Corte di cassazione
Sezione IV penale
Sentenza 21 settembre 2021, n. 35866
Presidente: Ciampi - Estensore: Esposito
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza in epigrafe il Tribunale di Verona ha assolto C.R. Cristian dai reati di cui agli artt. 56, 624 e 625, nn. 2 e 7, c.p. (capi A e C), 624, 625, nn. 2 e 7, c.p. (capo E), 55 d.lgs. n. 231 del 2007 (capi B, D ed F).
Il Tribunale ha rilevato che l'istruttoria espletata non aveva consentito di identificare con certezza l'autore di tali condotte.
Il teste di P.G. esaminato dichiarava di aver identificato l'autore mediante la comparazione delle immagini tratte dai sistemi di videosorveglianza e la foto segnaletica dell'imputato.
Tale identificazione non poteva essere ritenuta adeguata a sostenere una sentenza di condanna a suo carico, essendo carente la prova sulla documentazione fotografica dell'imputato utilizzata per tale comparazione, non essendo presente il cartellino fotosegnaletico del predetto. Il riconoscimento atipico effettuato dall'operante, che aveva dichiarato di non avere conoscenza diretta dell'imputato, sottraeva la possibilità di apprezzare se lo stesso potesse ritenersi affidabile e sulla base di quale materiale rappresentativo dei tratti somatici dell'imputato fosse stato effettuato.
Peraltro, il teste esaminato (Ce. Mihail), che avrebbe consegnato agli autori del reato la sua carta Postepay per l'effettuazione delle indebite ricariche e sulla cui estraneità ai fatti v'era più di una ragione di dubbio, non aveva riconosciuto, in sede di individuazione fotografica dibattimentale, l'effige dell'odierno imputato, per cui il quadro probatorio assumeva inesorabilmente i caratteri dell'incertezza.
2. La Procura generale presso la Corte di appello di Venezia ricorre per cassazione avverso la sentenza suindicata per violazione dell'art. 507 c.p.p.
Si deduce che, sebbene nella fattispecie si versasse in condizioni di oggettiva inerzia dell'organo inquirente, che non aveva acquisito il cartellino fotosegnaletico dell'imputato al quale aveva fatto riferimento il teste escusso, l'esercizio del potere di integrazione probatoria di cui all'art. 507 c.p.p. avrebbe consentito di colmare la denunciata lacuna istruttoria, rappresentata dalla mancata possibilità di operare la comparazione tra le immagini estrapolate dalle riprese dei sistemi di sicurezza degli istituti di credito interessati dalle operazioni fraudolente e le riproduzioni fotografiche originali delle sembianze del C.
Al riguardo, occorre rilevare che il potere di disporre l'assunzione di ufficio dei mezzi di prova non può essere limitato ai mezzi di prova aventi il carattere di novità, nel senso che non avrebbero potuto essere richiesti dalle parti al momento del deposito delle liste testimoniali. Il requisito della "novità", infatti, si riferisce sia ai mezzi di prova non introdotti precedentemente, sia a quelli provenienti da fonti probatorie già esaminate, ma su circostanze e su contenuti differenti. In tale prospettiva, si è pure affermato che tale potere può essere legittimamente esercitato dal giudice anche con riferimento a prove in ordine alla cui ammissione si sia verificata la decadenza delle parti.
Nella fattispecie, a fronte dell'inerzia del P.M., il Tribunale si è limitato a prenderne atto, senza esercitare i poteri conferitigli dall'art. 507 c.p.p. e senza motivare la propria scelta.
La circostanza che il Tribunale abbia tenuto conto anche del negativo esito dell'atto di individuazione operato dal teste Ce. Mihail costituiva elemento del tutto inconferente ai fini dell'apprezzamento dell'infondatezza del presente ricorso, posto che si trattava di teste sulla cui affidabilità il Tribunale ha avanzato plausibili riserve, ritenendolo verosimilmente implicato nei fatti di causa.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato.
2. Va premesso che è ormai consolidato il principio espresso da questa Corte, secondo cui il giudice può esercitare il potere di integrazione probatoria ex art. 507 c.p.p. anche con riferimento a prove la cui assunzione non sia stata richiesta o acconsentita dalle parti, in quanto tale potere è funzionale a garantire il controllo giudiziale sull'esercizio dell'azione penale e sul suo sviluppo processuale, ovvero sulla completezza del compendio probatorio su cui deve fondarsi la decisione.
L'assegnazione al giudice di tale potere non contrasta con le indicazioni della Costituzione e della Corte EDU, che si limitano a garantire il contraddittorio nella formazione della prova, ma non inibiscono il controllo sulla completezza del compendio probatorio, corollario necessario della indisponibilità dell'azione penale, conseguente al riconoscimento della natura ultraindividuale degli interessi tutelati (Sez. 2, n. 46147 del 10 ottobre 2019, Janmoune, Rv. 277591; Sez. 2, n. 34868 del 4 luglio 2019, Lanza, Rv. 276430).
Il giudice ha il potere di disporre d'ufficio l'assunzione di nuovi mezzi di prova ai sensi dell'art. 507 c.p.p. anche con riferimento a prove che la parte pubblica avrebbe potuto richiedere e non ha richiesto, in quanto la sua funzione nel caso in cui il pubblico ministero abbia omesso di inserire nella lista le prove che poi si è ritenuto necessario acquisire «soccorre all'obbligatorietà e alla legalità dell'azione penale, correlata com'è alla verifica della correttezza dell'esercizio dei poteri del P.M. e al controllo che detto esercizio non sia solo apparente» (Sez. 6, n. 43786 del 9 ottobre 2012, Del Prete, Rv. 253955; Sez. 5, n. 6347 del 14 dicembre 2007, dep. 2008, Barbaglio, Rv. 239111; Sez. un., n. 41281 del 17 ottobre 2006, Greco, Rv. 234907).
