Corte dei conti
Sezione I centrale d'appello
Sentenza 23 marzo 2022, n. 127
Presidente: Chiappiniello - Estensore: de Gennaro
FATTO
Con atto di gravame notificato in data 27 novembre 2020, il signor B. Daniele ha impugnato la sentenza n. 115 del 4 agosto 2020 della Sezione giurisdizionale per la Regione Lombardia, con la quale, unitamente al sig. S. Antonio, nelle rispettive qualità di presidente della Provincia di Pavia e di dirigente dello stesso ente (con assegnazione del coordinamento del Comitato dei dirigenti e, ad interim, del Settore affari generali), è stato condannato, a titolo di colpa grave, al risarcimento del pregiudizio erariale, quantificato in complessivi euro 1.845,19 (da addebitare fra i convenuti in parti uguali), oltre interessi legali, cagionato all'ente territoriale di appartenenza quale conseguenza dell'indebita erogazione della retribuzione di risultato relativa all'anno 2011 in favore del dirigente dott. Daniele Carlo Giovanni M. all'esito di un procedimento di valutazione della performance che lo stesso B. avrebbe concluso in violazione delle prescrizioni normative e contrattuali.
Con atto di citazione, depositato il 20 dicembre 2017, infatti, la Procura regionale ha evocato in giudizio i suddetti signori B. Daniele e S. Antonio, unitamente alla signora A. Federica, quale responsabile del Servizio finanziario della Provincia di Pavia nell'anno 2011, per sentirli condannare - con imputazione a titolo di dolo, ovvero, in subordine, a titolo di colpa grave - al risarcimento del pregiudizio erariale, quantificato, in via principale, nella somma di euro 6.150,63 ed, in via subordinata, nella somma di euro 4.100,42; pregiudizio cagionato all'ente territoriale di appartenenza quale conseguenza dell'intervenuta definizione - assertivamente assunta in violazione delle previsioni legislative e contrattuali di categoria e come tale illecita - del procedimento di valutazione della performance per l'anno 2011 del dirigente del Settore difesa idrogeologica e protezione civile, dott. Daniele Carlo Giovanni M.
La definizione del procedimento in questione sarebbe stata formalizzata dal presidente B., supportato dal coordinatore dei dirigenti sig. S. Antonio, senza attendere le conclusioni da parte del Nucleo di valutazione - che, nella riunione del 23 maggio 2012 (verbale n. 9), aveva evidenziato alcune criticità in ordine ai criteri valutativi presentati dall'Amministrazione - ed applicando il massimo punteggio possibile (900 punti) a tutti i dirigenti, con conseguente liquidazione c.d. "a pioggia" dell'indennità di risultato in misura massima ed indifferenziata.
Per conseguenza, la sig.ra A., in qualità di responsabile del Servizio finanziario, ha, quindi, provveduto alla liquidazione ed al pagamento del trattamento accessorio, senza però operare alcuna verifica in merito alla legittimità del procedimento.
La posizione della A. è stata definita con la sentenza n. 61 del 16 aprile 2019 emessa dalla Sezione territoriale a seguito dello svolgimento, su istanza della stessa, del giudizio abbreviato di cui all'art. 130 c.g.c.
La Sezione lombarda ha, perciò, proseguito il giudizio secondo il rito ordinario solo nei confronti dei signori B. e S.
In via preliminare, il giudice di prime cure ha rigettato l'eccezione di prescrizione del credito erariale, sollevata da entrambi i convenuti, sulla base della considerazione che l'attività illecita - asseritamente gestita dai vertici amministrativi e burocratici dell'ente territoriale convenuti in giudizio - fosse stata disvelata nei suoi precisi connotati dannosi soltanto a seguito della verifica amministrativo-contabile svolta dai Servizi ispettivi del MEF dal 3 aprile all'8 maggio 2013, le cui risultanze sono pervenute alla Procura contabile in data 19 settembre 2013.
In considerazione di quanto sopra, ha, quindi, ritenuta superflua l'analisi delle eccezioni formulate dai convenuti in merito alla tardività della notifica dell'invito a dedurre effettuata nei loro confronti (l'atto risulta ricevuto in data 1° giugno 2017 ad oltre un quinquennio di distanza dalla emissione dei mandati di pagamento dell'indennità di risultato avvenuta in data 29 maggio 2012), nonché all'asserita inoperatività, nel caso di specie, della scissione degli effetti della notificazione tra la Procura regionale ed i convenuti.
