Corte dei conti
Sezione III centrale d'appello
Sentenza 5 febbraio 2020, n. 24
Presidente: Bersani - Estensore: Comite
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Con la sentenza in epigrafe la Corte regionale per il Lazio, relativamente a presunta "vicenda appropriativa di fondi di sponsorizzazioni", ha condannato D. Paolo "al pagamento, in favore del M.A.E.C.I., della somma di euro 47.985,00, oltre accessori e spese, (queste ultime) liquidate in euro 249,05".
2. I fatti.
Con nota del 29 luglio 2011, trasmessa alla Procura regionale per il Lazio dal Ministero degli Affari Esteri (oggi M.A.E.C.I.) il successivo 1° agosto, erano segnalate inusuali procedure nella gestione di "fondi di sponsorizzazioni", i cui importi risultavano versati sui conti correnti privati del titolare dell'Ambasciata d'Italia ad "Abu Dhabi", sig. D. Paolo, e non assistiti da rendicontazione alcuna sul loro concreto utilizzo. La corposa documentazione evidenziava il trasferimento, l'11 dicembre 2008 (con due distinti bonifici), di due importi di danaro (per un complessivo ammontare di euro 41.985) dai conti in "dirhams" e in euro dell'Ambasciata a conti in "dirhams" e in euro privati, intestati al Capo missione D. Paolo, motivati con la causale "saldo eventi". Dappoi, in occasione della Festa della Repubblica del 2 giugno 2009, l'Ambasciatore inviava ad alcune aziende italiane, operanti in sede, richieste per sponsorizzazioni, in seguito accreditate sul proprio conto nella misura di euro 6.000,00.
All'esito di prodromica valutazione degli elementi di prova raccolti, la Procura per il Lazio, con provvedimento del 16 luglio 2015, ha disposto l'archiviazione del procedimento, tra l'altro, per «non disporre di sufficienti elementi per dubitare dell'effettiva destinazione dei fondi alle attività previste».
La vertenza era poi riaperta il 16 maggio 2016, a seguito della trasmissione, ad opera del M.A.E.C.I., di nota informativa (con allegati, pervenuta l'11 maggio precedente): 1) sulla contestazione di addebiti in sede disciplinare; 2) sulla memoria giustificativa dell'8 novembre 2011 dell'Ambasciatore; 3) sul d.m. del 22 novembre 2011, con cui è stata convocata la Commissione di disciplina; 4) sulla delibera della Commissione di disciplina del 21 maggio 2012, di proposta della sanzione della sospensione; 5) sull'irrogazione al dott. D., con d.m. 1067 del 28 maggio 2012, della sospensione dalla qualifica per mesi sei; 6) sull'esistenza di un procedimento penale sui medesimi fatti, nell'ambito del quale vi era stata la richiesta di rinvio a giudizio della Procura della Repubblica di Roma. Detto procedimento esitava nella sentenza (resa con rito abbreviato) n. 2856/2016, del 22 novembre 2016, del G.I.P., poi acquisita dal Requirente contabile, di condanna per peculato, in quanto «la deliberata e pianificata gestione extrabilancio di tali fondi con la mancata conservazione e custodia dei documenti giustificativi della spesa, integra(va) una condotta palesemente incompatibile con il titolo del possesso (...)».
La Procura contabile ritenendo che il dott. D., nella qualità di "agente contabile", si fosse sostanzialmente, con riguardo ai residui delle sponsorizzazioni del 2008 e alle sponsorizzazioni dirette del 2009, "... sottratto all'obbligo di procedere alla rendicontazione ufficiale delle entrate e delle spese", contestava al medesimo, con libello depositato il 18 [m]aggio 2018, un danno di euro 47.985,00 da ristorare al MAECI, a titolo di dolo, per avere scientemente gestito risorse pubbliche senza rendicontarle, o quantomeno a titolo di colpa grave, per le gravi inescusabili negligenze palesate nella gestione.
2.1. La Sezione Lazio con sentenza n. 298/2019 del 25 giugno 2019 ha dichiarato: infondata l'eccezione di improcedibilità e/o inammissibilità dell'atto introduttivo per non ricorrere identità tra i fatti contenuti nel provvedimento di archiviazione e nella citazione.
