Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
Sezione II-bis
Sentenza 8 febbraio 2022, n. 1470

Presidente: Morabito - Estensore: Licheri

FATTO

1. Con ricorso presentato ai sensi dell'art. 130 c.p.a., il sig. Fabrizio Compagnone ha chiesto l'annullamento degli atti indicati in epigrafe al fine di conseguire la "correzione anche previa verificazione, del risultato elettorale, con il provvedimento conseguenti, ivi compresa la ripetizione delle operazioni di ballottaggio, e comunque per ogni altra conseguente statuizione di Legge".

1.2. L'odierno ricorrente - candidato a Presidente nelle elezioni per il rinnovo delle cariche elettive del Municipio VI di Roma Capitale tenutesi il 3 e 4 ottobre 2021 a capo di una coalizione formata da sei liste - afferma che, nelle anzidette elezioni, gli venivano attribuiti 15.642 voti, con uno scarto di appena 44 suffragi dalla seconda classificata, la sig.ra Francesca Filipponi la quale, quindi, accedeva al turno di ballottaggio tenutosi nei successivi 17 e 18 ottobre insieme al primo classificato, sig. Nicola Franco, quest'ultimo proclamato eletto alla carica di Presidente del Municipio VI al termine del secondo turno elettorale.

A giudizio del ricorrente, la prima tornata di votazioni sarebbe affetta da molteplici irregolarità commesse a suo danno che avrebbero determinato l'illegittima sottrazione di un numero di suffragi espressi in suo favore, suffragi che, ove correttamente attribuiti e computati, gli avrebbero consentito di colmare il gap con la seconda classificata e, in tal modo, di accedere al ballottaggio, turno all'esito del quale, secondo il ricorrente, sarebbe ragionevole supporre - anche alla luce dell'andamento assunto dal voto negli altri Municipi di Roma Capitale - che egli avrebbe potuto conseguire l'ambita carica elettiva.

1.3. Più nel dettaglio, a comprova delle irregolarità subite, il ricorrente fa riferimento, a titolo esemplificativo, a quanto avvenuto nella sezione n. 480, in cui il ricorrente si vedeva attribuiti solo 56 voti a fronte dei 111 voti espressi in favore delle liste che lo sostenevano.

La medesima situazione di fatto, a giudizio del ricorrente, si verificava nella sezione n. 498: anche in questo caso, dinanzi ai 111 voti conseguiti dalla coalizione, al relativo candidato Presidente risulterebbero riconosciuti solo 56 voti.

A parere del ricorrente, uno scarto così rilevante (ben 55 voti in meno, pari a quasi il 50 percento dei suffragi espressi in favore della coalizione) tra le preferenze conseguite dal candidato Presidente e quelle andate al gruppo di liste che ne sostenevano la candidatura, pur potendo anche risultare espressione di una legittima condotta degli elettori (i quali, in quelle sezioni, massicciamente avrebbero fatto ricorso al c.d. "voto disgiunto"), purtuttavia apparirebbe essere l'indice di irregolarità che avrebbero compromesso la genuinità dell'esito della competizione elettorale risultando inverosimile, sempre a giudizio del ricorrente, che, solo in quelle sezioni, ben il cinquanta percento degli elettori della propria coalizione abbiano deciso di esercitare il "voto disgiunto", in netta controtendenza rispetto all'orientamento di voto consolidato.

Prova ne sia che, in altre 11 sezioni del Municipio VI citate a mo' di esempio dal ricorrente, il numero di voti conseguiti dal candidato Presidente e dalla coalizione di liste che lo appoggiavano appare sostanzialmente identico.

La medesima situazione di fatto, pur con uno scarto più ridotto (appena 10 voti), si riscontrava nella sezione n. 688, con 143 voti attribuiti alla coalizione e solo 133 raccolti dal relativo candidato Presidente.

