Consiglio di Stato
Sezione II
Sentenza 19 marzo 2020, n. 1951

Presidente: Greco - Estensore: Sabbato

FATTO E DIRITTO

1. Con ricorso n. 502 del 2007, proposto innanzi al T.a.r. per la Sardegna, la società Logistica Mediterranea S.p.a. (di seguito la società) aveva chiesto l'annullamento:

a) del provvedimento col quale sono state rigettate la comunicazione di d.i.a. e la subordinata richiesta di autorizzazione edilizia per l'installazione di un'intelaiatura telescopica telonata, aperta su due lati, a uso di ricovero temporaneo di autoveicoli nell'ambito del proprio complesso industriale.

b) ove necessario, degli artt. 10, 32 e 41 del Regolamento edilizio del Comune di Elmas.

2. A sostegno dell'impugnativa la società aveva dedotto quanto segue:

i) violazione e/o falsa applicazione dell'art. 10-bis della l. n. 241/1990;

ii) violazione e falsa applicazione degli artt. 32 e 41 del Regolamento edilizio del Comune di Elmas; violazione e falsa applicazione dell'art. 3 del t.u. n. 380/2001 (già art. 7 della l. n. 94/1982); illogicità; ingiustizia manifesta; carenza di istruttoria e di motivazione.

3. Costituitasi l'Amministrazione comunale in resistenza, il Tribunale adìto, Sezione II, ha così deciso il gravame al suo esame:

- ha dichiarato il ricorso improcedibile per sopravvenuta carenza d'interesse;

- ha condannato parte ricorrente al rimborso delle spese di lite (euro 2.000,00 oltre accessori di legge).

4. In particolare, il Tribunale, dopo aver accolto la domanda cautelare, con conseguente nuova istanza di autorizzazione avanzata dalla società per l'esecuzione dell'intervento in progetto, ha ritenuto che:

- "il precedente procedimento culminato con il provvedimento impugnato è stato sostituito con il nuovo procedimento finalizzato al rilascio di una autorizzazione edilizia per la struttura in questione, iniziato da parte del Comune con la richiesta documentale di cui alla citata nota del 7.8.2007. La ricorrente ha aderito all'iniziativa del Comune, presentando in data 26.10.2007 una nuova istanza di autorizzazione edilizia, sulla quale è poi intervenuto il riportato parere della Commissione edilizia. Il nuovo procedimento ha comportato l'abbandono della precedente controversia in ordine al provvedimento impugnato, essendo chiaramente incompatibile con essa l'attivazione di un nuovo procedimento, senza alcuna riserva in ordine alla situazione precedente, finalizzato ad ottenere una autorizzazione per l'installazione temporanea della struttura".

5. Avverso tale pronuncia la società ha interposto appello, notificato il 17 gennaio 2011 e depositato il 28 gennaio 2011, lamentando, attraverso due motivi di gravame (pagine 4-15) con i quali ha avversato la pregiudiziale statuizione in rito e quindi reiterato i motivi di primo grado, quanto di seguito sintetizzato:

I) avrebbe errato il Tribunale nel dichiarare il ricorso di prime cure improcedibile, essendosi l'Amministrazione limitata a dare esecuzione allo iussum cautelare con l'adozione di atti aventi mera rilevanza provvisoria, e pertanto si chiede la rimozione di tale statuizione preclusiva dell'esame del merito del ricorso;

II) sarebbe incorso il Tribunale nel vizio di difetto di motivazione per non avere esaminato, in sede di statuizione sulle spese secondo il canone della soccombenza virtuale, tutti i motivi del ricorso di primo grado;

III) si reiterano, pertanto, le censure di primo grado non esaminate dal Tribunale - sull'assunto, reputato erroneo, dell'improcedibilità del ricorso - o comunque erroneamente reputate infondate, ed in particolare quelle relative al mancato preavviso di diniego, alla non necessità del permesso di costruire per la precarietà e pertinenzialità delle opere anche alla luce della circolare ministeriale in materia di impianti industriali.

6. L'appellante ha concluso chiedendo l'annullamento o la riforma dell'impugnata sentenza n. 1391/2010 e, quindi, l'accoglimento del ricorso introduttivo.

7. In data 17 marzo 2012, il Comune di Elmas si è costituito con memoria, al fine di resistere, evidenziando che la Commissione edilizia, in data 13 dicembre 2007, esprimeva parere favorevole alla nuova istanza di autorizzazione.

8. In vista della trattazione nel merito del ricorso le parti hanno depositato istanza congiunta di cancellazione della causa dal ruolo.

9. La causa, chiamata per la discussione alla pubblica udienza del 21 gennaio 2020, è stata ivi introitata in decisione.

9.1. Va premesso che l'istanza di cancellazione della causa dal ruolo, proposta congiuntamente dalle parti in vista di una possibile soluzione bonaria della controversia, non può essere accolta, in quanto trattasi di ricorso in appello pluridecennale e pertanto è del tutto plausibile che le parti di causa abbiano avuto tutto il tempo per raggiungere un accordo transattivo.