In specie, nuovi fatti, ritenuti di rilevanza tale da giustificare la riapertura della vertenza, sono stati rappresentati alla Procura regionale in epoca successiva all'archiviazione, ad opera dello stesso MAECI, che con nota del 10 maggio 2016 segnalava, da un lato, l'adozione nei confronti del D. della sanzione disciplinare della sospensione dalla qualifica per mesi sei (intervenuta nel 2012), dall'altro, la richiesta di rinvio a giudizio dello stesso "per i medesimi fatti che avevano innescato il procedimento disciplinare". Peraltro, soggiungeva il Collegio la riapertura della vertenza era intervenuta in epoca in cui l'art. 70 del nuovo c.g.c. non era entrato in vigore. In ogni caso, la giurisprudenza ancor prima seguiva il principio secondo cui «l'archiviazione non preclude una successiva iniziativa processuale per lo stesso fatto da parte del PM (...) e, conseguentemente, l'atto di citazione (...) non determina l'inammissibilità della domanda in quanto, nel processo di responsabilità amministrativa, l'archiviazione non ha efficacia di cosa giudicata e consente la riapertura delle indagini purché non si sia prescritto il diritto erariale al risarcimento del danno»; insussistente l'eccezione di nullità per violazione del termine di 120 giorni, giacché non era possibile neppure in astratto l'equiparazione dell'invito a dedurre al provvedimento di archiviazione, la cui adozione costituiva un atto dovuto del Procuratore regionale nelle ipotesi delineate dall'art. 69 del c.g.c.; destituita di fondamento l'eccezione di prescrizione, che poteva decorrere solo dal 21 ottobre 2015, data delle richiesta di rinvio a giudizio e momento in cui il pregiudizio si è manifestato all'esterno, con tempestività dell'azione. Nel merito, il Collegio «... riteneva meritevole di accoglimento le tesi attoree fondate su condotte appropriative di somme versate da soggetti privati per sponsorizzazione di eventi organizzati e/o da organizzare ad opera dell'Ambasciatore». A tale stregua individuava una responsabilità contabile del dott. D., che gestendo fondi pubblici non ha assolto all'obbligo della loro puntuale rendicontazione. Di talché, «... la responsabilità del prevenuto (...)» veniva affermata «(...) per l'incontestata appropriazione delle somme di pertinenza dell'Ambasciata (...)».
3. Si gravava della sentenza D. Paolo, formulante i seguenti motivi:
«I) Sulle Eccezioni preliminari di rito e di merito»; «II (...) inammissibilità e/o improcedibilità dell'atto di citazione per la riapertura delle indagini e la proposizione dell'invito a dedurre e della citazione in assenza di fatti nuovi e successivi all'atto di archiviazione».
In estrema sintesi: osservava che la notitia damni prodotta il 1° agosto 2011 doveva considerarsi completa in quanto contenente tutti gli atti dell'indagine ispettiva posti a base del procedimento disciplinare, avviato immediatamente e sulla base della stessa documentazione inoltrata alla Procura territoriale.
Sicché, dovevano dirsi insussistenti i presupposti per riaprire la vertenza, avendo operato il D., come riconosciuto dalla sentenza penale di primo grado, "in perfetta trasparenza contabile", mentre la nuova inchiesta era "solo frutto di una diversa opinione in relazione alla medesima vicenda". Il PM non avrebbe potuto perciò notificare l'invito a dedurre, tenuto conto che era nel frattempo entrato in vigore l'art. 70 del c.g.c., che non ha introdotto una nuova e diversa disciplina del provvedimento di archiviazione, limitandosi ad esternare principi, già vigenti in materia, sulla necessità di nuovi elementi (sopravvenuti) per poter riaprire la vertenza.
«III. Sulla prescrizione del diritto al risarcimento...».
Deduceva che i «fatti hanno assunto la loro giuridica consistenza, sul piano fattuale e in ordine alla loro caratterizzazione dannosa, indipendentemente dagli esiti dell'indagine penale, tant'è che, ancor prima del rinvio a giudizio, hanno formato oggetto: di una specifica istruttoria da parte dell'Ambasciata e del Ministero; di un procedimento disciplinare (...); di una specifica e dettagliata notizia di danno; di un'autonoma istruttoria da parte della Procura (...) conclusa con un provvedimento di archiviazione". Sicché, sia l'Ambasciata che il Ministero hanno avuto piena ed effettiva conoscenza della fattispecie (presuntamente) dannosa da marzo 2011, così che alla data della notifica dell'invito a dedurre (6 luglio 2017) il termine quinquennale di prescrizione era comunque decorso.
«IV. Sulla sentenza penale di appello, divenuta irrevocabile, con la quale il dott. D. è stato assolto dai reati di peculato e abuso d'ufficio perché il fatto non sussiste».