Inoltre, fa rilevare il ricorrente, l'inattendibilità dell'esito delle elezioni nella sezione n. 480 sarebbe attestato anche da un'incongruenza "intrinseca" alla condotta del corpo elettorale di quel seggio il quale, nel suo caso, avrebbe attribuito al candidato Presidente un numero di suffragi inferiore a quello della propria coalizione mentre, nel caso della seconda classificata sig.ra Filipponi, avrebbe tributato un numero di voti analogo sia alla candidata Presidente che al gruppo di liste che la sostenevano, così rispettando, in quel caso, la consolidata tendenza degli elettori di tutti i partiti a far tendenzialmente coincidere la preferenza al candidato Presidente con quella espressa per una delle liste che ne compongono la coalizione.

Ancora, a sostegno della tesi secondo cui l'esito della competizione sarebbe stato alterato da gravi irregolarità, il sig. Compagnone adduce la mancata compilazione dei verbali delle operazioni di sezione e delle relative tabelle di scrutinio da parte dei presidenti di seggio i quali, anziché completare i suddetti documenti (gli unici ai quali la legge assegna carattere fidefacente), per trasmettere i risultati all'Ufficio centrale si sarebbero avvalsi impropriamente del c.d. "mod. 121", ossia una velina consegnata ai messi comunali e priva di qualsivoglia valore certificativo.

Di conseguenza, l'Ufficio centrale non avrebbe dovuto attribuire alcun voto a quelle sezioni i cui esiti sono stati comunicati esclusivamente mediante il suddetto modello senza che siano stati anche compilati i relativi verbali.

Tale irregolarità sarebbe comprovata anche dalle dichiarazioni rilasciate dinanzi all'Ufficio centrale dai presidenti delle sezioni in questione, come il presidente della Sez. n. 491 il quale avrebbe ammesso di aver "attribuito i voti in stato di «confusione» utilizzando «foglietti volanti», adducendo a giustificazione sua e degli scrutatori, la propria inesperienza" (pag. n. 10 del ricorso introduttivo).

1.4. In definitiva, ritiene il ricorrente che, in occasione delle elezioni in questione, le intenzioni degli elettori siano state completamente obliterate a causa delle diffuse irregolarità asseritamente commesse in suo danno, concludendo affinché questo Tribunale - acquisiti tutti gli atti del procedimento elettorale (con particolare riferimento alle schede elettorali e ai verbali dell'Ufficio centrale relativi alle osservazioni dei rappresentati di lista e alle audizioni dei presidenti di seggio) e disposta verificazione - annulli gli esiti della competizione elettorale per il rinnovo delle cariche elettive del Municipio VI, correggendo i risultati e, per tal via, ammettendolo al turno di ballottaggio del quale andrebbe disposta la rinnovazione.

2. A sostegno delle pretese del ricorrente si è costituita, quale interventore ad adiuvandum, la Federazione di Roma del Partito Democratico, riproducendo, nella sostanza come anche nella forma, tutte le argomentazioni spese dal ricorrente a sostegno della propria posizione.

3. Si è costituita in giudizio Roma Capitale, deducendo l'inammissibilità del ricorso atteso il suo carattere generico e meramente esplorativo.

Più nel dettaglio, a parere dell'amministrazione capitolina, il ricorso difetterebbe dei requisiti minimi di ammissibilità sotto il profilo della genericità delle censure svolte e dell'insufficienza degli elementi probatori raccolti a sostegno dei vizi di legittimità asseritamente riscontrati.

Infatti, secondo l'amministrazione resistente, il ricorso si sostanzierebbe esclusivamente in una serie di censure generiche e del tutto prive di specificazione.

Inoltre, il ricorrente non avrebbe alcun principio di prova, neppure di carattere indiziario, in ordine all'esistenza dei vizi denunciati.

In definitiva, secondo l'amministrazione capitolina, il ricorso avrebbe carattere esclusivamente esplorativo, puntando ad ottenere una generalizzata ripetizione delle operazioni di spoglio e, così facendo, attribuendo al giudice le funzioni di "scrutinatore di secondo livello" in contrasto con il ruolo del sindacato giurisdizionale in materia elettorale per come definito dall'ordinamento processuale vigente.