Nel merito, dopo essersi soffermato sulla legislazione nazionale in materia di riconoscimento della retribuzione di risultato, il giudice ha ripercorso le fasi procedimentali seguite dalla Provincia di Pavia nel caso all'esame, evidenziando che il Nucleo di valutazione nella riunione del 12 marzo 2012 si è limitato ad una valutazione generale sulla estrema complessità dei meccanismi previsti dall'ordinamento dell'ente per la quantificazione del punteggio riferibile alle performance gestionali e che dopo aver ritenuto di applicare, per l'esercizio 2011, il modello vigente già utilizzato nel 2010, ha dato conto della necessità di procedere ad una revisione generale dei meccanismi di valutazione (verbale n. 6), mentre, nella riunione del 23 maggio 2012, a fronte dell'intervenuta trasmissione, in bozza, delle schede di valutazione compilate dagli uffici con il raccordo del dirigente S., affermava, preliminarmente, che la procedura e la metodologia erano state applicate dall'ente secondo il modello adottato, ma riferiva al contempo di poter soltanto prendere atto delle eccellenti valutazioni presentate dall'ente per tutti i dirigenti e procedeva a formalizzare le criticità riscontrate in merito al relativo procedimento in corso di definizione (verbale n. 9).
Il Collegio di primo grado ha anche evidenziato che successivamente le schede di valutazione sono state rielaborate con la previsione del punteggio massimo per tutti i dirigenti e sottoscritte dal presidente B., il quale, sentito il coordinatore del Comitato dei dirigenti S., ha motivato la propria scelta con la circostanza che l'anno 2011 era stato particolarmente complesso per le modifiche organizzative intervenute e che tutti i dirigenti avevano dato la massima collaborazione ed impegno portando al rispetto del patto di stabilità e al conseguimento degli obiettivi.
L'ingerenza del presidente B. nel procedimento avrebbe, quindi, consentito la liquidazione ed il pagamento dell'indennità di risultato per il 2011 ai n. 18 dirigenti, fra cui il M., nella misura massima, con conseguente pregiudizio patrimoniale a carico dell'ente territoriale, nonostante mancassero le valutazioni del Nucleo di valutazione e la verifica ed approvazione, delle stesse, da parte della Giunta.
Tuttavia, al fine della determinazione del quantum debeatur, il Collegio, in applicazione dell'art. 1226 c.c., ha ritenuto di poter limitare il danno erariale concretamente subito dall'ente ad un quota pari al 50% della somma premiale erogata ai dirigenti (fra cui il M.) in considerazione della previsione delle linee-guida interne secondo la quale il trattamento premiale per i risultati di gestione si sarebbe potuto ammettere a condizione che fosse stato superato il 50% degli obiettivi assegnati; circostanza che lo stesso Collegio ha ritenuto ragionevolmente verificatasi in concreto.
Il suddetto pregiudizio erariale è stato imputato al B. che, con inescusabile negligenza, avrebbe definito autonomamente il procedimento, in palese violazione dei più elementari principi e delle norme vigenti in materia, nonché al dirigente S. per avere supportato il B. nella rielaborazione, al rialzo massimo, delle schede di valutazione dei dirigenti laddove, invece, costui avrebbe dovuto rilevare la palese illegittimità dell'operazione.
Tuttavia, in disparte l'apporto causale della A. (10%) che, come già riferito, ha definito la propria posizione con il rito abbreviato di cui all'art. 130 c.g.c., il Collegio ha riconosciuto l'ulteriore apporto causale del segretario generale sebbene non convenuto in giudizio, anch'esso quantificato nella misura del 10%.
Per l'effetto di tutto quanto sopra riportato, la Sezione lombarda, con la sentenza n. 115/2020, rigettata l'eccezione di prescrizione della domanda risarcitoria, ha condannato B. Daniele e S. Antonio al pagamento, in favore della Provincia di Pavia, della somma di euro 1.845,19, con addebito in parti uguali, oltre al pagamento degli interessi legali, a far data dalla pubblicazione della sentenza e sino al soddisfo.
Con atto in data 26 novembre 2020 il sig. B. Daniele ha impugnato la sentenza deducendo i seguenti motivi.
1. Violazione e falsa applicazione dell'art. 1, comma 2, l. n. 20/1994, in combinato disposto con l'art. 2935 c.c. Omessa valutazione di un fatto rilevante ai fini della disamina di fondatezza dell'eccezione di prescrizione consistente nella conoscenza dell'evento dannoso da parte del Nucleo di valutazione e del segretario generale.
L'appellante lamenta che il giudice di primo grado avrebbe errato nell'aver individuato il dies a quo della decorrenza dei termini prescrizionali per l'esercizio dell'azione di responsabilità nella data di ricezione, da parte della Procura, delle risultanze della verifica amministrativo-contabile svolta dal MEF (settembre 2013) ritenendo che, prima di tale momento, l'Amministrazione danneggiata non avrebbe potuto far valere il credito risarcitorio in quanto i titolari di tale potere risultavano essere proprio i soggetti responsabili del danno.
