Corte di cassazione
Sezione V penale
Sentenza 3 marzo 2020, n. 11957

Presidente: Sabeone - Estensore: Scordamaglia

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 16 dicembre 2019, il Tribunale di Messina, costituito ex art. 309 c.p.p., confermava l'ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa nei confronti di M. Carmelo dal Giudice delle indagini preliminari del Tribunale della stessa città, in data 22 novembre 2010, in relazione ai delitti di furto aggravato consumati nelle date del 20, 26 e 30 aprile 2019 in danno della "Società Consortile a r.l.".

Fatta una premessa circa gli elementi attestanti l'esistenza in capo all'indagato di gravi indizi di colpevolezza in relazione alle fattispecie di reato provvisoriamente contestategli, il Tribunale ha escluso che l'istante potesse dirsi affetto da una grave ed irreversibile disabilità psichica suscettibile di integrare la causa di non punibilità, ostativa all'applicazione di qualsivoglia misura cautelare ai sensi dell'art. 273, comma 2, c.p.p., rilevante sotto il profilo del difetto assoluto di imputabilità ex art. 88 c.p., vuoi perché il sintagma «se risulta», contenuto nella norma di cui all'art. 273, comma 2, c.p.p., doveva essere interpretato nel senso che l'applicazione della misura cautelare è interdetta «solo ove sia stata già acclarata la presenza di una causa non punibilità e non anche nei casi in cui si possa solo prevedere che l'indagato possa andare esente da pena»; vuoi perché, sebbene emergesse dagli atti che due distinti procedimenti istaurati a carico del M. fossero esitati in pronunce assolutorie, adottate nel 2017, per difetto assoluto di imputabilità e che nell'ottobre 2019 l'amministrazione penitenziaria, a seguito di accertamenti compiuti nei confronti dello stesso in ambito carcerario, avesse disposto la sua allocazione in un circuito psichiatrico, non vi era prova che l'accertata disabilità intellettiva dell'indagato fosse di tale gravità da elidere completamente l'imputabilità, apparendo, di contro, dalle immagini che lo ritraevano all'atto di commettere i furti, una piena coerenza comportamentale.

2. Avverso il citato provvedimento, con due motivi, ha proposto ricorso per cassazione il difensore di fiducia del cautelato ed ha denunciato:

- la violazione degli artt. 273, comma 2, c.p.p., 88 c.p. e 27 Cost., sul rilievo che, in ossequio ai principi del favor rei e del favor libertatis, la norma di cui all'art. 273, comma 2, c.p.p., dovrebbe essere interpretata nel senso che la misura cautelare non può essere applicata anche quando risulti altamente probabile che all'esito del giudizio il cautelato possa essere prosciolto per difetto assoluto di imputabilità; evenienza, questa, prognosticabile come tale, nel caso concreto, sulla base della perizia psichiatrica espletata nell'ambito di altro procedimento penale, prodotta in atti, attestante l'irreversibile incapacità del M. di controllare i propri impulsi e il suo severo deficit intellettivo, tale da avere comportato la definizione del procedimento ai sensi dell'art. 72-bis c.p.p.;

- il vizio di manifesta illogicità della motivazione, per avere il Tribunale dato atto dell'esistenza in capo all'indagato di una disabilità intellettiva, ma di avere poi concluso per la non evidente sua mancanza di imputabilità sulla base di una mera valutazione di coerenza dei suoi comportamenti in sede di commissione dei reati.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è fondato.