4. Con memoria del 24 gennaio 2022, si è costituita in giudizio la Prefettura di Roma, chiedendo di essere estromessa dal processo in quanto carente di legittimazione passiva.

5. All'udienza del 7 febbraio 2022 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

6. Preliminarmente, va dichiarata inammissibile la richiesta della Prefettura - U.t.G. di Roma di essere estromessa dal presente giudizio.

Infatti, se è vero che, in questa materia, costituisce ius receptum il principio secondo cui "nel giudizio amministrativo per l'annullamento del verbale di proclamazione degli eletti e delle operazioni di ripartizione dei seggi la legittimazione passiva è attribuita alla Pubblica amministrazione cui vanno giuridicamente imputati i risultati della consultazione elettorale oggetto di lite, e non all'Amministrazione statale o agli organi, quali gli Uffici elettorali, che hanno svolto compiti nel procedimento elettorale e che sono destinati a sciogliersi subito dopo la proclamazione degli eletti, i quali non sono quindi portatori di un interesse giuridicamente apprezzabile al mantenimento dei propri atti" (così, da ultimo, T.A.R. Toscana, Sez. II, n. 9/2022), è altrettanto indubitabile che, in tanto un soggetto carente di legittimazione passiva deve essere estromesso dal giudizio, in quanto egli, in quel giudizio, è stato evocato senza che vi avrebbe dovuto partecipare.

Tuttavia, non è questo il caso che si è verificato nel presente giudizio.

Invero, la Prefettura di Roma si è costituita sulla base di una propria, autonoma, iniziativa, senza che il ricorrente abbia ad essa notificato il relativo atto introduttivo, sicché la decisione di partecipare al presente processo non può essere addebitata alla controparte.

Di conseguenza, la richiesta della Prefettura è inammissibile e le spese della non dovuta partecipazione al giudizio restano in capo all'amministrazione in questione.

7. Ancora, il Collegio si pone d'ufficio il quesito relativo all'ammissibilità dell'intervento ad adiuvandum spiegato dalla Federazione romana del Partito Democratico.

Il dubbio va risolto in senso favorevole all'ammissibilità del cennato intervento.

Invero, costituisce principio consolidato che "ai fini dell'ammissibilità dell'intervento adesivo dipendente ad adiuvandum nel giudizio amministrativo, l'iniziativa processuale deve essere espressione di un interesse - a seconda delle formulazioni - connesso, derivato, dipendente o almeno accessorio o riflesso rispetto a quello proprio della parte principale" (così, da ultimo, T.A.R. Lazio, Roma, Sez. III, n. 12833/2020).

Orbene, applicando il suddetto principio al caso in esame appare indubitabile l'ammissibilità dell'intervento adesivo dipendente formulato, nel presente giudizio, dalla Federazione di Roma del Partito Democratico posto che detta formazione politica costituisce una delle liste appartenenti al raggruppamento che sosteneva la candidatura del ricorrente alla carica di Presidente del Municipio VI di Roma Capitale.

Pertanto, essa è innegabilmente titolare di un interesse dipendente da quello dedotto in giudizio dal ricorrente principale, dal cui eventuale accoglimento conseguirebbe l'elezione del candidato Presidente espressione della lista formata dal Partito Democratico e, soprattutto, l'attribuzione in favore delle liste appartenenti alla suddetta coalizione di un numero di seggi nel Consiglio municipale superiore a quello conseguito a seguito dei risultati elettorali impugnati con il presente ricorso.

8. Nel merito, il ricorso è inammissibile in quanto recante censure generiche, ipotetiche e non supportate da alcun principio di prova.

8.1. In tema di contenzioso elettorale, l'orientamento della giurisprudenza amministrativa si è ormai stabilmente assestato nel senso di escludere l'ammissibilità di quei contenziosi in cui vengono fatte valere censure generiche, ipotetiche e congetturali, non sostenute da elementi probatori che - pur se a carattere indiziario - non abbiano la consistenza di principi di prova sufficientemente attendibili e idonei a stimolare l'esercizio dei poteri istruttori che l'ordinamento processuale riconosce al Giudice.

