Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana
Sentenza 1° ottobre 2020, n. 853

Presidente: De Nictolis - Estensore: Bufardeci

FATTO E DIRITTO

1. C. Massimiliana ha impugnato in appello la sentenza in forma semplificata del Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia, sezione staccata di Catania, n. 1740/2017 con la quale è stato respinto il suo ricorso proposto per l'annullamento, previa adozione di idonea misura cautelare del D.D.S. n. 1072 del 20 marzo 2017, emesso dalla Regione Siciliana, dipartimento beni culturali e dell'identità siciliana, servizio tutela, notificato il 3 maggio 2017 a mezzo del servizio postale, per il pagamento della somma di euro 11.223,05 a titolo di indennità pecuniaria ex art. 167 d.lgs. n. 42/2004, come sostituito dall'art. 27 del d.lgs. n. 157/2006, nonché di tutti gli atti a tale comunque preliminari, connessi, coordinati e conseguenti.

2. Il Giudice di prime ha disatteso le doglianze mosse dalla ricorrente incentrate sulla intervenuta prescrizione del diritto a riscuotere la sanzione amministrativa, per decorso del termine quinquennale ex art. 28 l. n. 689/1981 dal momento in cui l'autore dell'abuso ha ottenuto le prescritte autorizzazioni (concessione edilizia in sanatoria).

Il Tribunale ha affermato che la natura giuridica del titolo giuridico, posto a fondamento dell'ingiunzione emessa ex art. 167 d.lgs. n. 42/2004, va inquadrata in termini di indennità risarcitoria (e non come vera e propria sanzione amministrativa) e ciò "valorizzando i seguenti elementi contenuti testualmente nell'art. 167 d.lgs. n. 42/2004: 1) nella rubrica l'indennità in questione viene qualificata come "indennità pecuniaria", e non come sanzione, e ciò è confermato dalle previsioni riguardo all'utilizzazione delle relative somme ("finalità di salvaguardia, interventi di recupero dei valori paesaggistici e di riqualificazione delle aree degradate"); 2) la somma ivi prevista è espressamente volta a tutelare l'interesse alla protezione dei beni indicati nell'art. 134; 3) in punto di commisurazione, la somma è equivalente al maggiore importo tra il danno arrecato e il profitto conseguito mediante la trasgressione".

Il Tribunale ha pure affermato che, "attesa la natura e la funzione dell'indennità prevista dall'art. 15 l. 29 giugno 1939, n. 1947 (oggi art. 167 d.lgs. n. 42/2004)", "solo con l'atto di pagamento, secondo la misura determinata dall'Amministrazione, il trasgressore provvede realmente a ristabilire nel paesaggio quegli equilibri di valori alterati dall'utilizzo sine titulo... e solo l'atto di pagamento si colloca nella struttura del provvedimento quale condicio facti per l'estinzione dell'illecito paesaggistico altrimenti destinato a permanere fino a quando con la corresponsione della somma dovuta non si è provveduto effettivamente a reintegrare il paesaggio dei valori che l'opera abusiva gli ha sottratto indebitamente".

3. La ricorrente, dopo avere riprodotto nel suo atto di appello il contenuto del ricorso di primo grado, ha sostanzialmente riproposto, sia pure in maniera critica rispetto alla sentenza impugnata, gli stessi motivi già articolati con il gravame introduttivo del giudizio. In particolare il ricorrente, richiamando la granitica giurisprudenza sull'argomento, ha messo in rilievo l'erroneità della pronuncia di primo grado per l'intervenuta prescrizione del diritto a riscuotere la "sanzione amministrativa", per decorso del termine quinquennale ex art. 28 l. n. 689/1981, termine che va computato dal momento in cui l'autore dell'abuso ha ottenuto il condono edilizio.

L'appellante ha documentato tale arresto fattuale, non contestato dalla amministrazione resistente, producendo il condono edilizio n. 08/2007 rilasciato dal Comune di Lipari in data 11 gennaio 2007 laddove, invece, il provvedimento impugnato è stato notificato soltanto in data 3 maggio 2017.

4. L'Amministrazione appellata si è costituita in giudizio eccependo l'inammissibilità del ricorso per assenza e/o genericità della procura e per violazione dell'art. 101 c.p.a., non contenendo l'appello specifiche censure contro i capi della sentenza gravata, nonché la sua infondatezza nel merito.

5. La ricorrente, prima dell'udienza di discussione, ha depositato ulteriore note difensive nelle quali ha ribadito le deduzioni svolte nel corso del giudizio.

