Corte di cassazione
Sezione V penale
Sentenza 15 novembre 2021, n. 4854

Presidente: Miccoli - Estensore: Riccardi

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza emessa il 23 settembre 2019 la Corte di assise di appello di Bari, giudicando in sede di rinvio disposto all'esito dell'annullamento pronunciato dalla Corte di cassazione, Sez. 1, n. 12752 del 27 febbraio 2019, in riforma della sentenza del Gup del Tribunale di Foggia del 27 febbraio 2017, che aveva condannato M. Michele alla pena di 1 anno di reclusione per il reato di omicidio colposo aggravato, ha affermato la responsabilità penale per il reato di omicidio volontario con dolo eventuale, condannandolo alla pena di 6 anni, 2 mesi e 20 giorni di reclusione.

1.1. Con sentenza pronunciata all'esito del giudizio abbreviato il Gup del Tribunale di Foggia aveva dichiarato Michele M. responsabile del delitto di omicidio colposo aggravato dalla previsione dell'evento in danno di Antonio D. (artt. 589, 61, primo comma, n. 3, c.p.), così riqualificata l'originaria imputazione di omicidio volontario ex art. 575 c.p., e, con la concessione dell'attenuante del concorso doloso della persona offesa (art. 62, comma 1, n. 5, c.p.) equivalente all'aggravante della previsione dell'evento, era stato condannato alla pena di anni uno di reclusione.

La Corte d'assise d'appello di Bari aveva confermato la sentenza.

Con concorde valutazione di entrambi i giudici di merito, che avevano qualificato il fatto quale omicidio colposo aggravato dalla previsione dell'evento rispetto all'originaria contestazione di omicidio volontario, i fatti erano stati ricostruiti secondo i seguenti essenziali accadimenti.

L'episodio si è verificato in piena notte (alle ore 1:00 circa) presso l'azienda agricola dell'imputato, sita in aperta campagna e priva di adeguato impianto di illuminazione, allorquando egli, avvisato dal figlio residente in un'abitazione posta nelle pertinenze dell'azienda della presenza di alcuni soggetti che armeggiavano nei pressi della recinzione, dopo avere prelevato il fucile calibro 12 caricato a pallettoni, si sporgeva dal balcone posto al primo piano e, dopo aver esploso un primo colpo in aria, esplodeva un secondo colpo in direzione più bassa, cosicché tre dei quindici proiettili contenuti nella rosata colpivano alle spalle la vittima uccidendola quasi istantaneamente; il corpo di D. veniva rinvenuto a poca distanza dalla recinzione dell'azienda nei pressi del serbatoio di combustibile che era oggetto del tentativo di furto.

La ricostruzione dei fatti, che deriva essenzialmente dalle dichiarazioni dell'imputato e del figlio Rocco Giovanni M., veniva ritenuta riscontrata dai rilievi oggettivi concernenti il reperimento delle due cartucce esplose e del corpo della vittima, nonché delle tracce di striatura sulla tettoia posta a protezione del serbatoio di carburante che era stata colpita da uno dei proiettili facenti parte della rosata, pur essendosi registrata una parziale modifica della iniziale versione fornita (da ultimo l'imputato aveva riferito di aver esploso entrambi i colpi in aria a scopo intimidatorio, mentre in precedenza aveva più volte ribadito che il secondo colpo era stato indirizzato più in basso per il panico che aveva provato a causa delle urla di paura del coniuge, ovvero per avere urtato la ringhiera del terrazzo con l'arma).

1.2. La Corte di cassazione, Sez. 1, n. 12752 del 27 febbraio 2019, ha annullato con rinvio la sentenza della Corte territoriale, rilevando "numerose contraddizioni al percorso logico della motivazione stesa dai giudici di merito per quello che concerne la rilevante questione della direzione del colpo e della volontarietà, sotto il profilo della alternatività o eventualità, dell'azione".

