Consiglio di Stato
Sezione VI
Sentenza 19 marzo 2020, n. 1943
Presidente: Sabatino - Estensore: Lamberti
FATTO
1. In data 7 maggio 2014, l'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha dato avvio al procedimento istruttorio n. I-780, riguardante il mercato del calcestruzzo nel Veneto, relativamente al c.d. Tavolo "Venezia-Mare" e Tavolo "Belluno". Tale procedimento vedeva individuate quali "Parti" le società Superbeton s.p.a. (SPB), General Beton Triveneta s.p.a. (GBT), Mosole s.p.a. (Mosole), Ilsa Pacifici Remo s.r.l. (Ilsa), Jesolo Calcestruzzi s.r.l. (Jesolo), F.lli De Pra s.p.a. (De Pra), F.lli Romor s.r.l. (Romor) e Intermodale s.r.l. (Intermodale), e, dopo la conclusione della fase istruttoria, con il provvedimento assunto nell'adunanza del 22 dicembre 2015, l'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha ritenuto che le suddette imprese avevano partecipato, dal 2010 al 2013, per il tramite della Società di servizi Intermodale, ad un'intesa finalizzata alla ripartizione dei cantieri di fornitura del calcestruzzo con fissazione dei prezzi di riferimento, nel mercato geografico a Nord di Venezia, in violazione dell'art. 2 l. 287/1990.
2. Con ricorso notificato in data 11 marzo 2016, la s.r.l. Ilsa Pacifici Remo ha adito il T.A.R. per il Lazio, chiedendo l'annullamento del citato provvedimento, nonché, occorrendo, delle Linee Guida di cui alla Delibera AGCM 22 ottobre 2014 n. 25152, e di ogni atto presupposto, conseguente o collegato, compresi tutti gli atti del procedimento n. I-780
2.1. Il ricorso della società era articolato in quattro motivi di impugnazione, così riassumibili: a) difetto di istruttoria, in particolare in ordine alla erronea qualificazione del mercato di riferimento quale mercato rilevante, con i relativi riflessi sul giudizio di gravità dell'intesa; b) difetto di istruttoria, in particolare in ordine alla mancata prova della sussistenza delle condotte ascritte in capo alla ricorrente e alla mancata considerazione delle circostanze attenuanti, con difetto di personalizzazione della sanzione; c) il difetto di proporzionalità della sanzione; d) l'inapplicabilità delle linee guida e la loro illegittimità e, più in generale, la richiesta di rideterminazione della sanzione.
3. Con la sentenza n. 12418/2017, il T.A.R. per il Lazio ha rigettato il ricorso.
4. Avverso tale sentenza ha proposto appello la società ricorrente in primo grado.
Si è costituita in giudizio l'Autorità.
All'udienza del 5 marzo la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. La questione posta all'esame della Sezione attiene alla legittimità del provvedimento dell'Autorità della concorrenza e del mercato con il quale è stata irrogata alla società appellante una sanzione pecuniaria per la violazione dell'art. 2 della l. 287/1990
1.1. Come anticipato nella parte in fatto, a seguito dell'attività ispettiva posta in essere dall'Autorità è emerso che, a partire dal giugno 2010, SuperBeton, Mosole, Jesolo Calcestruzzi, Ilsa Pacifici Remo e General Beton Triveneta, tutte imprese produttrici di calcestruzzo, decidevano di fare fronte alla discesa dei prezzi del calcestruzzo provocata dalla contrazione della relativa domanda, stabilendo congiuntamente, tramite la società di consulenza Intermodale, una ripartizione dei volumi di calcestruzzo da rifornire e della clientela, assistita dall'individuazione di un prezzo di riferimento, in un'area geografica comprendente la zona a nord di Venezia e, più precisamente, i comuni di Caorle, Jesolo e San Donà di Piave.
In particolare, le decisioni in ordine a chi doveva effettuare una determinata fornitura erano discusse nel corso di riunioni, generalmente settimanali, in cui le imprese concorrenti partecipanti a ciascun tavolo concertativo ricostruivano un quadro complessivo dei cantieri contendibili, grazie alle segnalazioni che ognuno di esse aveva inviato a Intermodale nei giorni precedenti la riunione. Laddove i concorrenti non fossero giunti a una soluzione condivisa, la decisione ultima su chi dovesse effettuare una determinata fornitura era delegata alla società di consulenza Intermodale.
