Consiglio di Stato
Sezione II
Sentenza 3 aprile 2020, n. 2246

Presidente: Cirillo - Estensore: Manzione

FATTO

1. Con la sentenza in epigrafe appellata n. 3825/2008 il T.A.R. per la Campania - sede di Salerno - ha accolto in parte il ricorso presentato dal signor Mario D.N. per l'annullamento del decreto di acquisizione sanante ex art. 43 del t.u.es. avente ad oggetto un appezzamento di terreno di proprietà dello stesso, con annesso fabbricato rurale, in località Tuostolo del Comune di Sarno, della superficie complessiva di mq. 8117, aderendo alla domanda risarcitoria ritenuta sottesa allo stesso.

Il decreto sopravveniva ad una lunga trattativa tra le parti, finalizzata alla convenuta stipula di un accordo di cessione mai perfezionatosi per la unilaterale modifica dell'ammontare del corrispettivo pattuito da parte del Comune, all'esito della riscontrata necessità, per garantire l'accesso a proprietà residue del ricorrente diversamente intercluse, di ridurre la superficie da acquisire al patrimonio dell'ente, originariamente stimata in mq. 8418. Da ciò, anche la riduzione dell'indennità da euro 144.971,001, rivenienti dal calcolo dell'ufficio tecnico comunale e formalmente accettati dall'appellante (nota prot. n. 1354 del 22 febbraio 1988), a euro 140.150,831, quale cifra risultante dalla decurtazione dei metri di superficie non acquisiti al fine di garantire l'accesso al fondo da parte dello stesso ricorrente. Tenuto conto che l'80% della cifra originariamente statuita, pari ad euro 115.976,801, era già stata liquidata all'esito della delibera consiliare n. 259 del 25 giugno 1988, la controversia è conseguita al mancato accordo tra le parti sulla residua somma di euro 24.174,03, anziché euro 28.993,890.

Il Tribunale adìto, dopo avere dato atto della rinuncia al ricorso nella parte relativa alle particelle 1016, 1020 e 139, non utilizzate per finalità pubbliche, delle quali pertanto si chiedeva la restituzione, riteneva corretto che l'Amministrazione procedente liquidasse la parte residua delle spettanze nella misura originariamente convenuta, e dunque per un importo pari ad euro 28.993,890, maggiorata degli interessi compensativi nella misura legale e della rivalutazione monetaria a decorrere dal 1° aprile 1992, data di cessazione dell'occupazione legittima, fino alla data dell'effettivo pagamento.

3. La parte originaria ricorrente ha impugnato la decisione del T.A.R. denunciandone la erroneità.

Dopo avere analiticamente ripercorso le principali tappe del risalente contenzioso, con un unico articolato motivo di appello ha lamentato la violazione dell'art. 43 del d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327: nel "riportare" la valutazione alla pattuizione originaria, infatti, il giudice di prime cure avrebbe anche validato la valutazione del valore venale del bene alla data dell'occupazione e non a quella dell'effettiva ablazione, siccome imposto dalla norma. Così facendo, peraltro, sarebbe incorso nel vizio di ultrapetizione, avendo la richiesta contenuto demolitorio del provvedimento in parte qua, e non risarcitorio. La quantificazione del danno, infine, in quanto effettuata senza avvalersi di consulenza tecnica, sarebbe errata finanche ove il dato di partenza fosse il 1987, come dimostrato nel parallelo giudizio innanzi al giudice ordinario intrapreso per il danno da occupazione legittima.

Il Comune di Sarno non si è costituito in giudizio.

