Tribunale Amministrativo Regionale per il Molise
Sentenza 28 dicembre 2019, n. 478

Presidente: Silvestri - Estensore: Luce

FATTO E DIRITTO

Il ricorrente è titolare del patentino per la vendita dei generi di monopolio n. 203051, autorizzata all'interno del bar [omissis] ubicato nel centro commerciale di Campobasso denominato "Centro del Molise", da prelevarsi dalla rivendita n. 41, in via san Giovanni in Golfo, 86/A, sempre a Campobasso. Il suddetto patentino è stato rilasciato dall'Agenzia delle dogane e i monopoli a far data dal 5 agosto 2016 con validità fino al 4 agosto 2018.

In data 30 luglio 2018 il ricorrente ha presentato domanda, protocollata con il n. 57628, di rinnovo biennale del detto patentino: l'Agenzia per le dogane e i monopoli, con nota prot. n. 67519 comunicava la discordanza tra il contenuto della suddetta domanda di rinnovo e quanto, invece, comunicato dall'Agenzia delle entrate - Agente della riscossione relativamente all'iscrizione a ruolo, a carico del ricorrente, di un importo di euro 238,74 di cui alla cartella n. 2720160002761453000 riferita al canone Rai per l'anno 2010, asseritamente notificata in data 22 luglio 2016.

Il ricorrente presentava le proprie controdeduzioni ove evidenziava che il canone Rai insoluto era riferito all'attività commerciale cessata nell'aprile dello stesso anno (2010) e che l'onere del relativo pagamento, per accordi in essere tra le parti, era stato posto a carico della ditta Iper Adriatico s.r.l. che aveva riacquistato la gestione del ramo d'azienda precedentemente concesso in affitto a [omissis] s.r.l., e la quale, tuttavia, si sarebbe resa inadempiente all'insaputa della ricorrente. La pendenza fiscale in questione era, quindi, frutto di dimenticanza, e, per di più, il pagamento era stato prontamente eseguito in data 20 settembre 2018.

L'Agenzia delle dogane, in data 10 ottobre 2018, con provvedimento n. 198, rigettava l'istanza di rinnovo, intimando conseguentemente la restituzione del patentino.

Il ricorrente impugnava il provvedimento deducendo come, nella specie, non si era configurata alcuna "dichiarazione mendace" ma, semmai, una mera dimenticanza scusabile ed irrilevante, alla stregua del c.d. falso innocuo; il provvedimento, poi, risultava illegittimo anche per violazione dei diritti partecipativi del ricorrente, in quanto l'Amministrazione aveva omesso di considerare le controdeduzioni rese dal privato in sede procedimentale.

Il Tribunale, con ordinanza n. 240 del 22 novembre 2018, respingeva l'istanza di sospensione cautelare degli effetti dell'atto gravato; seguiva il provvedimento n. 90164 del 27 novembre 2018 con il quale l'Agenzia delle dogane archiviava l'istanza del ricorrente "essendo venuto meno il rapporto fiduciario per il rilascio del titolo".

Il ricorrente, con motivi aggiunti successivamente notificati e depositati, impugnava il provvedimento n. 90164/2018 insistendo per l'accoglimento del gravame.

Con ordinanza n. 380 del 24 gennaio 2019 il Consiglio di Stato accoglieva l'appello cautelare proposto dal ricorrente e, in riforma dell'ordinanza di primo grado, sospendeva il provvedimento impugnato disponendo che l'Amministrazione si rideterminasse motivatamente sulla istanza originaria di rinnovo del patentino. Con provvedimento n. 50 del 13 febbraio 2019 l'Amministrazione disponeva la prosecuzione della vendita dei tabacchi in esecuzione del pronunciamento cautelare del giudice di appello e subordinatamente all'esito del giudizio di merito.

Si costituiva in giudizio l'Agenzia delle dogane e dei monopoli rilevando come il provvedimento impugnato costituiva corretta applicazione dell'art. 75 e 76 del d.P.R. n. 445/2000 stante la perentorietà della regola ivi stabilita; insisteva, quindi, per il rigetto del ricorso principale e dei motivi aggiunti.

All'udienza pubblica del 6 novembre 2019 la causa è stata trattenuta in decisione.

Il ricorso è fondato nei termini che seguono.

Nel caso in esame, l'Agenzia delle dogane e monopoli ha respinto l'istanza di rinnovo del patentino, presentata dal ricorrente, avendo questo reso una dichiarazione non veritiera in sede di autocertificazione prodotta ai sensi dell'art. 47 del d.P.R. n. 445/2000: il ricorrente, infatti non aveva dichiarato l'esistenza di una pendenza fiscale relativa al mancato pagamento del canone RAI pari ad euro 238,74.

Sostiene, sul punto, la difesa erariale che l'art. 75 del citato d.P.R. n. 445/2000 legittimerebbe il provvedimento gravato e la conseguente sospensione del patentino, imponendo esso un preciso obbligo di veridicità nelle dichiarazioni rese alla P.A. e sanzionando la violazione di tale obbligo con l'ineludibile perdita dei benefici eventualmente conseguiti sulla base della dichiarazione non veritiera. L'applicazione dell'art. 75 del d.P.R. n. 445/2000 comporterebbe, quindi, l'automatica decadenza dal beneficio eventualmente già conseguito, non residuando, nell'applicazione della predetta norma, alcun margine di discrezionalità alle PP.AA.