2. Prima di scrutinare i singoli motivi di censura svolti dall'appellante, giova ricordare che il sindacato giurisdizionale che viene in considerazione nell'ambito in esame è finalizzato a verificare se l'Autorità ha violato il principio di ragionevolezza tecnica, senza che sia consentito, in coerenza con il principio costituzionale di separazione, sostituire le valutazioni, anche opinabili, dell'amministrazione con quelle giudiziali.
In particolare, la giurisprudenza amministrativa più recente - superate alcune incomprensioni lessicali legate all'in[i]ziale distinzione tra sindacato "debole" e "forte" - ha ammesso una piena conoscenza del fatto e del percorso intellettivo e volitivo seguito dall'amministrazione. Si è affermato che l'unico limite in cui si sostanzia l'intangibilità della valutazione amministrativa complessa è quella per cui, quando ad un certo problema tecnico ed opinabile (in particolare, la fase di c.d. "contestualizzazione" dei parametri giuridici indeterminati ed il loro raffronto con i fatti accertati) l'Autorità ha dato una determinata risposta, il giudice (sia pure all'esito di un controllo "intrinseco", che si avvale cioè delle medesime conoscenze tecniche appartenenti alla scienza specialistica applicata dall'Amministrazione) non è chiamato, sempre e comunque, a sostituire la sua decisione a quella dell'Autorità, dovendosi piuttosto limitare a verificare se siffatta risposta rientri o meno nella ristretta gamma di risposte plausibili, ragionevoli e proporzionate, che possono essere date a quel problema alla luce della tecnica, delle scienze rilevanti e di tutti gli elementi di fatto (C.d.S., sez. VI, 15 luglio 2019, n. 4990).
Tale sindacato è stato definito di "attendibilità tecnica e non sostitutivo" (cfr. C.d.S., sez. VI, n. 4990 del 2019, cit.).
3. Tanto precisato, con il primo motivo di appello si deduce l'erroneità della sentenza impugnata laddove, pronunciando sulla censura proposta dalla società in relazione all'errata individuazione del mercato rilevante, la rigetta sulla scorta di una motivazione che l'appellante definisce poco comprensibile e finanche contraddittoria.
Sul punto, il T.A.R. ha rilevato che "con riferimento all'intesa cui ha preso parte Ilsa, il mercato rilevante coincide con la vendita di calcestruzzo preconfezionato nella zona individuata nel procedimento I-780, ove esistevano impianti in grado di coprire le distanze chilometriche massime indicate".
3.1. L'appellante contesta tale conclusione, insistendo sul fatto che il proprio ambito geografico di operatività sarebbe limitato a una zona che si estende in un raggio massimo di circa 20 km dall'impianto della società, sito in San Donà di Piave.
Secondo l'appellante, tale circostanza sarebbe pacifica e confermata dalla stessa AGCM, in sede di istruttoria amministrativa.
Sulla base di tale dato, l'appellante prospetta: da un lato, che l'Autorità avrebbe dovuto circoscrivere per il singolo operatore il mercato rilevante alla sola area di diretta pertinenza e influenza, e cioè al raggio di 20 km; dall'altro, rileva una carenza istruttoria dell'Autorità, che non avrebbe verificato se nel raggio di 20 km dallo stabilimento del singolo operatore vi siano stabilimenti di concorrenti suscettibili di essere fruttuosamente "coordinati" o comunque condizionati.
3.2. Più in generale, la società ha prospettato che la delimitazione del mercato rilevante operata dall'Autorità sarebbe del tutto insufficiente a configurare una intesa rilevante ai fini della legislazione antitrust ai sensi dell'art. 2 della l. 287/1990, non investendo né il mercato nazionale né una parte rilevante di questo.
4. Le censure sono infondate.
In generale, deve osservarsi che nelle ipotesi di intese restrittive della concorrenza, la definizione del mercato rilevante risulta ex se funzionale all'individuazione delle caratteristiche stesse del contesto nel cui ambito si colloca l'illecito coordinamento delle condotte d'impresa, atteso che è proprio l'ambito di tale coordinamento a delineare e definire l'ambito stesso del mercato rilevante. Vale a dire che la definizione dell'ambito merceologico, operativo e territoriale in cui si manifesta un coordinamento fra imprese concorrenti e si realizzano gli effetti derivanti dall'illecito concorrenziale risulta funzionale alla decifrazione del grado di offensività dell'illecito (cfr. C.d.S., sez. VI, 3 giugno 2014, n. 2837).
