Corte di cassazione
Sezioni unite penali
Sentenza 26 novembre 2020, n. 15498

Presidente: Cassano - Estensore: Boni

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza in data 22 novembre 2019, il Tribunale di Pordenone, pronunciando quale giudice dell'esecuzione, respingeva l'istanza proposta, ai sensi dell'art. 670 c.p.p., da Valentina L., alias Daniela V., al fine di ottenere la declaratoria di non esecutività della sentenza pronunciata a suo carico dal Tribunale di Cremona in data 26 ottobre 2016 (irrevocabile il 26 marzo 2017). Con tale decisione, resa in assenza, era stata condannata alla pena di giustizia, siccome responsabile del reato di cui all'art. 495 c.p., commesso fino al 4 novembre 2014.

Con l'istanza era stata dedotta la mancata formazione del titolo esecutivo in conseguenza della nullità della procedura di notificazione del decreto che aveva disposto il giudizio, compiuta con consegna ad un difensore, ritenuto domiciliatario della destinataria, in realtà designato in altro processo.

Il Tribunale affermava l'infondatezza della richiesta, basata sulla nullità della notificazione dell'atto introduttivo del giudizio, perché non deducibile mediante incidente di esecuzione, ma con gli ordinari mezzi d'impugnazione, e, ritenendo, per i residui profili, eventualmente qualificabile la domanda come ricorso per rescissione del giudicato ai sensi dell'art. 629-bis c.p.p., trasmetteva gli atti per la decisione alla Corte di appello di Brescia.

2. È opportuno premettere alcuni dati processuali, riguardanti la concreta vicenda portata all'attenzione delle Sezioni unite, come emergente dalla documentazione prodotta dalla difesa e da quella agli atti del fascicolo.

2.1. Valentina L., tratta a giudizio con rito direttissimo davanti al Tribunale di Cremona per il delitto di tentato furto nell'ambito del procedimento penale nr. 6259/2014 r.g.n.r., all'udienza di convalida dell'arresto provvedeva ad eleggere domicilio presso lo studio del difensore di fiducia, avv.to Alberto Simionati, del foro di Vicenza. In seguito, a suo carico veniva instaurato altro procedimento penale, iscritto al nr. 6769/2014 r.g.n.r., per false generalità dichiarate a pubblico ufficiale nell'ambito del primo procedimento. Il decreto che disponeva il giudizio, diretto all'imputata in stato di libertà, in data 22 febbraio 2016 veniva notificato all'avv.to Simionati nella qualità di domiciliatario, sebbene la sua designazione avesse riguardato il processo relativo al delitto di tentato furto. In dipendenza della mancata comparizione dell'imputata, il Tribunale di Cremona ne dichiarava l'assenza. In data 26 ottobre 2016 pronunciava sentenza di condanna alla pena di anni due e giorni dieci di reclusione, successivamente confluita nel provvedimento di determinazione di pene concorrenti e contestuale ordine di carcerazione, adottato nei confronti di Valentina V., alias Valentina L., in data 3 settembre 2018 dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Pordenone e notificatole l'11 dicembre 2018. Emessi, nel frattempo, in data 5 settembre 2018, numerosi mandati di arresto europeo nei confronti della predetta condannata sulla scorta del citato provvedimento di cumulo, l'autorità giudiziaria del Regno di Spagna ne autorizzava l'arresto provvisorio e la consegna allo Stato italiano, che aveva luogo con la conseguente carcerazione.

2.2. In riferimento alla condanna riportata con la predetta sentenza del Tribunale di Cremona del 26 ottobre 2016 Valentina L. proponeva personalmente, in data 6 febbraio 2019, con le diverse generalità di Daniela V. ricorso per la rescissione del giudicato ai sensi dell'art. 625-ter c.p.p. allora vigente. Con il ricorso deduceva la mancata incolpevole conoscenza della instaurazione del processo per essere stata compiuta la notificazione dei relativi atti in modo del tutto irrituale. La Suprema Corte, con sentenza n. 2511 dell'8 novembre 2019, dep. 2020, dichiarava inammissibile il ricorso perché tardivo, essendo stato proposto oltre il termine di trenta giorni, decorrente dalla notificazione del decreto di unificazione di pene concorrenti, comprensivo anche del titolo per il quale era stata proposta domanda di rescissione.

2.3. Successivamente, in data 16 luglio 2019, senza avere rappresentato di avere assunto la precedente iniziativa processuale, Valentina L., con tali generalità, proponeva incidente di esecuzione, definito col provvedimento impugnato in questa sede, che, pur avendo respinto la domanda di ineseguibilità del titolo di condanna per la sua infondatezza, trasmetteva gli atti alla Corte di appello di Brescia, ritenuta competente a pronunciarsi sulla medesima domanda ai sensi dell'art. 629-bis c.p.p., nelle more introdotto, sul presupposto che la domanda presentasse profili di rilievo ai sensi di tale procedura. La predetta Corte distrettuale, ricevuti gli atti, con ordinanza in data 17 giugno 2020 dichiarava non luogo a provvedere sull'istanza, pur se rientrante nella competenza della Corte di cassazione ai sensi dell'art. 625-ter c.p.p. (applicabile ratione temporis in riferimento a sentenza emessa prima dell'entrata in vigore della l. 23 giugno 2017, n. 103, che aveva introdotto il nuovo art. 629-bis c.p.p.), osservando che il giudice di legittimità si era già pronunciato con declaratoria d'inammissibilità, giusta sentenza n. 2511 dell'8 novembre 2019, e che non residuavano spazi per il proprio intervento sulla questione rimessa. Il provvedimento emesso dalla Corte di appello di Brescia non veniva impugnato.

Nel caso di specie, quindi, l'incidente di esecuzione è stato attivato dopo la proposizione della richiesta di rescissione del giudicato, in seguito dichiarata tardiva, ed al fine di fa[r] valere la nullità della vocatio in iudicium, effettuata irritualmente al legale che era domiciliatario della ricorrente non nel processo in esame, ma in quello iniziale, di cui l'altro costituiva una separata articolazione.

3. Avverso l'ordinanza del Tribunale di Pordenone Valentina L. per il tramite del difensore, avv. Antonino Gugliotta, ha proposto ricorso per cassazione, chiedendone l'annullamento per mancanza della motivazione. Secondo la ricorrente, la soluzione offerta dal Tribunale è erronea e merita annullamento, poiché in contrasto con i fondamentali principi del processo penale. Infatti, pur avendo riconosciuto la sussistenza della nullità endoprocessuale dedotta, a causa della quale ella era stata condannata a sua insaputa e senza l'assistenza del difensore di fiducia, le ha precluso la possibilità di far valere la patita violazione delle disposizioni processuali.

Osserva, inoltre, che le sue valide ragioni non possono trovare accoglimento mediante il rimedio della rescissione del giudicato, attivabile nel diverso caso in cui il procedimento sia caratterizzato dalla regolare evocazione in giudizio dell'imputato e del suo difensore. Contrariamente a quanto affermato nell'ordinanza impugnata, deve essere consentito al condannato di rappresentare mediante incidente di esecuzione, proposto ai sensi dell'art. 670 c.p.p. - disposizione tuttora vigente anche dopo l'introduzione dell'istituto dell'assenza per effetto della l. n. 67 del 2014 - la nullità assoluta ed insanabile degli atti processuali per l'omessa notificazione del decreto che dispone il giudizio nei confronti dell'imputato e del difensore, in conseguenza della avvenuta notificazione presso altro legale, designato patrocinatore e domiciliatario in diverso procedimento penale. Il rilievo della nullità deve condurre alla declaratoria di non eseguibilità della sentenza.

4. La Prima Sezione penale, cui il ricorso era stato inizialmente assegnato, con ordinanza in data 23 giugno 2020 ha rimesso la decisione alle Sezioni unite. Rileva in primo luogo che l'orientamento costante della giurisprudenza di legittimità, formatosi in riferimento al giudizio contumaciale, come delineato sino all'intervento della l. n. 67 del 2014, nega rilevanza alle nullità verificatesi nel corso del processo di cognizione in un momento antecedente il passaggio in giudicato della decisione. Afferma, inoltre, che con l'incidente di esecuzione si può investire il relativo giudice soltanto delle questioni attinenti la regolarità formale e sostanziale del titolo sul quale si basa l'esecuzione intrapresa, in esse ricomprese anche le contestazioni che riguardino la regolarità della notificazione della sentenza contumaciale, che reiteri una nullità di notificazione endoprocessuale, perché parimenti incidenti sulla formazione del titolo esecutivo.

4.1. Osserva, poi, che, dopo l'abrogazione dell'istituto della contumacia, operato dalla l. n. 67 del 2014, e la conseguente eliminazione dell'adempimento della notificazione dell'estratto della sentenza all'imputato dichiarato contumace, si è posto il quesito se sia ancora possibile contestare, ai sensi dell'art. 670 c.p.p., l'esecutività del titolo in dipendenza di una nullità verificatasi nel giudizio di cognizione, che riverberi i suoi effetti pregiudizievoli sulla conoscenza del processo in capo all'imputato. La tesi negativa si fonda sulla introduzione del diverso istituto dell'assenza, che richiede l'accertamento da parte del giudice non solo della corretta instaurazione del rapporto processuale, ma anche della conoscenza o conoscibilità del processo ex art. 420-bis c.p.p.

Specularmente, in tema di rescissione, la prevalente giurisprudenza esclude l'incolpevole mancata conoscenza del processo quando l'imputato, nel contesto del verbale di identificazione formato prima ancora dell'iscrizione nel registro degli indagati e dell'esercizio dell'azione penale, abbia eletto domicilio presso il difensore di ufficio, ponendo a suo carico l'onere di mantenere i contatti con il legale per ricevere le necessarie informazioni sullo sviluppo del procedimento (Sez. 4, n. 10238 del 3 marzo 2020, Ginevra, Rv. 278648; Sez. 2, n. 39158 del 10 settembre 2019, Hafid, Rv. 277100; Sez. 4, n. 32065 del 7 maggio 2019, Bianchi, Rv. 276707).

Ne consegue che la nullità della citazione in giudizio per omessa corretta individuazione del difensore domiciliatario non troverebbe più rimedio in sede esecutiva per la mancanza di valida notificazione dell'estratto contumaciale, così come non lo troverebbe in sede di rescissione, attesa la corretta elezione di domicilio nella fase delle indagini preliminari.

La Sezione rimettente rileva che sul tema della mancata conoscenza del processo un orientamento diverso è stato espresso dalle Sezioni unite con la sentenza n. 28912 del 28 febbraio 2019, Innaro, Rv. 275716, che, con riferimento all'istituto della restituzione nel termine ex art. 175 c.p.p. per impugnare la sentenza emessa nel giudizio contumaciale, hanno stabilito che «l'effettiva conoscenza del procedimento deve essere riferita all'accusa contenuta in un provvedimento formale di vocatio in iudicium, sicché tale non può ritenersi la conoscenza dell'accusa contenuta nell'avviso di conclusione delle indagini preliminari».