4. Alla odierna pubblica udienza del 28 gennaio 2020, alla quale nessuno è comparso, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

5. La controversia in esame ha ad oggetto il risarcimento di danni derivanti dall'occupazione illegittima da parte del Comune di Sarno di un'area da destinare alla realizzazione di un complesso residenziale per i proprietari di edifici distrutti o da demolire a seguito del sisma del 1980; situazione cui è stato posto fine mediante provvedimento di acquisizione ex art. 43 d.P.R. n. 327/2001 del 20 marzo 2006, n. 6173. L'appellante lamenta l'errata applicazione della norma, non avendo il Comune correttamente distinto tra indennizzo dovuto quale corrispettivo dell'acquisizione della proprietà e risarcimento per l'occupazione illegittima medio tempore subita. Errata sarebbe altresì la base di calcolo, riferita al valore del bene, pure contestato, alla data dell'immissione in possesso, risalente al 1° aprile 1987, e non a quella della sua effettiva ablazione, successiva di circa 10 anni.

6. Rileva in via preliminare il Collegio che, in pendenza del giudizio, sono intervenuti dapprima la sentenza della Corte Costituzionale n. 293 dell'8 ottobre 2010, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 43 del d.P.R. n. 327/2001 e, successivamente, il d.l. 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla l. 15 luglio 2011, n. 11, che, con l'art. 34, comma 1, ha aggiunto l'art. 42-bis al testo unico, individuando, fra l'altro, differenti criteri per la stima del ristoro dovuto in caso di acquisizione sanante.

6.1. È necessario pertanto interrogarsi su quali siano le conseguenze dell'intervenuta declaratoria di incostituzionalità della norma in parola in relazione all'atto oggetto della presente impugnazione.

Per prevalente orientamento giurisprudenziale, si ritiene che la sopravvenuta dichiarazione di illegittimità costituzionale di una norma, che fonda e disciplina il potere di adozione di un atto amministrativo oggetto di ricorso giurisdizionale, ne determini l'illegittimità derivata qualora il ricorrente ne abbia, con uno specifico motivo di ricorso, determinato la rilevanza, ancorché non abbia sollevato alcun profilo d'incostituzionalità della stessa. Vale cioè il principio in forza del quale il giudice deve applicare d'ufficio, nei giudizi pendenti, le pronunce di annullamento della Corte costituzionale, con conseguente possibilità di superare i limiti che derivano dalla struttura impugnatoria del processo amministrativo e dalla correlata specificità dei motivi (in tal senso cfr. C.d.S., sez. V, 5 maggio 2008, n. 3458; sez. IV, 3 marzo 2014, n. 993; id. 14 aprile 2010, n. 2102; 18 giugno 2009, n. 3997; T.A.R. per la Calabria, sez. I, 22 marzo 2019, n. 625).

Non può quindi prescindersi, nello scrutinare le doglianze formalizzate con riguardo al caso di specie - malgrado la sottostante vicenda amministrativa si sia interamente svolta nella vigenza dell'art. 43 del t.u.es. - dal fare applicazione della pronuncia di incostituzionalità che ha colpito l'istituto dell'acquisizione provvedimentale, la cui violazione costituisce unico motivo di censura.

La Corte costituzionale, peraltro, nel dichiarare l'incostituzionalità della norma de qua per eccesso di delega, aggiungeva un lungo e significativo obiter, prospettando un «legittimo dubbio quanto alla idoneità della scelta realizzata con la norma di garantire il rispetto dei principi della CEDU», sul rilievo che la Corte EDU «ha precisato che l'espropriazione indiretta si pone in violazione del principio di legalità, perché non è in grado di assicurare un sufficiente grado di certezza e permette all'Amministrazione di utilizzare a proprio vantaggio una situazione di fatto derivante da "azioni illegali", e ciò sia allorché essa costituisca conseguenza di un'interpretazione giurisprudenziale, sia allorché derivi da una legge - con espresso riferimento all'articolo 43 qui censurato -, in quanto tale forma di espropriazione non può comunque costituire un'alternativa ad un'espropriazione adottata secondo "buona e debita forma", sicché non è affatto sicuro che la mera trasposizione in legge di un istituto, in astratto suscettibile di perpetuare le stesse negative conseguenze dell'espropriazione indiretta, sia sufficiente di per sé a risolvere il grave vulnus al principio di legalità».