L'appellante lamenta, in primo luogo, che siffatta interpretazione del giudice finirebbe con il privare di contenuto il disposto di cui all'art. 1, comma 2, della l. n. 20/1994 laddove esso dispone che il termine di prescrizione dell'azione risarcitoria decorre dalla data in cui si è verificato il fatto dannoso, potendo esso decorrere dalla sua scoperta solo in caso di "occultamento doloso", circostanza non verificatasi nel caso di specie.
Rileva, inoltre, che il fatto dannoso era obiettivamente conoscibile per l'Amministrazione provinciale, secondo un parametro di ordinaria diligenza, già dal maggio 2012, atteso che del procedimento che avrebbe portato all'erogazione della retribuzione di risultato, in modo illecito, erano ben a conoscenza sia il Nucleo di valutazione, organo terzo ed indipendente in seno all'Amministrazione provinciale, che il segretario generale (non convenuto in giudizio) avendo costui partecipato alle riunioni del citato Nucleo.
Pertanto, poiché il dies a quo del termine prescrizionale andrebbe individuato, in realtà, nella data in cui sono stati emessi i mandati di pagamento dell'indennità di risultato (29 maggio 2012) e l'invito a dedurre, portato alla notifica il 30 maggio 2017, è stato ricevuto dal destinatario solo in data 1° giugno 2017, l'azione sarebbe irrimediabilmente prescritta.
A tal proposito, l'appellante, anche richiamando giurisprudenza della Sezione lombarda, sottolinea che essendo l'invito a dedurre atto unilaterale stragiudiziale e recettizio, esso non può che produrre i suoi effetti, ai sensi dell'art. 1334 c.c., dalla data di ricezione da parte del destinatario non trovando applicazione il principio della scissione degli effetti della notifica fra il soggetto notificante ed il destinatario della stessa.
2. Violazione e falsa applicazione della normativa che regola il procedimento per l'erogazione del premio di risultato, anche sotto il profilo del riparto di competenze. Travisamento dei fatti. Omesso esame di una circostanza rilevante ai fini del decidere, consistente nell'esistenza di una proposta di valutazione da parte del Nucleo. Violazione e falsa applicazione dell'art. 1, comma 1, l. n. 20/1994 con riferimento alla motivazione addotta dal presidente della Provincia per addivenire all'innalzamento dei punteggi.
Nel merito, l'appellante evidenzia che, contrariamente a quanto affermato nella sentenza impugnata, a mente della delibera G.p. n. 277/2011, al procedimento valutativo sarebbe prevista la partecipazione non solo della Giunta ma anche del presidente della Provincia atteso che la citata delibera ha espressamente previsto sia che il Nucleo di valutazione debba riferire al predetto presidente (art. 1) sia che il presidente del Nucleo trasmetta l'eventuale proposta del Nucleo stesso direttamente al presidente della Provincia (art. 6).
L'appellante, pertanto, contrariamente a quanto affermato dal Giudice di prime cure, non avrebbe commesso alcuna irregolarità nell'aver partecipato al procedimento valutativo.
Peraltro, poiché, ai sensi del regolamento interno, la competenza per la verifica delle valutazioni dei dirigenti spettava alla Giunta provinciale, alcuna responsabilità potrebbe essere addebitata al presidente; essa, piuttosto, andrebbe addebitata al Responsabile del Settore finanziario (sig.ra A.) ed al segretario generale che, prima del pagamento, avrebbero dovuto verificare la necessaria sussistenza della delibera di approvazione della Giunta.
L'appellante lamenta, infine, l'errata ricostruzione fattuale della vicenda fatta dal giudice di primo grado: egli, invero, ricevute le schede di valutazione dal Nucleo e preso atto dell'istruttoria compiuta, esercitando legittimamente il proprio potere discrezionale, ha ritenuto di elevare i punteggi proposti dando ampia motivazione della scelta effettuata; tant'è che il Nucleo, nella riunione del 23 maggio 2012, ha preso atto del citato innalzamento dei punteggi senza contestare la decisione.
A comprova della condivisione della scelta da parte del Nucleo rileverebbe, inoltre, oltre la citata assenza di contestazione della decisione adottata, anche la mancata attivazione, da parte dello stesso Nucleo, di un procedimento di accertamento delle responsabilità connesse al riconoscimento di premi ingiustificati per mancato raggiungimento degli obiettivi.
Nel caso di specie, del resto, secondo la prospettazione del B., gli obiettivi erano stati fissati, l'andamento dell'attività era stato monitorato ed i risultati raggiunti erano stati verificati.
3. Erronea quantificazione della pretesa risarcitoria. Omessa disamina delle difese svolte al riguardo dal convenuto B.
L'appellante lamenta, infine, il mancato accoglimento delle difese svolte, in primo grado, in merito alla quantificazione del danno che, perciò, vengono riproposte in sede di gravame.
