Corte di cassazione
Sezione II penale
Sentenza 21 febbraio 2020, n. 7582

Presidente: Gallo - Estensore: Pacilli

RITENUTO IN FATTO

Con ordinanza del 5 novembre 2019 il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catanzaro ha rigettato la richiesta di emissione di decreto penale di condanna, avendo ritenuto che sulla pena base dovesse, dapprima, operarsi la riduzione ex art. 459, comma 2, c.p.p. e, poi, la diminuzione per le attenuanti generiche (mentre nella richiesta di emissione di decreto penale, dapprima, si era operata la riduzione per le attenuanti generiche e, poi, quella ex art. 459, comma 2, c.p.p.).

Avverso l'ordinanza anzidetta il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Catanzaro ha proposto ricorso per cassazione, deducendo l'abnormità del provvedimento, in quanto avrebbe determinato un'illegittima regressione del procedimento. Difatti, sarebbe errato l'ordine seguito dal giudice e, comunque, il risultato del calcolo sarebbe uguale se si effettui la riduzione per il rito prima anziché dopo la riduzione per le circostanze attenuanti. Il giudice poi avrebbe dovuto valutare la congruità della pena finale, a prescindere dai singoli passaggi interni di calcolo, come affermato dalla giurisprudenza di legittimità con riguardo al patteggiamento. Inoltre, procedendo ad un'interpretazione sistematica dell'art. 459, secondo comma, c.p.p., inquadrandolo all'interno della disciplina dei riti alternativi premiali, non si comprenderebbe la ragione per cui solo nel procedimento per decreto la riduzione di pena, prevista per le peculiarità del rito, dovrebbe essere applicata prima e non dopo gli aumenti o le diminuzioni di pena, operate sulla pena edittale in ragione della presenza di eventuali circostanze aggravanti o attenuanti.

All'odierna udienza camerale, celebrata ai sensi dell'art. 611 c.p.p., si è proceduto al controllo della regolarità degli avvisi di rito; all'esito, questa Corte Suprema, riunita in camera di consiglio, ha deciso come da dispositivo in atti.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile, perché proposto per motivo manifestamente infondato.

1.1. L'ordinamento non prevede un mezzo d'impugnazione avverso il provvedimento con cui il G.i.p., non accogliendo la richiesta di emissione di decreto penale di condanna e non dovendo pronunciare sentenza di proscioglimento a norma dell'art. 129 c.p.p., restituisce gli atti al Pubblico ministero a norma dell'art. 459, comma 3, c.p.p. In forza del principio di tassatività dei mezzi d'impugnazione, previsto dall'art. 568, comma 1, c.p.p. il ricorso in esame sarebbe dunque da ritenersi inammissibile, a meno che - come deduce il ricorrente - ci si trovi di fronte ad un atto abnorme.

1.2. In assenza di definizione normativa del concetto di atto abnorme, suscettibile d'autonoma impugnazione - che, per la difficoltà di tipizzazione, anche il legislatore del 1988 ha preferito non disciplinare nel codice di rito, lasciando alla giurisprudenza il compito di delinearne i confini - questa Corte, con plurime decisioni assunte a Sezioni unite (v. in particolare: Sez. un., n. 17 del 10 dicembre 1997, Di Battista, Rv. 209603; Sez. un., n. 26 del 24 novembre 1999, Magnani, Rv. 215094; Sez. un., n. 22909 del 31 maggio 2005, Minervini; Sez. un., n. 5307/2008 del 20 dicembre 2007, Battistella; Sez. un., n. 25957 del 26 marzo 2009, Toni e a.) ha individuato la categoria, connotandola, per un verso, in negativo - nel senso che non può definirsi abnorme l'atto che costituisce mera violazione di norme processuali - e, per altro verso, in positivo. Da quest'ultimo punto di vista si è affermato che è affetto da vizio di abnormità, sotto un primo profilo (c.d. strutturale), il provvedimento che, per singolarità e stranezza del suo contenuto risulti avulso dall'intero ordinamento processuale, ovvero quello che, pur essendo in astratto manifestazione di legittimo potere, si esplichi al di fuori dei casi consentiti e delle ipotesi previste al di là di ogni ragionevole limite. Sotto altro profilo, si è posto in luce come sussista abnormità (c.d. funzionale) quando l'atto, pur non essendo estraneo al sistema normativo, determini la stasi del processo e l'impossibilità di proseguirlo (così, in motivazione, Sez. un., n. 25957 del 26 marzo 2009, Toni e a., Rv. 243590).

In particolare, con riferimento al decreto penale di condanna, si è ritenuto che non è abnorme il rigetto della richiesta di emissione del decreto penale di condanna che disponga la restituzione degli atti al P.M., salvo che il provvedimento sia fondato esclusivamente su ragioni di opportunità (Sez. 3, n. 5442 del 6 dicembre 2017, dep. 2018, Montevecchi, Rv. 272580, che ha escluso l'abnormità del provvedimento di rigetto, fondato sull'applicabilità della causa di non punibilità prevista dall'art. 131-bis c.p.; Sez. 6, n. 23829 del 12 maggio 2016, C, Rv. 267272, relativa al rigetto per inadeguatezza della pena pecuniaria a sanzionare la condotta di omesso versamento delle somme, dovute dall'imputato al coniuge a titolo di mantenimento; Sez. 6, n. 6663 dell'1 dicembre 2015, dep. 2016, R., Rv. 266111, in cui il rigetto era stato motivato con la ritenuta insussistenza dei presupposti per la sostituzione della pena detentiva con quella pecuniaria; Sez. 4, n. 45683 del 18 settembre 2014, Mirra, Rv. 261063, che ha ritenuto legittimo il provvedimento di restituzione degli atti giustificato dalla valutazione di incongruità della pena richiesta in relazione alla gravità della violazione contestata; Sez. 6, n. 14764 del 18 marzo 2014, Pappalardo, Rv. 261473, che non ha qualificato abnorme il rigetto per l'inosservanza del termine di sei mesi per la presentazione della richiesta).

1.3. Nel caso in esame, dunque, il rigetto della richiesta di emissione di decreto penale di condanna, motivato con l'asserita presenza di un errore di calcolo della pena, non è abnorme.

Difatti, l'esercizio dell'azione penale nelle forme ordinarie è attività che il P.M. potrà immediatamente esercitare, così dando nuovo impulso al procedimento.

Per le considerazioni esposte, dunque, il ricorso del Pubblico Ministero deve essere dichiarato inammissibile.

2. La declaratoria di inammissibilità del ricorso non comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, trattandosi di Parte pubblica ricorrente.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Depositata il 26 febbraio 2020.