Principio conforme in tema di rescissione del giudicato è stato, da ultimo, affermato dalla sentenza Sez. 6, n. 43140 del 19 settembre 2019, Shimi, Rv. 277210, per la quale «l'incolpevole mancata conoscenza del processo non è esclusa né dalla notifica all'imputato dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari, dovendo tale conoscenza essere riferita all'accusa contenuta in un provvedimento formale di vocatio in iudicium, né dalla notifica a persona diversa dall'imputato, ma con esso convivente, del decreto di citazione a giudizio, non incidendo il sistema di conoscenza legale in base a notifiche regolari sulla conoscenza effettiva del processo».

4.2. La Prima Sezione penale ha dunque segnalato il contrasto emerso sul tema dei rimedi esperibili per far valere, dopo la formazione del giudicato, la nullità della vocatio in iudicium. Secondo la posizione maggioritaria della giurisprudenza di legittimità successiva alla l. n. 67 del 2014, definito il processo di cognizione nell'assenza dell'imputato, non è consentito eccepire con l'incidente di esecuzione ex art. 670 c.p.p. la non esecutività del titolo a ragione di nullità endoprocessuali, ormai coperte dal giudicato (ex multis: Sez. 1, n. 12823 del 13 febbraio 2020, Lozzi; Sez. 1, n. 10877 del 17 gennaio 2020, Sallaku; Sez. 1, n. 3265 del 7 maggio 2019, Kassimi; Sez. 1, n. 1812, del 17 dicembre 2019, dep. 2020, Ahmetovic). L'orientamento opposto, espresso da Sez. 1, n. 16958 del 23 febbraio 2018, Esposito, Rv. 272604, ammette, invece, l'esperibilità del rimedio di cui all'art. 670 c.p.p. in caso di nullità assolute ed insanabili «derivanti dall'omessa citazione dell'imputato o dall'assenza del suo difensore nei casi in cui ne è obbligatoria la presenza».

La Sezione remittente ha anche ravvisato l'opportunità di prevenire un contrasto potenziale in merito ai rapporti tra incidente di esecuzione e rimedio rescissorio ex art. 629-bis c.p.p. mediante la definizione dei due istituti, del rispettivo ambito di applicazione e della possibilità di esperirli in via concorrente, contrasto la cui composizione assume rilievo, al fine di assicurare tutela a diritti fondamentali dell'imputato.

5. Con decreto in data 4 settembre 2020, il Presidente Aggiunto ha assegnato il ricorso alle Sezioni unite, fissando per la trattazione l'odierna udienza in camera di consiglio ai sensi dell'art. 611 c.p.p.

6. Il Procuratore generale presso la Corte di cassazione, nella requisitoria scritta depositata il 4 novembre 2020 ha chiesto l'annullamento senza rinvio del provvedimento impugnato a ragione della perplessità del dispositivo «che contestualmente rigetta (...) e riqualifica l'istanza, violando un ovvio limite logico prima che giuridico che deve essere imposto a tutti i provvedimenti». Ha poi sottolineato la perdurante validità e correttezza giuridica dell'orientamento maggioritario della giurisprudenza di legittimità, secondo il quale non è possibile dedurre con l'incidente di esecuzione nullità delle notificazioni verificatesi nel processo di cognizione e l'eventuale mancata incolpevole conoscenza del processo può giustificare la proposizione di ricorso per rescissione del giudicato ai sensi dell'art. 629-bis c.p.p.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Le questioni di diritto sottoposte all'esame delle Sezioni unite sono state formulate nei seguenti termini:

«Se il condannato con sentenza pronunciata "in assenza" che intenda eccepire nullità assolute e insanabili derivanti dall'omessa citazione propria e/o del suo difensore nel procedimento di cognizione possa a tal fine adire il giudice dell'esecuzione, con richiesta ai sensi dell'art. 670 c.p.p., formulando questione sulla formazione del titolo esecutivo.

Se le nullità che abbiano riguardato la citazione dell'imputato e/o del difensore, coperte dal giudicato, pongano il condannato nella condizione di proporre richiesta di rescissione del giudicato ai sensi dell'art. 629-bis c.p.p., allegando l'incolpevole mancata conoscenza della celebrazione del processo, che, da quelle, sia derivata.

Se, in caso di risposta negativa al primo quesito, la richiesta formulata dal condannato, perché sia dichiarata la non esecutività della sentenza (art. 670 c.p.p.) in ragione di nullità che abbiano riguardato la citazione a giudizio nel procedimento di cognizione, sia riqualificabile, ai sensi dell'art. 568, comma 5, c.p.p., come richiesta di rescissione del giudicato».

2. In via preliminare, le Sezioni unite ritengono di dover disattendere la richiesta conclusiva formulata nella requisitoria scritta del Procuratore generale, favorevole all'annullamento dell'ordinanza impugnata sotto il profilo della perplessità della sua motivazione e dell'antitesi logica e giuridica delle determinazioni assunte per avere il Tribunale formalmente respinto la domanda intesa ad ottenere l'accertamento che il titolo manca ovvero non è diventato esecutivo, ed al contempo averla riqualificata come ricorso per rescissione del giudicato con trasmissione degli atti alla Corte di appello di Brescia, individuato quale giudice competente.

2.1. Il contenuto decisorio del provvedimento in contestazione presenta in apparenza un'intima contraddizione, che si annida nella struttura del suo dispositivo. La qualificazione del rimedio esperito alla stregua di diversa disposizione processuale - operazione cognitiva preliminare ed eventualmente assorbente la disamina della sua fondatezza - avrebbe dovuto, infatti, condurre a limitare la decisione alla declinazione della competenza ed alla trasmissione degli atti al giudice competente. Diversamente, il rigetto del ricorso, che definisce la reiudicanda, implica il riconoscimento della competenza a provvedere ed impedisce, sia sul piano logico, che su quello giuridico, di procedere alla sua conversione in altro istituto e di dare impulso al procedimento, affinché prosegua nella sede giudiziaria appropriata.

Orbene, in linea di principio è condivisibile l'affermazione del Procuratore generale e va ribadita l'incompatibilità della declaratoria di incompetenza funzionale del giudice investito della reiudicanda con la contestuale pronuncia di inammissibilità per manifesta infondatezza o di rigetto per infondatezza delle istanze proposte (vedi sul punto Sez. 5, n. 287 del 24 novembre 2005, dep. 2006, De Liguori, Rv. 233753). Soltanto il giudice che si riconosca competente è chiamato dall'ordinamento a delibare la fondatezza o meno della domanda, sicché la decisione negativa sulla competenza assume carattere preliminare e pregiudica la possibilità di una contestuale diversa determinazione che esamini e decida il merito (Sez. 1, n. 34141 del 15 luglio 2015, Corcione, in motivazione punto 5.5). A ciò si aggiunga che, ancorché il sistema processuale penale non conosca un ordine formalizzato di graduazione nella trattazione delle questioni, analogo a quello previsto dall'art. 279 c.p.c., per il quale devono essere risolte per prime le questioni di competenza e giurisdizione, poi le questioni pregiudiziali di rito o preliminari di merito, quindi quelle afferenti al merito, esigenze di razionalità della decisione impongono di rispettare anche in sede processuale penale analoga sequenza che procede dalla soluzione dei temi della giurisdizione e della competenza per pervenire in un momento successivo all'esame delle altre questioni.

2.2. Tale principio non impedisce di ritenere che, nel caso in esame, ad una più approfondita disamina, che tenga conto e legga contestualmente dispositivo e motivazione, decisione e sua giustificazione, il provvedimento impugnato manifesti l'intento del giudice di esaminare e definire nel merito l'incidente di esecuzione, rispetto al quale è competente (Sez. 3, n. 3969 del 25 settembre 2018, dep. 2019, B., Rv. 275690; Sez. 4, n. 26172 del 19 maggio 2016, Ferlito ed altro, Rv. 267153; Sez. 2, n. 23343 del 1° marzo 2016, Ariano ed altri, Rv. 267082; Sez. 4, n. 43419 del 29 settembre 2015, Forte, Rv. 264909). Depongono in tal senso la disamina della prospettazione difensiva nei presupposti di fatto illustrati, l'individuazione dei profili di nullità degli atti processuali riguardanti il processo di cognizione, la riconosciuta erroneità della dichiarazione di assenza dell'imputata, il diniego del provvedimento sollecitato in via esclusiva quale accertamento della mancanza o ineseguibilità del titolo di condanna. Soltanto perché consapevole degli effetti della situazione fattuale rappresentata dalla condannata in termini di mancata incolpevole conoscenza del processo, astrattamente legittimante la proposizione del diverso rimedio della rescissione del giudicato e nell'intento di consentirle l'accesso alla più ampia forma di tutela possibile, il giudice dell'esecuzione, una volta assunta la decisione per quanto di sua competenza, ha ritenuto di consentire che quella domanda, considerata anche in una differente prospettiva giuridica, potesse essere vagliata dal giudice ritenuto competente. Si ritiene, dunque, di escludere la contraddittorietà logica e la perplessità della decisione, tale da indurre al suo annullamento, non ricorrendo una situazione di incertezza della volontà decisoria, ostativa alla individuazione dell'esito logico e del preciso convincimento del giudice. Al tempo stesso, poiché l'ordinanza in verifica contiene la statuizione sul merito della domanda e non già la mera negazione della competenza o l'assunzione di pronuncia di mera interlocuzione, è da ritenere impugnabile con la conseguente ammissibilità del ricorso proposto.

3. Relativamente alle questioni poste alle Sezioni unite appare preliminare l'analisi del rapporto tra incidente di esecuzione (art. 670 c.p.p.) e rimedio rescissorio (art. 629-bis c.p.p.) e dei loro rispettivi ambiti di applicazione con riferimento alla eventuale "interferenza" tra i due istituti nei casi in cui si lamenti la nullità assoluta della notificazione del decreto di citazione a giudizio, nonostante la quale si è proceduto in assenza dell'imputato.

3.1. L'art. 670, comma 1, c.p.p. prescrive testualmente «quando il giudice dell'esecuzione accerta che il provvedimento manca o non è divenuto esecutivo, valutata anche nel merito l'osservanza delle garanzie previste nel caso di irreperibilità del condannato, lo dichiara con ordinanza e sospende l'esecuzione, disponendo, se occorre, la liberazione dell'interessato e la rinnovazione della notificazione non validamente eseguita. In tal caso decorre nuovamente il termine per l'impugnazione».

La formulazione testuale della disposizione, la sua collocazione sistematica nell'ambito del libro X del codice di procedura penale vigente, dopo il corpo di disposizioni che disciplinano le impugnazioni, nonché le esigenze di certezza del diritto e di stabilità delle situazioni giuridiche sottese alla nozione di giudicato, concorrono a circoscrivere l'oggetto della giurisdizione esecutiva (attivabile mediante proposizione dell'incidente di esecuzione), che riguarda la mancanza del titolo o la sua non esecutività. A contrariis è da escludere che in sede esecutiva possano essere dedotte questioni attinenti la fondatezza del giudizio di responsabilità sul fatto di reato, la misura della pena irrogata o vizi procedurali verificatisi prima del passaggio in giudicato del provvedimento cui dare attuazione.