1. Giova premettere, in via preliminare, che le Sezioni unite di questa Corte, affrontando la questione del contenuto e dei limiti del giudizio cautelare, nella sentenza n. 36267 del 30 maggio 2006, Spennato, hanno evidenziato che: «Il giusto processo cautelare è l'epilogo di un cammino che, attraverso varie tappe segnate da interventi del legislatore, dal Giudice delle leggi e dal diritto vivente, ha visto progressivamente sfumare le tradizionali differenze evidenziate tra decisione cautelare e giudizio di merito, con riferimento alla valutazione degli elementi conoscitivi posti a disposizione del giudice, e ricercare una tendenziale omologazione dei corrispondenti parametri-guida» ed hanno affermato che, in ossequio ai precetti costituzionali di cui agli artt. 13 e 27, dai quali è desumibile il principio del carattere eccezionale dei provvedimenti limitativi della libertà personale disposti prima della condanna, incombe sul giudice una maggiore incisività argomentativa nel giustificare la misura cautelare, essendogli fatto obbligo di indicare gli elementi di fatto da cui sono desunti gli indizi, i motivi per i quali essi assumono rilevanza, quelli per i quali si rivelano inconsistenti gli elementi forniti dalla difesa, «nonché di valutare negativamente l'esistenza di condizioni legittimanti il proscioglimento ex art. 273, comma 2, c.p.p. (cause di giustificazione, di non punibilità, di estinzione del reato o della pena) o la possibilità di ottenere con la eventuale sentenza di condanna il beneficio della sospensione condizionale della pena (art. 275, comma 2-bis, c.p.p.)».

2. Tanto premesso onde delineare le rime valoriali e concettuali entro cui effettuare la delibazione richiesta, va rilevato che sulla questione - affine a quella devoluta con il ricorso per cassazione -, relativa alla valutazione in sede cautelare della sussistenza di una causa di giustificazione, questa Corte ha già avuto occasione di affermare che l'operatività del divieto di applicazione delle misure cautelari personali previsto dall'art. 273, comma 2, c.p.p. - che stabilisce che nessuna misura può essere applicata se risulta che il fatto è stato compiuto in presenza di una causa di giustificazione o di non punibilità - non richiede che la ricorrenza dell'esimente sia stata positivamente comprovata in termini di certezza, essendo sufficiente, a tal fine, la sussistenza di un elevato o rilevante grado di probabilità che il fatto sia compiuto in presenza di essa (Sez. 1, n. 72 del 26 novembre 2010 - dep. 4 gennaio 2011, Bocedi, Rv. 249287; Sez. 1, n. 6630 del 28 gennaio 2010, Diodato, Rv. 246576; Sez. fer., n. 46190 del 20 agosto 2003, Steri, Rv. 227306).

A sostegno di tale ermeneusi - cui si contrappone un isolato, risalente, approdo di questa Corte (Sez. 1, n. 27001 del 22 maggio 2001, Coppola, Rv. 219907, per cui: «La preclusione all'applicazione di misure cautelari personali sancita dalla disposizione contenuta nell'art. 273, comma 2, c.p.p., secondo la quale nessuna misura può essere applicata se risulta che il fatto è stato compiuto in presenza di una causa di giustificazione, opera solo - in forza dell'espressione "se risulta" - allorché la ricorrenza dell'esimente sia stata positivamente comprovata in termini di certezza e non di mera possibilità») - si è sostenuto che: «Limitare il divieto di applicazione di misure cautelari solo all'ipotesi in cui la sussistenza di una causa di giustificazione venga provata in termini di certezza appare in contrasto con l'art. 530, comma 3, c.p.p., che stabilisce che "se vi è la prova che il fatto è stato commesso in presenza di una causa di giustificazione ... ovvero vi è dubbio sull'esistenza delle stesse, il Giudice pronunzia sentenza di assoluzione a norma del comma 1". Infatti, se la regola prevista per la valutazione della responsabilità impone al Giudice di pronunziare sentenza di assoluzione anche quando vi è dubbio sulla esistenza della causa di giustificazione, appare allora incongruo ritenere che la valutazione in ordine al divieto di emissione della misura cautelare debba essere ancorata ad un criterio di certezza circa la ricorrenza dell'esimente e, quindi, ad un criterio addirittura più rigido rispetto a quello previsto per il giudizio» (Sez. fer., n. 46190 del 20 agosto 2003, Steri, cit.).

