Corte di cassazione
Sezione V penale
Sentenza 14 giugno 2019, n. 45130
Presidente: Pezzullo - Estensore: Calaselice
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di appello di Catanzaro, con il provvedimento impugnato, ha confermato la sentenza del Tribunale di Castrovillari, emessa in data 21 aprile 2017, nei confronti di Salvatore F., in relazione al reato di cui all'art. 216 r.d. n. 267 del 16 maggio 1942 (bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione) con la quale il predetto era stato condannato alla pena di anni due di reclusione, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, oltre alle pene accessorie di cui all'ultimo comma dell'art. 216 l. fall.
1.1. La sentenza di primo grado aveva ritenuto la penale responsabilità dell'imputato, quale amministratore di diritto della Valle Costruzioni s.r.l. dichiarata fallita in data 11 luglio 2006, per la distrazione di alcuni automezzi che risultavano intestati alla società e che il curatore non aveva rinvenuto, nemmeno quanto al corrispondente valore ricavato dalla vendita. La medesima sentenza aveva rilevato il precedente giudicato, in relazione al reato di cui all'art. 216, comma 1, n. 2 e n. 1, l. fall., relativamente ad alcuni veicoli.
2. Avverso la descritta pronuncia ha proposto tempestivo ricorso per cassazione l'imputato, per il tramite del difensore di fiducia, denunciando nei motivi di seguito riassunti, due vizi.
2.1. Con il primo motivo si eccepisce nullità della sentenza, ai sensi dell'art. 178, comma 1, lett. c), c.p.p. per omessa citazione dell'imputato e del difensore per il procedimento di appello.
Per la prima udienza del 19 aprile 2018 la notifica della citazione in appello, nei confronti del difensore, avveniva a mezzo Posta Elettronica Certificata, con allegato relativo a procedimento a carico di Roberto D.R., soggetto estraneo al processo, che, dunque, veniva celebrato alla presenza del difensore di ufficio, come veniva appreso a seguito di notifica, a mezzo PEC, dell'avviso di deposito della sentenza.
2.2. Con il secondo motivo si denuncia vizio di motivazione con riferimento al reato di cui all'art. 216 l. fall.
Mancherebbe la motivazione sull'elemento soggettivo del reato relativo alla consapevolezza di sottrarre ai creditori i beni che si assumono distratti ovvero alla consapevolezza dell'effetto del depauperamento del patrimonio in danno dei creditori.
Inoltre la motivazione sarebbe carente circa l'incidenza della condotta distrattiva sul fallimento e sull'impossibilità di soddisfacimento dei creditori, trattandosi, peraltro, di beni dall'esiguo valore commerciale, come accertato tramite il pubblico registro automobilistico.
Infine si deduce che all'esito del dibattimento non si è raggiunta la prova della preventiva disponibilità dei beni successivamente non rinvenuti, in capo alla società fallita.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato e deve essere rigettato, ma va rilevata, di ufficio, l'illegalità delle pene accessorie fallimentari, quanto alla loro durata, con conseguente annullamento, sul punto, della pronuncia impugnata, con rinvio per nuovo esame.
2. Il primo motivo di ricorso deve essere rigettato in quanto infondato.
2.1. Va premesso che è principio affermato da questa Corte (Sez. 5, n. 11241 del 18 ottobre 2018, dep. 2019, Habassi Mustapha, Rv. 276022; Sez. 4, n. 2431 del 15 dicembre 2016, Dionigi, Rv. 268877; Sez. 2, n. 39027 dell'11 luglio 2017, Casaburi) che il sistema di posta elettronica certificata utilizzato dagli uffici giudiziari, per le notifiche degli atti giudiziari (c.d. SNT, Sistema di Notificazioni Telematiche) attribuisce alle e-mail inoltrate valore legale in relazione all'invio e alla consegna al destinatario e garantisce, per effetto dei protocolli di sicurezza, la certezza anche in relazione ai contenuti dei messaggi e degli eventuali allegati, posto che per questi ultimi è impossibile ogni modifica successiva all'invio. Lo strumento adottato consente, poi, in ossequio alle specifiche tecniche di cui al d.m. n. 44 del 21 febbraio 2011, come modificato, il rilascio al mittente di una ricevuta la quale è prova della spedizione del messaggio, degli allegati indicati e dell'avvenuta consegna alla casella di posta del destinatario. Per quanto concerne la formazione del messaggio con allegati, ciò avviene mediante acquisizione di atti, selezionati al computer e caricati - da operatore all'uopo autorizzato - nel sistema, abilitato a segnalare anche eventuali errori. Dopo l'acquisizione, formato il fascicolo, il sistema associa al messaggio l'atto da notificare che, dopo l'invio, non è più modificabile. All'esito della notifica il sistema produce il c.d. artefatto, in formato PDF, che riporta ed attesta le informazioni presenti nel sistema, mentre la relata di notifica è costituita dalla c.d. busta elettronica di ricezione della P.E.C., che ha un contenuto che può essere verificato, in cancelleria, anche in momento successivo alla notifica.