In altre parole non è consentito presentare "ricorsi esplorativi", ossia impugnazioni che, attraverso la prospettazione di doglianze generiche non supportate da concreti elementi di riscontro, mirano ad ottenere la sostanziale revisione, in sede giurisdizionale, di tutte le operazioni elettorali (così C.d.S., Sez. V, n. 610/2016: "Nel giudizio elettorale è inammissibile un ricorso con carattere esplorativo, il quale deve ritenersi esistente, secondo una valutazione riservata al giudicante, le quante volte emerga che con un ricorso si punti a conseguire il risultato di un complessivo riesame del voto in sede contenziosa").

È evidente che, ove fosse concesso dare corso a siffatta tipologia di gravame, ne conseguirebbe lo "snaturamento" dei caratteri propri del contenzioso dinanzi al Giudice amministrativo che non cessa di avere carattere soggettivo e di rivolgersi alla tutela di interessi concreti e differenziati sol perché abbia ad oggetto le operazioni elettorali, come efficacemente sintetizzato in numerose pronunce del Giudice d'appello (per tutte, C.d.S., Sez. V, n. 3931/2014: "La giurisdizione in materia elettorale non ha carattere oggettivo, bensì soggettivo relativo ai singoli interessi e situazioni specifiche dedotte in giudizio, sicché non è ammissibile un'azione volta in sostanza alla ripetizione del controllo dello scrutinio, alla ricerca di eventuali errori che possano alterare il risultato elettorale, tanto più probabile, allorché sia estremamente modesta la distanza che separa i contendenti").

Per quanto attiene, poi, alla specificità delle censure che devono sorreggere, a pena di inammissibilità, il gravame in materia elettorale, è altrettanto consolidato l'orientamento della giurisdizione amministrativa nel senso di ritenere che il principio di specificità dei motivi di ricorso - "regola generalissima del sistema processuale amministrativo", così ancora C.d.S., Sez. V, n. 610/2016 - si applichi anche alla presente materia, pur con la necessaria attenuazione derivante dalla obiettiva difficoltà del ricorrente nel reperire la documentazione completa a sostegno dei propri rilievi (in tal senso si veda C.d.S., Sez. V, n. 5653/2015).

È indispensabile, però, che i motivi di ricorso dedotti assumano una consistenza, seppur minima, non potendosi in alcun modo risolversi nella generica contestazione della legittimità di tutte le operazioni di spoglio e attribuzione dei voti.

Ancora una volta, il compito di delimitare accuratamente il grado di specificità minimo che le doglianze in materia elettorale debbono assumere affinché il ricorso sia ammissibile è stato assunto dal Giudice d'appello in sede di Adunanza plenaria, la quale ha ricordato che, pur con i temperamenti derivanti dall'oggettiva impossibilità del ricorrente di esaminare direttamente il materiale in contestazione, l'onere di specificità dei motivi nel ricorso elettorale "si intende osservato quando l'atto introduttivo indichi la natura dei vizi denunziati, il numero delle schede contestate e le sezioni cui si riferiscono le medesime. Il principio di specificazione dei motivi, infatti, seppure lievemente temperato, richiede sempre, ai fini dell'ammissibilità del ricorso o delle singole doglianze, che vengano indicati, con riferimento a circostanze concrete, la natura dei vizi denunziati, il numero delle schede contestate, le sezioni di riferimento" (Ad. plen., n. 32/2014. In tempi più recenti, si veda C.d.S., Sez. II, n. 5428/2021, secondo cui, ai fini dell'ammissibilità del ricorso, è indispensabile che "vengano indicati, con riferimento a circostanze concrete, la natura dei vizi denunciati, il numero delle schede contestate e le sezioni di riferimento, onde evitare che il ricorso si trasformi, come detto, in una inammissibile richiesta di riesame generale delle operazioni di scrutinio dinanzi al giudice amministrativo". In senso analogo anche T.A.R. Sicilia, Catania, Sez. II, n. 562/2021 e T.A.R. Campania, Napoli, Sez. II, n. 172/2021).