7. La giurisprudenza, soprattutto di merito, ha ricondotto l'invalidità che rende l'atto illegittimo in via derivata alla situazione di carenza di potere di cui all'art. 21-septies della l. 7 agosto 1990, n. 241 (cfr. T.A.R. per la Sicilia, sez. II, 14 marzo 2019, n. 535; T.A.R. per la Calabria, n. 625/2019, cit. supra).

8. Nel caso di specie, tuttavia, la sentenza del T.A.R. per la Campania è stata impugnata limitatamente ai capi della stessa riferiti alla quantificazione del risarcimento del danno, asserendone errato il metodo, piuttosto e prima che l'importo.

Le originarie doglianze concernenti, infatti, la mancanza di motivazione delle esigenze acquisitive, con specifico riferimento a taluni mappali neppure ricompresi nel provvedimento di occupazione o in quello dichiarativo dell'utilità, sono state oggetto di esplicita rinuncia, della quale il giudice di prime cure non ha potuto che prendere atto.

A ciò consegue l'avvenuta cristallizzazione del provvedimento nella parte in cui ha determinato l'acquisizione della proprietà, comprensiva dei mappali originariamente in contestazione.

Di ciò è conferma esplicita nell'atto di appello, che oltre a riprodurre le sole censure inerenti le modalità di quantificazione del ristoro - rectius, asseritamente, la stessa quantificazione del ristoro -, riconosce espressamente «che il Comune di Sarno sia divenuto proprietario delle aree dell'appellante solo con il decreto di acquisizione sanante 20.3.2006, n. 6173 [...] costituendo quel provvedimento il titolo senza il quale non vi sarebbe stato acquisto della proprietà da parte dell'Amministrazione» (pag. 5).

Peraltro, il Tribunale non ha effettuato alcun calcolo degli importi, limitandosi ad accogliere il ricorso per la parte in cui contestava il loro mutamento unilaterale da parte del Comune di Sarno, tale da determinare la mancata definizione dell'accordo nei termini originariamente pattuiti, dopo che era stato perfino versato un acconto sulla cifra concordata pari all'80% del totale. Il giudice, cioè, si è limitato a riferire le cifre per come pattuite, in ciò non necessitando certo di supporto tecnico, siccome lamentato dalla parte.

Tuttavia, la proposizione dell'odierno appello e, nelle more della sua definizione, la richiamata declaratoria di incostituzionalità della norma su cui si basava il potere sanante esercitato dall'amministrazione procedente, non possono non incidere su una vicenda ormai giunta al suo sostanziale epilogo, peraltro su accordo delle parti, "retrocedendola" ad un anteriore stadio di avanzamento. Pertanto, mentre i profili dominicali rimangono fermi, quelli indennitari e risarcitori, seppur concordati ma disattesi dal Comune, e in quanto contenuti in un provvedimento sub iudice in parte qua nel momento della pronuncia della Corte, subiscono gli effetti dovuti alla caducazione della norma su cui si fonda.

Dunque ritiene il Collegio che, fermo l'effetto acquisitivo dei terreni, non altrettanto è a dirsi con riferimento alla determinazione del ristoro complessivo da corrispondere alla proprietà, in quanto ne viene (ancora) oggi contestata la determinazione assumendo a parametro normativo di riferimento la norma dichiarata incostituzionale.

9. L'appellante lamenta la confusione dell'amministrazione tra mero indennizzo e risarcimento del danno subito per il periodo di occupazione sine titulo, mal interpretando l'art. 43 del d.P.R. n. 327/2001 che, al contrario, ben distingue le relative voci. Lamenta inoltre la distorta lettura della norma in relazione al riferimento temporale cui ancorare la valutazione del valore venale del bene, ovvero, come già chiarito sopra, quello dell'effettiva ablazione (20 marzo 2006), e non certo quello della mera occupazione per il tramite della formale immissione in possesso (1° aprile 1987).