Pur essendo proponibile anche quale strumento di tutela e condividendo con i mezzi d'impugnazione la contestazione della decisione giudiziale, sul piano classificatorio l'incidente di esecuzione non appartiene alla categoria delle impugnazioni, perché presuppone l'irrevocabilità del provvedimento costituente il titolo da porre in esecuzione. Esso risponde alla «finalità di stabilire, nell'interesse della giustizia, il concreto contenuto dell'esecuzione» (Corte cost., sentenza n. 45 del 10 febbraio 1997). Introduce un procedimento di prima istanza, devoluto alla cognizione di un giudice, individuato secondo i criteri dettati dall'art. 665 c.p.p., la cui decisione è soggetta alle disposizioni dettate per le impugnazioni in quanto compatibili (art. 666, comma 6, c.p.p.). Pertanto, nemmeno il rinvio per relationem contenuto nell'art. 666, comma 6, c.p.p. autorizza l'assimilazione del rimedio esecutivo alle impugnazioni sul piano strutturale e della funzione perseguita (Sez. 1, n. 51053 del 13 luglio 2017, Palau Giovannetti, Rv. 271457; Sez. 1, n. 39321 del 18 luglio 2017, Hercules, Rv. 270840; Sez. 3, n. 47266 del 4 novembre 2005, Conversano, Rv. 233261; Sez. 4, n. 1622 del 22 maggio 1998, Sciarabba, Rv. 211627; Sez. 1, n. 14358 del 4 dicembre 2000, dep. 2001, Fontanella, Rv. 218633).

3.2. Il predetto inquadramento dell'istituto giustifica l'opinione, largamente maggioritaria nella giurisprudenza di legittimità ed in dottrina, secondo la quale il sindacato del giudice dell'esecuzione non investe questioni che riguardino la fase di cognizione, compresi vizi procedurali denunciabili unicamente con i mezzi d'impugnazione: quelli ordinari, esperibili sino alla conclusione del processo di cognizione; quelli straordinari attivabili dopo l'irrevocabilità del provvedimento conclusivo del giudizio nei casi previsti dalla legge con l'effetto, se fondati ed accolti, di determinare la riapertura del processo nella fase cognitiva.

Questa linea interpretativa ha ravvisato i caratteri dell'abnormità nelle decisioni assunte in sede esecutiva, che si siano tradotte nella verifica di vizi relativi alla fase di cognizione con effetti di invalidazione del giudicato di condanna (Sez. 1, n. 58524 dell'11 dicembre 2018, Improta, Rv. 274661; Sez. 1, n. 41604 del 13 ottobre 2009, Zanetti, Rv. 245062; Sez. 6, n. 1785 del 7 aprile 2000, Miola, Rv. 217224; Sez. 5, n. 2862 del 9 gennaio 1998, Zagami, Rv. 209942). Essa ha ricevuto autorevole avallo anche dalla giurisprudenza costituzionale, per la quale «la problematica dell'errore di fatto, in iudicando o in procedendo, in cui sia incorso il giudice della cognizione in una sentenza divenuta irrevocabile, è estranea alla competenza del giudice dell'esecuzione» (Corte cost., ord. n. 14 del 2000; sentt. n. 413 del 1999 e n. 294 del 1995; ord. n. 28 del 1969).

3.3. L'indagine consentita dall'art. 670 c.p.p. è dunque focalizzata sulla mancanza del titolo esecutivo, intesa in senso materiale o giuridico, e sulla sua non esecutività.

La "inesistenza" del titolo, oltre ai casi di mancanza in senso oggettivo-naturalistico, è stata ravvisata allorché l'atto, per difetto di alcuni elementi strutturali che devono contraddistinguerlo, si pone totalmente fuori dal sistema, tanto da non essere ad esso riferibile, nel senso che è assolutamente inidoneo a produrre un qualsiasi effetto sia nell'ambito che al di fuori del processo e, in quanto tale, non è suscettibile di essere ricondotto ad alcuna delle categorie di vizi che determinano l'invalidità degli atti secondo la disciplina del codice di rito. Quale forma di patologia radicale, l'inesistenza supera persino lo sbarramento del giudicato ed il principio di tassatività, proprio delle nullità; può, pertanto, essere rilevata in qualsiasi momento attraverso un'azione di accertamento, che compete al giudice dell'esecuzione (Sez. 6, n. 3683 del 2000, Rizzo ed altro, Rv. 215844).

La giurisprudenza di legittimità ha ritenuto inesistenti: la sentenza emessa da soggetto che non appartenga all'ordine giudiziario, che sia privo di capacità, oppure la cui volontà sia stata coartata; la sentenza emessa da autorità giudiziaria straniera, non ancora riconosciuta (Sez. 6, n. 315 del 28 gennaio 1998, Caresana, Rv. 210374); quella pronunciata nei confronti di un minore non imputabile al momento del fatto (Sez. 1, n. 35 del 4 dicembre 2018, dep. 2019, B., Rv. 274644; Sez. 1, n. 31652 del 20 maggio 2014, D., Rv. 260283; Sez. 1, n. 5998 del 4 febbraio 2009, Bevilacqua, Rv. 243363; Sez. 5, n. 2874 dell'8 maggio 1998, Simic, Rv. 211364); il provvedimento privo nel dispositivo della statuizione decisoria su un capo di imputazione (Sez. 6, n. 39435 del 14 luglio 2017, Ammendola ed altri, Rv. 271710; Sez. 2, n. 29427 del 15 giugno 2011, Ferrari, Rv. 251027); la sentenza emessa dal giudice civile in un settore della giurisdizione riservato al giudice penale (Sez. un., n. 25 del 1999, confl. giurisdizione in proc. Di Dona, Rv. 214694) e quella pronunciata nei confronti di persona già deceduta al momento dell'esercizio dell'azione penale (Sez. 3, n. 1502 del 19 aprile 1990, Scicolone, Rv. 184294), oppure nei riguardi di persona inesistente (Sez. 5, n. 1471 dell'11 marzo 1994, Forcinelli, Rv. 198000).

3.4. La "non eseguibilità" del titolo è intesa quale inidoneità materiale o giuridica del provvedimento ad essere posto in esecuzione. Il sistema dell'esecuzione penale incentrato sul titolo esecutivo presuppone la formazione del giudicato che, ai sensi dell'art. 648 c.p.p., si realizza quando contro le sentenze pronunciate in giudizio non è ammessa impugnazione diversa dalla revisione, oppure quando l'impugnazione consentita non è proposta, o, se presentata, è dichiarata inammissibile o rigettata. Quanto al decreto penale di condanna, il giudicato si forma a seguito del decorso del termine per proporre opposizione o per impugnare l'ordinanza che abbia dichiarato inammissibile l'opposizione.

La consolidata elaborazione giurisprudenziale, i cui esiti sono stati riassunti e valorizzati dalla recente pronuncia delle Sezioni unite n. 3423 del 29 ottobre 2020, dep. 2021, Gialluisi, Rv. 280261, distingue tra autorità di cosa giudicata ed esecutività della decisione giudiziale. La prima è il risultato conseguente alla conclusione del processo nel suo sviluppo per gradi ed all'esaurimento del potere decisionale sulla regiudicanda, in modo tale da impedire che sul medesimo oggetto possa intervenire ulteriore pronuncia. L'autorità di cosa giudicata prescinde dalla concreta realizzabilità della pretesa punitiva dello Stato. La esecutività presuppone la formazione del titolo esecutivo e la definitività del provvedimento, che può riguardare tutte le sue componenti, oppure, in caso di annullamento parziale con rinvio della sentenza da parte della Corte di cassazione, un solo capo che abbia acquisito autorità di cosa giudicata e sia, quindi, immodificabile nel giudizio di rinvio quanto al giudizio di responsabilità ed alla determinazione della pena principale e che sia autonomo rispetto a quelli attinti dall'annullamento.

Dalla lettura coordinata degli artt. 624, 648 e 650 c.p.p. si desume che in linea generale l'esecutività del provvedimento discende dalla sua irrevocabilità, salvo che non sia diversamente disposto. La correlazione tra irrevocabilità ed esecutorietà del provvedimento può difettare quando esso, sebbene definitivo sul piano formale a seguito della conclusione del procedimento penale per mancata proposizione dell'impugnazione nel termine prescritto o per l'avvenuto esperimento con esito negativo dei mezzi di impugnazione, contiene un comando giurisdizionale non realizzabile. Secondo la lezione interpretativa delle Sezioni unite (Sez. un., n. 4460 del 19 gennaio 1994, Cellerini ed altri, Rv. 196890; Sez. un., n. 373 del 23 novembre 1990, dep. 1991, Agnese) la non coincidenza concettuale tra irrevocabilità ed esecutorietà o eseguibilità è apprezzabile nelle ipotesi di condanna a pena condizionalmente sospesa o dichiarata estinta per applicazione dell'indulto revocabile o condizionato, ovvero nei casi di differimento dell'esecuzione della pena detentiva previsti dagli artt. 146 e 147 c.p., oltre che più in generale nel periodo intermedio tra passaggio in giudicato e attuazione concreta della decisione.

3.5. Se l'eseguibilità è principalmente collegata al profilo dell'irrevocabilità del provvedimento giudiziale, quando il passaggio in giudicato della sentenza o del decreto penale di condanna è dipendente dalla sua mancata impugnazione, assume rilievo la verifica positiva della non imputabilità di tale inerzia della parte soccombente alla mancata conoscenza della esistenza della decisione. Nella prassi giudiziaria il principio ha trovato applicazione nei casi di: omessa o invalida notificazione alle parti dell'avviso del ritardato deposito della sentenza di cui all'art. 548, comma 2, c.p.p. (Sez. fer., n. 3144 del 4 settembre 2014, dep. 2015, Tripodo, Rv. 262040; Sez. 4, n. 39766 del 26 ottobre 2011, Franzé, Rv. 251927); mancata o invalida notificazione dell'estratto della sentenza all'imputato contumace, prescritto dall'art. 548, comma 3, c.p.p. (Sez. 1, n. 42911 del 2 ottobre 2013, Pricina, Rv. 257163; Sez. 1, n. 13616 dell'11 marzo 2009, Zarui, Rv. 243744); omessa o invalida notificazione del decreto penale di condanna all'imputato (Sez. 3, n. 11510 del 24 febbraio 2011, D'Agostino, Rv. 249759; Sez. 3, n. 4186 del 6 dicembre 1996, Armandi, Rv. 207456); invalida dichiarazione di irreperibilità del condannato ai sensi dell'art. 159 c.p.p. (Sez. 1, n. 1382 del 29 novembre 2005, Cheng, Rv. 234064; Sez. 1, n. 28996 del 28 giugno 2001, Donno, Rv. 219690).

Come osservato da attenta dottrina, in queste situazioni al giudice dell'esecuzione è demandata la verifica sulla esistenza e correttezza giuridica del procedimento notificatorio riguardante atti del percorso processuale finalizzato all'attuazione del comando giudiziale formalmente irrevocabile, atti che devono intervenire dopo la sua formazione e l'acquisizione del carattere di incontrovertibilità. In questi casi al giudice dell'esecuzione è attribuito il potere di riscontrare l'inesistenza o la nullità della notificazione e di disporne la rinnovazione, previa sospensione dell'intrapresa esecuzione ed eventuale scarcerazione del condannato, in modo che soltanto dalla rinnovazione della notificazione omessa o invalidamente compiuta decorrono i termini per proporre impugnazione.