9.2. Ritiene il Collegio che l'appello in esame sia da respingere.

9.3. È meritevole di favorevole considerazione quanto dedotto nei riguardi della statuizione in rito di improcedibilità del ricorso di prime cure per sopravvenuto difetto d'interesse, in quanto, al momento della sentenza odiernamente impugnata, la nuova autorizzazione richiesta dalla società, a seguito del pronunciamento cautelare del Tribunale, non era stata ancora rilasciata e comunque il parere favorevole della CEC ne limitava l'efficacia a soli 6 mesi, cioè per un tempo ben inferiore alla durata del contratto evidenziato dalla stessa appellante.

Peraltro - soprattutto alla stregua della giurisprudenza più recente (C.d.S., sez. V, 20 luglio 2016, n. 3272) - l'adozione da parte dell'Amministrazione di nuovi provvedimenti in esecuzione di un'ordinanza cautelare, essendo sempre accompagnata dalla riserva delle definitive determinazioni all'esito del giudizio, non può determinare mai il venir meno dell'interesse in capo al ricorrente, a meno che - appunto - non emerga chiaramente che si tratti non di mera esecuzione del decisum cautelare ma di nuovi provvedimenti destinati a sostituire in toto quelli impugnati. Non va poi trascurato che nel caso di specie, dove - come detto - al momento della sentenza di primo grado non risultava neanche concluso il nuovo procedimento avviato in esecuzione dell'ordinanza cautelare, non solo non sussistevano i presupposti suindicati, ma la stessa ricorrente, in replica a specifica eccezione dell'Amministrazione, aveva ribadito di avere ancora interesse alla decisione.

La statuizione in rito recata dalla sentenza impugnata va quindi rimossa e pertanto, neutralizzata la sua portata preclusiva del merito, non possono che essere esaminate le censure di primo grado riproposte in questa sede. È appena il caso di evidenziare, infatti, che, secondo i dettami più recenti dell'Adunanza plenaria, l'erronea declaratoria di improcedibilità del ricorso di prime cure non integra un'ipotesi di rimessione della causa al primo giudice ai sensi dell'art. 105, comma 1, c.p.a., che così recita: "Il Consiglio di Stato rimette la causa al giudice di primo grado soltanto se è mancato il contraddittorio, oppure è stato leso il diritto di difesa di una delle parti, ovvero dichiara la nullità della sentenza, o riforma la sentenza o l'ordinanza che ha declinato la giurisdizione o ha pronunciato sulla competenza o ha dichiarato l'estinzione o la perenzione del giudizio". Sul punto è sufficiente rinviare ai consolidati principi elaborati dalla recente giurisprudenza dell'Adunanza plenaria che, come è noto, si è pronunciata ben quattro volte, nell'arco del 2018, sui limiti applicativi dell'art. 105 c.p.a. (cfr. sentenza 30 luglio 2018, n. 10; sentenza 30 luglio 2018, n. 11; sentenza 5 settembre 2018, n. 14; sentenza 28 settembre 2018, n. 15). L'autorevole Collegio, in tali occasioni, ha osservato in primo luogo che le ipotesi di annullamento con rinvio al giudice di primo grado previste dall'art. 105 c.p.a. hanno carattere eccezionale e tassativo e non sono, pertanto, suscettibili di interpretazioni analogiche o estensive. Va in particolare escluso che tra i casi di annullamento con rinvio possa rientrare l'erronea dichiarazione di irricevibilità, inammissibilità o improcedibilità della domanda, oppure l'ipotesi in cui il giudice di primo grado abbia totalmente omesso di esaminare una delle domande proposte (C.d.S., Ad. plen., 30 luglio 2018, n. 10).

Non rientrando l'erronea declaratoria di improcedibilità del ricorso nei casi tassativi di annullamento con rinvio, ne consegue che, in forza del principio devolutivo (art. 101, comma 2, c.p.a.), il Consiglio di Stato decide, nei limiti della domanda riproposta, anche sui motivi di ricorso non affrontati dal giudice di prime cure (C.d.S., sez. V, 29 dicembre 2017, n. 6158).

Non resta quindi che esaminare nel merito le censure sollevate in primo grado e riproposte in questa sede.

10. Il ricorso di primo grado è infondato.

10.1. I temi censorii sollevati in prime cure seguono una duplice linea argomentativa che investe, da un lato, la contestata estraneità dell'intervento al prescelto regime della d.i.a., avuto riguardo alla natura precaria delle opere in progetto e, dall'altro, la pretermissione del diaframma dialogico nelle forme del preavviso di diniego ex art. 10-bis della l. n. 241 del 1990.