Ciò senza contare l'irragionevole discrasia che si verrebbe a determinare nell'applicazione del primo e del secondo comma dell'art. 273 c.p.p. Infatti, mentre per i gravi indizi, cui fa richiamo l'art. 273, comma 1, c.p.p., è richiesto che questi si sostanzino in elementi idonei a fornire una consistente e ragionevole probabilità di colpevolezza dell'indagato, da intendersi nel senso che per l'adozione della misura cautelare è sufficiente l'esistenza di elementi dai quali sia possibile desumere con "elevato o rilevante grado di possibilità" la colpevolezza dell'indagato (secondo il criterio della "qualificata probabilità"), viceversa in relazione alle cause di giustificazione, impeditive della emissione del provvedimento coercitivo, sarebbe necessario dimostrarne la sussistenza in termini di certezza.

3. Le medesime argomentazioni non possono che valere anche per le cause di non punibilità: e ciò, sia perché il citato art. 530, comma 3, c.p.p. si riferisce anche ad una «causa personale di non punibilità», sia perché la segnalata aporia tra il primo ed il secondo comma di cui all'art. 273 c.p.p. non potrebbe che riproporsi anche in riferimento alla causa di non punibilità, posta sullo stesso piano della causa di giustificazione, e suscettibile, per quanto detto, di determinare il futuro proscioglimento nel merito dell'imputato in quanto non sottoponibile a pena. Ciò detto sul piano della coerenza sistematica, va poi sottolineato che l'interpretazione proposta è la sola compatibile con il principio del carattere eccezionale dei provvedimenti limitativi della libertà personale disposti prima della condanna.

Può essere, quindi, affermato il seguente principio di diritto: «L'art. 273, comma 2, c.p.p., laddove inibisce l'applicazione di ogni tipo di misura cautelare se risulta che il fatto è stato commesso in presenza di una causa di non punibilità, non richiede che la sussistenza della causa stessa debba essere provata con certezza, ma semplicemente che esista un elevato o rilevante grado di probabilità che il fatto sia stato compiuto in presenza di essa».

4. Poiché nella fattispecie al vaglio, il Tribunale del Riesame, nel valutare gli elementi documentali attestanti l'esistenza, nel cautelato, di un grave deficit cognitivo e volitivo, suscettibile di integrare una causa personale di non punibilità, rilevante, sotto il profilo del difetto assoluto di capacità di intendere e volere, ex art. 88 c.p. - alla stregua, peraltro, del principio affermato dal diritto vivente secondo cui: «Ai fini del riconoscimento del vizio totale o parziale di mente, anche i "disturbi della personalità", che non sempre sono inquadrabili nel ristretto novero delle malattie mentali, possono rientrare nel concetto di "infermità", purché siano di consistenza, intensità e gravità tali da incidere concretamente sulla capacità di intendere o di volere, escludendola o scemandola grandemente, e a condizione che sussista un nesso eziologico con la specifica condotta criminosa, per effetto del quale il fatto di reato sia ritenuto causalmente determinato dal disturbo mentale (Sez. un., n. 9163 del 25 gennaio 2005, Raso, Rv. 230317) - si è attenuto ad un canone di giudizio improntato alla certezza del difetto di imputabilità e, quindi, diverso da quello recepito nella regula iuris enunciata, s'impone l'annullamento con rinvio dell'ordinanza impugnata affinché il Tribunale del Riesame ripeta il giudizio che gli è stato devoluto alla stregua del sopraindicato principio di diritto.

5. Va, pertanto, disposto l'annullamento dell'ordinanza impugnata, con rinvio per nuovo esame al Tribunale del Riesame di Messina.

P.Q.M.

Annulla il provvedimento impugnato e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Messina.

Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 94, comma 1-ter, disp. att. c.p.p.

Depositata il 10 aprile 2020.