Secondo la concorde ricostruzione dei giudici di merito, peraltro pacificamente confortata dagli elementi di fatto che risultano non controversi, il secondo colpo di fucile è stato esploso, non casualmente (come a un certo punto ha tentato di accreditare l'imputato) e nella direzione in cui si trovava la vittima: tale posizione risultava chiaramente nota all'imputato fin dalle prime indicazioni ricevute dal figlio che per primo aveva avvertito i rumori indicativi dell'azione furtiva che era in corso di consumazione e che si stava proprio recando in quella direzione per allontanare i ladri.

Tali elementi di fatto, pur pacificamente esposti nella sentenza impugnata, non hanno trovato una adeguata spiegazione logica rispetto all'affermazione che l'imputato non aveva visto, né poteva concretamente vedere i malfattori per le condizioni ambientali in cui si trovava.

Secondo la sentenza rescindente, non risulta, d'altra parte, che i proiettili esplosi dalla cartuccia a pallettoni siano stati in qualche modo deviati dal loro naturale percorso caratterizzato da un andamento dall'alto verso il basso (l'imputato si trovava sul balcone posto a un'altezza di circa 4 metri), come dichiara lo stesso imputato (che ha riferito di avere puntato l'arma «più in basso») e come conferma la consulenza tecnica secondo la quale «l'arma impiegata non era puntata verso la persona ma nella sua direzione con una linea di tiro più alta rispetto al suolo verso mezz'aria e più spostata a sinistra».

Allo stesso modo risulta incontroverso che una significativa porzione dei proiettili facenti parte della rosa creata dalla cartuccia a pallettoni ha attinto in zone vitali la vittima, mentre un altro proiettile ha urtato la tettoia posta a copertura del serbatoio di carburante nei pressi del quale si trovava la vittima, sicché risulta non adeguatamente e logicamente supportata l'affermazione che egli sarebbe stato colpito da proiettili periferici, come ad escludere la volontarietà dell'azione di sparo.

In proposito la sentenza impugnata, dopo avere correttamente illustrato ed evidenziato le caratteristiche delle cartucce a pallettoni che tendono a produrre una zona di fuoco sufficientemente ampia da cogliere chi si trovi in quel raggio di azione, senza cioè che sia necessario indirizzare specificamente al bersaglio (come invece avviene con le munizioni a palla singola), ed avere evidenziato come tale caratteristica, necessariamente nota all'imputato, costituisca una specifica capacità offensiva dell'arma impiegata, che consente anche a un tiratore sprovvisto di particolari doti di mira di cogliere il bersaglio, afferma apoditticamente che la vittima fu raggiunta da proiettili periferici e che la direzione del colpo non è dimostrativa della volontà omicida, neppure nella forma del dolo eventuale.

Tali significativi elementi non sono stati logicamente valutati dai giudici di merito, i quali si sono limitati ad affermare che l'imputato non poteva vedere la vittima.

D'altra parte, come risulta dalle stesse dichiarazioni dell'imputato, questi, non solo ebbe la possibilità di individuare i malfattori, tanto da essere in grado di indicare il numero, lo stato di travisamento e la disponibilità di un oggetto di lunghe dimensioni, ma ha avuto tutto il tempo di esplodere un primo colpo di avvertimento e poi posizionarsi in una diversa direzione per lasciar partire il secondo colpo con il fucile a pompa di cui si era dotato.

Tali specifici elementi, che risultano non controversi, non hanno trovato una logica spiegazione e risultano in palese contraddizione con le conclusioni raggiunte dai giudici di merito, i quali hanno sostanzialmente avallato l'ipotesi che il colpo sia stato esploso alla cieca, senza cioè mirare specificamente la vittima perché la stessa non era stata neppure individuata.

1.3. Con la sentenza impugnata la Corte di assise di appello, in sede di giudizio di rinvio, ha dunque qualificato il fatto come omicidio volontario.

2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore di M. Michele, Avv. Gianluca Ursitti, deducendo i seguenti motivi, qui enunciati, ai sensi dell'art. 173 disp. att. c.p.p., nei limiti strettamente necessari per la motivazione.

2.1. Con un primo motivo deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione in ordine all'affermazione della sussistenza del dolo eventuale, anziché della colpa con previsione.