Né può trarre in inganno la locuzione, contenuta nell'art. 670 c.p.p., laddove autorizza la disamina anche nel merito dell'osservanza delle garanzie previste nel caso di irreperibilità del condannato: come esplicitato nella Relazione al testo definitivo del codice di procedura penale del 1988 (pubblicata in G.U., 24 ottobre 1988, suppl. ord. n. 2, pag. 203), la disposizione consente il sindacato di legalità sulla dichiarazione di irreperibilità che resta confinato alla notificazione del provvedimento formalmente esecutivo, mentre è «escluso che possano venire in rilievo eventuali dichiarazioni relative a fasi processuali precedenti, la cui irritualità dovrà essere fatta valere in sede di impugnazione» (indicazione fatta propria da Sez. 1, n. 5003 del 14 luglio 1999, Egger, Rv. 214211; Sez. 1, n. 3517 del 15 giugno 1998, Maestroni, Rv. 211005).

Si conferma così la correttezza dell'opzione ermeneutica tradizionale ed accolta dagli interpreti, per la quale la giurisdizione esecutiva non ha il compito di emendare o integrare in via postuma il giudicato, ma di riscontrare la regolarità formale e sostanziale dell'esecuzione penale.

3.6. Una conclusione del genere non è contraddetta dall'indirizzo esegetivo che ha ammesso il ricorso all'incidente di esecuzione nei casi in cui il giudicato già formatosi debba essere aggredito per garantire tutela ai diritti di libertà individuali, stimati preminenti sull'esigenza di certezza e stabilità dei rapporti giuridici definiti, quando la loro perdurante compressione sia frutto di una norma di legge, anche diversa da quella incriminatrice, che sia stata abrogata, modificata in termini più favorevoli o dichiarata incostituzionale in un momento successivo alla sua applicazione nel giudizio di cognizione, nonché per conformarsi ai precetti della Convenzione europea dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali a seguito di sentenza di condanna della Corte sovranazionale nei confronti dello Stato italiano (Sez. un., n. 33040 del 26 febbraio 2015, Jazouli, Rv. 264205; Sez. un., n. 37107 del 26 febbraio 2015, Marcon, Rv. 264858; Sez. un., n. 42858 del 29 maggio 2014, Gatto, Rv. 260700; Sez. un., n. 18821 [d]el 24 ottobre 2013, dep. 2014, Ercolano, Rv. 258469).

Sono noti gli ulteriori sviluppi cui è approdata la giurisprudenza della Suprema Corte, pervenuta, in base ad una lettura costituzionalmente orientata, a riconoscere la possibilità che tramite l'incidente di esecuzione venga posto rimedio ad illegittimità in cui sia incorso il giudice della cognizione nell'irrogare immotivatamente sanzioni, principale o accessoria, difformi dalle previsioni di legge per specie o quantità (Sez. un., n. 47766 del 26 giugno 2015, Butera, Rv. 265108; Sez. un., n. 6240 del 27 novembre 2014, dep. 2015, B., Rv. 262327; Sez. 1, n. 26601 del 16 settembre 2020, Bucaria, Rv. 279579).

3.7. Resta comunque fermo che la giurisprudenza di questa Corte non ha mai ammesso che in sede di incidente di esecuzione possa attribuirsi rilievo a nullità endoprocedimentali che avrebbero dovuto essere fatte valere nel corso del giudizio di cognizione.

Nonostante, quindi, l'interpretazione estensiva dell'istituto dell'incidente di esecuzione abbia raggiunto esiti distanti dal tenore letterale dell'art. 670, comma 1, c.p.p., è rimasta immutata la tradizionale affermazione di principio, quasi totalitaria nelle pronunce di legittimità, secondo la quale con questo strumento non è consentito far valere forme di patologia degli atti processuali, nullità o inutilizzabilità, che siano occorse prima della formazione del giudicato, compresa la irregolare costituzione del rapporto processuale di cognizione: la relativa denuncia ad iniziativa della parte interessata o il relativo rilievo giudiziale devono avvenire durante il processo, attivando i mezzi d'impugnazione nei confronti della decisione che definisce il grado e che, per derivazione, ne è a sua volta inficiata. In difetto della deduzione con l'impugnazione, i vizi, pur sussistenti, restano sanati dall'irrevocabilità della decisione.

Il principio, in precedenza enunciato, ha trovato applicazione in caso di: nullità della notificazione effettuata al domicilio eletto presso lo studio del difensore rinunciante al mandato (Sez. 1, n. 5880 dell'11 dicembre 2013, dep. 2014, Amore, Rv. 258765); dichiarazione di contumacia erroneamente effettuata dal giudice di primo grado (Sez. 1, n. 4554 del 26 novembre 2008, dep. 2009, Baratta, Rv. 242791; Sez. 1, n. 37979 del 10 giugno 2004, Condemi, Rv. 229580); omessa comunicazione all'imputato della notifica dell'atto di citazione ricevuto dal difensore di fiducia domiciliatario (Sez. 1, n. 8776 del 28 gennaio 2008, Lasco, Rv. 239509); erronea indicazione del patrocinatore quale difensore d'ufficio, anziché di fiducia (Sez. 1, n. 19134 del 26 maggio 2006, Santarelli, Rv. 234224); nullità del decreto che dispone il giudizio (Sez. 6, n. 748 del 4 marzo 1998, Rosi, Rv. 210408); nullità del decreto che abbia dichiarato l'imputato irreperibile nel corso del processo di cognizione (Sez. 5, n. 36779 del 17 giugno 2008, Kraiem, Rv. 241952; Sez. 6, n. 41982 del 21 settembre 2004, Fava, Rv. 230220; Sez. 1, n. 5003 del 14 luglio 1999, Egger, Rv. 214211; Sez. 1 n. 3517 del 15 giugno 1998, Maestroni, Rv. 211025).

Le nullità conseguenti, pur se assolute ed insanabili, trovano il loro limite preclusivo nel perfezionarsi del giudicato (Sez. un., n. 24630 del 26 marzo 2015, Maritan, Rv. 263598).

La rassegna delle pronunce che hanno escluso la esperibilità dell'incidente di esecuzione a fronte della deduzione di ipotesi di nullità endoprocessuali, va completata con la citazione delle decisioni - del tutto compatibili con le prime - che hanno ammesso la possibilità di contestare la formazione del titolo esecutivo nei casi in cui la nullità dell'elezione di domicilio, operata dall'imputato nel processo di cognizione, si riscontri anche nel procedimento notificatorio dell'estratto contumaciale della sentenza di condanna, compiuto presso il medesimo domicilio eletto: il vizio rileva non in sé e nemmeno per avere prodotto i suoi effetti per derivazione sulla fase successiva alla pronuncia, secondo lo schema di propagazione di cui all'art. 185, comma 1, c.p.p., ma perché verificatosi nuovamente in un momento successivo alla formazione del giudicato (Sez. 1, n. 7430 del 17 gennaio 2017, Canalini, Rv. 269228; Sez. 1, n. 34115 dell'8 maggio 2015, Fernandez Garrido; Sez. 1, n. 42911 del 2 ottobre 2013, Pricina, Rv. 257163). Conformi decisioni sono state assunte nei confronti di condannato latitante in tema di notificazione dell'estratto della sentenza contumaciale (Sez. 1, n. 44988 del 10 giugno 2014, Buzi, Rv. 261129; Sez. 1, n. 30384 del 13 giugno 2019, Dushaj, Rv. 276606).

4. L'art. 670 c.p.p., sul piano sistematico, si colloca in un ordinamento processuale che nel suo impianto originario approntava un apparato di garanzie a tutela del soggetto condannato in contumacia, comprensivo del diritto di ottenere, ai sensi dell'art. 548 c.p.p., la notificazione dell'estratto della sentenza di condanna, quale condizione per la decorrenza dei termini per proporre impugnazione.

4.1. Il processo contumaciale assegnava rilievo alla regolarità formale delle notificazioni degli atti introduttivi del giudizio, fonte della presunzione di conoscenza legale del processo a prescindere dall'effettività della conseguita conoscenza reale, il cui difetto era deducibile soltanto mediante il rimedio dell'impugnazione tardiva della sentenza di primo grado, oppure, dopo il passaggio in giudicato della sentenza, con la richiesta di restituzione nel termine per impugnare. Strumenti che, senza eliminare la pronuncia emessa, affidavano ai gradi successivi la tutela della posizione del condannato, sul quale gravava comunque l'onere di dimostrare le ragioni della mancata partecipazione e conoscenza del procedimento.

4.2. Il sistema processuale così delineato e basato sul coordinamento fra incidente di esecuzione ex art. 670 c.p.p. e restituzione nel termine per impugnare di cui all'art. 175, comma 2, c.p.p., ha subito un progressivo mutamento, caratterizzato da passaggi successivi di graduale ampliamento delle garanzie riconosciute al condannato in contumacia.

La prima tappa di tale percorso è stata contrassegnata dall'adeguamento del legislatore italiano alle pronunce del giudice sovranazionale che avevano riscontrato il contrasto tra la disciplina della contumacia ed il diritto dell'imputato di partecipare al proprio processo e di esercitarvi le facoltà difensive (Colozza c. Italia, 12 febbraio 1985; F.C.B. c. Italia, 28 agosto 1991; Somogy c. Italia, 18 maggio 2004; Sejdovic c. Italia, 10 novembre 2004). Nel riaffermare la centralità della conoscenza della vocatio in iudicium quale presupposto di una consapevole scelta di non comparire in giudizio, la Corte EDU precisava, peraltro, che la conoscenza del processo, della natura e della cause dell'imputazione potevano essere desunte, pur in mancanza di una notifica personale all'imputato dell'atto di citazione, da taluni fatti estrinseci, idonei a dimostrare in maniera inequivoca la conoscenza aliunde dello stesso.

Per effetto di tali decisioni il d.l. 21 febbraio 2005, n. 17, convertito con modificazioni dalla l. 22 aprile 2005, n. 60, modificava il secondo comma dell'art. 175 c.p.p., subordinando la restitutio in integrum dell'imputato alle sole due condizioni che questi ne facesse richiesta e che non avesse già volontariamente rinunciato a comparire o ad impugnare.

La riforma si concentrava soltanto su due istituti: la restituzione nel termine (art. 175 c.p.p.) e le notificazioni con il dichiarato intento di assicurare al condannato che non risultasse, in maniera inequivoca, a conoscenza del processo a suo carico e che non avesse esplicitamente rinunciato a prendervi parte, di proporre impugnazione avverso la sentenza contumaciale e di rendere più probabile l'effettività della conoscenza del processo.