Deve anche precisarsi, disattendendo il rilievo della società, che anche una porzione ristretta del territorio nazionale può assurgere a mercato rilevante, qualora in essa abbia luogo l'incontro di domanda ed offerta in condizioni di autonomia rispetto ad altri ambiti anche contigui e, quindi, esista una concorrenza suscettibile di essere alterata, per cui in presenza di una intesa illecita, la definizione del mercato rilevante è successiva rispetto all'individuazione dell'intesa, atteso che l'ampiezza e l'oggetto dell'intesa medesima circoscrivono il mercato (cfr. C.d.S., sez. VI, 12 ottobre 2017).
Richiamando i principi generali innanzi enunciati, deve ribadirsi che la individuazione del mercato, sul piano geografico e merceologico, è espressione del potere di valutazione tecnica che può essere sindacato solo quando viola il principio di ragionevolezza.
4.1. Nella fattispecie in esame l'Autorità ha esercitato il suo potere in modo conforme a tale principio.
Invero, sia l'Autorità che il T.A.R., in ragione dello scopo dell'indagine e della specificità dell'intesa che è emersa in coerenza con i principi innanzi esposti, hanno tenuto conto che il mercato interessato della produzione e commercializzazione del calcestruzzo ha dimensioni geografiche limitate in ragione delle ricordate caratteristiche di deperibilità del prodotto, con impianti di betonaggio che servono usualmente clienti entro un raggio di 20-50 km.
In altri termini, la delimitazione del mercato rilevante si è fondata su una attenta considerazione delle caratteristiche dell'accordo collusivo in esame, che delinea in modo chiaro un'intesa "per oggetto". Invero, dal contenuto dell'intesa, tenuto conto dei dati raccolti e interpolati, è emerso il relativo scopo di ottenere a una forma di ingessamento e prevedibilità dei comportamenti commerciali, finalizzati all'assegnazione dei cantieri, e dalla collocazione geografica degli stessi su buona parte del territorio interessato, rispetto al quale l'AGCM ha individuato l'area oggetto dell'intesa.
Nello specifico, ad inficiare la prospettazione dell'appellante che vorrebbe limitare a soli 20 km il proprio bacino di utenza, sono state opportunamente evidenziate le affermazioni di alcune aziende partecipanti all'intesa, secondo cui "il calcestruzzo può essere fornito anche a distanza di circa 40 km utilizzando prodotti confezionati con le nuove tecnologie (anche mediante "ritardanti" nei periodi più caldi e secchi, quale quelli estivi)".
Da tale dato emerge che, anche ammesso che il raggio di operatività dell'appellante fosse maggiormente circoscritto, quello di altre imprese era ragionevolmente più ampio, indipendentemente dalla collocazione del relativo stabilimento, sovrapponendosi pertanto a quello dell'appellante.
Del resto, diversamente opinando, non si comprenderebbe neppure il senso della partecipazione dell'appellante all'intesa nei termini innanzi descritti.
5. Da un altro punto di vista, in via subordinata, la Società deduce che la circostanza della insufficiente estensione del mercato rilevante individuato dall'AGCM nel caso di specie impedirebbe di qualificare l'intesa come molto grave.
Le già descritte caratteristiche del comportamento collusivo stridono con tale assunto, ove si consideri che la condotta illecita, nel caso di specie, è stata perpetrata attraverso una vera e propria struttura a ciò finalizzata, tramite l'intervento di un soggetto terzo che all'occorrenza ripartiva i diversi cantieri tra gli aderenti all'intesa, in modo da annullare qualunque spiraglio concorrenziale.
Infatti, il coordinamento veniva gestito da Intermodale per il tramite di un database in cui la società di consulenza faceva confluire tutti i dati forniti dalle imprese e dai quali venivano poi estratti i tabulati contenenti le assegnazioni dei cantieri, con l'indicazione anche di un prezzo di riferimento.
Al riguardo, la giurisprudenza ha ripetutamente affermato che tale forma di collusione rientra tra le più gravi restrizioni della concorrenza già per il suo "oggetto" (c.d. hardcore), senza bisogno che ne sia provato l'effetto, così come ampiamente argomentato dall'Autorità (cfr., C.d.S., sez. VI, 27 giugno 2014, n. 3252; C.d.S., sez. VI, 13 giugno 2014, n. 3032; Corte di Giustizia C-534/07, William Prym GmbH).