Osservava che con sent. 2364/2019 della Corte di Appello di Roma, irrevocabile, l'Ambasciatore D., per le vicende per cui è processo, è stato assolto per insussistenza del fatto. In breve, la sentenza ha escluso la condotta appropriativa "al di là di ogni ragionevole dubbio", accertando che il diplomatico ha utilizzato le somme trasfuse sui conti correnti personali "per finanziare gli eventi programmati". E detta decisione, caratterizzata da assoluta identità soggettiva ed oggettiva con il fatto posto a fondamento dell'azione di responsabilità amministrativa, aveva efficacia di giudicato (artt. 652 e 654 c.p.p.) nel presente giudizio proprio in relazione alla condotta appropriativa ed alla interversio possessionis.
«V. Sull'insussistenza del danno e dell'elemento soggettivo». Deduceva che in nessuna parte della citazione si affermava (e neppure si dubitava) che l'Ambasciatore D. «non abbia impiegato le somme per realizzare gli eventi oggetto delle sponsorizzazioni». Di talché, a fronte della raggiunta prova in ordine all'impiego dei finanziamenti per le finalità pubbliche prestabilite, "a nulla valeva la circostanza che l'Ambasciatore avesse assunto la veste di agente contabile, tenuto conto che non si trattava di un giudizio di conto, ma di un giudizio di responsabilità amministrativa (...), che soggiace(va) a principi del tutto diversi".
4. Nelle conclusioni scritte, del 29 novembre 2019, la Procura generale ha proposto il rigetto del gravame.
In sintesi: sulla nullità, irricevibilità, improcedibilità e/o inammissibilità della riapertura del fascicolo istruttorio, dell'invito e dell'atto di citazione, ne opponeva l'infondatezza. Rilevava, preliminarmente, il carattere innovativo della disposizione di cui all'art. 70 del c.g.c., in vigore dal 7 ottobre 2016 e disciplinante (versione del tempo) la riapertura della vertenza al cospetto di "fatti nuovi e diversi successivi al provvedimento di archiviazione".
Conseguentemente, prima del 7 ottobre 2016 "la riapertura dell'istruttoria non era subordinata ad alcuna condizione". Inoltre, poiché "l'istruttoria del PM contabile così come la relativa riapertura sono funzionali alle determinazioni in ordine all'esercizio dell'azione di responsabilità", risultava evidente come "ipotetiche limitazioni alla sua riapertura, in ragione della loro incidenza sul diritto-dovere di esercitare, ricorrendone i presupposti, l'azione (...) non potessero ammettersi in difetto di una espressa previsione normativa in tal senso". In ogni caso, ove si ritenesse che l'art. 70 del c.g.c. fosse applicabile retroattivamente, «... non ci si potrebbe, comunque, sottrarre alla conclusione della legittimità della riapertura dell'istruttoria, considerato che nel novero dei "fatti nuovi e diversi successivi al provvedimento di archiviazione" (...)» rientravano «(...) quelli (quali l'intervenuta irrogazione di sanzione disciplinare e la richiesta di rinvio a giudizio) suscettibili, in ragione della loro rilevanza, di valutazione ai fini delle determinazioni in ordine all'esercizio dell'azione...»; sulla prescrizione, affermava che "il danno erariale è divenuto di fatto conoscibile solo all'esito della compiuta ricostruzione operata in sede penale, a seguito della richiesta di rinvio a giudizio". Ciò malgrado, nella specie appariva assorbente il rilievo che il D. per effetto del trasferimento/accredito di fondi di pertinenza dell'Amministrazione sui propri conti correnti e del conseguente maneggio di danaro pubblico, aveva assunto la veste di agente contabile, come tale obbligato alla resa del conto giudiziale: in tale evenienza la prescrizione non poteva decorrere prima del deposito del conto; sulla sentenza penale irrevocabile di proscioglimento osservava non poter spiegare efficacia di giudicato nel presente giudizio ex art. 652 c.p.p., trattandosi di pronuncia emessa all'esito di rito abbreviato e senza che su di esso si sia espressa la parte civile; sull'insussistenza del danno e dell'elemento soggettivo, osservava che l'aver rivestito il D. la qualità di agente contabile, faceva ricadere «... sul PM l'onere della prova del "carico" - peraltro pacifico siccome non oggetto di contestazione - mentre sull'agente contabile, ai fini del discarico e, pertanto, ai fini di esimersi da responsabilità, l'onere della prova dell'impiego delle somme in conformità alla loro destinazione ovvero del loro riversamento nelle casse dell'amministrazione ovvero ancora dell'impossibilità di provvedervi per causa a lui non imputabile», onere per niente assolto.