Caratteristica del sistema è, dunque, quella di consentire la conoscenza effettiva del contenuto del messaggio e, quindi, di prendere visione dei documenti informatici allegati, comunicati o notificati al destinatario. Infatti, selezionando prima dell'invio della P.E.C., il rilascio della ricevuta di consegna nella modalità "completa" quest'ultima, una volta tornata al mittente, avrà come allegato un file denominato postacert.eml, all'interno del quale si trovano gli stessi file (duplicati informatici) che il mittente ha inviato al destinatario, rispetto ai quali il sistema assicura anche l'integrità del contenuto, rendendo impossibile la modifica di quelli già inviati.
2.1.1. Tanto premesso va osservato, nella specie, che l'esame degli atti, non inibito a questa Corte stante la natura dell'eccezione formulata, in uno alla valutazione degli allegati al ricorso, hanno consentito di acclarare che è documentata l'avvenuta consegna della citazione in appello, per il difensore avv. Andrea Salcina di fiducia dell'imputato, in proprio, in data 13 febbraio 2018, tramite P.E.C. trasmessa dalla Corte di appello di Catanzaro, come risulta dal c.d. artefatto in atti, ove il procedimento indicato e il nome dell'imputato corrispondono al F. L'indicazione di n. 2 allegati si ricava dalla ricevuta di spedizione della P.E.C. (all. n. 1), certificazione che, dunque, impone di concludere nel senso che il messaggio originale trasmesso, per il processo a carico di F., sia compreso degli allegati ivi indicati.
Quanto all'onere probatorio circa la difformità o la completa diversità tra il documento allegato e quello che si assume dovesse essere trasmesso, nella specie, peraltro, non espressamente dedotta, questa Corte aderisce, comunque, al costante orientamento secondo il quale tale onere non può essere assolto con la mera deduzione dell'incompletezza o non corrispondenza all'originale scansito, tenuto conto dell'affidabilità del sistema attraverso il quale la notifica telematica è assicurata, nonché della verificabilità, a cura della parte che intende dedurla, del contenuto della c.d. busta telematica, mediante accesso all'ufficio mittente della notifica (Sez. 3, n. 56280 del 24 ottobre 2017, Zaurrini, Rv. 272421).
Del resto l'esame dei documenti allegati al ricorso non consentono senz'altro di ritenere, in quanto non documentato dalla cancelleria che ha trasmesso gli allegati a mezzo P.E.C., che il decreto di citazione a giudizio intestato a diverso imputato (Roberto D.R.) e con diversi numeri di registro generale, rispetto a quello a carico del F., sia stato allegato ed inviato tramite P.E.C. trasmessa il 13 febbraio 2018, di cui al c.d. artefatto in atti.
2.2. Con riferimento al secondo motivo si osserva che lo stesso è infondato.
2.2.1. Si è ritenuto che la dichiarazione di fallimento è evento estraneo all'offesa tipica e alla sfera di volizione dell'agente, con conseguente illiceità penale delle ipotesi nelle quali le condotte del debitore, di per sé offensive degli interessi dei creditori in quanto espongono a pericolo la garanzia di soddisfacimento delle loro ragioni, siano seguite dalla dichiarazione di fallimento (Sez. 5, n. 53184 del 12 ottobre 2017, Fontana, Rv. 271590; Sez. 5, n. 13910 del 9 febbraio 2017, Santoro, Rv. 269388). In ogni caso, altri arresti di questa Corte di legittimità hanno osservato che, in relazione al delitto di bancarotta per distrazione, è centrale la configurazione della fattispecie incriminatrice in termini di reato di pericolo concreto (Sez. 5, n. 17819 del 24 marzo 2017, Palitta, Rv. 269562; Sez. 5, n. 38396 del 23 giugno 2017, Sgaramella, Rv. 270763; Sez. 5, n. 50081 del 14 settembre 2017, Zazzini, Rv. 271437). Tale orientamento considera la configurazione della fattispecie incriminatrice come reato di pericolo concreto e la correlata configurazione del dolo quale dolo generico.