Ne consegue che l'Autorità, nell'esercizio dei propri poteri valutativi, può considerare come "molto grave" anche solo tale tipologia di accordo a prescindere dalla valutazione degli effetti (cfr. C.d.S., sez. VI, n. 5997 del 2017, cit.).
6. Con il secondo motivo di appello si contesta la sentenza di primo grado nella parte in cui considera soddisfatto l'onere probatorio dell'Autorità in relazione all'esistenza dell'intesa e alla partecipazione alla stessa da parte della ricorrente sulla base dell'ammissione di alcune delle parti e del rinvenimento di un database contenente le informazioni sui cantieri di tutte le società coinvolte.
Secondo l'appellante: a) le dichiarazioni della altri parti non potrebbero costituire elemento di prova a carico di soggetti diversi dai dichiaranti; b) il database di Intermodale dimostrerebbe esclusivamente come quest'ultima avesse acquisito i dati relativi alla clientela storica delle società per le quali svolgeva attività di consulenza, al fine di consigliare loro i comportamenti da porre in essere al fine della migliore operatività e redditività dell'impresa; c) in ogni caso, non sarebbe mai venuta in possesso di tali tabulati.
6.1. Quanto alla propria specifica posizione, l'appellante, al fine di contestare l'attribuibilità delle condotte illecite contestate dall'AGCM, insiste nel sottolineare: a) come non sia ravvisabile alcun cambiamento della propria condotta e dei propri risultati commerciali, avendo mantenuto, anche durante il circoscritto periodo di rapporto con Intermodale, il medesimo volume di vendita precedente, presso i proprio clienti storici; b) che, anche dopo il periodo contestato (2013 e 2014), tali clienti erano rimasti tali, semmai incrementando e non diminuendo i rapporti commerciali; c) che ha sempre praticato prezzi più alti delle imprese concorrenti (e non ha smesso di farlo nel periodo contestato) in ragione proprio della particolare qualità del proprio prodotto e della personalizzazione dei servizi aggiuntivi resi al cliente.
In definitiva, secondo l'appellante, seppur debba riconoscersi uno scambio di informazioni, per lo più storiche, tra Intermodale e le singole imprese, resterebbe non provato che da detta condivisione di informazioni sia derivata una concreta attuata concertazione dei prezzi in danno della regolare concorrenza tra gli operatori sul mercato.
6.2. L'appellante contesta inoltre l'affermazione contenuta nella sentenza sulla ritenuta segretezza degli accordi tra Intermodale e le varie Società sanzionate, in quanto la consulenza aziendalistica sulla minimizzazione dei costi ed ottimizzazione delle risorse ai fini della migliore operatività e redditività di Ilsa Pacifici sarebbe sempre avvenuta alla luce del sole, mentre i tabulati contenuti nel database di Intermodale non sarebbero mai pervenuti nella disponibilità dell'appellante.
7. La censura nelle sue plurime articolazioni è infondata.
In via generale, deve ricordarsi che, a norma dell'art. 101, par. 1, Tfue "sono incompatibili con il mercato interno e vietati tutti gli accordi tra imprese, tutte le decisioni di associazioni di imprese e tutte le pratiche concordate che possano pregiudicare il commercio tra Stati membri e che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all'interno del mercato interno".
L'art. 2 della l. n. 287 del 1990 contiene analoga disposizione.
La giurisprudenza ha messo in rilievo la diversità esistente tra l'accordo e la pratica concordata. Il primo ricorre quando le imprese hanno espresso la loro comune volontà di comportarsi sul mercato in un determinato modo. La seconda ricorre quando si realizza una forma di coordinamento fra imprese che "senza essere spinta fino all'attuazione di un vero e proprio accordo, sostituisce, in modo consapevole, un'espressa collaborazione fra le stesse per sottrarsi ai rischi della concorrenza" (C.d.S., sez. VI, 29 maggio 2018, n. 3197). È evidente come la figura dell'accordo sia rara nella prassi in quanto "gli operatori del mercato, ove intendano porre in essere una pratica anticoncorrenziale, ed essendo consapevoli della sua illiceità, tenteranno con ogni mezzo di celarla, evitando accordi scritti o accordi verbali espressi e ricorrendo, invece, a reciproci segnali volti ad addivenire ad una concertazione di fatto". Per queste ragioni la giurisprudenza, "consapevole della rarità dell'acquisizione di una prova piena, ritiene che la prova della pratica concordata, oltre che documentale, possa anche essere indiziaria, purché gli indizi siano gravi, precisi e concordanti" (C.d.S., sez. VI, n. 3197 del 2018, cit.; C.d.S., sez. VI, 4 settembre 2015, n. 4123).