Per quel che attiene, poi, alla consistenza dell'onere probatorio e all'attivazione dei poteri istruttori riconosciuti al Giudice amministrativo - si allude, in primis, alla verificazione prevista dall'art. 66 c.p.a. - è vero che, anche in questo caso, le sopra accennate difficoltà del ricorrente nell'avere accesso diretto alle fonti di prova atte a dimostrare le illegittimità lamentate comportano un temperamento del rigore dell'onere probatorio ordinariamente gravante, ai sensi dell'art. 2697 c.c., su chi intende far valere in giudizio la propria situazione giuridica soggettiva.

Come efficacemente sintetizzato sempre dall'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, "accade frequentemente che il soggetto interessato non disponga di elementi documentali idonei a provare le illegittimità in cui sia incorso il seggio elettorale, e che la prova della fondatezza della doglianza non possa essere raggiunta se non mediante l'esercizio dei poteri istruttori di cui dispone il giudice. Ove l'onere della prova dovesse applicarsi con il rigore ordinariamente imposto dalle norme processuali generali, che sanzionano con l'inammissibilità il ricorso non sorretto dalla prova delle censure dedotte, l'indisponibilità degli atti da parte del ricorrente finirebbe per privarlo del diritto di difesa. Non a caso l'art. 64, comma 1, c.p.a. pone a carico delle parti l'onere di fornire gli elementi di prova 'che siano nella loro disponibilità', prevedendo coerentemente, al successivo comma 3, il potere del giudice amministrativo di disporre, anche d'ufficio, l'acquisizione di informazioni e documenti utili ai fini del decidere che siano nella disponibilità della pubblica amministrazione" (sempre Ad. plen., n. 32/2014).

Tuttavia, l'attenuazione necessaria a superare un'oggettiva difficoltà di accesso, per il ricorrente, alle fonti di prova non può tradursi in una sostanziale "dismissione" dell'onere probatorio che trasferisca al Giudice il compito di ricercare le prove a sostegno dell'illegittimo svolgimento delle operazioni elettorali per cui non superano il vaglio di ammissibilità quei ricorsi che, "attraverso la formulazione di censure generiche ed ipotetiche sfornite di qualsiasi principio di prova", puntino esclusivamente "ad ottenere, tramite l'attività istruttoria del giudice, il riesame delle operazioni di scrutinio e l'eventuale correzione dei risultati elettorali" (ancora C.d.S., Sez. V, n. 3931/2014).

Tali conclusioni sono pienamente condivise anche dalla giurisprudenza di questa Sezione, la quale non ha mancato di evidenziare come "nel processo in materia elettorale al g.a. è consentito esercitare i suoi poteri istruttori, in tal modo riesaminando l'attività amministrativa svoltasi durante la consultazione, solo quando ciò occorra per verificare la sussistenza dei vizi denunciati dal ricorrente con sufficiente grado di precisione e ragionevole presunzione di attendibilità, mentre non può trovare ingresso la prospettazione di vizi generici o ipotetici, né la formulazione di censure fondate esclusivamente su di una soggettiva valutazione di scarsa verosimiglianza dell'accaduto; di conseguenza l'onere di indicazione delle irregolarità procedimentali lamentate può ritenersi assolto solo se i vizi siano enunciati con un'analiticità sufficiente a delimitare sia la doglianza dedotta, sia la sua incidenza, ai fini dell'accertamento dell'interesse a ricorrere, sul risultato elettorale conclusivo, onde evitare ogni uso strumentale del giudizio, conseguentemente rivelandosi inammissibile un ricorso generico per l'indeterminatezza delle censure, per la mancata indicazione delle sezioni in cui si sarebbero verificate le asserite irregolarità, per la mancata enunciazione dei voti attribuibili alla parte interessata, oppure che non superi la c.d. prova di resistenza, in presenza di elementi oggettivi che impediscano d'intravedere un qualunque vantaggio giuridico per il ricorrente" (T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II-bis, n. 11934/2019).