Sostiene che la Corte territoriale abbia richiamato in modo improprio i principi giurisprudenziali in tema di dolo eventuale, valorizzando elementi di fatto non dimostrati, né dimostrabili, concernenti momenti antecedenti e prossimi all'evento ed affermando che il M. avesse quasi covato in sé uno stato d'ira verso le intrusioni nella sua proprietà, assumendo dunque la deliberata scelta di uccidere non appena se ne presentò l'occasione, in considerazione dello stato di esasperazione determinato da precedenti tentativi di furto.

Pur aderendo alla teoria volontaristica del dolo eventuale, sostiene che la sentenza impugnata sia di fatto smentita dalle argomentazioni addotte, in quanto, sulla base degli specifici indicatori empirici che consentono di distinguere il dolo eventuale dalla colpa cosciente [in tal senso richiamando Sez. 4, n. 14663 dell'8 marzo 2018, A., Rv. 273014, secondo cui "Per la configurabilità del dolo eventuale, anche ai fini della distinzione rispetto alla colpa cosciente, occorre la rigorosa dimostrazione che l'agente si sia confrontato con la specifica categoria di evento che si è verificata nella fattispecie concreta aderendo psicologicamente ad essa e a tal fine l'indagine giudiziaria, volta a ricostruire l'iter e l'esito del processo decisionale, può fondarsi su una serie di indicatori quali: a) la lontananza della condotta tenuta da quella doverosa; b) la personalità e le pregresse esperienze dell'agente; c) la durata e la ripetizione dell'azione; d) il comportamento successivo al fatto; e) il fine della condotta e la compatibilità con esso delle conseguenze collaterali; f) la probabilità di verificazione dell'evento; g) le conseguenze negative anche per l'autore in caso di sua verificazione; h) il contesto lecito o illecito in cui si è svolta l'azione nonché la possibilità di ritenere, alla stregua delle concrete acquisizioni probatorie, che l'agente non si sarebbe trattenuto dalla condotta illecita neppure se avesse avuto contezza della sicura verificazione dell'evento (cosiddetta prima formula di Frank). (Fattispecie in cui la Suprema Corte ha escluso il dolo eventuale dell'imputato che avendo imboccato con la propria auto una via contromano ad alta velocità, in una zona priva di illuminazione non avrebbe potuto ignorare e pertanto accettare il rischio di gravi conseguenze anche per la propria incolumità)"], la Corte non avrebbe fatto buon governo di tali principi in quanto: a) avrebbe dovuto vagliare lo stato psichico del M., e le non buone intenzioni della vittima; inoltre, non era mai emerso che l'imputato avesse caricato l'arma prima di sparare, essendo più logico che egli, nella concitazione di quei momenti, abbia usato l'arma guidato dall'istinto, piuttosto che dalla ragione, e comunque senza soffermarsi sul tipo di munizionamento; b) in un limitatissimo arco temporale l'imputato non avrebbe potuto maturare l'idea di punire le intrusioni altrui, non essendo neppure un fatto pacifico che la vittima si stesse già dando alla fuga allorquando fu attinto dai proiettili; c) l'intera azione sarebbe durata poco più di 15 secondi, e la Corte avrebbe trascurato che l'imputato aveva sparato il secondo colpo solo dopo aver udito la moglie urlare, e dunque in una situazione di panico; d) il comportamento successivo al fatto, lungi dal deporre per una lucida e fredda decisione, non considera che l'imputato ha chiamato il 112, notiziando le forze dell'ordine, e che l'arma risultava ancora carica di tre cartucce; e) il ridottissimo spatium deliberandi non consentiva alcuna ponderazione sulla compatibilità della sua condotta con eventuali conseguenze collaterali; f) la Corte territoriale non avrebbe svolto alcuna indagine in relazione alla rappresentazione dell'evento provocato, considerando che l'imputato sparò nella stessa direzione in cui si stava recando il figlio e all'indirizzo di un'area della sua proprietà su cui insisteva una cisterna di gasolio; circostanze queste che avrebbero indotto, sul piano logico, a confidare nella non verificazione dell'evento; g) con riferimento al contesto, l'imputato agiva nel corso di una illecita intrusione nella sua proprietà da parte di uomini incappucciati, probabilmente armati, che avevano già divelto la rete di delimitazione, usando un'arma legalmente detenuta, in un contesto di pericolo per sé e per la propria famiglia.

