Consiglio di Stato
Sezione II
Sentenza 1° luglio 2020, n. 4185

Presidente: Castriota Scanderbeg - Estensore: Lotti

FATTO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria, sez. I, 25 ottobre 2010, n. 10013 ha respinto il ricorso proposto dall'attuale parte appellante per l'annullamento del provvedimento prot. n. 303 del 26 gennaio 2010 a firma del Direttore avente ad oggetto "Richiesta di nulla osta per la realizzazione di recinzione - Comune di Ameglia - loc Punta Bianca f. 22 mapp 407, 213, 212 - Diniego".

Secondo il TAR, sinteticamente:

- nel caso di specie, non si è formato il silenzio assenso ex art. 21, comma 2, l.r. Liguria 22 febbraio 1995, n. 12;

- ai sensi dell'art. 4 d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, direttamente applicabile all'ente parco, che è ente pubblico non economico regionale, l'adozione degli atti e dei provvedimenti amministrativi spetta inderogabilmente ai dirigenti, donde l'insussistenza del vizio di incompetenza dedotto;

- nel caso di specie, l'art. 37, comma 2, del piano del Parco vieta le recinzioni nelle aree classificate riserve integrali o, come nel caso de quo, riserve generali orientate;

- si tratta di una disposizione regolamentare che non è stata neppure fatta oggetto di impugnazione e che, per il suo carattere speciale, prevale certamente sulla disposizione di cui al precedente art. 34, comma 6, che consente in generale la manutenzione ordinaria e straordinaria sui manufatti esistenti;

- la comunicazione 2 dicembre 2009 dell'Ente parco, concernente il così detto preavviso di rigetto, dava chiaramente conto del motivo ostativo, consistente nel divieto di cui all'art. 37 del piano del Parco.

La parte appellante contestava la sentenza del TAR eccependone l'erroneità e riproponendo, nella sostanza, i motivi del ricorso di primo grado.

All'udienza pubblica del 16 giugno 2020 la causa veniva trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. Rileva il Collegio che la controversia concerne il provvedimento 26 gennaio 2010, n. 303, con il quale il direttore dell'Ente Parco di Montemarcello-Magra ha negato alla parte appellante il nulla osta per la realizzazione di una recinzione nel comune di Ameglia, località Punta Bianca, con la motivazione che l'intervento contrasta con l'art. 37, comma 2, del piano del Parco, secondo il quale sono vietate le recinzioni nelle zone - come quella interessata dall'intervento - classificate come riserve generali orientate.

2. Si può prescindere dalla previa questione della sopravvivenza dell'istituto del silenzio assenso in materia ambientale con riguardo agli Enti Parco, ex art. 13 l. n. 394/1991, ancorata al fatto che si tratta di una verifica di conformità, con margini rist[r]etti di manovra, facilmente verificabili, attesa la mancata contestazione sul punto dell'Amministrazione e il fatto, decisivo, che il TAR dia implicitamente per presupposta l'applicabilità della normativa sul silenzio assenso.

Il TAR, per quanto riguarda l'eccepita sussistenza del silenzio assenso, ha ritenuto che ai sensi della normativa generale di cui agli artt. 3 e 4 d.P.R. 26 aprile 1992, n. 300, recante il regolamento concernente le attività private sottoposte alla disciplina degli artt. 19 e 20 l. 7 agosto 1990, n. 241, il silenzio assenso si considera formato soltanto quando la domanda è regolare e completa della documentazione necessaria per accertare il ricorrere dei requisiti prescritti dalla legge per lo svolgimento dell'attività.

Nel caso di specie, secondo il TAR, il termine per la formazione del silenzio assenso è stato interrotto, ex art. 3, comma 3, d.P.R. n. 300/1992, dalla richiesta di regolarizzazione formulata dall'Ente parco in data 2 ottobre 2009, cominciando a decorrere ex novo dal giorno successivo alla data di ricevimento della richiesta integrazione documentale (13 ottobre 2009).

3. In realtà, osserva il Collegio, l'Ente Parco, non avendo rispettato a sua volta il termine di 10 gg. entro cui richiedere l'integrazione documentale, così come prevede il citato art. 3, comma 3, non può far decorrere il termine dal ricevimento della integrazione documentale (come detto, solo laddove l'Amministrazione si sia dimostrata virtuosa nel rispettare il breve termine di 10 gg. ciò è possibile).

Infatti, se l'Amministrazione supera il termine di 10 giorni per la richiesta di integrazione documentale, il comma 4 della medesima norma prevede che il termine decorra dal ricevimento della domanda.

Tale previsione ha una ratio evidente, poiché risponde all'esigenza di non lasciare all'arbitrio dell'Amministrazione la determinazione del tempo procedimentale, favorendo, invece, la speditezza dei procedimenti.

Se si ammettesse che anche in caso di richiesta di integrazione documentale tardiva (oltre al decimo giorno), il termine procedimentale possa iniziare a decorrere per intero dal ricevimento dell'integrazione, è evidente che si frusterebbero le esigenze stesse dell'istituto del silenzio assenso e di accelerazione e semplificazione dell'azione amministrativa.

Il legislatore, con la precisa diversificazione di regime, prevede, dunque, che, laddove l'Amministrazione si comporti in modo efficiente e richieda l'integrazione entro i 10 giorni dalla presentazione dell'istanza, può poi avvalersi dell'interruzione del termine procedimentale; nell'ipotesi in cui, invece, come è nel caso di specie, l'Amministrazione non rispetti il termine dei 10 giorni, il legislatore vincola il termine procedimentale all'originario ricevimento della domanda, costringendo così l'Amministrazione a recuperare il tempo inutilmente perduto.

Nel caso in esame, la richiesta di integrazione documentale è avvenuta in data 2 ottobre 2009, 25 giorni dopo la presentazione della domanda del 7 settembre 2009, e il silenzio assenso deve pertanto ritenersi formato, ex art. 4 d.P.R. n. 300/1992, in data 6 novembre 2009 (60 giorni dopo il ricevimento dell'istanza originaria), con conseguente illegittimità del diniego assunto tardivamente in data 26 gennaio 2010, a silenzio assenso già formato, senza la preventiva adozione di alcun atto avente il carattere formale e sostanziale di autotutela amministrativa, come invece prevede l'art. 20 l. n. 241/1990.

4. Conclusivamente, alla luce delle predette argomentazioni, l'appello deve essere accolto in relazione al primo motivo, da ritenersi evidentemente assorbente degli altri motivi proposti, con la conseguenza che, in riforma della sentenza impugnata, deve essere accolto il ricorso di primo grado, e per l'effetto deve essere annullato il provvedimento di diniego impugnato.

Le spese di lite del doppio grado di giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe indicato, lo accoglie e, per l'effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado, annullando il provvedimento impugnato.

Condanna l'Amministrazione appellata al pagamento delle spese di lite del doppio grado di giudizio in favore della parte appellante, spese che liquida in euro 4.000,00, oltre accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.