7.1. Tenuto conto delle censure dell'appellante, deve aggiungersi che nelle fattispecie di intesa anticoncorrenziale, risulta superfluo, al fine dell'an della responsabilità, indagare se il singolo partecipante all'intesa abbia avuto un ruolo maggiore o minore, attivo o addirittura meramente passivo (cfr. C.d.S., sez. VI, 20 maggio 2011, n. 3013 e 18 maggio 2015, n. 2513).
Al riguardo, il T.A.R. ha correttamente richiamato l'orientamento in base al quale il cartello è una collusione (conspiracy) dei suoi membri e, dunque, anche coloro la cui partecipazione sia stata eventualmente limitata, per non aver preso parte a tutti gli aspetti dell'accordo anticompetitivo o per avervi svolto un ruolo minore, contribuiscono alla cospirazione complessiva (cfr. T-23/99 LR af 1998 A/S v Commission).
In altre parole, al fine di accertare l'esistenza della violazione antitrust, la particolare specifica condotta (anche omissiva) di un partecipante al cartello perde di rilevanza e pertanto la mancata considerazione della medesima non incide sull'esistenza della violazione antitrust in sé, potendo semmai essere considerata ai limitati fini di una adeguata commisurazione della sanzione. In questo senso anche un partecipante in possesso di una quota minore nel mercato di riferimento può contribuire alla collusione, come si desume anche dalla giurisprudenza comunitaria secondo cui è possibile presumere la partecipazione ad una pratica concordata, se le imprese coinvolte si siano astenute dal dissociarsi pubblicamente dalla suddetta pratica, non l'abbiano denunciata alle autorità amministrative o non abbiano apportato altre prove per confutare siffatta presunzione (cfr. C-74/14 Eturas UAB e a./Lietuvos Respublikos konkurencijos taryba).
7.2. In fatto, è pacifica la sussistenza di plurimi elementi probatori che dimostrano incontrovertibilmente la sussistenza dell'accorto illecito, come emerge dalla documentazione trovata presso Intermodale, dalle dichiarazione di questa, nonché da quelle di imprese partecipanti all'intesa (vedasi dichiarazioni della società De Pra che, oltre aver riconosciuto la sua partecipazione agli incontri settimanali, ha anche ammesso che "l'obiettivo di partecipare alle riunioni gestite da Intermodale... era quello di conoscere le strategie dei concorrenti").
7.3. Quanto all'andamento commerciale dell'appellante, deve ricordarsi che vale a configurare una condotta anticoncorrenziale anche quella tesa soltanto al mantenimento della propria quota "storica" di mercato, al fine di impedirne l'erosione progressiva a seguito della naturale evoluzione di un libero e trasparente confronto concorrenziale.
La prospettazione dell'appellante è inoltre in palese contrasto che la consolidata giurisprudenza, secondo cui un'intesa restrittiva della concorrenza integra una fattispecie di pericolo, nel senso che il vulnus al libero gioco della concorrenza può essere di natura soltanto potenziale e non deve necessariamente essersi consumato (cfr. C.d.S., sez. VI, 13 giugno 2014, n. 3032 e 24 ottobre 14, nn. 5274, 5275, 5276, 5277, 5278).
7.4. Il fatto che presso l'appellante non siano stati ritrovati i tabulati di Intermodale non è circostanza rilevante, in quanto i relativi dati erano formati presso quest'ultima società che provvedeva, però, a consegnare i tabulati brevi manu ai partecipanti a ciascun incontro, come dichiarato dalla stessa società durante l'istruttoria procedimentale.
Da un altro punto di vista, l'attività di Intermodale non può essere ricondotta ad una mera consulenza aziendale, essendo invece palese l'intento anticoncorrenziale perseguito attraverso la stessa. Invero, solo in tale ottica si giustificano gli incontri periodici tra le parti relativi a quello specifico mercato e le necessità di formare tabulati contenenti i dati come in riferimento a cantieri e impianti.