A parere del B., infatti, il danno ipoteticamente addebitabile andrebbe limitato alla somma risultante dalla differenza tra il premio che sarebbe stato corrisposto in ragione della originaria attribuzione di punteggio elaborata dal Nucleo e quello che è stato, poi, successivamente in concreto liquidato.
Tale somma andrebbe anche ulteriormente decurtata in considerazione degli oneri riflessi versati dall'ente provinciale ai propri dirigenti.
L'appellante ha, quindi, concluso chiedendo che, in totale riforma della sentenza impugnata, in via preliminare di merito, venga dichiarata prescritta, ai sensi dell'art. 1, comma 2, della l. n. 20/1994, l'azione risarcitoria contabile e, nel merito, che la domanda risarcitoria venga respinta e, in via subordinata, che la condanna venga ridotta dell'importo risultante dalla differenza tra la retribuzione di risultato in concreto liquidata e quella che sarebbe stata erogata in base al punteggio attribuito dal Nucleo di valutazione quale emergente sulla base del doc. 15 prodotto in I grado e del doc. 2 prodotto in appello, e, in via istruttoria, "ove ritenuto necessario considerata la produzione del doc. 14 di cui al fascicolo di I grado" ha chiesto ammettersi prova testimoniale e, se del caso, disporsi CTU al fine di verificare a quanto ammonti la differenza tra la retribuzione di risultato attribuibile in base alle schede di valutazione prodotte sub doc. 15 e la retribuzione di risultato in concreto corrisposta nella vicenda.
Il sig. S. Antonio non ha interposto alcun gravame.
La Procura generale con memoria conclusionale, in data 21 gennaio 2022, contrastando le pretese avversarie e concludendo per il rigetto dell'appello, ha osservato quanto segue:
- con riferimento all'eccezione di prescrizione, l'appellante non avrebbe fornito alcuna prova in merito alla circostanza che l'Amministrazione e, in particolare, il Nucleo di valutazione potessero avere avuto conoscenza del danno prima dell'invio, da parte del MEF, degli esiti della verifica amministrativo-contabile (settembre 2013). Tuttavia, anche qualora si volesse prescindere dal momento della conoscibilità del danno, alcuna prescrizione si sarebbe conclusa atteso che, a fronte dell'emissione dei mandati di pagamento in data 29 maggio 2012, la Procura ha inviato la richiesta di notifica degli inviti a dedurre all'UNEP in data 24 maggio 2017, mediante posta elettronica certificata. Attesa poi l'operatività, anche nel caso di specie, del principio della scissione degli effetti della notifica, non rileverebbe la circostanza che l'appellante abbia ricevuto l'atto solo in data 1° giugno 2017;
- nel merito, dovendosi ritenere del tutto prive di fondamento le prospettazioni difensive dell'appellante, anche in punto di fatto, deve confermarsi la responsabilità del B. per avere costui effettuato, in violazione della disciplina normativa e contrattuale in materia, un'attribuzione indiscriminata dei punteggi massimi nella valutazione della performance dei dirigenti per il 2011, con conseguente erogazione, in loro favore, della retribuzione di risultato nella misura massima possibile.
Nell'approssimarsi della celebrazione della udienza dell'11 febbraio 2022, l'appellante ha presentato ulteriore memoria difensiva nella quale ha sostanzialmente richiamato tutti i motivi di gravame sopra riportati.
All'udienza pubblica dell'11 febbraio 2022 le parti hanno ampiamente illustrato le contrapposte tesi insistendo per l'accoglimento delle rispettive richieste.
La causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
Il Collegio è chiamato a valutare, in primo luogo, la questione preliminare (di merito) avente ad oggetto la eccepita prescrizione del danno di cui è causa.
La Sezione lombarda, superando l'eccezione formulata dall'odierno appellante, ha ritenuto, facendo leva sul combinato disposto di cui all'art. 1, comma 2, della l. n. 20/1994 e dell'art. 2935 c.c. - secondo il quale la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere - che, nel caso di specie, la prescrizione dovesse decorrere dalla data della comunicazione alla Procura contabile degli esiti della verifica ispettiva effettuata dal MEF (settembre 2013) e non già dalla data del mandato con il quale l'ente ha pagato, al dott. M., l'indennità di risultato relativa all'anno 2011 (29 maggio 2012).
Secondo la prospettazione del giudice di prime cure, poiché la vicenda di cui è causa è stata gestita dai vertici amministrativi e burocratici dell'ente territoriale, è solo a seguito dell'ispezione ministeriale svolta nel 2013 che l'amministrazione, titolare del credito, ha potuto avere precisa contezza di tutti gli elementi caratterizzanti il danno erariale e, per conseguenza, è stata messa nelle condizioni di poter esercitare l'azione a tutela del proprio credito. Fino a tale data, secondo la Sezione lombarda, erano solo i responsabili del danno ad avere la titolarità di far valere, in nome e per conto dell'ente pubblico territoriale, il credito risarcitorio generato dalla propria condotta.
