Corte di cassazione
Sezione V penale
Sentenza 24 febbraio 2022, n. 8998

Presidente: Sabeone - Estensore: De Marzo

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 28 luglio 2021 il giudice dell'udienza preliminare presso il Tribunale di Alessandria ha rigettato la richiesta, formulata dal P.M. con istanza del 19 aprile 2021 e reiterata nel corso dell'udienza preliminare del 12 maggio 2021 nel procedimento a carico di Giuseppe G., di fissare contestualmente udienza preliminare destinata a delibare la richiesta di rinvio a giudizio nei confronti del coimputato Roberto B. per il reato di bancarotta documentale.

In particolare, il P.M. aveva rilevato: a) che in data 28 novembre 2017 era stato richiesto il rinvio a giudizio nei confronti del G. e del B. per i reati di bancarotta fraudolenta documentale (capo 1), bancarotta fraudolenta distrattiva (capo 2) e bancarotta preferenziale (capo 3); b) che il 22 giugno 2018 il B. aveva presentato richiesta di applicazione concordata della pena, previa riqualificazione anche dei fatti di cui al capo 2 nella fattispecie della bancarotta preferenziale e contestuale emissione di sentenza di non luogo a procedere per il reato di bancarotta fraudolenta documentale di cui al capo 1; c) che, nel corso dell'udienza del 16 novembre 2018, il P.M. aveva riformulato l'imputazione, per un verso, riconducendo anche le contestate ipotesi distrattive all'interno della bancarotta preferenziale e, per altro verso, attribuendo la bancarotta documentale al solo G.; d) che su tali basi si era giunti alla sentenza di patteggiamento del 19 novembre 2018 che, accedendo alla richiesta sopra ricordata, aveva riguardato soltanto i fatti di cui ai capi 2 e 3, confluiti, per effetto della riformulazione, nell'unitario nuovo capo 3); e) che il procedimento a carico del G., nel quale si innesta la richiesta respinta con il provvedimento impugnato, dopo essere giunto alla fase dibattimentale, era regredito all'udienza preliminare per effetto della dichiarata nullità del decreto che aveva disposto il giudizio.

2. Come detto, il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Alessandria ha proposto, avverso la menzionata ordinanza del 28 luglio 2021, ricorso per cassazione, affidato ad un unico, articolato motivo enunciato nei limiti richiesti dall'art. 173 disp. att. c.p.p.

Con tale motivo si denuncia inosservanza o erronea applicazione degli artt. 50, 60, 418, 546 e 648 c.p.p., sottolineando: a) che, per effetto della irretrattabilità dell'atto di esercizio dell'azione penale, il P.M. non aveva il potere di riformulare l'imputazione nel senso di escludere uno dei capi di imputazione oggetto della contestazione, sostanzialmente procedendo alla revoca dell'azione penale esercitata; b) che, pertanto, il giudice aveva il dovere di pronunciarsi sul punto, con l'ulteriore conseguenza che la rilevata omissione configurava un caso di inesistenza decisoria, insuscettibile di produrre alcun effetto irreversibile attraverso la formazione del giudicato; c) che l'ordinanza del G.U.P. era illegittima anche perché aveva deciso senza previamente fissare l'udienza dinanzi a sé, in tal modo pregiudicando il diritto al contraddittorio e, in ogni caso, provocando una stasi non altrimenti emendabile del procedimento.

3. Sono state trasmesse, ai sensi dell'art. 23, comma 8, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, conv. con l. 18 dicembre 2020, n. 176, le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore generale e del difensore del B.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, ai fini dell'individuazione dell'atto abnorme si richiede, in negativo, che non si tratti di atto adottato semplicemente in violazione di norme processuali e, in positivo, che l'atto stesso si caratterizzi per contenuti talmente atipici, da renderlo estraneo all'ordinamento processuale ovvero che, pur espressione di una legittima potestà processuale, sia adottato al di fuori dei casi consentiti e delle ipotesi previste, tanto da determinare una stasi del processo, la impossibilità di proseguirlo ovvero la sua inammissibile regressione ad una fase processuale ormai esaurita (così, Sez. un., n. 17 del 10 dicembre 1997, Di Battista, Rv. 209603; n. 26 del 24 novembre 1999, Magnani, Rv. 215094; n. 25957 del 26 marzo 2009, Toni, Rv. 243590; n. 40984 del 22 marzo 2018, Gianforte, Rv. 273581).

