Consiglio di Stato
Sezione VI
Sentenza 23 giugno 2021, n. 4803
Presidente: Sabatino - Estensore: Lopilato
FATTO E DIRITTO
1. Il Tribunale di Frosinone, con ordinanza 3 marzo 2014, n. 395, ha ordinato ad Acea Ato 5 s.p.a. (d'ora innanzi solo Acea) di realizzare interventi di messa in sicurezza del versante in frana causato dalla perdita della condotta idrica gestita da Acea che si trova nel Comune di Veroli.
Il Comune, all'esito di un sopralluogo, con ordinanza 5 gennaio 2018, ha ingiunto la demolizione dell'intervento di messa in sicurezza del versante in frana, sito in località Casino Franchi, sul presupposto che quanto realizzato fosse difforme dai titoli rilasciati.
Acea ha impugnato tale ordinanza innanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sede di Latina, che, con ordinanza 5 aprile 2018, n. 56, ne ha sospeso l'efficacia.
2. Nelle more del suddetto giudizio Acea ha presentato, ai sensi dell'art. 167 del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, istanza (2 ottobre 2018, n. 201841) di accertamento di compatibilità paesaggistica dell'intervento realizzato.
La Regione, con nota 6 febbraio 2019, n. 96776, ritenendo la domanda ammissibile, ha chiesto alla Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le Province di Frosinone, Latina e Rieti (d'ora innanzi solo Soprintendenza) di rendere il proprio parere vincolante ai sensi dell'art. 167 del suddetto decreto.
La Soprintendenza, con nota 3 maggio 2019, ha comunicato che, essendo l'intervento in esame «oggetto di contenzioso dinnanzi al Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sez. Latina fino all'esito del giudizio del Tar succitato, non può esprimere il proprio parere di competenza, così come richiesto dalla Regione Lazio».
3. Acea ha proposto ricorso avverso il silenzio-inadempimento innanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sede di Latina, che, con sentenza 5 ottobre 2020, n. 357, ha ritenuto il ricorso non fondato. In particolare, si è affermato che la Soprintendenza, avendo adottato un atto soprassessorio di rinvio del «soddisfacimento dell'interesse pretensivo a un accadimento futuro e incerto nel quando», ha determinato un «arresto a tempo indeterminato del procedimento amministrativo», con la conseguenza che il ricorrente avrebbe dovuto proporre un'azione di impugnazione del provvedimento adottato.
4. La ricorrente di primo grado ha proposto appello, rilevando con due motivi connessi che: i) il parere non avrebbe comportato un rinvio sine die della decisione ma avrebbe ancorato la sospensione ad un termine che è quello di conclusione del procedimento, con conseguente valenza interlocutoria dell'atto e violazione dell'obbligo di provvedere; ii) l'art. 167, comma 5, d.lgs. n. 167 [recte: n. 42 - n.d.r.] del 2004, prevedendo che l'autorità competente «si pronuncia sulla domanda entro il termine perentorio di centottanta giorni, previo parere vincolante della Soprintendenza da rendersi entro il termine perentorio di novanta giorni», contemplerebbe una fattispecie non di silenzio-assenso ma di silenzio-inadempimento.
5. La causa è stata decisa all'esito della camera di consiglio del 13 maggio 2021.
6. L'appello è fondato.
7. Nel processo amministrativo vige il principio della pluralità delle azioni che è strettamente correlato al principio della pluralità delle forme di svolgimento dell'attività amministrativa, con conseguente configurazione di regole processuali che si possono atteggiare in modo differente a seconda dell'azione proposta.
Le condizioni di tutte le azioni sono rappresentate dalla legittimazione ad agire, intesa come effettiva titolarità di una posizione giuridica qualificata e differenziata, e dall'interesse ad agire, inteso come lesione personale, concreta e attuale di tale posizione giuridica.
L'azione di annullamento presuppone che sia oggetto di contestazione il provvedimento amministrativo conclusivo del procedimento. Gli atti procedimentali non sono suscettibili di immediata impugnazione perché difetta, in relazione ad essi, la condizione dell'interesse ad agire, che si realizza soltanto quando l'amministrazione conclude il procedimento con l'adozione della determinazione finale che può essere impugnata per vizi propri ovvero per vizi derivati dalla illegittimità dell'atto procedimentale.
La giurisprudenza amministrativa è costante nel ritenere che questa regola viene derogata in presenza delle seguenti vicende.
La prima vicenda riguarda l'ipotesi in cui venga in rilievo un particolare atto dell'amministrazione che comporti l'esclusione di un candidato da procedure concorsuali o di gara. L'atto di esclusione, infatti, ha una sua autonoma capacità lesiva in quanto determina, per il suo destinatario, la conclusione del procedimento che continua per gli altri partecipanti alla procedura.