Orbene, il Collegio ritiene che la tesi del giudice di prime cure, sebbene accuratamente argomentata, non può trovare accoglimento, ritenendosi fondato, pertanto, il relativo motivo d'appello formulato dall'appellante.
Premesso che sembrerebbe che sia la stessa Procura regionale a ritenere quale dies a quo della prescrizione la data in cui è stata pagata l'indennità di risultato (29 maggio 2012) laddove nella nota di trasmissione all'UNEP dell'invito a dedurre da notificare del 24 maggio 2017, firmata dal funzionario responsabile dell'Ufficio notificazioni, è testualmente scritto "Come da direttiva del magistrato firmatario dell'atto, si comunica che il presente atto si prescrive il 29.05.2017", salvo, poi, mutare opinione in sede di giudizio, deve evidenziarsi che la circostanza che "l'attività assertivamente illecita - che risulta essere stata invero gestita dai vertici amministrativi e burocratici dell'ente territoriale odierni convenuti - è stata disvelata nei suoi precisi connotati soltanto a seguito dell'ispezione ministeriale del settembre 2013. Soltanto da tale data può ritenersi, ad avviso del Collegio, che il credito risarcitorio sia stato rappresentato nella completezza dei suoi elementi ed abbia pertanto posto l'ente territoriale in grado di farlo concretamente valere" e che "Non v'è dubbio, infatti, che, fintanto che la vicenda è rimasta confinata nella materiale conoscenza dei soli convenuti... nessuna possibilità aveva l'Amministrazione di intervenire per far valere la propria pretesa restitutoria. Una prospettazione che individui il dies a quo nella data dell'illecito esborso avrebbe l'irragionevole effetto di considerare prescritta, a tutto vantaggio degli stessi responsabili, la pretesa restitutoria dell'erario" non appare idonea ad integrare l'unico requisito (il doloso occultamento) che, sulla base di quanto disposto dal legislatore, consentirebbe di far slittare l'esordio del termine prescrizionale, fissato dall'art. 1, comma 2, della l. n. 20/1994 al momento dell'effettiva "scoperta" del danno.
Invero la Sezione territoriale ha escluso - correttamente - qualsivoglia ipotesi di occultamento doloso del danno, ma, come già esposto, ha richiamato la nozione di cui all'art. 2935 per ritenere che la conoscibilità obiettiva del danno erariale sia emersa solo a seguito della verifica ispettiva del 2013.
In realtà, diversamente da quanto ritenuto dal giudice di prime cure, dagli atti in esame non risulta che il danno non fosse già individuabile o riconoscibile, nelle sue componenti fondamentali individuate dall'art. 1 della l. n. 20/1994, sin dal momento dell'effettivo pagamento degli emolumenti accessori corrisposti illegittimamente, per l'anno 2011, al dirigente a tempo indeterminato dott. M.: il danno dedotto in citazione, infatti, trae origine proprio dall'adozione di atti deliberativi adottati a valle di un iter amministrativo svoltosi senza alcun infingimento o, ancor peggio, occultamento. Il fatto che la vicenda abbia avuto come protagonisti prevalentemente i vertici amministrativi non vale, di per sé, a far ritenere celato il danno che, anzi, proprio perché desumibile dagli atti, si è palesato in tutta la sua potenzialità.
Peraltro, accedendo alla tesi sostenuta dalla Sezione lombarda "si finirebbe col ravvisare una sorta di occultamento in re ipsa in atti amministrativi pubblici" (cfr. Corte dei conti, Sez. II app., n. 298/2019) laddove - e la circostanza non è contestata - nessun comportamento ulteriore, volto a dissimulare le condotte illecite ovvero le conseguenze dannose che ne sono derivate, sia riscontrabile nella documentazione acquisita.
La paventata - peraltro non dimostrata - impossibilità di esercizio del diritto di credito rappresenta, nel caso di specie, una circostanza di mero fatto che non può assolutamente involgere il momento giuridico in cui il danno si estrinseca nelle sue componenti fondamentali.
D'altronde, se è vero che il Nucleo di valutazione aveva già evidenziato le criticità sottese al sistema di valutazione adottato (v. verbali n. 6 del 12 marzo 2012 e n. 9 del 23 maggio 2012), deve ritenersi che fossero già ben delineati ed evidenziabili tutti gli elementi, poi perfezionatisi con il pagamento contestato, per ritenere percepibile il danno cagionato.