Nel caso di specie, in sintesi, la riformulazione dell'imputazione si è tradotta, per un verso, nella riqualificazione di alcuni fatti, condivisa dal giudice del patteggiamento, e, per altro verso, nell'esclusione della bancarotta documentale nei confronti del B.

Ora, la ritrattazione dell'azione penale indica l'iniziativa unilaterale del P.M. volta ad eliminare, in contrasto con il principio che si desume dall'art. 50, comma 3, c.p.p., elementi essenziali o circostanziali dell'imputazione sottoposta al vaglio del giudice con l'esercizio dell'azione penale (Sez. 2, n. 36376 del 23 giugno 2021, Cimini, Rv. 282015-0).

Al riguardo, la giurisprudenza di questa Corte ha chiarito che è illegittima la modifica dell'imputazione, sub specie di esclusione della circostanza aggravante contestata - effettuata nel corso del dibattimento dal P.M. mediante una correzione del capo di imputazione formulato nel rinvio a giudizio -, in quanto, in virtù del principio di irretrattabilità dell'azione penale, il P.M., a norma degli artt. 516 e 517 c.p.p., ha il solo potere di integrare l'accusa, mentre non può procedere autonomamente alla correzione o riqualificazione delle condotte, potere che attiene alla decisione di merito e che spetta al giudice, il quale nel suo esercizio deve fornire adeguata motivazione sulle questioni di fatto e di diritto concernenti la sussistenza o meno di tali circostanze (v., ad es., Sez. 5, n. 9806 del 13 febbraio 2006, Casagrande, Rv. 234231-01).

Ne discende che il potere di dare al fatto una diversa definizione giuridica o di pronunciare una sentenza di proscioglimento compete solo al giudice e che l'iniziativa del P.M. di eliminare la contestazione di un fatto o di sua circostanza, proprio perché contrastante con il principio desumibile dall'art. 50, comma 3, c.p.p., è priva di qualunque effetto e non incide sul dovere del giudice di pronunciarsi sull'intera materia devolutagli, con l'esercizio dell'azione penale e con le integrazioni successive (e, infatti, in questo senso si vedano le conseguenze tratte, a seguito dell'impugnazione del P.M., da Sez. 4, n. 26653 del 22 aprile 2009, Pinna, Rv. 244505-01; Sez. 2, n. 6905 dell'11 novembre 2009, dep. 19 febbraio 2010, Sarti, Rv. 246451-01; n. 18167 dell'8 febbraio 2017, Davicco, Rv. 269743-01).

Peraltro, se il giudice, invece di ritenere tamquam non esset la revoca dell'azione penale, abbia omesso di pronunciarsi e di ciò non si sia lamentato chi sia legittimato all'esercizio dell'azione stessa, si pone il problema di individuare il vizio della sentenza che illegittimamente abbia circoscritto la decisione ad alcuni dei capi di imputazione o ad un fatto privato delle circostanze eliminate dal P.M.

La soluzione rappresenta anche la premessa per comprendere quali rimedi processuali possano essere esercitati.

Sez. 6, n. 39435 del 14 luglio 2017, Ammendola, Rv. 271709-0, ha ritenuto che non è nullo il procedimento avviato per un reato in relazione al quale, nel corso di altro procedimento, sia stata emessa una sentenza mancante di una specifica statuizione decisoria su detta imputazione, in quanto l'azione penale risulta esercita una sola volta nel rispetto delle garanzie difensive.