Sostiene, al contrario, il ricorrente che, nella specie, non si verterebbe in tema di dichiarazione non veritiera bensì di mera dimenticanza innocua, considerato che dalla stessa non sarebbe comunque scaturito alcun vantaggio in capo al ricorrente anche in ragione dell'irrilevanza dell'importo contestato. L'interpretazione fornita dall'Amministrazione resistente, poi, si porrebbe in insanabile contrasto con i principi costituzionali di uguaglianza e con i canoni di ragionevolezza e proporzionalità dell'azione amministrativa anche sanciti dalla Carta costituzionale.

Ciò premesso, il Collegio ritiene che le censure prospettate dal ricorrente meritino di essere condivise.

Ed invero, l'art. 75 ("Decadenza dai benefici") del d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445 ("Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa") dispone che "fermo restando quanto previsto dall'articolo 76, qualora dal controllo di cui all'articolo 71 emerga la non veridicità del contenuto della dichiarazione, il dichiarante decade dai benefici eventualmente conseguenti al provvedimento emanato sulla base della dichiarazione non veritiera". Ciò vuol dire che la dichiarazione "non veritiera", al di là dei profili penali, ove ricorrano i presupposti del reato di falso, nell'ambito della disciplina dettata dal d.P.R. n. 445/2000, preclude al dichiarante il raggiungimento dello scopo cui era indirizzata la dichiarazione o comporta la decadenza dall'utilitas conseguita per effetto del mendacio.

Si è in merito ritenuto, quindi, che, "in tale contesto normativo, in cui la "dichiarazione falsa o non veritiera" opera come fatto, perde rilevanza l'elemento soggettivo ovvero il dolo o la colpa del dichiarante" (C.d.S., sez. V, cit., n. 1933/2013), "poiché, se così fosse, verrebbe meno la ratio della disciplina che è volta a semplificare l'azione amministrativa, facendo leva sul principio di autoresponsabilità del dichiarante" (C.d.S., sez. V, 27 aprile 2012, n. 2447): sicché ogni eventuale ulteriore circostanza, "senz'altro rilevante in sede penale, in quanto ostativa alla configurazione del falso ideologico, attesa la mancanza dell'elemento soggettivo, ovvero della volontà cosciente e non coartata di compiere il fatto e della consapevolezza di agire contro il dovere giuridico di dichiarare il vero, non assume rilievo nell'ambito della l. n. 445 del 2000, in cui il mendacio rileva quale inidoneità della dichiarazione allo scopo cui è diretto" (C.d.S., sez. V, cit., n. 1933/2013).

Ritiene, tuttavia, il Collegio che a tale rigorosa interpretazione vada preferita una lettura costituzionalmente orientata delle norme dettate in materia di c.d. autocertificazione, volta cioè a valorizzare, oltre il dato meramente formale, anche la sostanza della dichiarazione e del suo contenuto.

Conformemente al più recente orientamento della giurisprudenza amministrativa, infatti, teso a considerare il contenuto effettivo dell'attestazione in presenza di vizi meramente formali (C.d.S., sez. V, 17 gennaio 2018, n. 257 e 23 gennaio 2018, n. 418), quel che si ritiene di dover valorizzare sono le peculiari circostanze di volta in volta emerse nel caso concreto, alla luce delle quali poter valutare, nella specie, se si tratti di una vera e propria falsità o, piuttosto, di una mera irregolarità nella dichiarazione resa alla P.A.

Secondo questa interpretazione, infatti, e proprio con riferimento all'esistenza di pendenze fiscali non dichiarate al momento della istanza di rinnovo del rilascio del patentino, si è opportunamente rilevato come, per la decadenza dal beneficio, non sarebbe determinante il profilo formale della falsità della dichiarazione bensì quello sostanziale costituito dalla mancanza del requisito falsamente dichiarato: l'Amministrazione, quindi, sarebbe tenuta a valutare compiutamente la portata e l'attualità delle pendenze fiscali sussistenti al momento della istanza (T.A.R. Palermo, sez. I, 29 ottobre 2018, n. 2190).

Ed ancora, la Corte costituzionale, pur dichiarando inammissibile la questione di illegittimità costituzionale sollevata, nella specie, dal giudice a quo per non avere questo esaminato, la sussistenza o meno di una vera e propria pendenza fiscale definitivamente accertata come prevista dagli artt. 7 e 8 del d.m. 21 febbraio 2013, n. 38 (Regolamento recante disciplina della distribuzione e vendita dei prodotti da fumo), ha implicitamente confermato la tesi secondo cui la decadenza dal beneficio ottenuto mediante la falsa dichiarazione non possa conseguire in via automatica ma possa essere disposta solo dopo una valutazione casistica da parte della P.A. di tutte le circostanze rilevanti nel caso concreto (Corte cost., sent. 24 luglio 2019, n. 199).