La circostanza che solo i responsabili dell'illecito avessero la possibilità di far valere (in sede civile), in nome e per conto dell'ente pubblico, il credito risarcitorio derivante dalla propria condotta non appare rilevante ai fini della decorrenza della prescrizione anche sotto altro profilo.
Se è vero che la tutela del credito risarcitorio è riservata sia ai titolari del credito che al Pubblico ministero contabile, deve necessariamente concludersi che, al momento della causazione dell'illecito, qualora adeguatamente informato dagli organi titolari di un obbligo di denuncia, il requirente contabile avrebbe potuto esercitare il diritto vantato dall'amministrazione danneggiata.
La circostanza che, invece, la notitia damni sia pervenuta al Pubblico ministero nel settembre del 2013, a seguito della verifica del Ministero dell'economia e delle finanze, non può incidere, sotto il profilo giuridico, sui termini per l'esercizio del diritto, laddove tale attività avrebbe potuto essere posta in essere al momento dell'erogazione dell'indennità di risultato contestata - in quanto il danno era già cristallinamente delineato ed esteriorizzato nelle sue componenti fondamentali - sia dal Nucleo di valutazione sia da altri soggetti non evocati nel presente giudizio (vedasi il segretario comunale).
Appare, quindi, irragionevole ritenere, in assenza di circostanze giuridiche impeditive idonee a sospendere la prescrizione, che la semplice ipotetica impossibilità fattuale di esercitare il proprio diritto possa essere considerata elemento idoneo a spostare in avanti il termine prescrizionale, consentendo oltremodo di dilatarlo sine die, incidendo, in tal modo, sulla obiettiva conoscibilità dell'evento dannoso.
Sul punto, del resto, la Suprema Corte ha, da tempo, evidenziato che "In tema di risarcimento del danno, l'impossibilità di far valere il diritto quale fatto impeditivo della decorrenza della prescrizione ex art. 2935 c.c. è solo quella che deriva da cause giuridiche che ne ostacolino l'esercizio e non comprende, quando il danno sia percepibile all'esterno e conoscibile da parte del danneggiato, gli impedimenti soggettivi o gli ostacoli di mero fatto, tra i quali l'ignoranza, da parte del titolare, del fatto generatore del suo diritto, o il dubbio soggettivo sulla esistenza di tale diritto, od il ritardo indotto dalla necessità del suo accertamento" (Cass. civ., Sez. III, 9 luglio 2018, n. 19193; in termini identici, Sez. III, 6 ottobre 2014, n. 21026).
Peraltro, la giurisprudenza contabile, nell'interpretare le specifiche disposizioni in tema di responsabilità amministrativa, anche di recente, ha avuto modo di sottolineare che, poiché è principio generale del nostro ordinamento quello secondo cui la prescrizione decorre da quando il diritto può essere fatto valere, e poiché tale termine non può iniziare a decorrere prima della conoscibilità del comportamento dannoso, è solo nel caso di occultamento doloso che il termine di prescrizione dell'azione di danno contro il responsabile decorre dal disvelamento - di natura tecnica e giuridica, peraltro, non quale mera scoperta - dell'occultamento doloso. La giurisprudenza prevalente ritiene, infatti, che il legislatore, con l'art. 1, comma 2, della l. n. 20/1994, abbia voluto ribadire il principio della decorrenza del termine prescrizionale dal momento della conoscibilità obiettiva del danno, restando salvo il principio della conoscenza effettiva solo in caso di occultamento doloso (ex multis, Corte dei conti, Sez. II giurisdiz. centr., 20 luglio 2017, n. 498; Sez. giurisdiz. Veneto, 5 maggio 2020, n. 61; Sez. giurisdiz. Piemonte, 18 gennaio 2021, n. 7).
Individuato, quindi, il dies a quo della decorrenza del termine prescrizionale nella data di emissione del mandato di pagamento (29 maggio 2012), questo Collegio è chiamato a pronunciarsi in merito all'eccezione di prescrizione sollevata dall'appellante anche sotto altro profilo ovvero se, al fine dell'individuazione del dies ad quem, con riferimento alla notifica dell'invito a dedurre trovi applicazione il regime della scissione degli effetti della notificazione tra notificante e destinatario della notifica - come riproposto dalla Procura generale nella propria memoria conclusionale al fine di confutare l'eccezione e dimostrare la tempestività della notifica - atteso che dagli atti di causa emerge che, sebbene la Procura lombarda abbia consegnato l'atto da notificare all'UNEP (mediante posta elettronica certificata) in data 24 maggio 2017 - entro il termine quinquennale di prescrizione -, la consegna al destinatario (sig. B.) è avvenuta, ai sensi dell'art. 140 c.p.c., in data 1° giugno 2017 (data di ricezione della raccomandata).