Un ulteriore riflesso, in materia di contenzioso elettorale, dei principi generali che governano il processo amministrativo si rinviene nella particolare declinazione che assume, in questo campo, il principio dell'interesse ad agire, che deve sempre sorreggere l'azione in giudizio e che va bilanciato con l'esigenza di salvaguardare la volontà del corpo elettorale così come espressa in occasione delle consultazioni elettorali.

Il punto di sintesi efficacemente rinvenuto dalla giurisprudenza ha condotto all'emersione del concetto di "prova di resistenza", che "non consente di pronunciare l'annullamento dei voti in contestazione, se l'illegittimità denunciata al riguardo non abbia influito in concreto sui risultati elettorali, sicché l'eliminazione di tale illegittimità non determinerebbe alcuna modifica dei risultati medesimi" [C.d.S., Sez. V, n. 1059/2016, con l'avvertenza - che si rammenta per completezza, pur non essendo necessaria ai fini della decisione sul presente ricorso - che la regola della "prova di resistenza" "non è utilizzabile quando le contestazioni riguardino gli aspetti generali delle operazioni elettorali (quali, l'omessa sottoscrizione dei verbali di sezione, l'arbitraria chiusura della sezione elettorale, l'irregolarità della scheda, la non corrispondenza tra il numero delle schede complessivamente autenticate e la somma delle schede utilizzate dagli elettori e di quelle autenticate ma non utilizzate)"].

In definitiva, volendo sintetizzare le conclusioni raggiunte dalla giurisprudenza in materia di inammissibilità dei ricorsi cc.dd. "esplorativi", grado di specificità delle censure e consistenza dell'onere probatorio in capo al ricorrente, pare al Collegio poter dare per acquisiti i seguenti insegnamenti:

- nel giudizio elettorale, non sono ammissibili quei ricorsi che si traducano in doglianze assolutamente generiche, ipotetiche e dubitative, prive di un'analitica e dettagliata indicazione dei vizi del procedimento elettorale denunciati, non assistiti da alcun principio di prova e volti esclusivamente ad ottenere la ripetizione, in sede giurisdizionale e tramite l'attività istruttoria del giudice, delle operazioni di scrutinio;

- di contro, sono ammissibili i ricorsi in materia elettorale articolati in doglianze specifiche, con analitica indicazione dei vizi che si ritiene affliggano i risultati del voto, sorrette dall'individuazione, se non della piena prova dell'esistenza dei vizi denunciati, quantomeno di elementi indiziari che, ove ritenuti attendibili, possano stimolare il giudice all'esercizio dei poteri istruttori previsti dall'ordinamento processuale.

8.2. Orbene, nulla di tutto ciò si ravvisa nel caso oggetto dell'odierno giudizio.

Il ricorrente, infatti, pretende di trarre dalla massima di esperienza secondo cui, nella stragrande maggioranza dei casi, vi [è] tendenziale coincidenza tra i voti attribuiti al candidato Presidente e i voti espressi in favore delle liste che ne compongono la coalizione la dimostrazione che laddove, come nel caso di specie, ciò non sia avvenuto, la ragione sia da rinvenire in ipotetiche e del tutto indimostrate irregolarità delle operazioni di scrutinio, attribuzione e registrazione dei voti.

Tale prospettazione (che, come correttamente fatto rilevare dall'amministrazione resistente, qualora venisse accolta condurrebbe alla trasformazione del ruolo del giudice amministrativo in materia elettorale in un'inaccettabile funzione di "scrutinatore di secondo grado") non è accoglibile.

Infatti, a sostegno della dedotta illegittimità del procedimento elettorale, il ricorrente non allega alcun elemento concreto ed attendibile, seppur di carattere indiziario.

A tal riguardo, non dirimente è la circostanza che, nelle sezioni nn. 480, 498 e 688 si sia registrata una significativa divergenza tra i suffragi raccolti dal ricorrente, candidato alla carica di Presidente, e le liste che componevano la coalizione a sostegno della sua candidatura.