4.3. La nuova disciplina era oggetto di plurimi rilievi critici. Si osservava, infatti, che essa attribuiva eccessiva discrezionalità all'Autorità giudiziaria nel valutare l'effettività della conoscenza quale presupposto per una scelta consapevole in ordine alla comparizione e all'individuazione del soggetto (imputato o Autorità giudiziaria precedente) su cui gravava l'onere probatorio con evidenti ricadute sul diritto ad un giusto processo. Affidava, inoltre, allo strumento disciplinato dall'art. 175 c.p.p. la tutela pressocché esclusiva dell'imputato "assente involontario" e, in caso di accoglimento della domanda di restituzione nel termine, non garantiva con pienezza il diritto ad un nuovo processo che consentisse la facoltà del diritto alla prova ed un nuovo giudizio sul merito dell'accusa (Kollcaku c. Italia, 8 febbraio 2007). In senso conforme si pronunciava la Corte EDU, Sez. 1, del 1° settembre 2016, Huzuneanu c. Italia, riguardante un caso di ritenuta preclusione, da parte delle Sezioni unite della Corte di cassazione (n. 6026 del 31 gennaio 2008, Hunuzeanu, Rv. 238472), ad esperire il rimedio della restituzione nel termine per impugnare sentenza contumaciale da parte di imputato il cui difensore aveva già proposto impugnazione avverso la stessa sentenza, preclusione ravvisata in base al principio di unicità del diritto di impugnare ed a salvaguardia della ragionevole di durata del processo. La Corte di Strasburgo riteneva violato l'art. 6 CEDU, sia perché «i diritti della difesa di un imputato - che non si è sottratto alla giustizia e non ha rinunciato inequivocabilmente alle sue garanzie procedurali - non possono essere ridotti al punto da renderli inoperanti con il pretesto di garantire altri diritti fondamentali del processo, come il diritto al "termine ragionevole"» (§ 48), sia per la negazione al condannato in contumacia della «possibilità di ottenere una nuova decisione sulla fondatezza dell'accusa sia in fatto che in diritto, sebbene la sua assenza al processo non gli fosse imputabile» (§ 49).

4.4. Tali criticità sono all'origine del successivo passaggio evolutivo del sistema processuale italiano, realizzato mediante la definitiva abrogazione del giudizio contumaciale e la sua sostituzione con il processo in assenza, disciplinato dalla l. 28 aprile 2014, n. 67. Al fine di rafforzare il sistema di garanzie a favore dell'imputato e di assicurare che la sua mancata partecipazione al processo sia oggetto di determinazione volontaria e consapevole, quale condizione per assicurare l'equità del processo secondo le indicazioni della Corte EDU, si è abbandonato il meccanismo di conoscenza presuntiva, legato alla regolarità formale delle notificazioni. La novella ha subordinato la possibilità di celebrare il processo "in assenza" dell'imputato all'effettiva informazione sul contenuto dell'accusa, sulla pendenza del procedimento e sui tempi e luoghi della sua celebrazione. L'incertezza sulla conoscenza della citazione a giudizio ne comporta la sospensione e ne inibisce l'ulteriore corso, compresa la pronuncia della sentenza, sino al verificarsi di una delle ipotesi alternativamente previste dall'art. 420-quinquies c.p.p.

È compito, dunque, del giudice della cognizione, una volta condotta la verifica sulla regolare costituzione delle parti e, quindi, sulla validità del procedimento notificatorio degli atti introduttivi ai sensi dell'art. 420, comma 2, c.p.p., accertare la rituale instaurazione del contraddittorio e la corretta costituzione del rapporto processuale, in modo da garantire che la mancata partecipazione dell'imputato sia ascrivibile alla conoscenza del processo e ad una determinazione volontaria, in dipendenza della ricezione personale dell'atto di citazione in giudizio, oppure, secondo l'elencazione dell'art. 420-bis, comma 2, c.p.p., di situazioni definibili quali "indici di conoscenza".

Secondo quanto condivisibilmente affermato dalla pronuncia delle Sezioni unite, n. 23948 del 28 novembre 2019, dep. 2020, Ismail, Rv. 279420, che ha trattato approfonditamente il tema e di cui si raccolgono le riflessioni interpretative, l'intera configurazione normativa del processo in assenza postula che il giudice abbia acquisito la certezza della conoscenza, da parte dell'imputato, dell'accusa elevata e della data di udienza.

4.5. In coerenza con la mutata impostazione di fondo, l'enunciazione di principio dell'art. 420-bis c.p.p., per cui si procede in assenza se vi è stata rinuncia espressa dell'imputato a comparire o se ricorrono le situazioni previste dal secondo comma, riceve attuazione mediante altre disposizioni, in correlazione logica con esso, che prevedono strumenti riparatori, operanti in primo luogo nell'ambito delle varie fasi processuali in cui si articola il giudizio di cognizione. Tali strumenti, pur con diversa ampiezza di effetti, sono accomunati dall'essere basati sulla allegazione da parte dell'imputato della «incolpevole mancata conoscenza della celebrazione del processo», oppure, quando previsto, della «assoluta impossibilità di comparire per caso fortuito, forza maggiore o altro legittimo impedimento» e dalla finalità di impedire lo sviluppo ulteriore del rapporto processuale in situazioni di ignoranza incolpevole, intercettandolo prima della sua naturale conclusione e della formazione del giudicato. In tal modo si è inteso assicurare in ogni grado del processo l'effettiva conoscenza da parte dell'imputato e rendere più incisivo ed efficace il controllo giudiziale a partire dalla vocatio in iudicium sino al provvedimento conclusivo della singola fase. Pertanto, se l'imputato inizialmente assente compare nel corso del giudizio di primo grado ed offre la prova nei termini indicati dall'art. 420-bis, comma 4, c.p.p., ha diritto di produrre atti e documenti, di formulare richieste istruttorie e di chiedere la rinnovazione delle prove già assunte. Qualora la mancata incolpevole conoscenza del processo sia dedotta con l'atto di appello, a norma dell'art. 604, comma 5-bis, c.p.p. il giudice pronuncia l'annullamento della sentenza impugnata e restituisce gli atti a quello di primo grado per la rinnovazione del giudizio. Se poi i controlli attivabili nel corso del processo di cognizione non abbiano condotto all'eliminazione di patologie incidenti sulla consapevolezza della sua pendenza da parte dell'imputato, rimasto assente per tutto il suo corso, è prevista la possibilità di ottenere la rescissione del giudicato.

5. L'introduzione della rescissione del giudicato, dapprima disciplinato dall'art. 625-ter c.p.p., poi sostituito dall'art. 629-bis c.p.p., costituisce il punto di arrivo del percorso evolutivo descritto e ne riflette i principi ispiratori, in quanto istituto che non si limita, come già previsto dall'art. 175 c.p.p., a restituire nel termine per impugnare la sentenza emessa nel processo in cui l'imputato sia rimasto assente, ma gli garantisce la celebrazione di un nuovo giudizio, se la sua mancata partecipazione non sia stata volontaria. Nella lettura offertane dalle Sezioni unite con la sentenza n. 32848 del 17 luglio 2014, Burba, Rv. 259990, la rescissione del giudicato si pone quale mezzo di impugnazione straordinario e quale strumento di chiusura del sistema, dato che con essa è perseguito l'obiettivo del travolgimento del giudicato e dell'instaurazione ab initio del processo, quando si accerti la violazione dei diritti partecipativi dell'imputato.

Se ne trae conferma dai tratti qualificanti l'istituto e dal coordinamento tra l'art. 629-bis e l'art. 420-bis c.p.p.: il riconoscimento della legittimazione al solo condannato o sottoposto a misura di sicurezza con sentenza irrevocabile, che sia rimasto assente per tutto il corso del processo, per tale intendendosi colui che versi nella situazione prevista dal vigente art. 420-bis c.p.p., non quindi il contumace; l'attribuzione al giudice della verifica, sulla scorta della deduzione della parte, che l'assenza è stata o meno effetto della «incolpevole mancata conoscenza della celebrazione del processo», da condurre mediante la documentazione prodotta dall'istante con possibilità di un intervento integrativo, esercitabile anche d'ufficio, «per chiarire aspetti ambigui o colmare possibili lacune o verificare la rispondenza della documentazione esibita alla realtà processuale» (Sez. un., Burba, citata; Sez. 5, n. 31021 del 15 settembre 2020, Ramadze, Rv. 280137); gli effetti del rimedio in termini di revoca della sentenza, a significare la sua funzione di strumento per assicurare ex post, dopo la formazione del giudicato, il diritto dell'imputato di partecipare al processo a suo carico e di consentire una rinnovata valutazione in fatto ed in diritto dell'accusa con la piena attivazione delle facoltà difensive, comprensive anche dell'accesso ai procedimenti deflattivi del dibattimento.

6. La l. n. 67 del 2014 rivela il mutamento di prospettiva che ispira il processo "in assenza" anche sul piano della regolamentazione dei rimedi esecutivi tradizionali per avere eliminato il legame, operativo in fase esecutiva, tra incidente di esecuzione ex art. 670 c.p.p. e restituzione nel termine per impugnare di cui all'art. 175 c.p.p. ed avere drasticamente ridotto l'ambito di applicazione di quest'ultimo istituto.

Le riflessioni già esposte convincono della differenza concettuale, finalistica e regolamentativa dei due istituti a confronto: l'incidente di esecuzione (art. 670 c.p.p.); la rescissione del giudicato (art. 629-bis c.p.p.). Essi, seppur accomunati dall'essere rimedi giuridici proponibili dopo la definizione del processo di cognizione contro pronunce giudiziali irrevocabili, presentano caratteri distintivi, producono effetti autonomi e sono collocati in contesti sistematici differenti nell'ambito delle norme del codice di procedura penale. Il primo si pone quale istanza volta a sollecitare il controllo giurisdizionale sull'esecuzione, non è soggetto al rispetto di termini e di forme rigide di proposizione, a vincoli particolari di legittimazione e di contenuto, né impone oneri probatori all'istante ed è rimedio idoneo a paralizzare il corso del rapporto esecutivo, che può essere sospeso. Il secondo costituisce un'impugnazione straordinaria, ammessa in favore di una categoria specifica di legittimati, da presentare entro un termine perentorio e per ragioni specifiche e tassativamente delineate dalla norma processuale, attinenti al diritto dell'imputato di partecipare al processo, con onere di allegazione a carico del proponente e con l'effetto che, se accolto, la relativa decisione rimuove il giudicato e fa ripartire il processo dal primo grado, consentendo di formulare richiesta di ammissione di prove a discarico, di rinnovata acquisizione di prove già assunte e di accesso ai riti alternativi.

La loro coesistenza è, però, caratterizzata dalla progressiva sempre maggiore limitazione dell'ambito applicativo dell'art. 670 c.p.p., specie se si voglia far valere nullità incidenti sulla corretta instaurazione del rapporto processuale. Il sistema vigente ha i suoi referenti, quali punti di forza, negli artt. 420-bis, 604 e 629-bis c.p.p., perché è con i rimedi consentiti da tali disposizioni che si appresta tutela in tutti i casi in cui la mancata comparizione in giudizio dell'imputato non sia frutto di una scelta volontaria, conseguente alla rituale conoscenza del provvedimento di vocatio in iudicium (Sez. un. Ismail, citata; Se[z]. 5, n. 31201 del 15 agosto 2020, Ramadze, Rv. 280137).

7. Può a questo punto procedersi ad esaminare i termini del contrasto giurisprudenziale che ha portato ad investire le Sezioni unite.

7.1. In particolare, in opposizione all'orientamento costante di cui fra breve si parlerà, è stata di recente sostenuta la tesi secondo cui, tra le finalità dell'inciden[t]e di esecuzione, dovrebbe includersi, a seguito del superamento del procedimento contumaciale, quella di dare rilievo alle nullità endoprocessuali che non è stato possibile dedurre tempestivamente prima della formazione del giudicato.