In tal senso, si è, quindi, esclusa la sussistenza di una vera e propria "pendenza fiscale", come prevista dal combinato disposto di cui agli art. 7 e 8 del d.m. n. 38/2013, nelle ipotesi di un debito tributario di scarsa entità, non idoneo, come tale ed alla luce della normativa tributaria, a superare la soglia minima di rilevanza fiscale prevista nel nostro ordinamento (T.A.R. Potenza, 7 gennaio 2019, n. 31).

Si ravvisa, in sostanza, l'esigenza che l'Amministrazione procedente valuti caso per caso tutti gli elementi emersi nel corso del procedimento affinché la sanzione prevista dalla legge, e cioè la perdita dei benefici conseguiti per effetto della falsa dichiarazione, non sia irragionevolmente applicata nelle ipotesi di mere irregolarità nella dichiarazione.

Il tutto conformemente ai principi di ragionevolezza e proporzionalità che pure devono ispirare l'azione amministrativa e che portano ad escludere ogni automatismo sanzionatorio nell'applicazione dell'art. 75 del d.P.R. n. 445/2000 (si veda anche ordinanza del T.A.R. Lecce, sez. III, 24 ottobre 2018, n. 1544).

Orbene, applicando tali coordinate ermeneutiche al caso in esame, è opinione del Collegio che il predetto art. 75 d.P.R. n. 445/2000 non sia stato correttamente applicato dall'Amministrazione resistente. Nella specie è, infatti, emerso che la ricorrente aveva autodichiarato di non avere pendenze fiscali laddove era stata, poi, accertata, una pendenza fiscale per soli euro 238,74 relativa al canone RAI per l'anno 2010. La ricorrente, tuttavia, aveva rilevato come il suddetto canone Rai fosse riferito ad una attività commerciale cessata nell'aprile dello stesso anno (2010) e che l'onere del relativo pagamento, per accordi in essere tra le parti, era stato posto a carico della ditta Iper Adriatico s.r.l. che aveva riacquistato la gestione del ramo d'azienda precedentemente concesso in affitto a [omissis] s.r.l., e la quale, tuttavia, si sarebbe resa inadempiente all'insaputa della ricorrente. La pendenza fiscale in questione era, quindi, frutto di dimenticanza, e, per di più, il pagamento era stato prontamente eseguito in data 20 settembre 2018.

Ciò premesso, si rileva come l'art. 7 del d.m. 21 febbraio 2013, n. 38 (Regolamento recante disciplina della distribuzione e vendita dei prodotti da fumo), prescrive al comma 3, lett. g), tra i criteri per il rilascio del patentino, che gli Uffici competenti valutino "l'assenza di pendenze fiscali e/o di morosità verso l'Erario o verso l'Agente della riscossione definitivamente accertate o risultanti da sentenze non impugnabili"; il successivo art. 8 del decreto, invece, prevede che alla domanda di rinnovo del patentino sia allegata una dichiarazione sostitutiva di atto notorio attestante, tra gli altri elementi di fatto, "la sussistenza di eventuali pendenze fiscali e/o di morosità verso l'Erario o verso il concessionario della riscossione definitivamente accertate o risultanti da sentenze non impugnabili" (comma 3, ult. cpv.).

Deve ritenersi quindi che, in tale prospettiva, l'Amministrazione debba eseguire una valutazione caso per caso dell'esistenza di effettive "pendenze fiscali" e, conseguentemente, del contenuto delle dichiarazioni rese dai privati e ciò al fine di evitare di qualificare come pendenze fiscali quei debiti che, in quanto privi di effettiva consistenza economica, derivanti spesso da mere imprecisioni nell'adempimento da parte del contribuente, risultino sprovvisti di concreto disvalore (T.A.R. Potenza, 7 gennaio 2019, n. 31).

È evidente che, nel caso qui in esame, l'Amministrazione resistente ha del tutto omesso questa valutazione del caso concreto essendosi limitata ad applicare automaticamente l'art. 75 del d.P.R. n. 445/2000. All'opposto, nel corso del procedimento, erano emerse circostanze tali da far ritenere meritevole di accoglimento l'istanza di rinnovo del patentino presentata dalla ricorrente, consistenti nella esiguità dell'importo ab origine dovuto al fisco, nel fatto che lo stesso fosse relativo ad una attività commerciale cessata nell'anno 2010 e nel fatto che il debito fiscale era stato estinto prima ancora della adozione dei provvedimenti impugnati.

La totale pretermissione di siffatte circostanze ha reso, invece, la sanzione impugnata illegittima oltre che gravosa e sproporzionata e, pertanto, meritevole di annullamento.

Per tali assorbenti ragioni, il ricorso va accolto con annullamento dei provvedimenti impugnati.

Le spese di lite seguono la soccombenza nella misura di seguito indicata in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Molise (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto ed integrato dai motivi aggiunti, lo accoglie e, per l'effetto, annulla i provvedimenti impugnati.

Condanna l'Agenzia delle dogane e monopoli alla refusione delle spese di lite in favore del ricorrente nella misura di euro 1500,00 oltre accessori di legge e rimborso contributo unificato nella misura di quanto versato.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.