Consiglio di Stato
Sezione VI
Sentenza 2 gennaio 2020, n. 23
Presidente: Santoro - Estensore: Lamberti
FATTO E DIRITTO
1. Con il ricorso n. 6457/2016, la società consortile Media Tv Network ha impugnato davanti al T.A.R. per il Lazio: l'atto n. 28663 del 26 aprile 2016 di conclusione del procedimento relativo alle misure economiche compensative per il rilascio delle frequenze televisive interferenti, ex d.m. 17 aprile 2015, con riferimento alla Regione Puglia; la nota n. 29136 del 27 aprile 2016 di avvio del procedimento di revoca del diritto d'uso definitivo del canale 28 UHF, per la Regione Puglia; i provvedimenti del 2 maggio 2016 di indizione delle gare per l'attribuzione dei diritti d'uso delle frequenze del servizio televisivo digitale terrestre da assegnare agli operatori di rete in ambito locale, canali 24, 58, 60, 7 UHF, per la Regione Puglia.
1.1. Con i motivi aggiunti depositati il 19 ottobre 2016, ha impugnato gli atti n. 59120, 59121 e 59122 del 21 settembre 2016, di approvazione delle graduatorie per l'assegnazione dei diritti d'uso delle frequenze del servizio televisivo digitale terrestre da assegnare agli operatori di rete in ambito locale, canali 24, 58, 60 UHF, per la Regione Puglia.
1.2. Con i motivi aggiunti depositati il 5 dicembre 2016, ha impugnato la nota n. 68159 del 25 ottobre 2016 di invito a disattivare gli impianti che trasmettevano sul canale 28 UHF, l'atto di revoca del diritto d'uso del canale 28 UHF e gli atti di assegnazione dei diritti d'uso dei canali 58, 24, 60 UHF, di estremi non conosciuti.
1.3. Con i motivi aggiunti depositati il 3 febbraio 2017, ha impugnato la determina n. 89281 del 21 dicembre 2016 di revoca, ex d.m. 17 aprile 2015, del diritto d'uso definitivo del canale 28 UHF, oltre ad ogni altro atto presupposto, connesso e conseguente, per l'accertamento del diritto d'uso del canale 24 UHF, in sostituzione del canale 28 UHF, per la condanna dell'amministrazione al risarcimento del danno.
2. La sentenza n. 6122 del 2018 del T.A.R. per il Lazio, sede di Roma, ha dichiarato inammissibile il ricorso e i motivi aggiunti, rilevando che le impugnative avrebbero ad oggetto "atti non connessi tra loro, come invece richiesto nell'art. 32 c.p.a.".
3. Con il primo motivo di appello la società ricorrente in primo grado contesta tale statuizione, deducendone la genericità e l'erroneità in fatto e in diritto.
Secondo l'appellante, diversamente da quanto affermato nella sentenza impugnata, non vi sarebbe "cumulo di domande rivolte avverso atti inclusi in ben distinti procedimenti", avendo limitato la propria azione all'impugnazione degli atti di assegnazione delle nuove frequenze disponibili, che hanno comportato la mancata attribuzione alla ricorrente di altra frequenza in sostituzione del CH 28 UHF, lo spegnimento del CH 28 UHF e la dismissione dei relativi impianti, con la liquidazione di un indennizzo inaccettabile, a confronto con il danno patito.
L'appellante precisa inoltre che, diversamente da quanto affermato dal T.A.R., non ha impugnato gli atti relativi alla concessione di misure economiche compensative, avendo invece contestato la mancata assegnazione di una delle nuove frequenze disponibili e, conseguentemente, gli atti di attribuzione dell'indennizzo, previsto dal d.m. 17 aprile 2015 in favore dei soggetti che abbiano manifestato interesse all'assegnazione di altra frequenza e che risultano in posizione non più utile nelle relative graduatorie con conseguente modifica dei diritti d'uso.
Al riguardo, ha contestato la quantificazione di tale indennizzo, che sarebbe assolutamente insufficiente a ristorare l'ingiusto danno subito.
In definitiva, secondo parte appellante, il ricorso e i successivi motivi aggiunti sarebbero pienamente ammissibili, sussistendo l'esigenza di concentrare in un'unica decisione l'apprezzamento della correttezza dell'azione amministrativa oggetto del gravame, censurata nella sua complessità funzionale, e per profili che ne inficiano in radice la regolarità e che interessano trasversalmente le diverse, ma connesse, sequenze di atti.
4. Telenorba s.p.a. e Videopuglia s.r.l. in liquidazione hanno eccepito in via preliminare l'inammissibilità dell'appello per la violazione dell'art. 101, comma 2, del c.p.a.
L'eccezione è fondata.