Tali elementi avrebbero dovuto indurre la Corte territoriale a qualificare il fatto in termini di colpa, e non già di dolo, sulla base di una parcellizzazione del materiale indiziario, ed in violazione del principio del favor rei.

2.2. Con il secondo motivo deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione all'omesso riconoscimento della legittima difesa putativa, tema già proposto con la memoria difensiva del 29 gennaio 2017 nel giudizio di primo grado.

L'imputato in passato aveva già subìto plurime aggressioni patrimoniali connotate da intrusioni, da parte di ignoti, nella sua proprietà; nella fattispecie gli intrusi indossavano una maschera, muovendosi in gruppo di tre o quattro uomini, e avevano già superato una prima barriera costituita dalla rete metallica, di fatto divelta. Il turbamento e l'angoscia determinati dai precedenti fatti, unitamente alle urla della moglie, erano dunque fattori di oggettivo allarme.

L'omessa valutazione di tali circostanze fattuali si è tradotta nella erronea mancata applicazione della scriminante putativa di cui agli artt. 52 e 59 c.p.

2.3. Con le conclusioni scritte il difensore ha riproposto le doglianze articolate con il ricorso, sostenendo che i malfattori non erano in fuga, trovandosi ancora sul posto al momento dell'esplosione del secondo colpo, che la visuale dalla quale è stato esploso il colpo non fosse buona, che la cartuccia era priva di borra e l'apertura della rosata produce un tiro non controllabile; ha aggiunto, inoltre, che la situazione di pericolo attuale e concreto in cui si è trovato l'imputato avrebbe integrato la causa di giustificazione della legittima difesa "domiciliare", quantomeno nella forma putativa.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile.

2. Preliminarmente va rilevato che le censure, proposte in particolare con il primo motivo di ricorso e con le conclusioni scritte, concernenti i profili fattuali della ricostruzione della dinamica (visuale, fuga, potenzialità offensiva dell'arma, ecc.) che ha portato alla morte della persona offesa, sono inammissibili, perché propongono doglianze eminentemente di fatto, che sollecitano, in realtà, una rivalutazione di merito preclusa in sede di legittimità, sulla base di una "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. un., n. 6402 del 30 aprile 1997, Dessimone, Rv. 207944); infatti, pur essendo formalmente riferite a vizi riconducibili alle categorie del vizio di motivazione e della violazione di legge, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., sono in realtà dirette a richiedere a questa Corte un inammissibile sindacato sul merito delle valutazioni effettuate dalla Corte territoriale (Sez. un., n. 2110 del 23 novembre 1995, Fachini, Rv. 203767; Sez. un., n. 6402 del 30 aprile 1997, Dessimone, Rv. 207944; Sez. un., n. 24 del 24 novembre 1999, Spina, Rv. 214794).

In particolare, con le censure proposte il ricorrente non lamenta una motivazione mancante, contraddittoria o manifestamente illogica - unici vizi della motivazione proponibili ai sensi dell'art. 606, lett. e), c.p.p. -, ma una decisione erronea, in quanto fondata su una valutazione asseritamente sbagliata in merito alla ricostruzione di alcuni elementi di fatto incidenti sulla qualificazione dell'omicidio come doloso, anziché colposo.

Il controllo di legittimità, tuttavia, concerne il rapporto tra motivazione e decisione, non già il rapporto tra prova e decisione; sicché il ricorso per cassazione che devolva il vizio di motivazione, per essere valutato ammissibile, deve rivolgere le censure nei confronti della motivazione posta a fondamento della decisione, non già nei confronti della valutazione probatoria sottesa, che, in quanto riservata al giudice di merito, è estranea al perimetro cognitivo e valutativo della Corte di cassazione.

Pertanto, nel rammentare che la Corte di cassazione è giudice della motivazione, non già della decisione, ed esclusa l'ammissibilità di una rivalutazione del compendio probatorio, va al contrario evidenziato che la sentenza impugnata ha fornito logica e coerente motivazione in ordine alla ricostruzione dei fatti, con argomentazioni prive di illogicità (tantomeno manifeste) e di contraddittorietà.