Il principio della scissione soggettiva degli effetti della notificazione è stato introdotto, "per gli atti processuali", dalla Corte costituzionale con la sentenza 26 novembre 2002, n. 447, sancito a livello normativo dall'art. 149 c.p.c. (come modificato dall'art. 2 della l. n. 263/2005) e riconfermato dalla stessa Corte costituzionale con la sentenza n. 28 del 4 gennaio 2004 e con l'ordinanza n. 97 del 12 marzo 2004. Con tale ultima pronuncia la Consulta, nel dichiarare la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 140 c.p.c., sollevata in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., ha statuito che, essendo ormai presente nell'ordinamento processuale civile, fra le norme generali sulle notificazioni degli atti, il principio della scissione temporale, tutte le norme in tema di notificazioni di "atti processuali" devono essere interpretate senza ulteriori interventi del giudice delle leggi, nel senso che la notificazione si perfeziona, nei confronti del notificante, al momento della consegna dell'atto all'Ufficiale giudiziario.
Le Sezioni unite della Corte di cassazione hanno, poi, riconosciuta l'applicabilità del principio in questione anche ai fini degli effetti sostanziali degli atti processuali, tuttavia solo "ove il diritto non possa farsi valere se non con un atto processuale" (Cass., Sez. un., sent. n. 24822 del 9 dicembre 2015).
La Suprema Corte, con successive sentenze (ex multis, Cass., Sez. un., sentt. n. 12332/2017, n. 9749/2018, n. 3091/2019, n. 10160/2020), compresa la più recente n. 40543 del 17 dicembre 2021, richiamata dalla Procura generale nella propria comparsa conclusionale a sostegno della propria tesi, ha poi esteso l'applicazione del principio anche in materia tributaria, con specifico riferimento alla notifica di atti impositivi - quale l'avviso di accertamento notificato al contribuente oltre il termine di decadenza, ma consegnato per la notifica anteriormente - sulla base del principio per il quale "L'esercizio del potere impositivo è assoggettato al rispetto di un termine di decadenza, insuscettibile d'interruzione a garanzia del corretto instaurarsi del rapporto giuridico tributario, ai fini del rispetto del quale, a differenza di quanto avviene per il termine di prescrizione, assume rilevanza la data nella quale l'ente ha posto in essere gli adempimenti necessari ai fini della notifica dell'atto, e non quello eventualmente successivo, di conoscenza dello stesso da parte del contribuente" (Cass., Sez. un., n. 40543/2021).
L'atto di imposizione tributaria, del resto, sempre secondo la giurisprudenza sopra citata, "non è sicuramente atto ricettizio, nei sensi di cui all'art. 1334 c.c., perché tale norma vale, come espressamente riconosciuto dalle Sezioni unite con la sentenza n. 24822/2015 citata, solo per gli atti negoziali, laddove, di contro, l'atto di imposizione tributaria ha indubbia natura di provvedimento amministrativo vincolato con il quale si determina autoritativamente l'obbligazione tributaria" e ancora "l'atto amministrativo d'imposizione tributaria è una dichiarazione recettizia solitaria che non necessita di per sé della collaborazione cognitiva di altri soggetti per svolgere la sua funzione, ma è solo per la sua forza di limitazione della sfera di altro soggetto che si vuole che questi sia posto in condizione di conoscibilità e che a tale condizione sia subordinata l'efficacia della dichiarazione. Ne deriva, a differenza della dichiarazione recettizia non solitaria, per la quale la conoscenza del destinatario è condizione necessaria perché la dichiarazione esplichi, non solo i suoi effetti giuridici, ma anche la sua funzione pratica, l'idoneità della decisione amministrativa tributaria a produrre, anche da sola, il risultato effettivo per il quale è stata formulata" (Cass. n. 4760/2009, richiamata da Cass., Sez. un., n. 40543/2021).
Da quanto sopra, è quindi evidente che la Suprema Corte non ha riconosciuto l'applicabilità del principio della scissione degli effetti della notificazione tra notificante e destinatario della notifica per tutti gli atti non processuali, ma solo per quegli atti che siano soggetti a decadenza e che per la loro specifica natura (atti di imposizione) non necessitino della collaborazione cognitiva di altri soggetti per svolgere la propria funzione.
Stante quanto sopra, è evidente che il richiamo fatto dalla Procura generale alla sentenza n. 40543/2021 delle Sezioni unite della Cassazione, ai fini dell'applicazione del c.d. "principio della scissione" alla notificazione dell'invito a dedurre, risulti del tutto inconferente.
Il percorso giuridico per giungere alla soluzione è, quindi, altro.