I poteri conferiti al giudice ex art. 507 c.p.p., volti a disporre e controllare la completezza del compendio probatorio e ad accrescerlo - ove necessario e qualora quello raccolto su proposta delle parti sia ritenuto insufficiente - sono in linea con la scelta di assegnare al giudice una penetrante e diffusa funzione di controllo dell'esercizio dell'azione penale e del suo sviluppo nel corso della intera progressione processuale. Tali poteri si rinvengono diffusamente nell'impianto del codice del 1989 (si pensi, ad esempio, alle disposizioni degli artt. 409, 421-bis, 441, comma 5, c.p.p., 603 c.p.p.).
Seguendo la scia della sentenza della Corte costituzionale n. 111 del 1993, la giurisprudenza di legittimità ha ripetutamente evidenziato che la giurisdizione penale, pur in un sistema processuale di matrice accusatoria che vede le parti "protagoniste" dell'agone giudiziario, chiama in gioco la tutela di interessi ultraindividuali e per questo non può prescindere dalla previsione di un diffuso ed imparziale controllo giudiziale sulle (eventuali) inerzie delle parti stesse.
I giudici delle leggi hanno chiarito come esista un legame strutturale e funzionale tra lo strumento processuale e l'interesse sostanziale pubblico alla repressione dei fatti criminosi in modo conforme ai parametri di legalità dell'azione penale, un legame che, in uno con il carattere indisponibile della libertà personale, impone il permanere di poteri significativi del giudice per arrivare ad esiti decisori coerenti con la Carta costituzionale (sentenza n. 313 del 1990 Corte cost.).
In un'altra sentenza, la Corte costituzionale ha evidenziato un criterio ermeneutico ribadito, poi, nella giurisprudenza costituzionale successiva abbastanza diffusamente: il potere istruttorio del giudice ex art. 507 c.p.p. è un potere suppletivo e non eccezionale ed assolve alla funzione di assicurare la sua piena conoscenza dei fatti oggetto del processo, per consentirgli di pervenire ad una decisione "giusta" (sentenza n. 241 del 1992 Corte cost.).
Più pragmaticamente, con un'impostazione che il Collegio condivide e ribadisce, le Sezioni unite n. 41281 del 17 ottobre 2006 cit., hanno precisato che "senza neppure scomodare i grandi principi (in particolare quello secondo cui lo scopo del processo è l'accertamento della verità) può più ragionevolmente affermarsi che la norma (l'art. 507 c.p.p.) mira esclusivamente a salvaguardare la completezza dell'accertamento probatorio sul presupposto che se le informazioni probatorie a disposizione del giudice sono più ampie è più probabile che la sentenza sia equa e che il giudizio si mostri aderente ai fatti".
Si potrebbe anche sottolineare, a giudizio del Collegio, come la ragione ispiratrice della disposizione di cui all'art. 507 c.p.p. faccia da contrappeso alla disposizione di cui all'art. 530, comma 2, c.p.p.: l'affermazione assolutoria perché la prova è insufficiente a fondare l'accusa deve pur sempre trovare la propria radice logica e sostanziale in un'adeguata e piena ricerca probatoria da parte del sistema processuale nel suo complesso, governato secondo le regole legislative dal prudente e attento apprezzamento del giudice.
Questa Corte ha altresì affermato che, in tema di ammissione di nuove prove, il mancato esercizio del potere ex art. 507 c.p.p. da parte del giudice del dibattimento non richiede un'espressa motivazione, quando dalla effettuata valutazione delle risultanze probatorie possa implicitamente evincersi la superfluità di un'eventuale integrazione istruttoria (Sez. 1, n. 2156 del 30 settembre 2020, dep. 2021, Atilem, Rv. 280301).
3. Tanto premesso sui principi operanti in materia, nella fattispecie, pertanto, il Tribunale erroneamente non ha provveduto ad acquisire la documentazione fotografica relativa all'effige dell'imputato, evidentemente necessaria all'economia della decisione, alla luce delle indicazioni del teste di P.G. che l'aveva riconosciuto quale autore dei reati contestati. Né il Tribunale ha motivato in ordine al mancato esercizio del potere-dovere di disporre attività istruttoria integrativa ex art. 507 c.p.p. nonostante tale esigenza scaturisse con evidenza dall'esito della prova testimoniale.
L'autolimitazione dei poteri del giudice non è corrispondente alle regole di sistema che si sono poc'anzi delineate.
In conclusione, il potere del giudice di assumere d'ufficio nuovi mezzi di prova ai sensi dell'art. 507 c.p.p. può essere esercitato anche con riferimento a quelle prove che le parti avrebbero potuto richiedere e non hanno richiesto, ove sussista il requisito della loro assoluta necessità (Sez. 1, n. 3979 del 28 novembre 2013, dep. 2014, Milano, Rv. 259137).
In altre parole, il potere-dovere del giudice di disporre attività istruttoria integrativa ai sensi dell'art. 507 c.p.p. è esercitabile anche in funzione di supplenza dell'inerzia delle parti, allorché le lacune e la contraddittorietà del quadro probatorio non consentano la decidibilità del giudizio (Sez. 6, n. 25770 del 29 maggio 2019, Chiesa, Rv. 276217, che ha voluto precisare in motivazione come la completezza dei dati cognitivi è funzionale al migliore accertamento della verità, naturale corollario del principio di obbligatorietà dell'azione penale).
4. Per tali ragioni, la sentenza impugnata va annullata con rinvio ad altra sezione del Tribunale di Verona per nuovo giudizio.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Verona.
Depositata il 30 settembre 2021.