La Corte territoriale ha infatti evidenziato, richiamando puntualmente gli elementi probatori posti a fondamento, che il M. aveva una buona visuale della zona in cui i soggetti armeggiavano nei pressi della cisterna oggetto della programmata condotta furtiva; nelle dichiarazioni rese a distanza di sei ore dal fatto, invero, l'imputato affermò di aver avuto la possibilità di individuare i malfattori, tanto da essere in grado di indicare il numero ("tre quattro persone"), lo stato di travisamento ("con passamontagna") e addirittura la disponibilità di un oggetto di lunghe dimensioni nelle mani di uno di loro, aggiungendo di aver esploso un primo colpo di avvertimento, prima di sparare "un altro colpo a scopo intimidatorio ma più basso", ascrivendo questa decisione ad "uno stato di agitazione per le urla di mia moglie". Al riguardo, la versione della fucilata sparata "alla cieca" è stata ritenuta infondata, in quanto lo stesso figlio dell'imputato ha riferito di aver udito due colpi esplosi a distanza di una quindicina di secondi l'uno dall'altro, mentre era ancora in casa, in tal modo smentendo la successiva dichiarazione dell'imputato (parzialmente difforme dalla prima versione), secondo cui non avrebbe mai corso il rischio di colpire il figlio che era già nei pressi della cisterna; lo stesso M. Rocco, figlio dell'imputato, ha aggiunto di essere andato incontro al padre, che ancora impugnava il fucile, chiedendogli di darglielo "per sicurezza", senza alludere ad alcuno stato di agitazione.

Il secondo colpo di fucile fu dunque effettivamente esploso nella direzione in cui si trovava la vittima, posizione nota all'imputato fin dalle prime indicazioni ricevute dal figlio, e la distanza di circa 15 secondi tra il primo e il secondo colpo è stata ritenuta coerente con una fredda e deliberata esplosione del colpo in direzione della vittima, piuttosto che con una involontaria esplosione legata alla concitazione del momento; del resto, il corpo della vittima fu rinvenuto a circa 7 metri dalla recinzione, dalla quale la vittima ed il suo complice si stavano allontanando, come riferito dal figlio dell'imputato e dal rilievo che la vittima fu raggiunta alle spalle da tre pallettoni.

Quanto alla visibilità, la Corte territoriale ha evidenziato gli elementi - la collocazione dell'imputato nell'angolo destro del terrazzino ad una altezza di circa 4 metri, e le condizioni atmosferiche di una notte di fine agosto illuminata all'80% dalla luna - che confermano la buona visuale goduta dal M. nel momento in cui ha esploso il secondo colpo ad altezza uomo, in direzione della vittima.

Tenuto conto della reciproca posizione dell'imputato e della vittima, e dell'allontanamento dalla cisterna già avviato dai malfattori, verosimilmente dopo l'esplosione del primo colpo, la Corte territoriale ha dunque concluso che il secondo colpo fu esploso proprio in direzione delle persone, collocate nella parte superiore destra rispetto alla cisterna.

In tal senso, è stata altresì evidenziata la spiccata capacità offensiva del fucile a pallettoni, che tende a produrre una zona di fuoco sufficientemente ampia da cogliere chi si trova in quel raggio di azione, senza cioè che sia necessario indirizzare specificamente al bersaglio (come invece avviene per le munizioni a palla singola).

3. Tanto premesso, va chiarito che la valutazione demandata a questa Corte è delimitata, da un lato, dai limiti coessenziali al giudizio di legittimità, che resta refrattario alla rivalutazione del merito, e, dall'altro, dall'applicazione delle regole di valutazione probatoria, nei limiti in cui la verifica è stata disposta con la sentenza rescindente della Corte di cassazione (art. 627, comma 3, c.p.p.).