Il regime della scissione degli effetti della notificazione per i soggetti coinvolti non può trovare applicazione in quanto l'invito a dedurre non rappresenta l'unico strumento attraverso cui il pubblico ministero è abilitato a costituire in mora soggetti sottoposti alla giurisdizione contabile (cfr. Cass., Sez. un., sent. n. 24822/2015; Corte dei conti, Sez. III, n. 84/2019). Ciò in quanto la scomposizione degli effetti dell'adempimento partecipativo è condizionata alla riferibilità della notificazione ad un atto che non avrebbe potuto essere realizzato se non con le forme dell'atto processuale (ex multis, Cass., sent. n. 19143/2017, ord. n. 4034/2017; Sez. un., sent. 24822/2015).
L'invito a dedurre, infatti, non rappresenta l'unico strumento, a disposizione del Pubblico ministero, per costituire in mora i soggetti ritenuti responsabili di un illecito erariale, atteso che l'art. 66 del codice di giustizia contabile, rubricato "Atti interruttivi della prescrizione", al comma 1, prevede che "Con l'invito a dedurre ai sensi dell'articolo 67, comma 8, ovvero con formale atto di costituzione in mora, ai sensi degli articoli 1219 e 2943 del codice civile, il termine quinquennale di prescrizione può essere interrotto...".
La norma, quindi, non si limita ad affermare la sussistenza di una facoltà dell'amministrazione danneggiata di costituire in mora il presunto danneggiante, ma ribadisce che una simile iniziativa può essere intrapresa dal pubblico ministero contabile o con l'invito a dedurre o con altro atto ai sensi degli artt. 1219 e 2943 c.c.
Tale facoltà, del resto, era già stata ampiamente riconosciuta dalla giurisprudenza contabile ancor prima dell'emanazione del codice di giustizia contabile laddove le Sezioni Riunite hanno più volte riconosciuto il P.m. contabile quale organo «agente nell'interesse dell'ordinamento, con una valenza "mediatamente" finalizzata alla tutela patrimoniale della specifica Amministrazione, identificata come centro di imputazione del ristoro azionabile in sede giudiziaria», provvisto di una «legittimazione generale alla tutela della finanza pubblica mediante il conferimento dello jus postulandi nell'ipotesi di responsabilità patrimoniale di soggetti legati da rapporto di servizio con la P.A. per danni arrecati a quest'ultima nell'esercizio o in relazione all'esercizio delle funzioni ad essi affidate» (cfr. Corte dei conti, Sez. riun., sentt. n. 14/2000/QM, n. 4/2007/QM, n. 1/2004/QM e n. 6/2003/QM).
Il Pubblico ministero contabile, quindi, per la peculiare funzione istituzionale che è chiamato a svolgere, è da tempo pienamente legittimato a farsi promotore di un'iniziativa che, evitando il protrarsi dell'inerzia nell'esercizio del diritto al risarcimento nelle more di completamento degli approfondimenti istruttori di rito, sia propedeutica al fisiologico corso della promovenda azione di responsabilità.
Il principio della scissione degli effetti della notifica, del resto, "tutela l'interesse del notificante a non vedersi addebitato l'esito intempestivo della notifica, mentre la prescrizione incide sul diverso profilo sostanziale del diritto, rispetto al quale si pone, in via prevalente, la tutela della certezza del diritto del destinatario e, in un'ottica di bilanciamento degli interessi, giustifica l'imposizione di un onere di celerità sul notificante sulla base del principio di precauzione che raccomanda di assegnare un onere di adempimento alla parte che più agevolmente è in grado di adempiere" (Corte dei conti, Sez. II app., n. 84/2019).
Pertanto, poiché tale condizione non ricorre, deve trovare applicazione la disciplina tipica degli atti unilaterali di cui all'art. 1334 c.c.
A quanto sopra consegue che nella vicenda in esame vi è stata una inerzia protratta per oltre un quinquennio (29 maggio 2012-1° giugno 2017) che ha generato la prescrizione del diritto al risarcimento del danno.
In conclusione, e per effetto di quanto sopra argomentato, va accolto il primo motivo d'appello promosso dall'appellante e, per l'effetto, va dichiarata la prescrizione del diritto al risarcimento del danno, con contestuale assorbimento degli altri motivi di gravame attinenti al merito della vicenda.
Le spese del giudizio sono compensate, ai sensi dell'art. 31, comma 3, c.g.c.
P.Q.M.
La Corte dei conti, Sezione prima centrale d'appello, definitivamente pronunciando sul giudizio iscritto al n. 57930 del ruolo generale, accoglie l'appello nei termini di cui in motivazione e, per l'effetto, in parziale riforma della sentenza n. 115/2020 resa dalla Sezione giurisdizionale per la Regione Lombardia, dichiara la prescrizione della domanda risarcitoria nei confronti del sig. B. Daniele.
Le spese di giudizio sono integralmente compensate.