Invero, tale situazione di fatto, definibile come "voto disgiunto", lungi dal costituire di per sé l'indice di un vizio di legittimità della procedura elettorale, costituisce una delle facoltà che la legge riconosce all'elettore per esprimere validamente il proprio suffragio (cfr. a tal proposito la pubblicazione n. 2 del Ministero dell'interno - Direzione centrale per i servizi elettorali, "Istruzioni per le operazioni degli uffici elettorali di sezione", pag. 96: "Nei comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti, (...). L'elettore può anche mettere un segno di voto sia su un candidato alla carica di sindaco sia sul contrassegno di una lista: in tal caso, il voto va sia al candidato sindaco che alla lista, anche nell'ipotesi in cui tale lista NON sia tra quelle collegate al candidato sindaco votato").

In proposito, come sintetizzato dal Giudice d'appello, "attraverso il voto disgiunto possono risultare più o meno voti di lista o di coalizioni di liste, con o senza preferenze, collegate ad un candidato presidente rispetto ai voti conseguiti dal candidato presidente collegato, di tal che i voti residui, dopo la sottrazione dai voti complessivamente ottenuti da un candidato presidente dei voti espressi solo per detto candidato, ben possono essere inferiori al totale dei voti conseguiti dalla lista o dalle liste a lui collegate" (C.d.S., Sez. V, n. 1726/2006) oppure, come nel caso di specie, i voti conseguiti dalle liste a sostegno del candidato Presidente ben possono essere superiori a quelli raccolti esclusivamente da esso.

Ad ogni modo, è da respingere la pretesa del ricorrente di trarre da una prassi legittima quale è quella del voto disgiunto (ancorché esercitato in una direzione inusuale e, cioè, a vantaggio delle liste che compongono la coalizione anziché del candidato Presidente) elementi di prova a sostegno della consumazione di ipotetiche irregolarità a suo danno, pena un'inammissibile inversione tra il fatto da provare e gli elementi probatori che dovrebbero fornire la dimostrazione di tale fatto.

Elementi probatori che, si ricorda, possono pure consistere in elementi indiziari, purché concreti e attendibili, ma che mai possono trasformarsi in evidenze che si autoaffermano o che si pretende di dimostrare ricorrendo ad ipotesi e congetture il cui fine ultimo è solo quello di ottenere la ripetizione, questa volta in sede giurisdizionale, delle operazioni di scrutinio.

A conclusioni non dissimili si perviene esaminando il secondo motivo di doglianza, imperniato sulla circostanza che, in un imprecisato numero di sezioni, i verbali delle operazioni e le tabelle di scrutinio non siano stati compilati.

A tal proposito, non può assumere, neppure a livello indiziario, la consistenza di elemento probatorio la dichiarazione - rilasciata dalla presidente della sezione n. 491 - di aver attribuito i voti in stato di "confusione" utilizzando "foglietti volanti", giacché alla stessa non si accompagna alcun elemento documentale idoneo a confermare che l'attribuzione delle preferenze sia confusionalmente avvenuta in danno del ricorrente.

Quanto, poi, alla circostanza che i verbali di un numero indefinito di sezioni non siano stati compilati, anche tale elemento non può assumere rilevanza probatoria alcuna soprattutto se, come nel caso oggetto dell'odierno ricorso, il ricorrente non è stato neppure in grado di indicare in quali sezioni ciò sia avvenuto, tentando di supplire la carenza di elementi documentali a supporto della propria tesi con l'allegazione di un "ritaglio stampa".

9. Conclusivamente, il ricorso oggetto dell'odierno giudizio è da ritenersi generico, non supportato né da analitiche contestazioni né da elementi indiziari dotati di consistenza ed univocità e, di conseguenza, va dichiarato inammissibile.

10. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in favore di Roma Capitale nella misura indicata in dispositivo. Nulla nei confronti della Prefettura - U.t.G. di Roma, attesa l'inammissibilità dell'istanza di estromissione dal giudizio formulata da quell'ufficio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Bis), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile.

Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore di Roma Capitale, spese che liquida in euro 1.500,00.

Nulla sulle spese nei confronti della Prefettura - U.t.G. di Roma.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.