7.5. Infine, in riferimento alla segretezza della concertazione, le considerazioni dell'appellante non appaiono idonee ad incrinare quanto già argomentato dal giudice di primo grado, il quale, a tal fine, ha correttamente messo in luce che il contenuto del database rinvenuto presso Intermodale era tutt'altro che di facile leggibilità, a causa dell'utilizzo di codici identificativi, decrittabili solo sulla base di apposito file contenuto nel medesimo database, ma separato dagli altri.
Invero, il provvedimento evidenzia che dall'esame del contenuto del database, si evince che le assegnazioni sono sostanzialmente criptate, nel senso che nei tabulati non compare il nome dell'azienda assegnataria, ma un codice numerico. La chiave di tale codice numerico è contenuta in un file del database stesso ed era conosciuta dai partecipanti al coordinamento.
8. Deve invece trovare accoglimento la censura con la quale, stante il contributo marginale dell'appellante e la minore durata dell'illecito alla stessa effettivamente imputabile, si contesta la determinazione della sanzione.
8.1. In via preliminare, contrariamente alla prospettazione dell'appellante, deve essere ribadita la piena applicabilità delle Linee Guida che, per loro espressa previsione, si applicano ai procedimenti "in corso" al momento della loro adozione, ovvero ai procedimenti "nei quali non sia stata notificata alle parti la comunicazione delle risultanze istruttorie".
A fronte dei rilievi della società al riguardo, è sufficiente ricordare che esse "si sono limitate a cristallizzare in regole di condotta orientamenti giurisprudenziali già esistenti sul carattere dissuasivo e sull'efficacia deterrente della sanzione antitrust e sulla gravità delle intese appartenenti alla tipologia di quelle che vengono in rilievo in questa sede, impedendo di individuare la violazione di un legittimo affidamento degli interessati" (C.d.S., sez. VI, 21 dicembre 2017, n. 5997).
Come ricordato dall'appellante, le linee guida hanno previsto che, nell'applicazione delle sanzioni pecuniarie, da un lato, non occorre superare il limite massimo del 10% del fatturato in attuazione di quanto prescritto dall'art. 15 della l. n. 287 del 1990, dall'altro, il limite minimo del 15% del valore delle vendite (par 12: "nel valutare la gravità della violazione, l'Autorità terrà conto in primo luogo della natura dell'infrazione"; "l'Autorità ritiene che le intese orizzontali segrete di fissazione dei prezzi, di ripartizione dei mercati e di limitazione della produzione costituiscano le più gravi restrizioni della concorrenza"; al riguardo, l'eventuale segretezza della pratica illecita ha una diretta relazione con la probabilità di scoperta della stessa e, pertanto, con la sanzione attesa; per le infrazioni da ultimo indicate "la percentuale del valore delle vendite considerata sarà di regola non inferiore al 15%").
Per altro, nelle stesse linee (par. 34) si prevede che "le specifiche circostanze del caso concreto o l'esigenza di conseguire un particolare effetto deterrente possono giustificare motivate deroghe dall'applicazione delle presenti Linee Guida, di cui si dà espressamente conto nel provvedimento che accerta l'infrazione". Ne consegue che è ben possibile rideterminare la sanzione tenendo conto degli aspetti favorevoli alla società innanzi anticipati, anche in deroga al suddetto limite del 15%.
8.2. Con il secondo motivo del ricorso introduttivo, la società aveva rappresentato, ai fini della riduzione della sanzione di occupare una posizione marginale, pari a circa il 10% scarso del mercato rilevante, rispetto al 50% e 35% circa detenuto da altre singole imprese coinvolte nell'indagine di che trattasi.
La società ha inoltre dimostrato che, per il prodotto calcestruzzo, ha un fatturato per gli anni 2013 e 2014 inferiore ad 1 milione di Euro (anno 2013 Euro 994.355; anno 2014 Euro 708.298).
Il "ruolo marginale" all'interno dell'intesa è previsto dal citato art. 23 delle Linee Guida quale circostanza attenuante.
8.3. Sempre ai fini del calcolo della sanzione, non appare condivisibile la statuizione del T.A.R. nel punto in cui non ha valorizzato che, con la comunicazione del 20 dicembre 2012, la società aveva dato disdetta dal rapporto con Intermodale, e dunque ben sei mesi prima del termine del periodo di durata dell'infrazione individuato nel provvedimento impugnato dall'Autorità dal provvedimento impugnato.