A tale conclusione si perviene, muovendo da una considerazione preliminare. La coerenza del nuovo assetto normativo, introdotto dalla l. n. 67 del 2014, è stata altresì assicurata mediante l'eliminazione dell'adempimento della notificazione della sentenza all'imputato dichiarato contumace e la riformulazione dell'art. 175, comma 2, c.p.p., che nel testo attuale limita la possibilità di accordare la restituzione nel termine all'ipotesi del decreto penale di condanna a favore del condannato che non abbia avuto conoscenza del provvedimento al fine di consentirgli di proporre opposizione.

Dal mantenimento in termini invariati della formulazione dell'art. 670 c.p.p., pur a fronte dell'eliminazione della contumacia, dalla limitazione dello spazio applicativo della restituzione nel termine per proporre impugnazione e dall'ampliamento dei rimedi riparatori approntati a tutela dell'imputato non presente al processo nascono gli interrogativi che hanno dato luogo alla ordinanza di rimessione alle Sezioni unite. In particolare, è emersa come plausibile la deducibilità mediante incidente di esecuzione, ai sensi dell'art. 670, comma 1, c.p.p., di nullità assolute riguardanti la notificazione del decreto che dispone il giudizio nei confronti dell'imputato, in seguito rimasto assente in tutto il corso del processo e condannato con sentenza passata in giudicato, al fine di ottenerne l'accertamento di ineseguibilità. Il quesito trae origine proprio dalla constatata eliminazione della notificazione dell'estratto contumaciale della sentenza e dall'idea che tale eliminazione abbia anche determinato l'effetto di rendere non più deducibili quelle nullità endoprocessuali che, prima della riforma, avrebbero trovato spazio di deduzione "riproducendosi" sull'attività di notificazione dell'estratto contumaciale. Inoltre, il quesito trova ulteriore argomento nel limitato ambito di azionabilità della rescissione del giudicato che, secondo la sequenza delle verifiche da condurre nel giudizio di cognizione (artt. 420-bis e 484 c.p.p.), parrebbe essere consentita solo all'imputato legittimamente giudicato in assenza, ossia destinatario di regolari notifiche degli atti introduttivi, che, malgrado ciò, non abbia preso parte al processo, perché l'assenza è dipesa da incolpevole mancata conoscenza della sua celebrazione.

In altri termini, secondo tale prospettiva, poiché la regolarità della notificazione è presupposto e condizione di base per poter operare i successivi controlli, imposti dalla mancata comparizione dell'imputato, sarebbe possibile ammettere il condannato, erroneamente dichiarato assente a seguito di una nullità della notificazione del decreto che dispone il giudizio, non rilevata dal giudice, a far valere tale vizio soltanto mediante l'incidente di esecuzione e ciò al fine di impedire l'ingiustificata compressione del diritto ad un processo equo, comprensivo del diritto di prendervi parte personalmente (Sez. 5, n. 7818 del 27 novembre 2018, Viti, Rv. 275380).

In tal senso si sono espresse alcune pronunce della Prima Sezione penale. La sentenza n. 48723 del 18 ottobre 2019, Piccolo, Rv. 277822 (e la conforme in un caso analogo Sez. 1, n. 20989 del 23 giugno 2020, Barsotti, Rv. 279320) ha ritenuto ammissibile, seppur infondato, l'incidente di esecuzione, proposto per lamentare le violazioni di legge conseguenti all'abbandono della difesa nel processo di cognizione da parte del difensore di ufficio, in origine nominato, e la mancata designazione di un nuovo patrocinatore di ufficio, che assumesse la titolarità della difesa ai sensi dell'art. 97, comma 1, c.p.p. A fronte di una pluralità di nomine estemporanee di diversi difensori sostituti, di volta in volta reperibili ai sensi dell'art. 97, comma 4, c.p.p., la citata sentenza ha ritenuto che il vizio di nullità di ordine generale a regime intermedio non influisse sulla esecutività del titolo, poiché l'imputato aveva avuto conoscenza del processo mediante la notificazione del decreto che dispone il giudizio ed era rimasto assente per propria volontà, disinteressandosi del suo corso e del suo esito.

In termini più espliciti, anche se espressi in via soltanto incidentale ed in assenza di una disamina comparata e compiutamente argomentata tra i due istituti disciplinati dagli artt. 670 e 629-bis c.p.p., Sez. 1, n. 13647 del 12 febbraio 2019, Triglia, ha affermato che «sono estranee al tema della conoscenza del processo le questioni, regolate dall'articolo 420, comma 2, c.p.p., concernenti la regolare citazione delle parti, cui corrisponde correlativamente nella fase esecutiva il rimedio di cui all'articolo 670 c.p.p.».

Sez. 1, n. 16958 del 23 febbraio 2018, Esposito, Rv. 272604, ha sostenuto che la deduzione del vizio, consistente nella violazione del principio di «continuità ed effettività» della difesa, verificatosi nel processo di cognizione, può essere effettuata anche mediante incidente di esecuzione, in quanto interferente con la formazione del giudicato, perché, «incidendo in modo determinante sulla assistenza tecnica dell'imputato», finisce per compromettere l'autonoma facoltà di impugnazione spettante al difensore. Nel caso concreto affrontato dalla citata decisione, alla rinuncia espressa al mandato da parte dell'originario difensore di fiducia dell'imputato non era seguita la prescritta nomina di un difensore di ufficio ai sensi dell'art. 97, comma 1, c.p.p., ma solo nomine officiose, di carattere estemporaneo, di difensori immediatamente reperibili ai sensi dell'art. 97, comma 4, del codice di rito.

Anche la Sezione Quarta penale, con la sentenza n. 50571 del 14 novembre 2019, Fabiani, Rv. 278441, ha espresso convincimento innovativo per avere affermato che l'istanza di restituzione nel termine per l'impugnazione, fondata sull'omessa notifica al difensore di fiducia del decreto di citazione diretta a giudizio, deve essere qualificata come incidente di esecuzione, perché la restituzione in termini presuppone la ritualità dell'atto a cui è legato il termine scaduto per impugnare.

7.2. La maggioranza delle più recenti pronunce della Suprema Corte è, invece, concorde nel ribadire l'orientamento tradizionale, formatosi prima che fosse introdotto il processo in assenza. In tal senso: Sez. 1, n. 12823 del 13 febbraio 2020, Lozzi, ha escluso la rilevanza, ai fini della contestazione sulla valida formazione del titolo esecutivo, della nullità derivante dalla designazione di difensori d'ufficio, via via diversi per ciascuna udienza, dopo che quello originariamente nominato aveva comunicato la sua cancellazione dalle liste dei difensori di ufficio, con conseguente abbandono della difesa. Sez. 1, n. 3265 del 7 maggio 2020, Kassimi, ha ritenuto che la deduzione del vizio di incompetenza funzionale del giudice ordinario a giudicare reati commessi dall'imputato all'epoca minore di età riguarda un'ipotesi di nullità assoluta, da dedurre col rimedio della revisione. Sez. 1, n. 1812 del 17 dicembre 2019, Ahmetovic ha affermato che la nullità della notifica all'imputato del decreto di fissazione dell'udienza del processo di appello, effettuata al precedente difensore di ufficio in forza di elezione di domicilio successivamente sostituita da altra, non può essere dedotta con l'incidente di esecuzione ai sensi dell'art. 670 c.p.p., ma soltanto col ricorso per cassazione avverso la sentenza. Sez. 1, n. 10877 del 17 gennaio 2020, Sallaku, si è pronunciata sulla non deducibilità con incidente di esecuzione del vizio del consenso, prestato dall'imputato a definire il processo con sentenza di patteggiamento, per mancata conoscenza dell'inutilizzabilità di alcuni atti compiuti dopo la scadenza del termine delle indagini preliminari; Sez. 1, n. 31051 del 22 maggio 2018, Buzzo, ha escluso che possa essere fatta valere ai sensi dell'art. 670 c.p.p. la nullità della citazione a giudizio dell'imputato dichiarato assente per omessa notifica dell'atto al domicilio eletto presso il difensore di fiducia al momento della sottoposizione a misura cautelare, vizio da far valere con i mezzi d'impugnazione, compreso il ricorso per rescissione del giudicato.

8. Le Sezioni unite ritengono che l'indirizzo espresso dalla posizione prevalente della giurisprudenza di legittimità meriti conferma. Una volta precisata la differente natura giuridica dell'incidente di esecuzione e della rescissione del giudicato e la relazione di non interferenza reciproca, deve escludersi che, tramite le contestazioni sul titolo esecutivo secondo la previsione dell'art. 670 c.p.p., possano farsi valere nullità assolute, verificatesi nella fase introduttiva del giudizio di cognizione nei confronti dell'imputato o del suo difensore, la cui deduzione o il cui rilievo d'ufficio sono preclusi dall'irrevocabilità della decisione, che definisce il procedimento. La struttura testuale della disposizione e la sua funzione non consentivano in precedenza e non consentono tuttora, dopo l'introduzione della regolamentazione della disciplina del processo in assenza in luogo di quello contumaciale, di pervenire ad un diverso risultato ermeneutico.

8.1. Va piuttosto recepito l'orientamento secondo cui l'art. 629-bis c.p.p. si pone in stretta correlazione con le previsioni dell'art. 420-bis c.p.p. e offre una forma di tutela all'imputato non presente fisicamente in udienza, mediante la possibilità di proposizione di un mezzo straordinario di impugnazione, che realizza la reazione ripristinatoria del corretto corso del processo per situazioni di mancata partecipazione del soggetto accusato, in dipendenza dell'ignoranza incolpevole della celebrazione del processo stesso, che non siano state intercettate e risolte in precedenza in sede di cognizione. Ignoranza che non deve essere a lui imputabile, né come voluta diserzione delle udienze, né come colposa trascuratezza e negligenza nel seguirne il procedere.

La correttezza di siffatta impostazione discende dalla formulazione testuale dell'art. 629-bis, che non contiene una tipizzazione, né indicazioni esemplificative degli eventi all'origine della situazione fattuale di assenza incolpevole e dal rilievo che l'art. 420-bis, comma 4, c.p.p., laddove prevede la revoca dell'ordinanza che dispone di procedere in assenza a fronte di determinate evenienze, dedotte dall'imputato, al fine di garantire che il processo in assenza sia legittimamente condotto, implica che tutti i meccanismi di controllo abbiano operato con efficacia prima della declaratoria di assenza e che prima ancora siano stati regolarmente compiuti gli accertamenti sulla costituzione delle parti, secondo l'ordine sequenziale di verifiche, stabilito dall'art. 420, comma 2, c.p.p. Tuttavia, sia lo scrupoloso compimento dei controlli preliminari funzionali alla dichiarazione di assenza, sia la loro conduzione in modo non corretto, possono dar luogo al verificarsi di situazioni concrete, nelle quali l'imputato sia stato privato incolpevolmente della possibilità di conoscere la celebrazione del processo.