La seconda vicenda riguarda le seguenti tipologie di atti: i) atti soprassessori, i quali rinviano la prosecuzione del procedimento ad un evento futuro e incerto, comportando un arresto procedimentale; ii) atti interlocutori, i quali, per ragioni varie, comportano anch'essi un arresto procedimentale in grado di vanificare la pretesa della parte al soddisfacimento della pretesa fatta valere; iii) atti vincolati, che, in quanto tali, sono in grado di conformare in modo definitivo la determinazione conclusiva del procedimento; la questione controversa, non rilevante in questo giudizio, è se tra gli atti vincolati possano rientrare anche i pareri vincolati (C.d.S., sez. IV, 8 aprile 2019, n. 2265; C.d.S., sez. IV, 13 febbraio 2017, n. 602).
Il giudice di primo grado ha fatto applicazione di queste regole processuali e ha ritenuto che l'amministrazione avesse, con l'atto adottato, rinviato ad un tempo indeterminato la definizione del procedimento, con conseguente configurazione di un arresto procedimentale che comporta la qualificazione dell'atto che lo ha determinato quale atto sostanzialmente conclusivo del procedimento e, dunque, suscettibile di impugnazione immediata mediante la proposizione dell'azione di annullamento.
L'azione avverso il silenzio presuppone, tra l'altro, ai sensi degli artt. 2 della l. n. 241 del 1990 e 31 c.p.a., che venga violato il dovere di procedere e di provvedere mediante l'adozione del provvedimento finale.
L'amministrazione viola il dovere di procedere nel caso in cui non inizi il procedimento ritenendo illegittimamente che non sussistano le condizioni prescritte dalla norma attributiva del potere.
La differente configurazione di tale azione comporta che l'adozione di un atto, soprassessorio o interlocutorio, che comporti un arresto procedimentale costituisce anche violazione del dovere di procedere mediante la conclusione del procedimento con l'adozione della determinazione finale.
La stessa tipologia di atto, pertanto, può legittimare la parte a proporre sia l'azione di annullamento dell'atto sia l'azione avverso il silenzio. Nel primo caso, il giudice amministrativo annulla l'atto, con conseguente obbligo dell'amministrazione di adottare il provvedimento finale. Nel secondo caso, il giudice amministrativo accerta la sostanziale violazione del dovere di procedere e condanna l'amministrazione a concludere il procedimento. Il risultato è sostanzialmente il medesimo, le regole processuali sono differenti.
Ne consegue che la parte, in presenza della peculiare fattispecie in esame, ha a sua disposizione una duplice modalità di tutela.
La decisione del primo giudice è errata perché non tiene conto della necessità di valutare il rapporto giuridico sostanziale e processuale dall'angolo prospettico della tipologia di azione proposta.
Nella fattispecie in esame, la Soprintendenza ha ritenuto che non sussistessero le condizioni per dare avvio al procedimento finalizzato a rendere il parere previsto dalla normativa sopra riportata in ragione della pendenza del giudizio di annullamento dell'ordinanza di demolizione.
Si tratta di un illegittimo atto interlocutorio, con arresto del procedimento.
La valutazione amministrativa si pone, infatti, in contrasto con le norme di regolazione del potere pubblico, in quanto esse non autorizzano l'amministrazione a sospendere l'esercizio dei propri poteri in ragione dell'esistenza di un processo che, come nella specie, ha un oggetto diverso, ancorché collegato, con quello sui cui la Soprintendenza deve esprimere il proprio parere. Deve, anzi, ritenersi, come correttamente messo in rilievo dalla difesa dell'appellante, che è l'esito del giudizio di compatibilità paesaggistica a potere condizionare, eventualmente, il giudizio di impugnazione dell'ordinanza di demolizione. Né potrebbe attribuirsi valenza decisoria alla parte del parere in cui si "anticipa" che le opere alterano in modo significativo la configurazione originaria dell'opera assentita, in quanto si tratta di una mera affermazione iniziale che non si conclude con una statuizione definitiva ma che introduce la reale ragione per la quale non si può iniziare il procedimento e cioè l'esistenza di un giudizio in corso, che rappresenta l'unico motivo formalmente indicato dall'amministrazione.
In definitiva, la Soprintendenza ha adottato un atto che, rinviando l'avvio del procedimento al momento di conclusione del giudizio amministrativo avverso l'ordinanza di demolizione, ha violato la norma che gli impone, una volta ricevuta la richiesta da parte dell'amministrazione competente, di procedere mediante l'avvio del procedimento finalizzato all'adozione del parere previsto dall'art. 167 del d.lgs. n. 167 [recte: n. 42 - n.d.r.] del 2004.
8. Per le ragioni sin qui esposte, in accoglimento del ricorso, si ordina alla Soprintendenza di iniziare, con immediatezza, il procedimento e di concluderlo mediante l'adozione di una determinazione espressa.
9. La particolare natura della controversia giustifica l'integrale compensazione tra le parti delle spese del giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, definitivamente pronunciando:
a) accoglie l'appello proposto con il ricorso indicato in epigrafe e ordina alla Soprintendenza resistente di adottare gli atti di propria competenza indicati in motivazione;
b) dichiara integralmente compensate tra le parti le spese del presente grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.