La Sezione ritiene che, quale che ne fosse all'epoca della relativa adozione la coerenza con la cornice normativa di riferimento, il venir meno della stessa implichi necessariamente la nullità sopravvenuta dell'atto in parte qua. A ciò consegue la necessità che il Comune si ridetermini assumendo tuttavia a parametro di riferimento l'art. 42-bis del t.u.es., che trova applicazione anche ai fatti anteriori alla sua entrata in vigore.

La rideterminazione consiste nel ristoro, sia in termini di indennizzo sia di "risarcimento", per la superficie effettivamente acquisita al patrimonio dell'Ente, pari a mq. 8117, e non 8418, come originariamente ipotizzato ed erroneamente confermato dal giudice di prime cure. La scelta ermeneutica, evidentemente ispirata al canone civilistico del rispetto della buona fede anche nella fase precontrattuale, valorizzando gli impegni originariamente assunti, ma a contesto oggettivamente diverso, onera indebitamente il Comune di somme non dovute quale corrispettivo di un'acquisizione non avvenuta.

Ridetta mancata acquisizione, infatti, determina ex se la diversa qualificazione del ristoro richiesto: per la metratura oggetto di occupazione sine titulo, giusta la perdita di efficacia di quello originariamente adottato, dovrà essere computato a parte, secondo le indicazioni di cui all'art. 55 del t.u.es., evocato dall'appellante, il solo risarcimento, fino al momento dell'avvenuta restituzione, ravvisabile esso pure nella data di avvenuta adozione del provvedimento di acquisizione sanante cui tale superficie è rimasta estranea.

L'impugnato decreto di acquisizione sanante, infatti, trova giustificazione e motivazione proprio nella brusca interruzione delle trattative, nella volontà del Comune di Sarno di far cessare la situazione di illiceità riveniente dalla occupazione in forza di titolo ormai scaduto con riferimento a terreni per lo più trasformati in maniera irreversibile in vista dell'espropriazione. Con esso si è cioè di fatto azzerato il percorso transattivo precedente, avendo l'amministrazione optato, a torto o a ragione - non è più sindacabile in questa sede - per l'esercizio del proprio potere autoritativo ablativo, anziché per l'alternativo avvalimento di strumento negoziale basato sul consenso della parte, e comunque non per quello restitutorio.

Va da sé, infine, che qualora il decreto di acquisizione sanante, pur "presente" nel mondo giuridico, non sia stato a tempo debito eseguito, l'impossibilità di provvedervi ad oggi, giusta la sua caducazione in parte qua, ne impone il ritiro/autoannullamento con assorbimento nel provvedimento successivo.

10. Il giudizio definitivo sulla corretta valutazione delle pretese risarcitorie nella stesura del provvedimento impugnato risulta dunque ad oggi impedito dalla necessità di attendere le determinazioni comunali in merito.

Val la pena ricordare come nella quantificazione delle stesse ex art. 42-bis t.u.es., rieditando o meno, a seconda della situazione di fatto e di diritto all'attualità, il relativo decreto, il Comune di Sarno dovrà necessariamente calcolare un indennizzo pari al valore venale della parte di terreni occupati poi oggetto del provvedimento di acquisizione al momento di adozione di quest'ultimo (e dunque alla data del 20 marzo 2006, così come richiesto dalla parte), oltre il 10% della metà di tale valore per il ristoro del danno non patrimoniale (art. 42-bis, primo e terzo comma). A ciò si aggiunge il risarcimento per l'occupazione illegittima, nella misura dell'interesse del 5% sul valore venale del terreno occupato al momento dell'adozione del provvedimento di acquisizione (art. 42-bis, terzo comma). I margini residui di contendibilità, attengono infatti all'occupazione illegittima di terreni successivamente non espropriati, e dunque rimasti nella titolarità dell'appellante. La relativa richiesta risarcitoria, in quanto traente titolo dall'originario esercizio legittimo del potere autoritativo (decreto sindacale n. 6600 del 2 marzo 1987), dovrà essere autonomamente soddisfatta secondo le diverse regole previste allo scopo (art. 55 del t.u.es.). È evidente infine che dalla somma come sopra determinata, dovrà essere decurtata quella già corrisposta alla parte a titolo di acconto sull'importo originariamente convenuto.