Secondo l'interpretazione dell'istituto della rescissione del giudicato, offerta dalla citata sentenza Sez. 5, n. 31201 del 15 settembre 2020, Ramadze, che le Sezioni unite condividono, «l'art. 629-bis c.p.p. attribuisce al giudice della rescissione il compito di valutare la sintomaticità dei comportamenti tenuti dall'imputato rimasto assente nel corso dell'intero processo, specie nel caso in cui abbia avuto cognizione della pendenza del procedimento, senza instaurare alcun automatismo in riferimento alle condizioni che, ai sensi dell'art. 420-bis c.p.p. autorizzano il giudice della cognizione a procedere in sua assenza». In altri termini, l'art. 629-bis è esperibile a prescindere dalla correttezza degli accertamenti condotti in fase di cognizione per procedere in assenza, con la conseguenza che, al di fuori di ogni presunzione, anche l'imputato dichiarato assente nel rispetto delle prescrizioni di cui all'art. 420-bis c.p.p. è legittimato ad allegare l'ignoranza del processo a lui non imputabile. In questa prospettiva ermeneutica, non soltanto si conferma la coerenza dell'istituto con i principi costituzionali e convenzionali, ma gli si riconosce utilità pratica ed uno spazio di applicabilità, che consentono di superare i dubbi della Sezione remittente e di escludere che il pregiudizio subito per la mancata partecipazione al processo si debba far valere mediante l'incidente di esecuzione.

8.2. L'interpretazione letterale dell'art. 629-bis c.p.p. consente di affermare che il rimedio è utilizzabile anche nei casi in cui la declaratoria di assenza sia stata preceduta da notificazioni dell'atto di citazione a giudizio, inficiate da nullità assoluta - non rilevate nel processo di cognizione - che abbiano pregiudicato l'informazione sull'esistenza del processo e sulla fissazione dell'udienza e non abbiano consentito al destinatario di scegliere se parteciparvi o meno.

Al medesimo risultato si perviene in base al criterio teleologico. La considerazione della finalità dell'istituto della rescissione, che assegna centralità alla mancanza di prova della reale conoscenza del processo da parte dell'imputato che non vi abbia presenziato e di approntare tutela a chi sia stato involontariamente assente, conferma la possibilità di ricorrervi in tutti i casi in cui la mancata partecipazione non sia stata addebitabile a libera determinazione e non abbiano operato i meccanismi preventivi, attivabili nel giudizio di cognizione prima dell'irrevocabilità del provvedimento di condanna, evenienza verificabile, sia a fronte della legittima dichiarazione di assenza, nel rispetto delle disposizioni degli artt. 420-bis e ss. c.p.p., che però non sia assistita dalla effettiva conoscenza del processo, sia quando l'assenza sia stata ritenuta dal giudice per effetto di erronea considerazione degli atti processuali e del mancato rilievo di eventuali nullità realmente occorse.

Questa conclusione è già stata espressa, seppur in via incidentale, nella sentenza delle Sezioni unite Ismail, laddove si è osservato che con il ricorso per rescissione del giudicato non può escludersi «che venga dedotto l'errore di valutazione del giudice nel considerare la parte a conoscenza della chiamata in giudizio...». Essa è, inoltre, compatibile con gli ampi poteri cognitivi, conferiti al giudice funzionalmente competente a decidere sulla rescissione, cui sono demandati controlli non solo formali, ma anche sostanziali, sui dati fattuali dai quali desumere la conoscenza della celebrazione del processo, senza incontrare limitazioni nella conduzione dell'accertamento, non rinvenibili nella disciplina testuale.

Un diverso approdo interpretativo - come quello rappresentato dalla Sezione remittente - che negasse legittimazione ad ottenere di rescindere il giudicato a chi sia stato per errore giudiziale dichiarato assente, nonostante la nullità assoluta ed insanabile della citazione, condurrebbe ad esiti irrazionali, priverebbe di tutela il condannato che abbia subito tra le più gravi forme di violazione del diritto di difesa; ciò in contrasto con gli obiettivi perseguiti con la introduzione dell'istituto di cui all'art. 629-bis c.p.p. e con le modifiche apportate nel tempo al processo penale per adeguarlo ai canoni del giusto processo, come interpretati dalla Corte EDU.

8.3. Anche sul piano dell'interpretazione convenzionalmente orientata la lettura proposta è aderente all'esigenza di apprestare meccanismi efficaci e realmente restitutori di facoltà perdute nella fase dei controlli volti a garantire la posizione dell'imputato non presente al processo ed i suoi diritti fondamentali e rende il rimedio della rescissione del giudicato perfettamente adeguato e funzionale rispetto a tale finalità, senza imporre torsioni interpretative del diverso strumento dell'incidente di esecuzione.

La giurisprudenza della Corte EDU, le cui linee evolutive sono state oggetto di una puntuale rassegna nella sentenza delle Sezioni unite Ismail, non riconosce ostacoli di principio alla celebrazione del processo senza la partecipazione dell'imputato, ma, per assicurare il rispetto dell'art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, esige la certa conoscenza del processo da parte dell'imputato e la sua inequivoca e non presunta rinuncia a presenziarvi. Pretende altresì che al soggetto condannato "in assenza" e rimasto privo di conoscenza della condanna sia consentito di ottenere che una giurisdizione statuisca nuovamente, dopo averlo sentito e nel rispetto dei diritti convenzionali, sul merito dell'accusa (C. EDU, Grande Camera, 1° marzo 2006, Sejdovic c. Italia, § 82).

In tal senso milita nell'ambito delle fonti convenzionali, in primo luogo, la Raccomandazione n. 11, adottata nel 1975 dal Comitato dei Ministri degli Stati membri del Consiglio d'Europa, per la quale un processo senza imputato è legittimo se l'accusato, non sottrattosi alla giustizia, sia stato effettivamente raggiunto in tempo utile da una citazione, se non sussistano elementi da cui presumere un suo impedimento a comparire ed a condizione che gli sia riconosciuto il diritto alla ripetizione del processo, qualora la sua assenza e l'omessa citazione siano dipese da una causa indipendente dalla sua volontà. In secondo luogo, viene in rilievo la Direttiva 2016/343/EU del 9 marzo 2016 sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo: essa prescrive che gli Stati membri garantiscano che «gli indagati o imputati, una volta informati della decisione, in particolare quando siano arrestati, siano informati anche della possibilità di impugnare la decisione e del diritto a un nuovo processo o a un altro mezzo di ricorso giurisdizionale, in conformità dell'art. 9» (art. 8, § 4).

In conclusione può affermarsi che gli effetti di demolizione del giudicato e di rinnovazione del processo, propri della rescissione ex art. 629-bis c.p.p. - certamente più ampi nel recupero delle facoltà difensive rispetto alla restituzione nel termine di cui all'art. 175, comma 2, c.p.p. (per i residui ambiti di applicazione, cfr. par. 8.6) ed alla declaratoria di ineseguibilità del titolo ai sensi dell'art. 670 c.p.p. -, si prestano perfettamente ad assolvere allo scopo di tutelare il condannato anche nella prospettiva convenzionale, quando la sua assenza sia stata incolpevole, perché eventualmente determinata da nullità assoluta ed insanabile che abbia colpito la notificazione del decreto che dispone il giudizio: proprio come verificatosi nella vicenda della ricorrente Valentina L., che mai aveva ricevuto notizia del processo celebrato nella sua assenza, perché il relativo atto introduttivo era stato notificato al difensore, eletto quale suo domiciliatario per altro procedimento penale, quindi sulla base di una indicazione di domiciliazione priva di efficacia per il presente giudizio.

8.4. Alla soluzione prospettata potrebbe obiettarsi, come si legge nell'ordinanza di rimessione della Prima Sezione penale, che per tale via si finisce per rende superfluo il mantenimento nell'ordinamento delle disposizioni dell'art. 670 c.p.p., superate dalla disciplina sul processo in assenza.

L'assunto non è condivisibile. Ad avviso delle Sezioni unite, la considerazione testuale e sistematica dell'attuale contesto normativo indica tuttora uno spazio di autonoma rilevanza e di utilità processuale dell'incidente di esecuzione, volto a contestare la non esecutorietà del titolo, quando si deducano: a) vizi attinenti alla notificazione del decreto penale di condanna; b) vizi di omessa o illegittima notificazione dell'avviso di ritardato deposito della sentenza ai sensi dell'art. 548, comma 2, c.p.p.; c) vizi di omessa o illegittima notificazione dell'estratto della sentenza di condanna, emessa nei confronti dell'imputato contumace, ex art. 548, comma 3, c.p.p., il cui processo resta soggetto alla previgente regolamentazione, perché pronunciata prima dell'introduzione dell'"assenza" e della disciplina transitoria di cui all'art. 15-bis della l. 11 agosto 2014, n. 118 (Sez. 1, n. 1552 del 12 novembre 2018, Guerrazzi, Rv. 274795; Sez. 1, n. 21735 del 22 dicembre 2017, dep. 2018, Domanico; Sez. 1, n. 8654 del 21 dicembre 2017, dep. 2018, Frezza, Rv. 272411; Sez. 1, n. 20485 dell'8 marzo 2016, Sannino, Rv. 266944).

8.5. In base alle considerazioni sinora svolte, anche il terzo comma dell'art. 670 c.p.p. ha un ambito di applicazione ridotto, limitato all'ipotesi in cui il titolo sia costituito dal decreto penale di condanna, il destinatario non ne abbia avuto tempestivamente effettiva conoscenza ed intenda proporre opposizione. È questo l'unico caso per il quale il comma 2 dell'art. 175 c.p.p., come riformulato dalla l. n. 67 del 2014, contempla ancora la restituzione nel termine per proporre impugnazione e che, a sua volta, giustifica il permanente significato dell'art. 670, comma 3, c.p.p.

8.6. La disposizione dell'art. 175, comma 2, c.p.p. nel testo previgente conserva un residuo spazio applicativo in relazione ai procedimenti contumaciali trattati e definiti nei gradi di merito prima dell'entrata in vigore della l. n. 67 del 2014, poiché la «nuova disciplina sul procedimento in assenza, e in particolare il rimedio della rescissione del giudicato di cui all'art. 625-ter c.p.p., si rivolge espressamente a regolare gli effetti di atti processuali posteriori alla sua entrata in vigore, con la conseguenza che a regolare gli effetti degli atti processuali precedenti non possono che provvedere le disposizioni vigenti al momento della loro verificazione» (Sez. un., Burba, cit.; Sez. 5, n. 10433 del 31 gennaio 2019, Donati, Rv. 277240).

Infine, la rassegna degli strumenti di garanzia a tutela dell'imputato non presente al processo si completa con la possibilità di un'ulteriore applicazione dell'art. 175, comma 1, c.p.p. nei casi in cui l'assenza incolpevole abbia riguardato non l'intero corso del processo, ma il solo grado di appello, per effetto di vizi riguardanti la notificazione degli atti introduttivi del giudizio. Questa Corte con la sentenza Sez. 5, n. 29884 del 15 settembre 2020, Nocera, ha ritenuto ammissibile l'istanza di restituzione nel termine per impugnare la sentenza di appello e l'ha accolta a ragione della ravvisata situazione di caso fortuito o forza maggiore (art. 175, comma 1, c.p.p.), che aveva impedito ad imputato e difensore di partecipare al processo di appello e di avere conoscenza della sentenza che l'aveva definito. Ha, altresì, condiviso il prospettato impedimento ad esperire il rimedio della rescissione del giudicato, perché l'assenza si era verificata soltanto in un grado e non per tutto il corso del processo.

