legittimamente trattenuto la caparra confirmatoria (assai consistente) sino ad allora versata, con conseguente verificarsi di un evento economicamente rilevante" (per le tranches fino ad euro 55.000,00).

Può essere individuato in tale importo il limite massimo del quantum rinunciabile dall'E.O., pur di sciogliersi unilateralmente dal vincolo nascente dal contratto preliminare ed in tale accezione esso costituisce utilitas.

Quanto all'ultima tranche di caparra versata (euro 30.000,00), in occasione della deliberazione del c.d.a. n. 18/2015, restando confermato per il resto il valore complessivo della compravendita, essa si conferma autonoma fonte di danno, non compensabile con alcun vantaggio, neppure della comunità amministrata.

Per il che, il danno derivante dall'incongruità del prezzo di acquisto può essere liquidato nella somma algebrica del prezzo versato (euro 289.000,00), sottratti il prezzo stimato congruo (euro 165.000,00), unitamente agli importi delle prime tranches di caparra (euro 55.000,00), per complessivi euro 69.000,00, da suddividere tra i convenuti in relazione alla partecipazione alle deliberazioni contestate: euro 30.000,00 (del. c.d.a. n. 18/2015) ed euro 39.000,00 (del. c.d.a. n. 12/2017).

Sommando anche il danno da mancata locazione, il complessivo importo dannoso ammonta ad euro 103.000,00 (30.000 + 94.000 - 55.000 + 700*49), con le precisazioni che seguono circa la somma algebrica degli addendi.

Quanto alla deliberazione n. 18 del 2015, all'importo di euro 30.000,00 va sottratto quanto riferito alla pretesa risarcitoria azionata nei confronti del dr. Po. (euro 3.500,00), rispetto al quale il giudizio è stato dichiarato estinto all'esito della definizione con rito abbreviato ex art. 130 c.g.c. (sent. n. 111 del 14 dicembre 2020), per complessivi euro 26.500,00, da attribuire in quota capitale.

Relativamente alla sola deliberazione n. 12 del 2017, all'importo di euro 39.000,00 va aggiunta la somma liquidata per euro 34.300,00, relativa alla differenza tra il canone che avrebbe dovuto versare la titolare dell'attività commerciale ed il rimborso spese garantito all'E.O., per 49 mensilità, per complessivi euro 73.300,00, da attribuire in quota capitale tra i convenuti.

Il complessivo danno addebitato nel presente giudizio, pari alla somma algebrica dei sopra riferiti importi, conclusivamente, ammonta ad euro 99.800,00.

7.4. Relativamente alla prospettazione difensiva che individuerebbe anche nei costi inerenti alle spese "vive" (notarili, di perizia) del procedimento "vantaggi", a prescindere dal fatto che non vengono neppure con esattezza quantificati, la Sezione ritiene che i medesimi restino estranei al giudizio. Infatti, ogni scelta gestoria relativa all'acquisizione del bene avrebbe determinato la necessità di sostenere dei costi amministrativi, non potendosi ritenere che tali spese "sarebbero divenute inutili senza la stipula del contratto definitivo", in difetto degli elementi richiesti dagli orientamenti sopra richiamati, potendo le medesime rilevare al più, se mitigabili mediante il ricorso ad Organi pubblici ovvero eccessive e ultronee, quali ulteriori danni.

Neppure potrebbe rilevare, a tali fini, una generica connotazione di pubblico interesse dell'attività commerciale (bar), nei confronti dell'utenza, in difetto di prova di specifiche convenzioni intercorrenti con l'E.O., non potendo trarre la comunità amministrata alcun ulteriore beneficio da una gestione diseconomica.

In ogni caso, le parti non hanno dato prova certa dell'ulteriore, effettiva utilitas conseguita, anche mediante presunzioni ove gravi, precise e concordanti ex art. 2729 c.c. ed in ossequio al principio dispositivo di cui agli artt. 2697 c.c., 115 c.p.c. e 95 c.g.c., limitandosi ad affermarne apoditticamente l'esistenza.

Per il resto, il perimetro del giudizio è segnato dal confine dell'azione esercitata, non potendo il Collegio determinarsi su questioni ulteriori.

7.5. Per l'imputazione delle quote di responsabilità parziaria, il Collegio condivide le misure fisse e percentuali di danno attribuite dall'Organo requirente ai convenuti, differentemente gradate a seconda delle funzioni svolte e del livello di coinvolgimento nella partecipazione alle delibere contestate.

7.6. In relazione alla deliberazione n. 18 del 2015, adottata all'unanimità, pertanto, restano ascritte agli amministratori in concorso le seguenti quote: ai Consiglieri prof. Luca Be., dr. Andrea I., ing. Ugo S., ing. Lorenzo Se. ed ing. Paolo V. euro 3.500,00 cadauno; al Vicepresidente dr. Giuseppe R., che introdusse la relazione, votò favorevolmente e stipulò materialmente l'atto per l'Ente, euro 4.000,00; al Direttore generale dr. Adriano L., che effettuò la relazione ed espresse parere favorevole, euro 2.000,00; al Direttore amministrativo dr. Luciano G. ed al Direttore sanitario dr. Roberto T., che espressero favorevole vaglio, euro 1.500,00 cadauno.