6. All'udienza del 9 luglio 2020 il ricorso è stato trattenuto per la decisione.

7. Il Collegio ritiene che l'appello sia fondato.

7.1. Preliminarmente si rileva che le eccezioni di inammissibilità sono prive di pregio in quanto:

- la procura speciale rilasciata a margine del ricorso di primo grado ben assolve la sua funzione anche nel giudizio d'appello. Dalla documentazione in atti risulta, infatti, che la ricorrente ha conferito procura speciale "in ogni stato e grado del presente giudizio" al proprio difensore "conferendogli ogni facoltà di legge ivi inclusa quella... di interporre gravami...". È evidente, pertanto, la volontà di estendere l'efficacia e la validità della procura anche al secondo grado come, peraltro, confermato dalla ordinanza della Corte di cassazione n. 27298 del 24 ottobre 2019;

- il ricorso in appello specifica le censure mosse alla sentenza facendo espresso riferimento alla natura giuridica del pagamento della somma di cui al D.D.S. n. 1072 del 20 marzo 2017 impugnato ed allo stesso assegna il titolo di sanzione amm[i]nistrativa. Anche le doglianze mosse in ordine al dies a quo sono da ritenere puntuali e pertinenti, vieppiù alla luce della copiosissima giurisprudenza citata a supporto.

A tal riguardo il gravame si è lungamente soffermato su quanto affermato, in ordine alla tematica discendente dall'art. 167 d.lgs. n. 42/2004, dalle Sezioni Riunite del C.G.A. nell'affare n. 750/14.

8. Per quanto attiene al merito della questione questo Consiglio ritiene che l'assunto del Tribunale sia erroneo e superato da numerosissimi arresti giurisprudenziali propri e del Consiglio di Stato. In particolare basta richiamare, ex plurimis, la sentenza n. 1034/2018 di questo Consiglio, da cui il Collegio non ravvisa ragioni per discostarsi.

Tale sentenza ha affermato: "Questo Consiglio ha avuto modo di occuparsi in più occasioni della questione relativa alla natura giuridica del titolo posto a fondamento dell'ingiunzione di pagamento ex art. 167 del d.lgs. n. 42/2004 e, in accordo con l'indirizzo già espresso dal Consiglio di Stato con le sentenze n. 1464/2009 e n. 2160/2010, ne ha escluso (sent. 123/2014) la natura risarcitoria, qualificandola come vera e propria sanzione amministrativa, con conseguente applicabilità dell'art. 28 della l. n. 689/1981. Lo stesso orientamento, che individua il momento della cessazione del carattere permanente dell'illecito paesaggistico con il rilascio della concessione edilizia in sanatoria, e qualifica come sanzionatorio il titolo giuridico posto a fondamento dell'ingiunzione di pagamento ex art. 167, con conseguente prescrizione quinquennale ex art. 28 della l. n. 689/1981, è stato assunto dalle Sezioni Riunite di questo Consiglio con il parere n. 188/2011 e con più recenti pareri n. 1000/2015; n. 1210/2016; n. 466/2017; 430/2017; n. 421/2017; 416/2017; 12 aprile 2017, n. 303; 12 aprile 2017, n. 290; 6 marzo 2017, n. 167; 25 gennaio 2017, n. 57; 19 gennaio 2017, n. 27. Il Collegio non ravvisa idonee ragioni per discostarsi dai precedenti arresti che ritiene non solo ragionevoli ma altresì rispettosi delle esigenze del vincolo, giacché un'opera dotata dei regolari titoli abilitativi, al cui rilascio ha concorso l'autorità preposta al vincolo in sede istruttoria del procedimento di sanatoria, non può considerarsi affetta da un'illiceità permanente".

Nella fattispecie, come suindicato, il provvedimento sanzionatorio impugnato è stato notificato solo in data 3 maggio 2017, mentre la concessione in sanatoria era stata rilasciata dal Comune di Lipari in data 11 gennaio 2007, giusta il condono edilizio n. 8/2007, e, conseguentemente, era ampiamente maturata la eccepita prescrizione quinquennale.

9. Alla luce delle superiori considerazioni l'appello va accolto con la riforma della sentenza ed il consequenziale annullamento del provvedimento impugnato con il ricorso di primo grado.

Le spese seguono la soccombenza e pertanto si dispone la condanna dell'amministrazione resistente al pagamento delle spese processuali per il doppio grado del giudizio nella misura complessiva di euro 2.500,00, oltre oneri accessori di legge.

P.Q.M.

Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, in sede giurisdizionale, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l'effetto, in riforma della sentenza appellata annulla il provvedimento impugnato con il ricorso di primo grado.

Condanna l'Amministrazione resistente al pagamento delle spese processuali per il doppio grado del giudizio nella misura complessiva di euro 2.500,00, oltre oneri accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.