10.2. Mette conto evidenziare, preliminarmente, che le opere in progetto prevedono "l'installazione di un'intelaiatura telescopica telonata ad uso ricovero temporaneo di autoveicoli" per il loro successivo smistamento in varie concessionarie Renault della Sardegna in esecuzione di un contratto avente la durata di 18 mesi prorogabili a 24 mesi. Le deduzioni sollevate in ricorso valorizzano la natura precaria delle opere in relazione sia alla consistenza delle stesse sia alla loro durata temporale limitata.

10.3. Tali censure non convincono, in relazione ad entrambi i profili argomentativi su descritti, innanzitutto per il fatto che è indifferente, al fine di configurare la precarietà delle opere, la natura dei materiali utilizzati. Secondo questo Consiglio, infatti, "Il carattere precario di un manufatto deve essere valutato non con riferimento al tipo di materiali utilizzati per la sua realizzazione, ma avendo riguardo all'uso cui lo stesso è destinato, nel senso che, se le opere sono dirette al soddisfacimento di esigenze stabili e permanenti, deve escludersi la natura precaria dell'opera, a prescindere dai materiali utilizzati e dalla tecnica costruttiva applicata" (cfr. sentenza, sez. VI, 11 gennaio 2018, n. 150). Se è vero che la precarietà dell'intervento va piuttosto configurata in relazione al fatto che esso sottende interessi di durata limitata, nemmeno tale circostanza si configura nel caso di specie non potendo essere rapportata alla corrispondente durata del contratto commerciale stipulato. Ciò che rileva, infatti, è che la struttura, per quanto retrattile, è al servizio di un'azienda che opera stabilmente nel settore del commercio di automobili e pertanto è del tutto verosimile che l'esigenza di creare un riparo per le autovetture destinate alla vendita, ancorché se provenienti da una casa di produzione diversa dalla Renault, persista anche dopo la cessazione di detto rapporto contrattuale così protraendosi per un tempo indefinito. Non può quindi condividersi la nozione "ampia" di manufatto precario che è presupposta dalle deduzioni di parte appellante, essendo evidente che il manufatto che la stessa intendeva realizzare avrebbe determinato una significativa alterazione del territorio, essendo servente allo svolgimento di un'attività non occasionale e limitata nel tempo. Peraltro, le più recenti modifiche al t.u. edilizia (art. 3, comma 1, lett. e.1), del d.P.R. n. 380/2001), con riguardo alla definizione di "opera precaria", ancorché non applicabili ratione temporis alla presente fattispecie, confortano queste conclusioni, richiedendo il legislatore che "siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee".

Non va peraltro trascurato che l'intervento risulta in contrasto con l'art. 48 del Regolamento edilizio comunale, in quanto consente la realizzazione di opere precarie per la durata di soli 6 mesi e questo comunque osta ai fini dell'assentibilità dell'intervento. L'assoggettamento al più favorevole regime della d.i.a., infatti, postula la conformità delle opere alla disciplina (anche) edilizia localmente vigente.

11. Infondata è anche la censura di cui alla violazione dell'art. 10-bis della l. n. 241 del 1990 già solo per il fatto che la d.i.a. è estranea al suo ambito applicativo, come da preciso orientamento di questo Consiglio, secondo cui "È inapplicabile alla denunzia di inizio attività (di cui al d.P.R. n. 380 del 2001) l'art. 10-bis l. n. 241 del 1990, atteso che la d.i.a. è provvedimento (implicito) di tipo favorevole al privato, mentre è negativo (ma non è a rigore un rigetto della istanza) il successivo atto di diffida a non agire; inoltre, il preavviso per l'ordine di non eseguire costituirebbe una non giustificata duplicazione del medesimo, incompatibile con il termine ristretto entro il quale l'amministrazione deve provvedere, non essendo fra l'altro previste parentesi procedimentali produttive di sospensione del termine stesso" (cfr. C.d.S., sez. IV, 12 settembre 2007, n. 4828).

Per vero, la fattispecie procedimentale prescelta dalla società ai fini dell'assentimento edilizio, rispetto alla quale il provvedimento impugnato è destinato a rapportarsi sul piano procedimentale, è appunto quella della d.i.a. non potendo l'Amministrazione dar seguito a contraddittorie iniziative (ancorché adottate "in via subordinata") sottoposte a regimi differenti se non addirittura contrapposti.

12. In conclusione, l'appello è infondato nel merito e deve essere respinto e, per l'effetto, va confermata, con diversa motivazione, la sentenza impugnata.

13. La soccombenza parziale e reciproca impone la compensazione delle spese del presente grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto (R.G. n. 616/2010), rigetta l'appello e, per l'effetto, conferma, con diversa motivazione, la sentenza impugnata.

Spese del presente grado di giudizio compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.