5. Nella memoria prodotta il 4 dicembre 2019 parte privata ha replicato alle argomentazioni della P.G. e insistito nel gravame.
6. Alla pubblica udienza odierna, le parti hanno richiamato i rispettivi atti. Al termine della discussione la causa è stata trattenuta in decisione.
RAGIONI DEL DECIDERE
1. L'appello coglie nel segno e in termini definitori di rito merita condivisione non risultando conforme al modello legale la disposta riapertura del fascicolo istruttorio.
Preliminarmente, mette conto rilevare che sia il provvedimento di archiviazione in data 16 luglio 2015, che la successiva riapertura del fascicolo processuale archiviato, disposta il 16 maggio 2016, non sono sussumibili nella "nuova" (lato sensu) disciplina prevista agli artt. 69 e 70 del d.lgs. n. 174 del 26 agosto 2016, vigente dal 7 ottobre 2016, incidente su atti successivamente assunti. Di talché, in base al principio generale del tempus regit actum, le valutazioni sulla conformità al modello legale della riapertura della vertenza erariale devono operarsi sulla base della normativa in vigore al momento della sua disposizione, siccome interpretata dalla giurisprudenza contabile.
A tale stregua, l'archiviazione è stata prevista, per la prima volta in sede legislativa, all'art. 5, comma 1, del d.l. 15 novembre 1993, n. 453, quale esito alternativo alla citazione in giudizio.
Detta norma ha stabilito che: «Prima di emettere l'atto di citazione in giudizio, il Procuratore regionale invita il presunto responsabile del danno a depositare, entro un termine non inferiore a trenta giorni dalla notifica della comunicazione dell'invito, le proprie deduzioni od eventuali documenti. (...). Il Procuratore regionale emette l'atto di citazione in giudizio entro centoventi giorni dalla scadenza del termine per la presentazione delle deduzioni (...). Eventuali proroghe di quest'ultimo termine sono autorizzate dalla Sezione giurisdizionale competente, nella camera di consiglio a tal fine convocata; la mancata autorizzazione obbliga il Procuratore ad emettere l'atto di citazione ovvero a disporre l'archiviazione entro i successivi quarantacinque giorni».
L'archiviazione dell'istruttoria costituisce quindi contrarius actus alla citazione in giudizio, quale provvedimento non giurisdizionale insuscettibile di dar luogo ad un giudicato, ma a rilievo istruttorio, essendo idoneo a definire una vicenda nell'ambito dell'esercizio di una funzione obiettiva volta alla ricerca della verità.
A tal riguardo, il "Giudice delle leggi" ha osservato che: «che, nei giudizi di responsabilità innanzi alla Corte dei conti, l'attività anteriore alla citazione è preordinata alla eventuale instaurazione del giudizio, ma non assume carattere decisorio, anche quando si concluda con una archiviazione; quest'ultima (...) non ha natura di pronuncia giurisdizionale, ma chiude un'attività istruttoria diretta a verificare se sussistano le condizioni per iniziare utilmente un giudizio di responsabilità, senza che con la stessa si formi giudicato o che ne derivi un vincolo per l'Ufficio del pubblico ministero» (Corte cost. 415/1995, 163/1997, 513/2002, 93/2011). Sicché, essendo l'archiviazione, in alternativa alla citazione, l'atto con cui può concludersi l'attività di indagine del P.M. prima del processo, «... ogni questione relativa all'assenza di un controllo esterno del giudice sulla legittimità dell'inazione del medesimo ovvero concernente la motivazione, il deposito e la comunicazione dell'atto di archiviazione, si colloca in una fase anteriore al giudizio di responsabilità, che si apre con l'atto di citazione emesso dal pubblico ministero» (Corte cost. 261/2006).
Comportando la natura definitoria dell'archiviazione una oggettiva diminuzione di tutela a svantaggio del denunciato, che non aveva neppure la facoltà di poter controllare e contraddire sulle prove acquisite dal PM, la "formalizzazione" del provvedimento di archiviazione ha costituito una delle materie espressamente incluse nei principi di delega all'art. 20, comma 2, lett. g), n. 5, che il dibattito sviluppatosi in giurisprudenza e in dottrina avrebbe voluto tradurre in una sorta di verifica giurisdizionale dell'archiviazione sulla scorta di quanto effettua il G.I.P. nella disciplina penale, ex art. 409 c.p.p.