7.7. Quanto alla deliberazione n. 12 del 2017, approvata all'unanimità, restano ascritte agli amministratori in concorso le seguenti quote: ai Consiglieri card. Angelo B., prof. Luca Be., avv. Ernesto La., dr. Luca P., dr. Giuseppe R., ing. Ugo S., ing. Lorenzo Se., ing. Paolo V. euro 6.084,00 (circa l'8,3% ciascuno); al Vicepresidente dr. Giuseppe Z., che introdusse la relazione, votò favorevolmente e stipulò materialmente l'atto per l'Ente, euro 9.162,00 (circa il 12,5%); al Direttore generale dr. Adriano L., che effettuò la relazione, espresse parere favorevole e stipulò altresì l'atto di compravendita e contestuale concessione in comodato dell'immobile, euro 6.700,00 (circa il 9,1%); al Direttore amministrativo dr. Roberto Vi. ed al Direttore sanitario dr. Giuliano L.P., che espressero parere favorevole, euro 4.383,00 (circa il 5,98% ciascuno).

7.8. La pretesa risarcitoria avanzata nel libello attoreo, pertanto, è accolta con l'addebito delle seguenti complessive misure parziarie di danno: card. B. Angelo, euro 6.084,00 (euro seimilaottantaquattro/00); prof. Be. Luca, euro 9.584,00 (euro novemilacinquecentoottantaquattro/00); dr. G. Luciano, euro 1.500,00 (euro millecinquecento/00); dr. I. Andrea, euro 3.500,00 (euro tremilacinquecento/00); dr. L. Adriano, euro 8.700,00 (euro ottomilasettencento/00); avv. La. Ernesto, euro 6.084,00 (euro seimilaottantaquattro/00); dr. L.P. Giuliano, euro 4.383,00 (euro quattromilatrecentoottantatre/00); dr. P. Luca, euro 6.084,00 (euro seimilaottantaquattro/00); dr. R. Giuseppe, euro 10.084,00 (euro diecimilaottantaquattro/00); ing. S. Ugo, euro 9.584,00 (euro novemilacinquecentoottantaquattro/00); ing. Se. Lorenzo, euro 9.584,00 (euro novemilacinquecentoottantaquattro/00); dr. T. Roberto Mario, euro 1.500,00 (euro millecinquecento/00); ing. V. Paolo Giuseppe, euro 9.584,00 (euro novemilacinquecentoottantaquattro/00); dr. Vi. Roberto, euro 4.383,00 (euro quattromilatrecentoottantatre/00; ing. Z. Giuseppe, euro 9.162,00 (euro novemilacentosessantadue/00); per complessivi euro 99.800,00 (euro novantanovemilaottocento/00).

7.9. L'analisi delle condotte gravemente colpose dei convenuti, unitamente alla gravità del fatto, impediscono l'esercizio del richiesto potere riduttivo dell'addebito, non potendo, evidentemente, rilevare ulteriori circostanze, di tipo soggettivo o oggettivo, in grado di fornire un'apprezzabile giustificazione alla sterilizzazione di una parte della pretesa risarcitoria, considerando gli adempimenti esigibili da soggetti legati da rapporto di servizio con la P.A.

Sulle somme oggetto di condanna si applicano, oltre alla rivalutazione monetaria dal 13 giugno 2017 (data dell'"atto di compravendita e comodato d'uso"), gli interessi legali, sulla somma rivalutata, dalla data della pubblicazione della presente sentenza sino all'integrale soddisfo.

Le spese processuali seguono la soccombenza e sono liquidate a carico dei convenuti, come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dei conti, sezione giurisdizionale regionale per la Liguria, disattesa ogni contraria istanza, eccezione e deduzione definitivamente pronunciando, in accoglimento della domanda attrice

CONDANNA

i convenuti al pagamento in favore dell'Ente Ospedaliero "Ospedali Galliera", a titolo di colpa grave e senza vincolo di solidarietà tra loro, della complessiva somma di euro 99.800,00 (euro novantanovemilaottocento/00), nelle attribuzioni pro quota che seguono: card. B. Angelo, euro 6.084,00 (euro seimilaottantaquattro/00); prof. Be. Luca, euro 9.584,00 (euro novemilacinquecentoottantaquattro/00); dr. G. Luciano, euro 1.500,00 (euro millecinquecento/00); dr. I. Andrea, euro 3.500,00 (euro tremilacinquecento/00); dr. L. Adriano, euro 8.700,00 (euro ottomilasettencento/00); avv. La. Ernesto, euro 6.084,00 (euro seimilaottantaquattro/00); dr. L.P. Giuliano, euro 4.383,00 (euro quattromilatrecentoottantatre/00); dr. P. Luca, euro 6.084,00 (euro seimilaottantaquattro/00); dr. R. Giuseppe, euro 10.084,00 (euro diecimilaottantaquattro/00); ing. S. Ugo, euro 9.584,00 (euro novemilacinquecentoottantaquattro/00); ing. Se. Lorenzo, euro 9.584,00 (euro novemilacinquecentoottantaquattro/00); dr. T. Roberto Mario, euro 1.500,00 (euro millecinquecento/00); ing. V. Paolo Giuseppe, euro 9.584,00 (euro novemilacinquecentoottantaquattro/00); dr. Vi. Roberto, euro 4.383,00 (euro quattromilatrecentoottantatre/00; ing. Z. Giuseppe, euro 9.162,00 (euro novemilacentosessantadue/00).

Ai suddetti importi va aggiunta la rivalutazione monetaria, secondo gli indici I.S.T.A.T., a decorrere dal 13 giugno 2017 fino al deposito della presente sentenza e gli interessi legali dal suddetto deposito fino all'effettivo soddisfo.

Le spese di giudizio seguono la soccombenza e vengono poste a carico dei medesimi, pro quota ed in parti uguali, liquidate nella misura di euro 4.937,35 (euro quattromilanovecentotrentasette/35).

Manda alla Segreteria per gli adempimenti di competenza.