In motivazione, si ricorda, in linea con i precedenti specifici sul punto (da ultimo Sez. 2, n. 29427 del 15 giugno 2011, Ferrari, Rv. 251027, ed in senso conforme in precedenza Sez. 6, n. 8677 del 18 maggio 1993, Leonardi ed altro, Rv. 195995), che la sentenza che sia priva, anche parzialmente, del dispositivo per omessa statuizione decisoria nei confronti dell'imputato su un capo per il quale ne sia stato disposto il rinvio a giudizio è inesistente e il vizio, rilevabile d'ufficio, è insuscettibile di essere sanato dal giudicato, sostanziandosi, a fronte dell'esercizio dell'azione penale, in un non liquet non consentito al giudicante, vizio per sanare il quale deve procedersi ad un nuovo giudizio di primo grado.

Nel caso deciso da Sez. 6, n. 39435 del 2017, per vero, si era all'interno dello stesso processo ma i principi enunciati sono coerenti al sistema processuale e impediscono di cogliere una preclusione da giudicato quantomeno nell'ipotesi in cui su un capo di imputazione oggetto dell'azione penale non sia intervenuta alcuna decisione suscettibile di divenire irrevocabile ai sensi dell'art. 648 c.p.p.

Incidentalmente si osserva che a diversa conclusione si dovrebbe giungere nel caso - non rilevante nel presente procedimento - in cui, a fronte della "revoca" di una circostanza, il giudice abbia omesso di pronunciarsi e il P.M. non sia insorto attraverso l'impugnazione.

Sebbene in entrambi i casi la condotta del P.M. si ponga in contrasto con il principio dell'irretrattabilità dell'azione penale, le conseguenze sono diverse, dal momento che se il giudice, pur non decidendo in ordine alla sussistenza dell'elemento circostanziale, si occupi del reato contestato, verrà emessa una sentenza che, ancorché viziata, ha per oggetto il reato contestato, talché sarà enucleabile un capo decisorio - nel senso indicato da Sez. un., n. 1 del 19 gennaio 2000, Tuzzolino, Rv. 216239-01 -, suscettibile di divenire irrevocabile.

Per completezza, deve aggiungersi che è ormai acquisito nella giurisprudenza di questa Corte che la sentenza di condanna che riguardi più reati ascritti allo stesso imputato è idealmente scindibile, in ragione di ogni capo di imputazione, in altrettante autonome statuizioni di condanna, con la conseguenza che, sebbene i diversi capi siano contenuti in un unico documento-sentenza, ognuno di essi conserva la propria individualità ad ogni effetto giuridico (v., ad es., Sez. un., n. 6903 del 27 maggio 2016, dep. 14 febbraio 2017, Aiello, Rv. 268965-01).

Ne discende che ben può nel giudizio di cognizione essere rilevata l'inesistenza dell'atto giurisdizionale che non si pronunci su uno dei capi di imputazione.

Tornando alla vicenda in esame, si osserva che, nel caso del patteggiamento, è inammissibile la richiesta parziale, limitata solo ad un frammento della condotta di reato oggetto di imputazione (Sez. 3, n. 7724 del 12 gennaio 2018, Tuci, Rv. 272068-01; v. anche Sez. 3, n. 41138 del 23 maggio 2013, Lukasuak, Rv. 256929-0).

Ora, nel caso di specie, la richiesta non era parziale, in quanto si accompagnava alla richiesta di sentenza di non luogo a procedere per la residua imputazione. Ad essere viziata è stata, piuttosto, la sentenza che, nulla dicendo sul restante capo di imputazione, ha finito per pronunciarsi in maniera parziale.

E, tuttavia, mentre non è esistente la sentenza che non si pronunci su un capo di imputazione, una sentenza di patteggiamento parziale è solo viziata, in relazione ai capi rispetto ai quali applica la pena concordata. Ne discende che essa, ove non impugnata, diventa irrevocabile rispetto a tali capi.

In altri termini, nel caso che ci occupa, proprio la distinzione tra capi di imputazione e, pertanto, tra capi di sentenza consente di affermare che l'inesistenza individua solo l'omessa decisione su uno dei capi: quello avente ad oggetto la bancarotta documentale contestata al B.

E allora l'atto che determina la stasi del procedimento, nel senso che non consente di rimediare al vizio radicale dell'inesistenza di una decisione su un capo di imputazione per il quale sia stata esercitata l'azione penale, è, in effetti, il rigetto della richiesta di fissazione di una udienza che, nella fase dell'udienza preliminare in cui il procedimento pende, consenta la decisione giurisdizionale rispetto all'iniziativa del P.M.