Ebbene, quanto alla ricostruzione del fatto, della quale il ricorrente sollecita una non consentita rivalutazione, sulla base di una lettura alternativa degli elementi di prova, va innanzitutto osservato che il primo motivo concernente l'elemento soggettivo appare privo di specificità, nella parte in cui omette qualsivoglia concreto confronto con le argomentazioni della sentenza rescindente della Corte di cassazione, che aveva censurato, sotto il profilo del vizio di motivazione, la qualificazione del delitto come omicidio colposo, in ragione della "direzione del colpo" - essendo incontroverso che il secondo colpo di fucile è stato esploso nella direzione in cui si trovava la vittima, attinta da una porzione dei proiettili facenti parte della rosa creata dalla cartuccia a pallettoni in zone vitali -, della "specifica capacità offensiva" dell'arma impiegata - capace di colpire il bersaglio anche senza particolari doti di mira, proprio in ragione dell'ampiezza della zona di fuoco prodotta -, e della "volontarietà" dell'azione, caratterizzata dall'esplosione di un primo colpo di avvertimento sparato in aria, seguito da un secondo colpo esploso nella direzione dei malfattori.

Invero, ai sensi dell'art. 627, comma 3, c.p.p., va rammentato che i poteri del giudice di rinvio sono diversi a seconda che l'annullamento sia stato pronunciato per violazione o erronea applicazione della legge penale, oppure per mancanza o manifesta illogicità della motivazione, giacché, mentre nella prima ipotesi il giudice è vincolato al principio di diritto espresso dalla Corte, restando ferma la valutazione dei fatti come accertati nel provvedimento impugnato, nella seconda può procedersi ad un nuovo esame del compendio probatorio con il limite di non ripetere i vizi motivazionali del provvedimento annullato (Sez. 3, n. 7882 del 10 gennaio 2012, Montali, Rv. 252333).

Il principio di diritto al quale il giudice di rinvio ha un obbligo assoluto ed inderogabile di uniformarsi è soltanto quello che, a norma dell'art. 173, comma 2, disp. att. c.p.p., deve essere specificamente enunciato nella sentenza di annullamento con rinvio. Tale effetto vincolante non scaturisce, invece, da affermazioni esplicative della ratio decidendi e, meno ancora, da singoli sviluppi argomentativi che si limitino a scandagliare i vizi del provvedimento annullato ma non forniscano, in sé, le indicazioni riparatorie in punto di legittimità (Sez. 1, n. 8242 del 18 maggio 1999, Di Virgilio G, Rv. 213873).

Nel giudizio di rinvio a seguito di annullamento per vizio di motivazione, al contrario, il giudice di rinvio è investito di pieni poteri di cognizione e può - salvi i limiti nascenti da eventuale giudicato interno - rivisitare il fatto con pieno apprezzamento ed autonomia di giudizio ed in esito alla compiuta rivisitazione addivenire a soluzioni diverse da quelle del precedente giudice di merito o condividerne le conclusioni purché motivi il proprio convincimento sulla base di argomentazioni diverse da quelle ritenute illogiche o carenti in sede di legittimità (Sez. 5, n. 34016 del 22 giugno 2010, Gambino, Rv. 248413); a seguito di annullamento per vizio di motivazione, invero, il giudice del rinvio è chiamato a compiere un nuovo completo esame del materiale probatorio con i medesimi poteri che aveva il giudice la cui sentenza è stata annullata, fermo restando che egli non può ripetere il percorso logico censurato dal giudice rescindente e deve fornire adeguata motivazione sui punti della decisione sottoposti al suo esame (Sez. 5, n. 42814 del 19 giugno 2014, Cataldo, Rv. 261760).

Ciò posto, è proprio nel solco argomentativo della sentenza rescindente che si è posta la Corte territoriale in sede di giudizio di rinvio, che, sulla base di un nuovo completo esame del materiale probatorio, ha valorizzato, in maniera logica e consequenziale, gli indici fattuali della direzione del colpo, anche alla luce della situazione di buona visibilità goduta dall'imputato, della specifica capacità offensiva del fucile a pallettoni impiegato, e della volontarietà dell'azione, consistita nell'esplosione del secondo colpo ad altezza uomo.

Al contrario, il ricorso ambisce ad una rilettura degli elementi di fatto che ripeterebbe i vizi motivazionali del provvedimento annullato, a proposito della visuale e dell'esplosione "alla cieca".