Il collegio ammonisce che qualsiasi controversia che dovesse nuovamente insorgere sulla determinazione o sul pagamento dell'indennità di esproprio è appannaggio della giurisdizione del giudice ordinario (Cass. civ., sez. un., n. 4880 del 2019; 2 febbraio 2018, n. 2583; C.d.S., sez. IV, 25 febbraio 2019, n. 1272). Ciò a valere anche per quelle aventi ad oggetto l'interesse del cinque per cento del valore venale del bene, dovuto per il periodo di occupazione senza titolo, ai sensi del comma 3, ultima parte, di detto articolo, «a titolo di risarcimento del danno», giacché esso, ad onta del tenore letterale della norma, costituisce solo una voce del complessivo «indennizzo per il pregiudizio patrimoniale» di cui al comma 1 della medesima norma, secondo un'interpretazione imposta dalla necessità di salvaguardare il principio costituzionale di concentrazione della tutela giurisdizionale avverso i provvedimenti ablatori; dette controversie sono devolute alla competenza, in unico grado, della Corte di appello (C.d.S., sez. IV , 29 settembre 2017, n. 4550 del 2017; Cass. civ., sez. un., 25 luglio 2016, n. 15283; id., ord. 29 ottobre 2015, n. 22096).

11. In conclusione, ai sensi dell'art. 34, primo comma, lett. c), c.p.a., il Collegio, anche allo scopo di porre termine ad una controversia ormai risalente negli anni, ritiene opportuno disporre che l'ente intimato, in mancanza di accordo negoziale con l'appellante, si determini in ordine alla quantificazione delle somme dovute per l'acquisizione dell'area di cui al decreto n. 6173 del 20 marzo 2006, entro centoventi giorni dalla comunicazione o notificazione, se anteriore, della presente decisione, fatta salva la riedizione dell'atto, laddove allo stesso non sia stata data esecuzione a tempo debito, stante la mancanza di misure cautelari accordate nell'odierno procedimento. Con determinazione a parte, provveda al risarcimento del danno per l'occupazione sine titulo di mq. 275, corrispondenti alla particella 1019 ottenuta dal frazionamento della particella 326, in quanto non acquisita con il provvedimento del 20 marzo 2006, e quindi nella titolarità dell'appellante a far data da tale atto.

All'inutile decorso del termine come sopra indicato, a tanto provvederà, nella qualità di Commissario ad acta, il Prefetto di Salerno, il quale, anche avvalendosi di personale dell'Ufficio Territoriale del Governo al quale è preposto, appositamente delegato, adotterà - in luogo del Comune di Sarno - le determinazioni necessarie al fine di dare compiuta esecuzione a quanto stabilito nella presente pronunzia.

12. La complessità delle questioni di diritto sottese all'odierna controversia, giustifica la compensazione delle spese del grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie, con le precisazioni di cui in motivazione, e per l'effetto dichiara la nullità del provvedimento di acquisizione disposto dal Comune di Sarno ex art. 43 del d.P.R. 327/2001 limitatamente all'individuazione delle somme dovute a titolo di ristoro; ordina al Comune di Sarno di provvedere in merito nel rispetto dell'art. 42-bis del d.P.R. n. 327/2001, salva ogni altra ipotesi di accordo negoziale in merito tra le parti, entro 120 (centoventi) giorni decorrenti dalla notificazione, ovvero se anteriore, dalla comunicazione della presente sentenza.

Dispone che, inutilmente decorsi i termini come sopra indicati, a tanto provveda, nella qualità di Commissario ad acta, il Prefetto di Salerno, anche avvalendosi di personale dell'Ufficio Territoriale del Governo al quale è preposto, in luogo del Comune di Sarno, adottando le determinazioni necessarie al fine di dare compiuta esecuzione a quanto stabilito nella presente pronunzia.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.