L'individuazione del termine del comportamento illecito al 20 giugno 2013, data in cui risulterebbero le ultime assegnazioni dal database intermodale, contrariamente all'assunto del giudice di primo grado, non può valere per la specifica posizione dell'appellante, dal momento che l'atto di recesso contrattuale dalla stessa inoltrato appare prova sufficiente, in assenza di evidenze in senso contrario, della dissociazione della stessa dalla pratica concordata in atto, specie ove si consideri che a far data dalla disdetta questa non ha più partecipato alle riunioni nell'ambito di attività di Intermodale che, come già spiegato, fungevano da strumento di coordinamento (circostanza non contestata dall'Autorità), rendendo pertanto non così significativo il fatto che anche successivamente alla data del recesso la società figurasse del database curato da Intermodale.
8.4. In ragione delle circostanze innanzi evidenziate, l'Autorità dovrà rideterminare la sanzione, con un[a] riduzione del 25% rispetto a quella concretamente irrogata.
La sanzione così determinata appare comunque sufficientemente incisiva rispetto all'illecito posto in essere, di cui deve confermarsi la gravità, limitandosi a tenere conto della specifica posizione dell'impresa appellante atta a diversificarla da quella delle altre imprese parte dell'impresa.
9. Restano in tal modo superate le ulteriori doglianze dell'appellante in riferimento al calcolo della sanzione, dovendosi ritenere, all'esito della rideterminazione, rispettato anche il principio di proporzionalità.
Al riguardo, deve ricordarsi che la Corte costituzionale ha esteso il principio di proporzionalità nell'applicazione delle sanzioni penali - che impone la necessaria personalizzazione della pena alla luce della oggettiva gravità, oggettiva e soggettiva, del singolo fatto di reato in attuazione del principio di personalità della responsabilità penale ai sensi dell'art. 27 Cost. - anche alle sanzioni amministrative punitive (sentenza n. 112 del 2019). Per quest'ultime, il fondamento costituzionale viene rinvenuto nell'art. 3 Cost. in combinato disposto con le norme costituzionali che tutelano i diritti di volta in volta incisi dalla sanzione.
9.1. Vale un analogo discorso in riferimento alla prospettata sussistenza di un rischio di incapacità contributiva (ITP: inability to pay).
A quest'ultimo riguardo, è comunque utile ricordare che l'art. 35 degli Orientamenti della Commissione del 2006 stabilisce che la Commissione può tener conto della mancanza di capacità contributiva di un'impresa "in circostanze eccezionali", ma non concede "alcuna riduzione di ammenda basata unicamente sulla constatazione di una situazione finanziaria sfavorevole o deficitaria", richiedendosi "prove oggettive dalle quali risulti che l'imposizione di un'ammenda, alle condizioni fissate dai presenti orientamenti, pregiudicherebbe irrimediabilmente la redditività economica" dell'impresa.
Anche ai sensi del p. 31 delle Linee Guida, l'impresa interessata che voglia far valere la propria limitata capacità contributiva deve all'uopo produrre "evidenze complete, attendibili e oggettive da cui risulti che l'imposizione di una sanzione, determinata secondo quanto delineato nelle presenti Linee Guida, ne pregiudicherebbe irrimediabilmente la redditività economica, potendo pertanto determinarne l'uscita dal mercato". Secondo le Linee Guida, l'Autorità, in ogni caso, "non prenderà in considerazione istanze basate unicamente su perdite di bilancio negli ultimi esercizi o di crisi generalizzata del settore interessato".
Alla luce delle disposizioni citate devono essere confermati i principi della eccezionalità della riduzione per "incapacità contributiva" e l'onere per la parte di provarne il collegamento con il pagamento della sanzione, conformemente alla giurisprudenza di questo Consiglio (cfr. C.d.S., n. 5998 del 2017), che richiama la giurisprudenza della Corte di giustizia (sentt. CGUE 19 marzo 2015, C-286/13P, Dole Food; 26 novembre 2013, C-58/12, Groupe Gascogne).
10. L'accoglimento nei termini innanzi precisati dei motivi di censura avverso la determinazione della sanzione giustificano l'integrale compensazione delle spese di lite del doppio grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale accoglie in parte l'appello e, per l'effetto, in parziale riforma la sentenza impugnata, accoglie il ricorso originario nel senso di cui in motivazione.
Spese di lite del doppio grado di giudizio compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.