La conclusione e l'iter logico-giuridico che la sorregge meritano adesione perché, nell'apprezzabile sforzo di assicurare adeguata tutela all'imputato rimasto assente non per propria libera scelta in un solo segmento dello sviluppo del rapporto processuale, mostra corretta considerazione dei limiti applicativi dell'istituto disciplinato dall'art. 629-bis c.p.p. ed al contempo individua una via praticabile ed efficace per assicurargli la possibilità di impugnare la sentenza di cui non ha avuto notizia.

9. In conclusione, deve essere enunciato il seguente principio di diritto:

«il condannato con sentenza pronunciata in assenza che intenda eccepire nullità assolute ed insanabili, derivanti dall'omessa citazione in giudizio propria e/o del proprio difensore nel procedimento di cognizione, non può adire il giudice dell'esecuzione per richiedere ai sensi dell'art. 670 c.p.p., in relazione ai detti vizi, la declaratoria della illegittimità del titolo di condanna e la sua non esecutività.

Può, invece, proporre richiesta di rescissione del giudicato ai sensi dell'art. 629-bis c.p.p., allegando l'incolpevole mancata conoscenza della celebrazione del processo che possa essere derivata dalle indicate nullità».

10. Composto nei termini sopra esposti il contrasto sul tema principale, in discussione nel processo, deve essere esaminata l'ulteriore questione, che verte sulla possibilità di riqualificare quale istanza di rescissione del giudicato la richiesta del condannato formulata ai sensi dell'art. 670 c.p.p., perché sia dichiarata la non esecutività della sentenza resa nei suoi confronti.

10.1. Già la Sezione rimettente ha riscontrato, con riferimento al caso in esame, che la relativa disamina non è imposta dalle deduzioni articolate in ricorso. In effetti nel caso specifico non vi è nessuno spazio per ammettere un'eventuale operazione di diversa qualificazione giuridica dell'istanza anche nell'ottica convenzionale di garantire alla condannata l'accesso, nella massima latitudine possibile, agli strumenti giuridici di reazione al giudicato sfavorevole. La ricorrente, infatti, di sua iniziativa, come già osservato in precedenza, aveva rivolto istanza di rescissione del giudicato alla Corte di cassazione, che l'aveva dichiarata inammissibile per tardiva proposizione prima ancora che il Tribunale di Pordenone si pronunciasse con l'ordinanza impugnata, peraltro anche trasmettendo, come si è visto, l'istanza introduttiva alla Corte di appello di Brescia, che l'aveva dichiarata irricevibile.

Tuttavia la tematica ha rilevanza generale e richiede un intervento chiarificatore da parte delle Sezioni unite, posto che essa ha ricevuto difformi risposte da parte delle Sezioni semplici.

10.2. Per la soluzione che nega ogni possibilità di riqualificare l'incidente di esecuzione in istanza di rescissione del giudicato o viceversa si sono pronunciate Sez. 1, n. 39321 del 18 luglio 2017, Hercules, Rv. 270840, nonché numerose altre sentenze precedenti e successive (Sez. 1, 12713 del 28 febbraio 2020, Borrelli; Sez. 1, n. 5042 del 7 maggio 2019, dep. 2020, Marcello, in motivazione; Sez. 2, n. 25777 dell'8 luglio 2020, Gori; Sez. 3, n. 22583 del 15 gennaio 2019, Islami; Sez. 1, n. 39881 del 6 giugno 2018, Marangi; Sez. 1, n. 31051 del 22 maggio 2018, Buzzo; Sez. 6, n. 10000 del 14 febbraio 2017, De Maio, Rv. 269665; Sez. 3, n. 19006 del 14 gennaio 2015, Lazar, Rv. 263510; Sez. 1, n. 23426 del 15 aprile 2015, Lahrach, Rv. 263794). Tali decisioni si basano sulla eterogeneità dei due istituti per natura e funzione, tale da escludere la riconducibilità dell'incidente di esecuzione alla categoria delle impugnazioni, cui, invece, appartiene la rescissione del giudicato. Con la conseguente non operatività del disposto dell'art. 568, comma 5, c.p.p.

In consapevole contrasto si è posta la sentenza Sez. 5, n. 7818 del 27 novembre 2018, dep. 2019, Viti, Rv. 275380, per la quale la conversione deve consentirsi quando sia dedotta la nullità della notificazione del decreto di citazione, tale da inficiare anche la sentenza di condanna, prospettandosi in tali termini una questione sulla corretta formazione e validità del titolo esecutivo. A fondamento di tale posizione si è argomentato che la già riconosciuta possibilità di operare la conversione tra un mezzo di impugnazione ed un atto che non ha strettamente tale natura, ma che può essere riqualificato in senso lato impugnatorio, si giustifica in nome del principio generale di conservazione degli atti giuridici e del principio del favor impugnationis, che riceve applicazione in tutti i gradi del processo ed anche nella fase cautelare.

10.3. Tale secondo orientamento, assolutamente minoritario ed isolato nel panorama delle pronunce di legittimità, in primo luogo è stato già smentito da Sez. un. Burba, che sul piano generale ha escluso ogni possibilità di riqualificare la richiesta di rescissione del giudicato come restituzione nel termine ed anche quale incidente di esecuzione, tenuto conto del differente oggetto giuridico dei rimedi in questione.

In ogni caso, il principio affermato dalla sentenza Viti non appare condivisibile, perché omette di affrontare il nodo pregiudiziale della natura giuridica dell'incidente di esecuzione, che risolve definendola genericamente "impugnatoria in senso lato", senza peraltro fornire giustificazioni valutabili sul piano dogmatico e normativo.

Per contro, è assolutamente pacifico in giurisprudenza, e condiviso da larga parte della dottrina, che i due rimedi differiscono per petitum e per effetti conseguibili nei termini che sono già stati illustrati ai paragrafi precedenti, il che esclude in radice che possa trovare applicazione il criterio conservativo dettato dall'art. 568, comma 5, c.p.p.

L'art. 568, comma 5, c.p.p. stabilisce che «l'impugnazione è ammissibile indipendentemente dalla qualificazione ad essa data dalla parte che l'ha proposta. Se l'impugnazione è proposta a un giudice incompetente, questi trasmette gli atti al giudice competente». Non è dunque evocata in modo pertinente quale referente normativo, perché espressiva non di una regola di applicazione generalizzabile per ogni istituto giuridico, ma valevole per il solo settore delle impugnazioni in riferimento a provvedimento impugnabile e per rimediare ad eventuali errori di denominazione del nomen iuris in cui sia incorso il proponente che abbia manifestato la volontà di chiedere la rivalutazione e la modifica della decisione sfavorevole, consentendo al giudice competente di operare la corretta qualificazione giuridica dell'atto.

Per tali ragioni, il tema della riferibilità del principio di conservazione dell'atto giuridico, come sancito dall'art. 568, comma 5, c.p.p., a rimedi non omogenei, quali appunto un mezzo di impugnazione e l'incidente di esecuzione, ha già ricevuto soluzioni contrarie da parte delle Sezioni unite, con le sentenze n. 27 del 24 novembre 1999, dep. 2000, Magnani, Rv. 215212, e n. 36848 del 17 luglio 2014, Burba, cit., seguite da altre successive decisioni conformi (Sez. 3, n. 36372 del 18 giugno 2015, Giusti, Rv. 264733; Sez. 4, n. 29246 del 18 giugno 2013, Portokalski, Rv. 255464; Sez. 3, n. 10409 del 16 gennaio 2020, El Bouhmi, Rv. 278773).

10.4. Va poi richiamata la lezione interpretativa espressa dalle Sezioni unite con la sentenza n. 45371 del 31 ottobre 2001, Bonaventura, Rv. 220221, citata anche dalla sentenza Viti, ma senza rispettarne l'indirizzo nomofilattico, che, in un caso di appello proposto avverso sentenza inappellabile, ma soltanto ricorribile per cassazione, in motivazione (punto 4) ha affermato: «la regola di cui all'art. 568/5° c.p.p., la cui matrice va ricercata nel principio "di conservazione dei valori del mondo del diritto" dei quali fa parte l'impugnazione, attiene alla esatta "qualificazione" dell'atto che abbia esistenza giuridica come manifestazione di volontà avente i caratteri minimi necessari per essere riconoscibile in relazione al tipo funzionale e, solo in senso improprio, può parlarsi di "conversione", come peraltro già chiarito da queste Sezioni unite con la sentenza 24 novembre 1999 "Magnani"».

La conversione in senso tecnico, infatti, ricorre nei seguenti casi: proposizione, in riferimento al medesimo provvedimento giudiziale, di distinti rimedi giuridici di natura impugnatoria (art. 580 c.p.p.) al fine di evitare decisioni contrastanti; rinuncia all'appello entro quindici giorni dalla notifica del ricorso per cassazione delle altre parti che hanno proposto tale impugnazione in caso di processo cumulativo (art. 569, comma 2, c.p.p.) con conseguente conversione dell'appello in ricorso e possibilità di presentare entro i successivi quindici giorni motivi nuovi al fine di integrare l'appello con i requisiti propri del ricorso; conversione in appello del ricorso immediato per cassazione (art. 569, comma 3, c.p.p.) nell'ipotesi che siano state dedotte censure, non rientranti tra i motivi deducibili col ricorso diretto, perché attinenti alla mancata assunzione di una prova decisiva o alla assenza o manifesta illogicità della motivazione.

La correttezza di tali rilievi dimostra che è improprio parlare non solo di riqualificazione, ma anche di conversione del mezzo d'impugnazione al di fuori dei casi previsti in via tassativa dal legislatore quando, come nella presente vicenda, non concorrano in via simultanea distinti rimedi impugnatori proposti per avversare uno stesso provvedimento giudiziale, ma sia stato esperito un unico strumento, potenzialmente riferibile a diversi modelli legali.

11. In continuità con le decisioni che alimentano l'orientamento dominante va affermato il seguente principio di diritto:

«la richiesta formulata dal condannato perché sia dichiarata la non esecutività della sentenza ai sensi dell'art. 670 c.p.p. in ragione di nullità che abbiano riguardato la citazione a giudizio nel procedimento di cognizione, non è riqualificabile come richiesta di rescissione del giudicato ai sensi dell'art. 568, comma 5, c.p.p.».

12. Passando all'esame delle censure formulate dalla ricorrente, le considerazioni già svolte indicano la correttezza giuridica della decisione assunta dal Tribunale di Pordenone, che, con congrua motivazione, ha ritenuto non deducibili con lo strumento dell'incidente di esecuzione, utilizzato dalla condannata, questioni precluse dall'avvenuta formazione del giudicato. Gli argomenti illustrati in ricorso sono privi di fondamento e di reale capacità confutativa, perché lamentano un deficit di tutela in pregiudizio della condannata, inconsapevole del processo e rimasta priva di assistenza tecnica da parte del difensore prescelto, senza considerare l'erroneità del rimedio esperito e la già avvenuta attivazione con esito sfavorevole di quello della rescissione, da queste Sezioni unite stimato il solo corretto ed adeguato.

Ne discende il rigetto del ricorso, cui segue di diritto la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Depositata il 23 aprile 2021.