Il c.g.c. non ha accolto invece tale soluzione, rimettendo esclusivamente all'ufficio del Requirente la decisione circa l'archiviazione e, perciò, confermando l'art. 69 quanto sempre avvenuto in Procura, ovverosia che il decreto di archiviazione è sottoposto al visto del Procuratore regionale, inquadrabile come atto di coordinamento e di uniforme comportamento nell'esercizio dell'attività requirente.
In ogni caso, l'art. 69, successivo al correttivo al Codice di cui al d.lgs. n. 114 del 7 ottobre 2019, positivizza le condizioni giustificanti l'archiviazione quali: a) l'infondatezza della notizia di danno, ove resa evidente già dalla a.1) prospettazione e dalla lettura della notitia damnum; ovvero a.2) emergente a seguito dell'invito a dedurre in considerazione dell'attività difensiva svolta dall'invitato; b) la mancanza "... di elementi sufficienti a sostenere in giudizio la contestazione di responsabilità". In breve, detta condizione potrebbe verificarsi all'esito di una qualche attività istruttoria anche di tipo valutativo del materiale pervenuto unitamente alla segnalazione di danno. Sicché, in detto caso l'archiviazione si fonderà su una valutazione prodromica degli elementi di prova raccolti una volta sottoposti alla valutazione del giudice (art. 69, comma 1).
Da ultimo, il PM disporrà l'archiviazione in assenza di colpa grave, quale elemento costitutivo della responsabilità erariale, "... anche ove valuti che l'azione amministrativa si sia conformata al parere reso dalla Corte dei conti in via consultiva, in sede di controllo e in favore degli enti locali nel rispetto dei presupposti generali per il rilascio dei medesimi" (art. 69, comma 2).
Qualora il PM assegnatario del fascicolo istruttorio abbia a ravvisare una delle suindicate condizioni per l'archiviazione, le dovrà esporre nel relativo provvedimento, che prende la forma del decreto, debitamente motivato.
Per il periodo antecedente l'entrata in vigore del "Codice", vi era perfetta intesa in giurisprudenza sulla natura dell'archiviazione, non avente natura di decisione giudiziaria in quanto, svincolata da ogni formalismo, costituiva l'atto conclusivo di una precisa attività istruttoria ed era espressione di una discrezionalità, di carattere eminentemente tecnico-giuridico, circa la non rilevanza degli elementi acquisiti ai fini dell'esercizio del potere-dovere di eliminare la supposta vertenza di responsabilità (Corte conti, Sez. I, 69/1970, 34/1993; Sez. Lazio, 1108/2002); da ciò la conseguenza che l'archiviazione era atto sostanzialmente non giurisdizionale non preclusivo della eventuale riapertura dell'istruttoria (salvo quanto di seguito). La situazione non mutava poi nelle ipotesi di archiviazione disposta prima di emettere l'invito a dedurre: una tale evenienza non prevedeva comunicazione alcuna, posto che di massima in tale fase non risultava ancora individuato un potenziale responsabile.
Orbene, in via di principio l'archiviazione è sempre stata ritenuta una decisione "allo stato degli atti" da cui non derivava un vincolo formale per lo stesso PM che, pertanto, aveva ed ha la possibilità di riaprire l'istruttoria.
Questo, alla luce dell'art. 70 del c.g.c., che regola la "Riapertura del fascicolo istruttorio archiviato", può avvenire con decreto motivato del Procuratore regionale, solo se «dopo l'emanazione del formale provvedimento di archiviazione emergono elementi nuovi consistenti in fatti sopravvenuti, ovvero preesistenti ma dolosamente occultati» (versione introdotta dal correttivo al Codice di cui al d.lgs. n. 114 del 7 ottobre 2019; nella versione precedente si faceva riferimento al sopravvenire di "fatti nuovi e diversi successivi al provvedimento di archiviazione").
Sicché, con disposizione parzialmente ricognitiva di pregresso orientamento contabile, la riapertura del fascicolo è ammessa con decreto motivato del Procuratore regionale siccome supportato da "elementi nuovi", id est da "fatti nuovi sopravvenuti" ovvero preesistenti ma "dolosamente occultati", non risultando sufficiente una diversa valutazione degli stessi.
