Corte di cassazione
Sezione V civile (tributaria)
Ordinanza 30 settembre 2021, n. 26506
Presidente: Perrino - Relatore: Leuzzi
RILEVATO CHE
A seguito di PVC redatto dalla Guardia di Finanza di Verbania a carico della T&T s.r.l., successivamente al fallimento di quest'ultima (dichiarato con sentenza n. 190/2010, del 6 maggio 2010), l'Agenzia delle entrate notificava al curatore due avvisi di accertamento per gli anni di imposta 2006 e 2007, per il cui tramite appurava maggiori importi dovuti a fini Irap e IVA, avuto riguardo al reddito d'impresa e al valore della produzione netta riscontrati.
In esito ai menzionati accertamenti, l'Agenzia delle entrate emetteva, inoltre, a declaratoria di fallimento avvenuta, avviso di accertamento a carico di Salvatore T.B., in qualità di socio al 60% della T&T e altro atto impositivo a carico di tale Michele T., quale socio per il restante 40%. Secondo la prospettazione erariale il maggior utile accertato in capo alla società avrebbe giustificato, in ragione della ristretta base sociale dell'ente, la presunzione della distribuzione pro quota di esso ai due soci anzidetti.
Salvatore T.B., evidenziando di aver impugnato presso la CTP di Venezia l'atto notificatogli, spiegava intervento volontario nei giudizi pendenti presso la CTP di Verbania in relazione agli avvisi di accertamento notificati alla procedura fallimentare.
La CTP di Verbania, riuniti i ricorsi, dichiarava inammissibile l'intervento in parola; riteneva la pregiudizialità rispetto alla causa pendente presso detta CTP della decisione delle cause riunite; rigettava, infine, i ricorsi presentati dal Fallimento di T&T.
Il T.B. proponeva appello, deducendo il vizio di notifica degli avvisi indirizzati al Fallimento, contestandone la mancata notifica in proprio favore, quale ex amministratore, quindi sostenendo la sussistenza di una fattispecie di litisconsorzio necessario.
La CTR del Piemonte, riuniti gli appelli presentati dai soci della fallita T&T s.r.l., li rigettava.
Il ricorso per cassazione di Salvatore T.B. è affidato a due motivi.
L'Agenzia delle entrate risponde con controricorso.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo di ricorso, il ricorrente adduce la nullità degli accertamenti per illegittimità e la decadenza del dirigente firmatario a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 37/2015, del 24 febbraio 2015, dep. il 17 marzo 2015 e per (conseguente) violazione e/o falsa applicazione degli artt. 21-septies e 21-octies della l. n. 241 del 1990, degli artt. 42, commi 1 e 3, del d.P.R. n. 600 del 1973 e dell'art. 56, comma 1, del d.P.R. n. 633 del 1972; degli artt. 66, 67, 68 del d.lgs. n. 300 del 1999; degli artt. 4, comma 3, e 35 del d.lgs. n. 165 del 2001; dell'art. 1, comma 2, del regolamento di amministrazione dell'Agenzia delle entrate n. 4 del 30 novembre 2000.
Con il secondo motivo, il contribuente assume la violazione e/o falsa applicazione dell'art. 43 l. fall., dell'art. 14, comma 3, d.lgs. n. 546 del 1992 e degli artt. 156 e 160 c.p.c., in combinato disposto con gli artt. 24 e 53 Cost., per avere la CTR trascurato la circostanza dell'omessa notifica in favore del socio T.B., ex amministratore, degli avvisi di accertamento indirizzati al curatore del Fallimento di T&T, circostanza che travolgerebbe, secondo la prospettazione del contribuente, gli avvisi in parola.
Il primo motivo è inammissibile.
Suo tramite viene agitata una questione relativa alla sottoscrizione degli atti impositivi di cui non v'è alcuna traccia nella sentenza impugnata. Il ricorrente non si è peritato, dal canto suo, di specificare in quale sede e attraverso quale atto l'abbia in precedenza adombrata.