4. Il motivo concernente la qualificazione giuridica del fatto come omicidio doloso è altresì manifestamente infondato, nella parte in cui ripropone il tema del confine con la colpa cosciente, lamentando l'omessa considerazione degli indici fattuali che ne delimitano i rispettivi ambiti.

Al riguardo, vengono in rilievo i principi affermati dalle Sezioni unite nella sentenza "Espenhahn", secondo cui, in tema di elemento soggettivo del reato, per la configurabilità del dolo eventuale, anche ai fini della distinzione rispetto alla colpa cosciente, occorre la rigorosa dimostrazione che l'agente si sia confrontato con la specifica categoria di evento che si è verificata nella fattispecie concreta aderendo psicologicamente ad essa e a tal fine l'indagine giudiziaria, volta a ricostruire l'iter e l'esito del processo decisionale, può fondarsi su una serie di indicatori quali: a) la lontananza della condotta tenuta da quella doverosa; b) la personalità e le pregresse esperienze dell'agente; c) la durata e la ripetizione dell'azione; d) il comportamento successivo al fatto; e) il fine della condotta e la compatibilità con esso delle conseguenze collaterali; f) la probabilità di verificazione dell'evento; g) le conseguenze negative anche per l'autore in caso di sua verificazione; h) il contesto lecito o illecito in cui si è svolta l'azione nonché la possibilità di ritenere, alla stregua delle concrete acquisizioni probatorie, che l'agente non si sarebbe trattenuto dalla condotta illecita neppure se avesse avuto contezza della sicura verificazione dell'evento (cosiddetta prima formula di Frank) (Sez. un., n. 38343 del 24 aprile 2014, Espenhahn, Rv. 261105); aggiungono le Sezioni unite che, in tema di elemento soggettivo del reato, il dolo eventuale ricorre quando l'agente si sia chiaramente rappresentata la significativa possibilità di verificazione dell'evento concreto e ciò nonostante, dopo aver considerato il fine perseguito e l'eventuale prezzo da pagare, si sia determinato ad agire comunque, anche a costo di causare l'evento lesivo, aderendo ad esso, per il caso in cui si verifichi; ricorre invece la colpa cosciente quando la volontà dell'agente non è diretta verso l'evento ed egli, pur avendo concretamente presente la connessione causale tra la violazione delle norme cautelari e l'evento illecito, si astiene dall'agire doveroso per trascuratezza, imperizia, insipienza, irragionevolezza o altro biasimevole motivo (Sez. un., n. 38343 del 24 aprile 2014, Espenhahn, Rv. 261104).

Tanto premesso, va tuttavia rilevato che la distinzione tra dolo eventuale e colpa cosciente non viene in rilievo nella fattispecie, sicché la analitica valutazione degli "indicatori fattuali" appena richiamati perde di consistenza, in quanto l'azione oggetto di valutazione giurisdizionale non riguarda una attività lecita, ma rischiosa, nell'ambito della quale rilevi l'osservanza o meno di regole cautelari (come è, esemplificativamente, la circolazione stradale, ovvero la tutela degli ambienti di lavoro), bensì un'attività non lecita - l'uso di armi, benché regolarmente detenute, nei confronti di una persona -, la cui tipicità può essere elisa solo in presenza di una causa di giustificazione (ad es., la legittima difesa).

In altri termini, il contesto illecito dell'azione e le modalità volontarie della stessa - essendo stata accertata, in ragione della direzione del secondo colpo e della specifica capacità offensiva dell'arma impiegata, ed essendo stata esclusa una esplosione casuale e "alla cieca" - impediscono, alla base, la stessa configurabilità di una osservanza di regole cautelari, ché altrimenti si verserebbe in una sorta di ossimoro logico, consistente in una regola di condotta che imponga l'osservanza di regole cautelari nell'ambito di un'attività illecita; una norma di comando che prescriverebbe l'osservanza della diligenza e della prudenza nell'esercizio di un'attività illecita.