In sostanza, il principio codificato all'art. 70 del c.g.c. altro non era che la communis opinio maturata nella giurisprudenza contabile, quindi il sintagma del "diritto vivente" sulle condizioni legittimanti la riattivazione di una vertenza già archiviata. Perciò, detta norma non ha introdotto una nuova e diversa disciplina del provvedimento di archiviazione e dei presupposti per la riapertura del fascicolo istruttorio, limitandosi ad esternare i principi già vigenti in materia, per come enunciati dalla giurisprudenza (Corte conti, Sez. III, 267/2007; Sez. I, 308/2018; Sez. Lazio, 425/2009), che pacificamente negava la riapertura dell'istruttoria al cospetto di una diversa lettura dei medesimi fatti costitutivi della responsabilità.
Del resto, lo stesso Procuratore regionale nel disporre l'archiviazione il 16 luglio 2015, "allo stato degli atti", si riservava la riapertura del fascicolo solo «qualora dovessero successivamente emergere nuovi atti di rilievo ai fini dell'affermazione delle responsabilità amministrative», in tal modo non solo dimostrando di conoscere il principio in oggetto, ma altresì vincolando egli stesso la riapertura dell'istruttoria a nuovi fatti rilevanti.
Pertanto, non appaiono condivisibili le argomentazioni del Procuratore generale tese ad affermare che anteriormente alla data del 7 ottobre 2016, di entrata in vigore del c.g.c., "la riapertura dell'istruttoria non era subordinata ad alcuna condizione", in quanto sia l'orientamento del giudice contabile che le decisioni del Giudice delle leggi (dianzi richiamate), deponevano per l'opposta interpretazione, rispondendo al principio (immanente nella "Carta fondamentale") di ragionevolezza definire le posizioni soggettive esaminate entro termini certi, oltre che di giustizia sostanziale e di civiltà giuridica. Detto altrimenti, la protrazione, con alterne vicende, della c.d. fase preliminare, che di per sé, ininfluente la sua natura non decisoria, è sentita dal presunto responsabile come una forma di "anticipata condanna", incombeva sul medesimo, invece titolare di un diritto a conoscere in tempi rapidi la propria sorte processuale o di soggetto archiviato.
Neppure condivisibile era l'ulteriore assunto che, poiché "l'istruttoria del PM contabile così come la relativa riapertura sono funzionali alle determinazioni in ordine all'esercizio dell'azione di responsabilità", deduceva come "ipotetiche limitazioni alla riapertura dell'istruttoria, in ragione della loro incidenza sul diritto-dovere di esercitare (...) l'azione (...) non potessero ammettersi in difetto di una espressa previsione normativa in tal senso".
Soccorre al riguardo la teoria ordinamentale del c.d. limite implicito.
L'art. 5, comma 1, del d.l. n. 453/1993, ha previsto espressamente l'obbligo del Procuratore regionale di chiudere l'istruttoria con l'atto di citazione o con l'archiviazione, dando così rilevanza esterna anche a quest'ultimo atto (Corte conti, Sez. I, n. 356/2005).
Il sistema prevede la sua compiutezza con l'istituto della proroga, che semplicemente protrae lo spatium deliberandi per addivenire alla scelta alternativa tra citazione e archiviazione.
Ora, al cospetto di una norma che ti impegna a citare o ad archiviare, il limite implicito di una riapertura del medesimo fascicolo esige quantomeno un qualche elemento di novità, senza il quale si resta nel divieto di proseguire nell'attività in precedenza archiviata, limite presente nella suindicata norma sì in maniera implicita ma adeguatamente chiaro sotto il profilo della logica e della coerenza (non servendo quindi una disposizione espressa, come preteso dal P.G.). In breve, la norma contiene un presupposto negativo implicito per cui il PM non può riaprire il fascicolo alle stesse condizioni o identiche prospettazioni, occorrendo l'elemento esplicito positivo del fatto nuovo.
Perciò, al Procuratore regionale non è preclusa una successiva iniziativa processuale per gli stessi fatti asseritamente causativi del nocumento erariale, purché e imprescindibilmente abbia a motivare perché quegli stessi fatti, per i quali ha proceduto ad archiviazione, siano poi divenuti rivalutabili ai fini della riapertura della vertenza. Sicché, era tenuto a chiarire il perché traeva dagli stessi identici elementi fattuali (che in specie addirittura riteneva prescritti) una diversa valutazione finalizzata alla riapertura del fascicolo istruttorio.
In specie, la Procura regionale pare aver eluso la norma che al suo interno contiene detto limite, poiché la riapertura dell'istruttoria sottintendeva non "elementi nuovi" atti a modificare il quadro oggettivo che originariamente aveva portato all'archiviazione, ma una diversa opinione in relazione ai medesimi fatti costitutivi dell'asserita responsabilità erariale, quindi un convincimento differente su identici elementi intervenuti in epoche diverse.