Con l'appello, Media Tv Network ha contestato la statuizione di inammissibilità del T.A.R., tuttavia, nel medesimo atto non sono stati riproposti i motivi del ricorso di primo grado (ricorso principale e ricorsi per motivi aggiunti).
Come noto, ai sensi dell'art. 101, comma 2, del c.p.a., devono intendersi rinunciati i motivi di ricorso assorbiti nella sentenza di primo grado e che non sono stati espressamente riproposti nell'atto di appello.
Giova ricordare che, per costante giurisprudenza formatasi già nel sistema normativo antecedente alla entrata in vigore del c.p.a., la parte originaria ricorrente che censura una sentenza di primo grado che si è pronunciata soltanto in rito, ha l'onere di riproporre i motivi di merito non esaminati dal T.A.R., a pena di inammissibilità dell'appello proposto (cfr. C.d.S., n. 2880 del 2015: "nel giudizio amministrativo, ai sensi dell'art. 101, comma 2, c.p.a., devono intendersi rinunciate le domande e le eccezioni dichiarate assorbite o non esaminate nella sentenza di primo grado, che non siano state espressamente riproposte nell'atto di appello; l'onere di riproposizione si lega alla previsione contenuta nell'art. 105, comma 1, c.p.a. che, enunciando il principio di tassatività dei casi di annullamento con rinvio al primo giudice, stabilisce (implicitamente ma univocamente) che, in tutti gli altri casi, il Consiglio di Stato si pronunci nel merito dei ricorsi proposti in primo grado, anche se il giudizio innanzi al Tar si sia concluso con una erronea dichiarazione di inammissibilità, improcedibilità o irricevibilità, il che si lega al principio generale secondo cui è preclusa al giudice di appello la conoscenza, di propria iniziativa, dei motivi di ricorso di primo grado dichiarati assorbiti e non riproposti, pena il vizio di ultrapetizione della pronunzia"; cfr. anche Ad. plen. n. 14 del 2018).
4.1. In replica all'eccezione, l'appellante argomenta nel senso che la trascrizione nell'atto di appello delle domande formulate nel primo giudizio avrebbe inevitabilmente innescato l'effetto devolutivo/sostitutivo del giudizio di appello.
Tale difesa non coglie nel segno, dal momento che la trascrizione delle sole conclusioni di cui al ricorso originario (ovvero il petitum formale) non consente in alcun modo al giudice di secondo grado di avere contezza di quella che, secondo il ricorrente, è la concreta difformità degli atti impugnati dal paradigma legale, che si può indagare solo con la specifica riproposizione dei motivi di ricorso contenenti i supposti vizi dedotti nei confronti dei provvedimenti gravati.
4.2. È pacifico che l'atto di appello non contenga i motivi di ricorso dedotti in primo grado ed assorbiti dal T.A.R., ne consegue che la parte appellante è incorsa nella violazione dell'art. 101, comma 2, c.p.a.
In un precedente similare, questo Consiglio ha già avuto modo di concludere che l'onere di riproposizione di cui alla norma citata non risulta rispettato nemmeno laddove i motivi del ricorso di primo grado siano stati semplicemente richiamati sintetizzandone l'epigrafe (cfr. C.d.S. n. 6416 del 2018).
5. In conseguenza di tale carenza viene meno l'interesse ad esaminare il motivo di appello con cui si contesta la statuizione di inammissibilità del primo giudice, posto che, stante l'impossibilità di esaminare i motivi di ricorso originari a causa della loro mancata riproposizione, anche un ipotetico accoglimento di tale censura non apporterebbe alcuna utilità all'appellante, da cui la carenza di interesse alla decisione sulla stessa.
6. Deve essere respinto anche il secondo motivo di appello, con cui si contesta la sentenza del T.A.R. nel punto in cui ha condannato la parte ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore di cinque parti resistenti "tenuto conto anche della violazione del principio di sinteticità di cui all'art. 3, comma 2, c.p.a. da parte della ricorrente".
In primo luogo, deve osservarsi che il giudice di primo grado ha letteralmente specificato che le spese di lite erano poste a carico del ricorrente in base all'ordinario criterio della soccombenza.
Il richiamo alla violazione del principio di sinteticità degli atti costituisce dunque solo un elemento che, al più, può aver inciso solo sulla liquidazione concreta delle spese.
Tanto precisato, considerato che il giudizio ha riguardato l'impugnazione di più atti (ricorso originario e tre ricorsi per motivi aggiunti) la commisurazione delle spese effettuata dal primo giudice pare in ogni caso adeguata al valore ed al peso della causa e, pertanto, ben può essere confermata.
7. In definitiva l'appello risulta in parte inammissibile ed in parte infondato.
La complessità della controversia giustifica la compensazione delle spese di lite del presente grado di appello.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando, dichiara l'appello in parte inammissibile e in parte infondato.
Spese di lite compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.