Trova, allora, nella specie, applicazione il principio in base al quale ove una determinata questione - che implichi un accertamento di fatto - non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga la suddetta questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità, per novità della censura, ha l'onere - nella specie integralmente disatteso - non solo di allegare l'avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa (Cass. n. 16303 del 2002; Cass. n. 6542 del 2004; Cass. n. 28480 del 2005; Cass. n. 32804 del 2019).
Il secondo motivo è infondato, benché la motivazione della sentenza d'appello necessiti d'esser corretta secondo le argomentazioni appresso esposte.
È pacifico che i presupposti della pretesa fiscale - afferente agli anni 2006 e 2007 - si siano determinati in anticipo rispetto alla declaratoria fallimentare, pronunciata il 6 maggio 2010, ancorché la notifica degli atti impositivi sia avvenuta posteriormente ad essa nei confronti del curatore del fallimento.
Il ricorrente asserisce la necessità della notificazione dell'avviso per debito tributario della società fallita anche in proprio favore quale legale rappresentante.
L'asserzione non coglie nel segno.
Il contribuente persona fisica che resti esposto ai riflessi, anche sanzionatori, conseguenti alla definitività dell'atto impositivo notificato - come nella specie - al curatore successivamente alla dichiarazione di fallimento, è abilitato a impugnarlo soltanto in via eccezionale, essendo l'esercizio del diritto di difesa condizionato, tuttavia, all'inerzia degli organi della procedura fallimentare (v. Cass. n. 26127 del 2019; Cass. n. 12854 del 2018; Cass. n. 11618 del 2017).
Ai fini della configurabilità di siffatta inerzia, la condotta del curatore non deve derivare dal diniego dell'autorizzazione del giudice delegato ad agire in giudizio, nel qual caso al curatore non potrebbe imputarsi inoperosità o indifferenza, venendo in auge l'adesione ad una scelta di convenienza in ordine alla prevedibile mancanza di risultati utili della contestazione della pretesa tributaria (v. Cass. n. 2626 del 2018; Cass. n. 13814 del 2016). L'assoluto disinteresse del curatore, quale condizione negativa perché si possa riconoscere al fallito la legittimazione supplementare ed eccezionale, postula, piuttosto, una rigorosa e specifica allegazione cui si correla un accertamento preliminare. In caso contrario, si darebbe adito ad una incontrollabile sequela di giudizi a catena, cui sarebbero annessi, vuoi una confusione di ruoli, vuoi l'insidia di un uso strumentale di detta eccezionale possibilità, declinata verso finalità estranee al corretto ed imparziale svolgimento della procedura.
L'onere di allegazione dei fatti di disinteresse incombe su colui che sul presupposto della loro affermazione invochi l'opportunità di surrogarsi all'organo concorsuale, quindi al contribuente fallito, id est al suo legale rappresentante e/o amministratore pro tempore (v. ancora Cass. n. 2626 del 2018 cit.).
Nella specie, nessuna inerzia è stata specificamente allegata, men che meno corroborata con rigore probatorio; né detta inerzia è in alcun modo configurabile, essendo in nuce contraddetta alla stregua degli atti, sol che si consideri che, come si legge a pag. 1 della sentenza impugnata, il curatore non è affatto rimasto inerte, avendo impugnato gli avvisi notificatigli.
Pertanto, quando il curatore è in giudizio e il suo potere di impugnazione è stato oggetto di specifico esame e di determinazione in sede fallimentare, il fallito non può conservare per il medesimo rapporto, come vorrebbe il ricorrente, "autonoma capacità processuale" - così a pag. 16 del ricorso - e il suo difetto di legittimazione è rilevabile anche d'ufficio (v. Cass. n. 31313 del 2018).
Il ricorso va in ultima analisi rigettato, con l'affermazione del seguente principio di diritto:
"In tema di fallimento di società di capitali, qualora il curatore non rimanga inerte, bensì impugni l'atto impositivo inerente a crediti tributari i cui presupposti si siano determinati prima della dichiarazione di fallimento del contribuente, non consta alcun residuo interesse del fallito a dolersi dell'omessa notifica dell'avviso di accertamento al fine di contestarlo".
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, liquidate in euro 8.000,00 per compensi, oltre al rimborso delle spese prenotate a debito. Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.