All'uopo, con nota informativa, fatta pervenire alla Procura contabile (unitamente ad allegati) il 1° agosto 2011, l'Ispettorato generale del Ministero e degli Uffici all'Estero rappresentava anomalie contabili nella gestione di fondi di sponsorizzazioni, correlati ad attività organizzate nel 2008 e nel 2009, i cui importi (siccome descritti nella parte in fatto) venivano riversati sui conti correnti privati del titolare dell'Ambasciata d'Italia ad "Abu Dhabi", dott. D. Paolo, e senza alcuna rendicontazione.
Detta comunicazione è avvenuta, come precisato, a seguito dell'indagine ispettiva, avviata nel marzo 2011 dal Ministero, all'esito della quale, oltre ad essere attivato il procedimento disciplinare, si notiziava il Requirente regionale, destinatario il 12 settembre 2011 anche della nota integrativa contenente le considerazioni sui fatti del dott. D. Perciò, la medesima documentazione, alla base di successive pronunce amministrative e giurisdizionali - siccome chiarito anche dalla prima sentenza che ha espressamente affermato che "la documentazione allegata alle informative (...), fornisce piena prova della fondatezza della domanda di condanna (...)", radicata su asserite condotte appropriative - ha dato altresì origine alla contestazione degli addebiti in sede disciplinare (circa un mese dopo, nel mese di settembre 2011), «... per irregolarità contabili, commesse con violazione del principio generale di universalità del bilancio (...)», esitata il 28 maggio 2012 nell'irrogazione della sospensione dalla qualifica per mesi sei.
Di talché, la Procura, rilevato che la «fattispecie concerne l'indebita gestione di fondi derivanti da attività di sponsorizzazione di attività organizzate dall'ambasciata d'Italia ad "Abu Dhabi"», considerato, tra l'altro, che l'Amministrazione «... rappresenta di non disporre di sufficienti elementi per dubitare dell'effettiva destinazione dei fondi alle attività previste, facendo dedurre che l'accaduto sia riconducibile a confusione contabile», dapprima, con provvedimento del 16 luglio 2015, ha disposto l'archiviazione dell'istruttoria, riservandosi di riaprirla solo al cospetto "di nuovi fatti di rilievo".
Dappoi, all'esito della trasmissione l'11 maggio 2016, da parte del M.A.E.C.I., di ulteriore nota (con allegati): 1) sulla contestazione di addebiti in sede disciplinare; 2) sulla memoria giustificativa dell'8 novembre 2011, dell'Ambasciatore; 3) sul d.m. del 22 novembre 2011, con cui è stata convocata la Commissione di disciplina; 4) sulla delibera della Commissione di disciplina del 21 maggio 2012, di proposta della sanzione della sospensione; 5) sull'irrogazione al dott. D., con d.m. 1067, del 28 maggio 2012, della sospensione dalla qualifica per mesi sei; 6) sull'esistenza di un procedimento penale sui medesimi fatti, ha disposto la riapertura del fascicolo.
Orbene, rileva il Collegio che né la mera esistenza di una richiesta di rinvio a giudizio in sede penale, né la sanzione disciplinare possono in sé considerate e per ciò solo comportare in specie un fatto sopravvenuto (da riferirsi non ai procedimenti disciplinare e penale in sé ma agli atti a contenuto significante che potevano integrare) tale da incidere sui presupposti sui quali la iniziale archiviazione disposta si è basata, al fine di legittimare la riapertura del fascicolo istruttorio. In realtà, la successiva nota del 10 maggio 2016 del Ministero, apparentemente ad integrazione della precedente, contenente atti della sequenza procedimentale disciplinare esitata nella sanzione disciplinare della sospensione, nonché la comunicazione dell'Avvocatura generale dello Stato sulla richiesta di rinvio a giudizio del diplomatico con facoltà di costituirsi parte civile, nulla di nuovo apportavano in termini di presupposto legale per la riapertura delle indagini e l'avvio dell'azione, poiché trattavasi di documentazione già esistente al momento dell'archiviazione del 16 luglio 2015 e senz'altro conosciuta e in ogni caso conoscibile dal Procuratore regionale. In altri termini, la Procura prima di procedere all'archiviazione era in condizione di poter acquisire ogni notizia utile quanto agli esiti delle indagini ispettive e del procedimento disciplinare e sull'eventuale pendenza di un procedimento penale, quest'ultimo poi esitato nella sentenza (con rito abbreviato) n. 2856/2016 del 22 novembre 2016, del G.I.P., di condanna per peculato, in quanto «... la deliberata e pianificata gestione extrabilancio di tali fondi con la mancata conservazione e custodia dei documenti giustificativi della spesa, integra(va) una condotta palesemente incompatibile con il titolo del possesso (...)».