Al contrario, proprio la "volontarietà" dell'azione e dell'evento, consistita nell'esplosione del secondo colpo ad altezza uomo, in direzione dei malfattori, e desunta dalla "direzione del colpo" e dalla "specifica capacità offensiva" dell'arma impiegata, escludono qualsivoglia configurabilità della colpa cosciente, che sarebbe stata ipotizzabile nel caso di un colpo esploso a fini meramente intimidatori (ad es. sparato in alto o a distanza dagli intrusi), che, per un fattore involontario (ad es. un inciampo, una scivolata, ecc.), per errore, avesse colpito una persona.

In tal senso, del resto, si è già espressa la giurisprudenza di questa Corte, affermando che, in tema di elemento soggettivo del reato, è configurabile il dolo eventuale nella condotta di una guardia giurata esperta nell'uso delle armi che, nel tentativo di fermare dei ladri in fuga, dopo aver esploso in aria un unico colpo ed essersi posta al riparo dall'eventuale reazione dei malviventi, ormai datisi alla fuga, abbia continuato a sparare al buio e a distanza di circa trenta metri, altri cinque colpi ad altezza uomo, in direzione delle persone e delle auto in movimento, accettando così il rischio, pur di fermare i fuggitivi, di procurarne la morte (Sez. 5, n. 40424 del 20 giugno 2019, Martina, Rv. 277112; analogamente, Sez. 1, n. 36949 del 24 settembre 2014, dep. 2015, Pollidoro, Rv. 265122: "Risponde del reato di omicidio a titolo di dolo eventuale il soggetto che si rappresenta la probabilità del verificarsi dell'evento in conseguenza della sua azione e ne accetta il rischio, pur di conseguire il proprio obiettivo"; Sez. 1, n. 24217 del 13 marzo 2013, De Masi, Rv. 255826: "Sussiste il dolo del delitto di omicidio allorquando l'agente, pur non mirando ad un evento mortale quale proprio obiettivo intenzionale, abbia tuttavia previsto come probabile - secondo un normale nesso di causalità - la verificazione di un siffatto evento lesivo, accettandone, con l'agire in presenza di tale situazione rappresentatasi, il rischio").

5. Il motivo con cui si lamenta il mancato riconoscimento della legittima difesa, anche nella forma putativa, è inammissibile, in quanto non dedotto con i motivi di appello, e dunque nuovo.

Il motivo risulta, infatti, proposto soltanto nel giudizio di primo grado (con memoria del 29 gennaio 2017, come evidenziato dallo stesso ricorso), e non coltivato nel giudizio di appello.

Peraltro, la doglianza è altresì manifestamente infondata, in quanto, pur ammettendo la astratta rilevanza della legittima difesa "domiciliare" - per quanto i malfattori si trovassero all'esterno dell'azienda del M., nei pressi della recinzione -, va evidenziato che la necessità di difendersi da un pericolo attuale di un'offesa ingiusta con impiego di armi legittimamente detenute sussiste "quando non vi è desistenza e vi è pericolo d'aggressione" (art. 52, comma 2, lett. b), c.p.): nella fattispecie, invero, non è emerso alcun pericolo di ulteriore aggressione dopo l'esplosione del primo colpo di avvertimento, non avendo i malfattori minacciato l'uso di armi (non rinvenute), ed anzi è risultato che gli stessi, proprio in seguito al primo colpo, avevano desistito dall'azione furtiva, tentando di allontanarsi, come evidenziato dalla posizione del corpo della vittima, distante dalla recinzione, e dalle zone del corpo attinte dai pallettoni, alle spalle dell'uomo.

L'insussistenza dei presupposti della legittima difesa priva di consistenza, altresì, la rilevanza del putativo, considerando che l'imputato ha posto in essere l'azione criminosa esplodendo un secondo colpo, non già in aria o a distanza dai malfattori, bensì proprio nella direzione degli stessi, e ad altezza uomo.

6. Al rigetto del ricorso consegue la condanna al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili, che, considerando il numero di parti civili assistite dal difensore, si liquidano in complessivi euro 10.000,00, oltre accessori di legge.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Condanna, inoltre, il ricorrente alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili, che liquida in complessivi euro 10.000,00, oltre accessori di legge.

Depositata il 10 febbraio 2022.