A ciò non è di ostacolo, secondo quanto ritenuto dal provvedimento impugnato, la decisione sui restanti reati fallimentari da parte della sentenza di patteggiamento.

Come anche di recente ricordato da Sez. 5, n. 4249 del 2 dicembre 2021-7 febbraio 2022, Gritti, le Sezioni unite, con specifico riferimento ai reati fallimentari, hanno chiarito che la condanna definitiva per il reato di bancarotta non impedisce di procedere nei confronti dello stesso imputato per altre e distinte condotte di bancarotta relative alla medesima procedura concorsuale (Sez. un., n. 21039 del 27 gennaio 2011, Loy, Rv. 249668): ciò in linea con il principio di diritto in forza del quale, ai fini della preclusione connessa al ne bis in idem, l'identità del fatto sussiste quando vi sia corrispondenza storico-naturalistica nella configurazione del reato, considerato in tutti i suoi elementi costitutivi (condotta, evento, nesso causale) e con riguardo alle circostanze di tempo, di luogo e di persona (Sez. un., n. 34655 del 28 giugno 2005, Donati, Rv. 231799).

La lettura di Sez. un. n. 21039/2011, cit., fornita dal provvedimento impugnato, secondo il quale le Sezioni unite avrebbero affermato l'insussistenza del giudicato solo per i fatti emersi successivamente alla decisione, confonde l'esempio fatto in motivazione per spiegare gli esiti paradossali del contrario orientamento con il significato che si trae dall'esame complessivo della sentenza. D'altra parte, una volta esclusa la natura unitaria dei distinti fatti di bancarotta, non si comprenderebbe la ragione giuridica per la quale il giudicato su uno di tali fatti dovrebbe precludere l'esercizio dell'azione penale rispetto a fatti diversi, in dipendenza della data del loro accertamento.

Neppure è convincente il richiamo, da parte del provvedimento impugnato, a Sez. 6, n. 46430 del 13 ottobre 2009, Colla, Rv. 245443-01, dal momento che la decisione (che, peraltro, si era tradotta in un annullamento senza rinvio della sentenza di patteggiamento che nulla aveva argomentato quanto all'eliminazione di uno dei capi di imputazione e di alcune circostanze aggravanti) non affronta direttamente il tema della revoca dell'azione penale in relazione ad uno dei capi di imputazione, dal momento che l'«eliminazione» di uno dei capi è espressione che vale a descrivere il risultato sostanziale raggiunto, ma non individua lo strumento giuridico utilizzato per conseguirla.

In altri termini - e qui si coglie il motivo dell'accoglimento del ricorso da parte della citata Sez. 6, n. 46430 del 2009 - l'eliminazione può essere prodotta da una diversa definizione giuridica oppure dall'assorbimento nella restante ipotesi contestata o, radicalmente, dalla scelta di ritenere sussistenti i presupposti per una pronuncia ai sensi dell'art. 129 c.p.p.

Il giudice, investito della richiesta di patteggiamento, è tenuto ad illustrare le ragioni specifiche che conducano a recepire un accordo limitato ad alcuni dei capi oggetto dell'originaria contestazione. Ma questo non significa che possa omettere di pronunciarsi in relazione ad un capo.

Nella specie, al di là dell'implausibile assorbimento della bancarotta documentale nei reati di bancarotta preferenziale di cui all'accordo, la sentenza di patteggiamento del 19 novembre 2018 si segnala per l'assoluto silenzio sulla prima fattispecie incriminatrice poiché la correttezza della qualificazione giuridica è riferita all'oggetto del negozio processuale, ossia ai fatti di bancarotta preferenziale.

Ne discende che il provvedimento impugnato va annullato senza rinvio con trasmissione degli atti al Tribunale di Alessandria per l'ulteriore corso.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio il provvedimento impugnato e dispone trasmettersi gli atti al Tribunale di Alessandria per l'ulteriore corso.

Depositata il 16 marzo 2022.