Cosicché, a fronte dei medesimi presupposti in fatto, l'atto di citazione si appalesava null'altro che una diversa opinione della medesima vicenda, siccome prodotto in violazione di quanto previsto dall'art. 5, comma 1, del d.l. n. 453/1993 e dei principi da esso promananti.
E tutto ciò senza aggiungere che successivamente alla disposta archiviazione del 16 luglio 2015, la Procura ha concentrato il proprio focus sulla "omessa conservazione dei documenti giustificativi di spesa, appurata in sede penale", che avrebbe consentito di "... affermare la responsabilità del sig. D. indipendentemente da presunte erronee interpretazioni della normativa sul Fondo unico per le sponsorizzazioni, non avendo l'Ambasciatore reso conto della gestione di tali risorse..." circostanza, quella della omessa conservazione dei giustificativi di spesa, che era nota dall'inizio e dichiarata dallo stesso D. sin dal 2011.
Perciò, immutati i presupposti di fatto (indebito trasferimento dei fondi delle sponsorizzazioni sui conti personali dell'Ambasciatore senza fornire rendicontazione in ordine all'utilizzo degli stessi), stante l'incertezza sull'effettiva destinazione dei fondi (implicante inequivocabilmente la mancanza dei giustificativi di spesa), il PM ha deciso di archiviare. Dappoi, nel disporre la riapertura del fascicolo il 16 maggio 2016, la responsabilità veniva affermata in ragione della carenza di documentazione contabile ufficiale, con piana sovrapposizione degli elementi fattuali letti in maniera diversa.
Vi era poi che detta documentazione non emerge essere stata rinvenuta neppure nel procedimento penale di primo grado, nell'ambito del quale è emerso al contrario che i soldi sono stati effettivamente spesi per l'organizzazione degli eventi dell'Ambasciata e che sono transitati sul conto corrente personale sol perché altrimenti non si sarebbero potuti utilizzare. Difatti il Tribunale penale ha affermato che l'impiego delle somme deviato dalle finalità proprie dell'Ambasciata risultava allo stato degli atti una mera "illazione", priva del benché minimo fondamento probatorio, circostanza compiutamente accertata dalla Corte di Appello di Roma (sent. n. 2364 del 19 febbraio 2019), che, nel prosciogliere il dott. D. dalle imputazioni ascrittegli perché il fatto non sussiste, è pervenuta alla conclusione che malgrado «... la imprudenza contabile del D. che, per finanziare rapidamente gli eventi, aveva utilizzato il suo conto; la prova dichiarativa che quelle somme improvvidamente "parcheggiate" su di un c/c personale e non su quello dell'Ambasciata vennero però dal D. effettivamente utilizzate per gli eventi; il solo fatto che le "ricevute" non siano state poi reperite, né in terra di arabia dopo cinque anni si poteva ragionevolmente pensare di trovare altre tracce, non possono per questa Corte assumere valore di prova della interversio possessionis necessaria per il peculato; invece, provano che, come è pacifico, il D. scientemente, ma per finalità della missione diplomatica della quale era a capo, disattese la nuova normativa contabile (...); nulla può quindi rimproverarsi al D., in sede penale, né a titolo di peculato né di abuso d'ufficio».
Atteso quanto precede, l'atto di citazione è da dichiarare inammissibile, poiché conseguente alla stessa prospettazione accusatoria oggetto del decreto di archiviazione del 16 luglio 2015.
In detti termini, l'appello è da accogliere e la sentenza in epigrafe da annullare, anche in punto di spese.
Le spese del grado vanno integralmente compensate, ex art. 31, comma 3, del c.g.c., avendo il Collegio definito la causa in rito.
P.Q.M.
La Corte dei conti - Sezione terza giurisdizionale centrale di appello, disattesa ogni contraria istanza, deduzione od eccezione, definendo il giudizio, accoglie in rito l'appello, iscritto al n. 54.898/R.G. e, per l'effetto, annulla la sentenza n. 298/2019, del 25 giugno 2019, della Sezione giurisdizionale regionale per il Lazio, perché inammissibile l'atto introduttivo.
Compensa integralmente tra le parti le spese e gli onorari di giudizio.
Manda alla Segreteria della Sezione per il più a praticarsi.