Nel quadro così delineato, ai fini della sussistenza del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, l'elemento soggettivo si configura nella forma del dolo generico, per la cui sussistenza non è necessaria la consapevolezza dello stato di insolvenza dell'impresa, né lo scopo di recare pregiudizio ai creditori, essendo sufficiente la consapevole volontà di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa da quella di garanzia delle obbligazioni contratte (Sez. 5, n. 52077 del 2014, Rv. 261348; n. 11899 del 2010, Rv. 246357).
Ai principi enunciati si sono correttamente attenute le conformi sentenze di merito, le cui motivazioni si integrano per confluire in un unico percorso giustificativo (Sez. 2, n. 19619 del 13 febbraio 2014, Bruno, Rv. 259929; Sez. 2, n. 30838 del 19 marzo 2013, Autieri, [Rv.] 257056; Sez. 5, n. 3751 del 15 febbraio 2000, Re Carlo, Rv. 215722). I giudici di merito, nella specie, hanno accertato l'elemento oggettivo della concreta pericolosità del fatto distrattivo, nonché l'elemento soggettivo, rappresentato dal dolo generico, valorizzando, quale "indice di fraudolenza", l'assenza di ogni valida giustificazione fornita circa la destinazione dei beni non rinvenuti, nemmeno quanto al loro controvalore in danaro.
Si rileva, infine, quanto al dedotto scarso valore commerciale dei beni non rinvenuti, che si tratta di deduzione integralmente versata in fatto, non suscettibile di valutazione in sede di legittimità.
3. Il Collegio deve rilevare di ufficio l'illegalità delle pene accessorie ex art. 216, u.c., l. fall. applicate ex lege come effetto penale della pronuncia di condanna impugnata, a seguito dell'intervento della sentenza n. 222 del 5 dicembre 2018 [del]la Corte costituzionale, la quale ha dichiarato l'illegittimità dell'art. 216, u.c., l. fall. La sostituzione operata dalla sentenza citata, determina l'illegalità delle pene accessorie irrogate, in base al criterio dichiarato illegittimo.
3.1. Si impone, pertanto, l'annullamento della sentenza impugnata, con obbligo, per il giudice del rinvio, di attenersi, nella rideterminazione della durata della pena accessoria non più fissa (dieci anni), ma indicata solo nel massimo (fino a dieci anni), ai criteri indicati dalla pronuncia della Corte costituzionale citata e da quella delle Sezioni unite di questa Corte, cui la questione specifica è stata rimessa, in data 10 dicembre 2018 (sentenza del 28 febbraio 2019, ric. Suraci).
Si è, infatti, posto il problema di individuare, il genere di intervento manipolativo cui sottoporre l'ultimo comma dell'art. 216 l. fall., tenuto conto che la Corte costituzionale ha individuato come insoddisfacente il parametro di cui all'art. 37 c.p., propendendo per consentire, per tali pene, una funzione distinta, rispetto a quelle proprie della pena principale, fissando una durata diversa, rispetto a quella della pena detentiva inflitta in concreto. In relazione al quesito posto, a seguito della pronuncia del giudice delle leggi, questa Corte di legittimità, nella sua più autorevole composizione, secondo l'informazione provvisoria della decisione diffusa, ha fissato il principio secondo il quale le pene accessorie, previste dall'art. 216 l. fall., nel testo riformulato dalla sentenza n. 222 del 5 dicembre 2018 della Corte costituzionale, così come le altre pene accessorie, per le quali la legge indica un termine di durata non fissa, devono essere determinate in concreto dal giudice, in base ai criteri di cui all'art. 133 c.p.
4. Discende dal ragionamento sin qui svolto, rigettato nel resto il ricorso, l'annullamento della sentenza impugnata, limitatamente al punto della durata delle pene accessorie, ex art. 216 ultimo comma, l. fall., con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte di appello di Catanzaro.
4.1. Ai sensi dell'art. 624 c.p.p., dall'annullamento con rinvio circoscritto all'indicato punto della decisione, deriva l'autorità di cosa giudicata di tutti i restanti punti della sentenza privi di connessione con quello annullato e, quindi, quello dell'accertamento della responsabilità dell'imputato e della quantificazione della pena principale.
P.Q.M.
annulla la sentenza impugnata limitatamente alla durata delle pene accessorie ex art. 216, u.c., l. fall., con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Catanzaro per nuovo esame. Rigetta nel resto il ricorso.
Depositata il 6 novembre 2019.